Questa volta parliamo di aeroporti, anzi di quello marchigiano di Falconara, il Raffaello Sanzio. E già, perché noi non ci facciamo mancare niente e pure in fatto di aeroplani la giunta regionale, guidata dall’ineffabile Ceriscioli, non perde occasione per combinare pasticci.Ma andiamo con ordine. Tutto comincia a Rimini, nel 2014 quando la Novaport Italia non riesce ad aggiudicarsi la gara per la gestione dello scalo romagnolo. Un vero peccato, anche perché ci avrebbero investito (così dicevano) più di 40 milioni di euro. Ora bisogna precisare che la Novaport Italia è una sedicente società satellite della Novaport Ltd che fa parte della corporation Aeon del magnate russo Trotsenko. Il suo amministratore delegato è Andrea del Vecchio, riminese, classe 1964. Del Vecchio non si dà per vinto.Sfumata l’occasione di Rimini si sposta a sud di qualche decina di chilometri e punta dritto verso le Marche. Adesso vorrebbe gestire l’aeroporto di Falconara, investendoci 22 milioni di euro e diventandone socio di maggioranza. Il tutto, acquistando il 52% delle azioni della Regione. Per il consiglio di amministrazione l’affare è fatto. Tutti i giornali annunciano trionfanti la partnership con i “russi” di Novaport e l’imminente rilancio dello scalo aereo. Che, sia detto per inciso, è in passivo di 40 milioni di euro, centesimo più, centesimo meno. Ma, colpo di scena, l’ENAC (l’autorità per l’aviazione civile) ed il ministero dei trasporti fermano tutto. Occorre un bando di gara. Finisce che il consiglio di amministrazione di Aerdorica si dimette in blocco. Bisogna ricominciare tutto daccapo. E qui entra in ballo la regione Marche che ha ben l’83% di capitale di Aerdorica. Il 16 novembre 2015 i soci (ma stiamo parlando per di 98% di soggetti pubblici) nomina il nuovo CdA: Lorenzo Catraro (presidente), Maurizio Tosoroni e Federica Massei: "tre persone con competenze specifiche nel settore delle infrastrutture, del marketing e della contrattualistica" il commento della vice presidente della Regione Anna Casini, come risulta dalla nota Ansa. Catraro, per combinazione, è anche il segretario regionale del PSI, ma lasciamo perdere… Purtroppo, per ragioni personali e professionali, Tosoroni si dimette dopo meno di un mese e al suo posto viene designato, per cooptazione Andrea Del Vecchio. “Un manager di comprovata esperienza, che conosce bene il Sanzio anche per la due diligence svolta in questi mesi per Novaport Italia. Così spiegarono all’ANSA Catraro e Massei, in accordo con la Regione Marche. Del Vecchio viene prontamente nominato amministratore delegato. Quindi quello che fino a pochi giorni fa era un potenziale, probabile acquirente dell’aeroporto, viene nominato addirittura amministratore delegato della società (ovviamente pubblica) che avrebbe voluto acquistare. Io ero convinto che certe cose accadessero solo in qualche statarello del Sudamerica, ma soprattutto nei film di Woody Allen. Ma andiamo avanti e andiamo a spulciare il curriculum di Del Vecchio per capire meglio la sua “comprovata esperienza” in fatto di aeroplani e/o altri oggetti volanti. Da candidato al consiglio comunale di Rimini nel 2011, così si presentava: laureato in scienze politiche e giurisprudenza, con master in criminologia, corso di specializzazione in diritto tributario, conciliatore e mediatore accreditato presso il ministero di giustizia. Quindi ricercatore e docente per la società internazionale di criminologia, in qualità di esperto per le politiche di sicurezza urbana. Autore, inoltre del progetto spiagge sicure 2000. Chi meglio di un insigne criminologo che ha studiato per rendere più sicuri i nostri litorali, potrebbe gestire un piccolo scalo aereo? Questo deve aver pensato Ceriscioli con i suoi uomini. Poi si lamentano se ogni volta li perculiamo da queste pagine. Attenzione perché la storia non è finita. Anzi, adesso viene bello. Perché sulla Novaport Italia aleggia un alone di mistero. Ad oggi infatti nessuno sa con assoluta certezza se essa sia davvero collegata con la Novaport LTD russa. Il primo novembre 2015, il console onorario russo, Armando Ginesi, ha sentito il dovere di precisare che le “trattative per tale acquisizione sono sempre state svolte da una società italiana Novaport-Italia S.R.L. costituita il 12/06/2014 con sede a Rimini. Del Vecchio, tutto offeso, ha subito risposto a questa osservazione affermando che ”la Novaport Italia srl è stata costituita su incarico diretto della Novaport Ltd, società di diritto russo, firmato il 4 maggio 2014, con il mandato preciso di partecipare al bando di gara ENAC per la gestione dell’aeroporto di Rimini e successivamente all’offerta ad evidenza pubblica per l’acquisizione delle quote di maggioranza della società Aerdorica SpA.” Non ha sciolto il dilemma nemmeno l’assessore regionale competente, Anna Casini in risposta ad una interrogazione: “la Regione non è in possesso di documentazione comprovante l’incarico a Novaport Italia srl, da parte della Novaport russa (sic), di operare in nome e per conto della medesima. Tuttavia notizie in merito rientrano nelle clausole di riservatezza commerciale e sono state eventualmente fornite nell’ambito della procedura di privatizzazione dell’Aerdorica, di competenza del consiglio di amministrazione della società stessa.” E niente, evidentemente deve esserci la privacy pure lì… Eventualmente lo saprebbe solo Del Vecchio. Ma il Del Vecchio che dovesse saperlo, è il medesimo che lo giura ad ogni piè sospinto.In sintesi: Del Vecchio è amministratore delegato di Aerdorica, mentre fino a pochi giorni fa lo era di Novaport Italia. Novaport Italia – come risulta dalla nota di Del Vecchio - vorrebbe acquistare Aerdorica. Aerdorica (con Del Vecchio dentro) sta predisponendo un bando gara per la vendita delle sue quote. Infine, non si sa con assoluta certezza (aldilà delle rassicurazioni di Del Vecchio), se Novaport Italia sia controllata realmente dalla russa Novaport Ltd. La domanda che sorge a questo punto è la seguente: ma che minchia combinano con l’aeroporto quelli della giunta regionale?
L’amministratore delegato di Nuova Banca Marche ha annunciato, così come previsto dal decreto, l’inizio della procedura di vendita dell’istituto bancario. Entro lunedì prossimo dovranno pervenire le manifestazioni di interesse all’acquisto. Un tempismo straordinario.Ad occhio e croce, stando ai mercati, le banche stanno perdendo quasi il 25% del loro valore. Ciò significa che, allo stato attuale, guadagnerebbe molto di più un venditore di stufe a pellets all’equatore che non chi, di questi tempi, dovesse vendere una banca. Figuriamoci se essa banca è stata sottoposta, poco più di un mesa fa, ad un provvedimento di risoluzione. Qui ci sono in ballo quasi tremila posti di lavoro e trecento filiali da piazzare su un mercato che giorno dopo giorno sta andando letteralmente a picco. Noi però stiamo tranquilli. Proprio ieri, quando il Monte dei Paschi, valeva sul mercato un miliardo e mezzo (giusto la metà dell’ultima ricapitalizzazione da tre miliardi) il ministro Padoan dichiarava alla Reuters che non c’era nessuna specifica preoccupazione sulle banche italiane. Il sistema è solido e non c’è motivo di generare inutili allarmismi. Lo stesso fanno i grandi giornali di cui le banche – ma è solo una bizzarra coincidenza – detengono significative quote di maggioranza di questi. Quindi ne sono gli editori. Fonti dell’Unione europea hanno fatto trapelare ieri la notizia che sono pronti dei piani di risoluzione (la medesima procedura che ha colpito le quattro banche italiane) per ben quaranta banche del continente e che per altrettante si stanno studiando i medesimi piani. A noi ci continuano a dire di stare sereni e di non preoccuparci. Bankitalia e CONSOB hanno attentamente vigilato e continueranno indefessamente a farlo per salvare i nostri risparmi.Un dettaglio significativo è che per la risoluzione di queste quaranta banche si sono consultate pure le autorità di vigilanza nazionali. Delle due una: o in Italia non è coinvolta nessuna banca, o in gran segreto ci rifileranno un altro, improvviso decreto domenicale con annesso azzeramento di azioni ed obbligazioni. Staremo a vedere. Il punto vero è che la vicenda di Banca Marche è stata solo la punta di un iceberg. Il sommerso era ed è molto più grave e preoccupante. E non è bastata la procedura di risoluzione di quattro piccole banche a mettere a tacere o a nascondere il mastodontico problema di tutte le altre. Soprattutto di quelle più grandi e cioè l’esorbitante cifra di crediti deteriorati che hanno in pancia. Questa dunque è la cornice entro la quale si muove pure la vicenda di Nuova Banca Marche. Benché questo giornale sia molto giovane, a differenza di altre testate, ha sempre guardato con occhio molto critico, da questa mia rubrica, tutti i passaggi sin qui avvenuti ed i protagonisti principali, Bankitalia in primis. Che con notevole ritardo ha condotto la situazione al doloroso epilogo della storia.Mi hanno colpito, inoltre la leggerezza e la somma approssimazione delle dichiarazioni entusiastiche di politici di primissimo piano. Primo tra tutti il presidente Ceriscioli che ancora solo qualche giorno fa sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Sosteneva Ceriscioli, il 12 gennaio, che “Nuova Banca Marche ora, senza più il carico dell’indebitamento, è nelle condizioni di ripartire e di sostenere il tessuto produttivo marchigiano.” Il punto che tuttavia gli sfugge è che qui ci sono quasi tremila dipendenti da salvaguardare e trecento filiali da tenere in piedi. Quale istituto di credito potrebbe ad oggi – ed in queste condizioni – farsi carico di questo onere? Oppure c’è la volontà di svenderle in blocco a qualche fondo sovrano estero che si farà carico di tagliare tutti i costi (personale e sedi comprese) e poi rivenderla dopo tre, quattro anni lucrando sulle plusvalenze? Vallo a sapere. Di sicuro tutto questo ottimismo stride terribilmente con la realtà vera.
Se fosse ancora vivo, Mario Monicelli scriverebbe sicuramente una sceneggiatura sul Partito Democratico delle Marche, così che l’Armata Brancaleone, a confronto, risulterebbe un film noioso e drammatico. Basterebbe leggere quello che dicono e fanno i loro massimi esponenti, per averne sicura conferma. Il segretario provinciale di Macerata, che è stato paragonato a Don Chisciotte dal suo predecessore, non ha trovato meglio che rispondere alla maniera del Marchese del Grillo. Ha infatti argomentato che, essendo oggi la Lambertucci una semplice iscritta, le sue opinioni non sono degne di nota. Come direbbe, appunto, sor marchese: “io so io e voi nun sete un cazzo…” Molto interessante per una commedia all’italiana, pure l’intervista al responsabile regionale della sanità. Ma qui andiamo più sul filone di “Amici miei”. Tre o quattro supercazzole in fila ed, in chiusura, praticamente antani. L’unica cosa che si capisce è il giudizio sprezzante sui marchigiani che, poveretti, sarebbero fermi al secolo (ma anche millennio) scorso. Non sanno, i retrogradi, dei progressi della scienza e della tecnica. Sono datati. In questi tempi moderni – ha affermato - avere un punto nascite vicino non serve più. La sanità non si misura in distanza. Ma benedette donne di poca fede, dico io, non conoscete davvero le nuove e rivoluzionarie frontiere del parto? Fatevi illuminare. Intanto basta con l’appellativo di travaglio. Adesso si dice born-download. Ogni parto sarà programmato ed indolore. Non solo: la gestante, nel mentre effettuerà il suo born-download, potrà contemporaneamente chattare con le amiche, farsi un selfie in diretta da postare su facebook ed acquistare culle e passeggini a prezzi vantaggiosi su Amazon. Ecco, adesso che siete stati edotti, smettete di lamentarvi con quel brav’uomo del presidente Ceriscioli che sta portando avanti delle ponderate riforme a tutto vantaggio della collettività. Non appena è stato pubblicato questo intervento, cinquantacinque sindaci del pesarese si sono riuniti in un fiat ed hanno bocciato Ceriscioli su tutta la linea. Secondo loro la riforma sanitaria è una ciofeca bella e buona e bisogna ricominciare tutto daccapo. Nel maceratese – il territorio più penalizzato - viceversa, siamo ancora a caro amico. Ciascun sindaco va per i fatti suoi convinto di fregare l’altro e di lucrare chissà quali vantaggi. A partita chiusa resteranno tutti, come sempre, con una mano davanti e l’altra dietro. Ma vaglielo a spiegare… C’è stata dunque una forte protesta di popolo sulla riforma sanitaria con manifestazioni sotto gli uffici della Regione Marche. Quando molte amministrazioni comunali e parecchia gente si oppone – deve aver pensato quella volpe di Ceriscioli – qualcosa non funziona. Perciò ha subito convocato una riunione con se stesso (la sua maggioranza ed i capi di partito) ed ha stabilito, senza ombra di dubbio alcuno, che sindaci e popolo hanno torto. Pare, ma la notizia ad oggi non trova riscontri, che sia sua intenzione di espellere il popolo dal Comitato Centrale. Insomma questa riforma sanitaria s’ha da fare. Qui e subito. E se qualcuno ha dei dubbi in ordine al consenso ed alla popolarità ricordi il motto che per un ventennio ha assicurato un potere certo ed incontrastato: molti nemici, molto onore. Avanti Savoia!
Se la politica è diventata quel luogo dove le decisioni si prendono di notte, all’improvviso, un motivo ci sarà. Il motivo vero è che chi è deputato a governare, quindi a prendere le decisioni ha paura. Prendete il decreto sulle banche: è stato scritto ed approvato di domenica sera, quasi di nascosto. Così come sono stati approvati gli atti amministrativi relativi alla chiusura dei punti nascita o al declassamento di ospedali, qui nelle Marche, il giorno della vigilia di Natale. Quelli che, ad un primo sommario giudizio, potrebbero sembrare quasi atti di intimidazione, sono in realtà un sintomo preoccupante di debolezza. Di mancanza di visione di insieme. Di senso di inadeguatezza ad affrontare la complessità delle sfide con cui devono necessariamente confrontarsi coloro che sono chiamati, in prima persona, ad amministrare. In una parola: la crisi del sistema politico.Le risposte sono sotto gli occhi di tutti: inopportune, prive di progettualità e di orizzonti. Dettate più dalla contingenza, quindi miopi. Sono dunque risposte arroganti. Talvolta odiose, perché si capisce da lontano che sono frutto di contrattazioni segrete, perché veicolano indicibili scambi sottobanco. Il tutto, specialmente quelle in materia di sanità, operate sulla pelle viva degli abitanti. Delle persone. Soprattutto di quelle deboli e meno difese. Se dunque la politica ufficiale ha colpevolmente dimenticato la sua missione, spetta ad altri prendere in mano la situazione. Per esempio: in un passaggio del messaggio di fine anno agli italiani, il presidente Mattarella ha salutato con soddisfazione la costituzione e la vitalità di molti comitati, in particolare, a difesa dei territori montani. Personalmente, in linea di massima, sono convinto che esaltare il particolarismo sia profondamente sbagliato. Tuttavia vi sono delle situazioni in cui la cecità e la sordità delle istituzioni richiedano una risposta forte, chiara e motivata. Quello dalla sanità regionale è sicuramente uno di questi casi. Ritengo, poi che oltre alle manifestazioni in piazza ed i sit-in sotto il Palazzo, le leggi attribuiscano anche dei poteri a questi comitati. Uno di questi è il referendum abrogativo. Nella regione Marche esso è previsto quando ne facciano richiesta almeno ventimila elettori. Oppure, per esempio, venti consigli comunali. Possono essere sottoposti a referendum non solo le leggi (o parte di esse), ma anche atti amministrativi di valenza regionale. Credo che questa sia la strada da imboccare per arrestare, almeno temporaneamente, il presidente Ceriscioli. Il quale con profonda incapacità, ma somma protervia sta gestendo, in solitaria autonomia, questa delicatissima situazione. Mi meraviglio e non poco, che il Movimento Cinque Stelle, che ha fatto della democrazia diretta un suo cavallo di battaglia, non ci abbia ancora pensato. Ma forse è meglio così. E’ bene infatti evitare di strumentalizzare con inquinamenti politici questa situazione.L’invito che faccio, dunque a questi comitati a difesa delle strutture ospedaliere oggi a rischio, è quella di farsi promotori, presso i propri consigli comunali, di questa opportunità. Chiamare a raccolta i marchigiani contro la riforma sanitaria targata Ceriscioli e batterlo sul campo.
Vivissimo apprezzamento ed unanime consenso hanno salutato, da tutti i social, la decisione del governatore delle Marche, Ceriscioli, di rinnovare per un altro anno l’incarico di consulente per gli affari economici alla assessora emerita Sara Giannini. Era, finalmente, la conclusione che molti aspettavano, dopo un anno durissimo e per niente da ricordare.E’ di fatto fallita Banca Marche, lasciando a tasche vuote molti dei suoi risparmiatori. L’Ariston (ve la ricordate l’Ariston?) non solo ha cambiato nome, anzi adesso si dice brand, ma anche padrone. E adesso se ti serve un posto di lavoro devi scrivere agli americani che a Fabriano non c’è più nessuno che comanda. In tutto il territorio regionale si chiudono ospedali, pronto soccorsi, punti nascita al ritmo di sei o sette a settimana. L’intera popolazione marchigiana, un tempo gioviale e spiritosa, oggidì risulta triste e sconfortata a seguito di questi infausti accadimenti. Fateci caso: nessuno, ad appena due giorni dall’inizio del nuovo anno, si azzarda a fare il benché minimo accenno di auguri. Qualche audace, in realtà ogni tanto ci prova, ma i più, reagiscono ficcandosi subito le mani in tasca e toccandosi le pudenda. Pure il clima ci mette del suo. Non più i paesaggi innevati di una volta, ma sole e cielo azzurro, tanto che pure i pastori dei millanta presepi viventi sparsi per la regione vanno in giro a torso nudo e si godono la tintarella. La mestizia è tanta che taluni previdenti sindaci hanno vietato persino i botti di capodanno. Ufficialmente per non spaventare cani o altri animali domestici. Ma la verità vera è che temono che qualcuno, particolarmente depresso, possa imbottirsi di raudi e fischioni, e farsi saltare in aria come un qualsiasi kamikaze siriano. Ci voleva dunque uno scatto di reni, uno slancio improvviso per rompere definitivamente questa fosca e cupa atmosfera che ha accompagnato tutto il periodo natalizio.A risollevare decisamente il morale di tutti i marchigiani ci ha pensato dunque l’inarrestabile e sempre più popolare governatore Ceriscioli. A riprova del fatto che egli non si preoccupa solo della salute e dell’integrità fisica del suo popolo, ma anche e soprattutto del bene dello spirito, si è precipitato a firmare, il giorno della vigilia di Natale il decreto attraverso cui rinnova di un anno la preziosissima ed insostituibile consulenza della Giannini. Essa consulenza, invero, è a titolo oneroso. Trattasi di 73mila e rotti euro di soldi vostri e, modestamente, anche miei. Ma non stiamo qui a far demagogia e populismo a buon mercato. Sono un ottimo investimento, in vista dell’imminente ripresa economica di cui tutti parlano, ma ahimè, nessuno ne vede gli effetti sulla vita reale. Siamo seri: qualcuno può pensare che una regione di un milione e mezzo di abitanti possa fare a meno dei vaticini e delle indicazioni di una titolatissima esperta in economia quale è la Giannini? E se ce la rubasse, che so, la Lombardia, con un'offerta migliore, potremmo mai perdonarcelo? Ne va del futuro della regione e del destino di tutti i suoi abitanti. Noi tutti confidiamo sull’oculatezza del governatore Ceriscioli e facciamo voti che il Signore ce lo conservi a lungo ed in salute. Sappiamo che se ieri ci ha chiuso per sempre dei reparti ospedalieri, è perché un po’ di quei soldi oggi doveva impegnarli in questa fondamentale consulenza di cui ha un decisivo bisogno.Bene, adesso che il nostro morale è finalmente alle stelle, possiamo dedicarci finalmente a festeggiare, come da centenaria tradizione, l’anno nuovo.Io, da questa pagina, vi faccio i miei migliori auguri.P.S. non vi toccate che vi vedo lo stesso…
E’ scientificamente provato che nelle aule istituzionali ciascuno può sparare liberamente delle cazzate sesquipedali e raccogliere applausi e vivissime congratulazioni. L’onorevole Sisto qualche anno fa teorizzò e si fece pure approvare dal Parlamento, una mozione nella quale si stabiliva, senza ombra di dubbio alcuno, che una certa seniorina (meglio conosciuta agli atti come Ruby Rubacuori e di nazionalità marocchina) fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak. Tutto il mondo ci rise appresso, ma lui ritenne doveroso lasciare agli annali della storia Patria questa sua perla.Parimenti esilarante è stata la performance, di qualche giorno fa del presidente della Regione Marche, Ceriscioli. Egli ha preso la parola, in aula, argomentando sull’imminente chiusura del punto nascita presso il nosocomio di San Severino. Ha spiegato ai presenti come la sua decisione sia motivata da cogenti motivi di sicurezza e di perseguimento dell’estrema qualità. Lo fa, insomma, per il sommo bene delle partorienti. Pare che in un punto nascita nel quale non si operino almeno mille parti, si corrano pericolosissimi rischi e la salute, (ma finanche la stessa vita) delle puerpere sarebbe vieppiù a rischio. Lui conosce i numeri, i quozienti, i moltiplicatori e gli algoritmi che all’incolto popolo sono ignoti. Ora è bene sapere che chi stabilisce questi rigorosi parametri medici riesce a mettersi una supposta a fatica e non prima del quarto tentativo. E tuttavia, questi burocrati in grisaglia opinano, giudicano e pontificano – manco fossero la Cassazione – sulla professionalità di medici e paramedici. La trovata del presidente Ceriscioli, dettata sempre dallo smisurato amore per suo popolo, dunque sarebbe la seguente. La signora in stato interessante viene seguita dallo staff reparto di ginecologia di San Severino. Nell’imminenza del compimento del parto viene caricata in ambulanza (oppure se ne ammucchiano sei o sette in una corriera della CONTRAM?) e trasferita presso l’ospedale di Macerata attraverso strade e carrarecce più simili a quelle del nord degli Urali che non dell’Arizona. Qui la poveretta da alla luce il suo figliolo in tutta sicurezza e qualità. Indi la si ricarica in ambulanza o in corriera della CONTRAM e la si riporta a San Severino.Supponiamo che questo ragionamento lo avesse fatto, ad alta voce un cittadino normale in un bar nell’ora di punta del caffè. Senza dubbio gli astanti si sarebbero precipitati verso il primo fruttivendolo al fine di acquistare una cassetta di pomodori maturi da tirare in faccia dell’incauto assertore di questo concetto. Viceversa, nell’aula del consiglio regionale, la maggioranza che sostiene Ceriscioli ha approvato il ragionamento. Taluni consiglieri, particolarmente attenti, annuivano pensosi e soddisfatti, del tutto ignari che nella realtà vera una donna pur di non sottoporsi a questo strame del suo corpo, della sua intimità, piuttosto si farebbe sterilizzare. O molto più verosimilmente andrebbe direttamente a Macerata.Io personalmente, arrivati a questo punto, mi sento di fare sommessamente al presidente Ceriscioli la stessa richiesta che facevano i ragazzini a Nando Meliconi (Alberto Sordi) nel famoso film di steno, “Un giorno in pretura”. A Cerisciò, facce Tarzan…
Grande è la confusione sotto i neon delle banche. Nel corso degli ultimi giorni abbiamo ascoltato tutto ed il contrario di tutto. Al ministro Padoan che dal palco della Leopolda giurava sulla stabilità del sistema bancario, rispondeva in tempo reale dagli schermi TV il numero due di Bankitalia, sostenendo come tutti gli istituti di credito (anche quelli più grandi) debbano fare i conti con moltissimi crediti deteriorati.A livello locale sembra che sia cambiato radicalmente pure l’atteggiamento del neo amministratore delegato di Nuova Banca Marche. Meno di venti giorni fa minacciava esposti e denunzie. Oggi, dopo un raffica di chiusure di conti correnti da parte dei clienti “per paura o per ripicca”, è sceso a più miti consigli. Si offre ai giornali in accorate interviste, porgendo quasi in dono fiori e cioccolatini. Rassicura i dipendenti che, se le cose andranno come previsto, nessuno perderà il posto. Ce lo auguriamo tutti. Ma i sindacati, che inizialmente si erano dichiarati soddisfatti dell’operazione, adesso hanno qualche timore. Sanno benissimo, anche perché lo ha spiegato bene Salvatore Rossi, numero due appunto di Bankitalia, che gli sportelli non fanno più gola. Non interessano più, nemmeno ai grandi gruppi, perché sono stati sostituiti dalla tecnologia informatica.Quanto alla paura o la ripicca di cui parlava Goffi, propenderei più per la prima. Quando Rossi, in televisione, ci dice che anche colui che si reca a portare in banca i suoi risparmi si assume un rischio, certamente non sparge copiosi semi di fiducia nella gente. Però dice la verità, perché tra meno di quindici giorni, la realtà delle cose sarà questa qui. Lo stesso Rossi che poi ammette, sia pure tardivamente, una responsabilità di Bankitalia sulla mancata vigilanza per tutelare i clienti da banche che vendevano bond ad alto rischio. Con buona pace dei laudatores di Via Nazionale, sempre pronti ad offrire il petto alle nemiche lance pur di difendere i potentati di turno.Se a questi elementi di sistema aggiungiamo, inoltre, i sospetti e le illazioni che emergono dalle inchieste giornalistiche sulla commistione tra potere politico e affari, il quadro è completo. Chi ci governa, unitamente alle autorità di controllo, ci sta precipitando pericolosamente in una spirale di sfiducia nel sistema bancario. Giusto o non giusto, questo è quello che la gente percepisce. Tutto il sistema economico si fonda sulla fiducia. Se vado al bar ed ordino un caffè, il barista non mi chiede prima i soldi. Me lo fa sulla fiducia. L’intera economia è fondata sul credito bancario. Ma se non ci sono i soldi raccolti dai risparmiatori, la banca non può prestare soldi all’imprenditore. Il quale a sua volta non può assumere dipendenti ed il sistema Italia – già duramente provato – si blocca. Ecco perché la Costituzione tutela il risparmio. Perché esso è la benzina dell’economia. Questa sequenza di ovvietà le sanno pure i ragazzini di terza media, ma per quanto elementari e scontate, sfuggono ad un intera, inadeguata classe dirigente.A meno che non siano pervicacemente e scientemente perseguite. E già perché poi, la famosa frase di Mao Tse Tung è la seguente: grande è la confusione sotto il cielo, perciò la situazione è favorevole…
Forse abbiamo un problema nel sistema bancario italiano. Non lo so, non ne sono sicuro, ma i segnali non sono belli per niente. L’altro giorno in borsa, per esempio, c’e' stata una raffica di vendite. Tutte che riguardavano i grandi istituti di credito. Montepaschi ha perso il 5,6%, UBI il 3,7%, Banco Popolare più del 3%. Pare che le vendite siano cominciate appena si è diffusa la notizia di una ispezione della BCE, nel corso del 2016. L’Eurotower vorrebbe appurare che non si siano verificati episodi di acquisto di azioni o obbligazioni in concomitanza di accensioni di mutui o altri finanziamenti da parte delle banche. In questo quadro vanno aggiunti i recenti provvedimenti di risoluzione per i quattro famosi istituti di credito che hanno portato all’azzeramento di azioni e obbligazioni junior. La risposta del mercato alla combinazione di questi fattori è stata la vendita: quindi una sfiducia generale sul sistema bancario. Questo è quanto.Eppure fin dal lontano 2007, quando scoppiò la crisi globale del sistema finanziario e bancario americano, tutte le televisioni e tutti i giornali ci rassicuravano che da noi, in Italia, ogni cosa era totalmente sotto controllo. Le nostre banche erano solidissime. Eppoi potevamo dormire sonni tranquilli che tanto c’era Bankitalia, che con il suo occhio di falco vigilava attentamente ed accuratamente ogni piccolo movimento sospetto. Infatti in meno di dieci anni ne sono fallite già una dozzina. Però in silenzio e senza troppo clamore. Queste ultime quattro, invece, hanno fatto molto rumore. Sia per la tempistica che per le modalità. Le nuove opportunità di informazione e comunicazione che la rete ci offre, unitamente all’insipienza ed incoscienza dell’attuale governo (ma complessivamente della classe politica) ha fatto il resto. E’ crollata la fiducia dei risparmiatori.Un tracollo repentino e pericoloso difficile da poter gestire. Tant’è vero che il ministro Padoan sta disperatamente cercando di metterci una pezza sopra. Anche fosse solo un mera azione simbolica di piccolo risarcimento. Un atto umanitario, come dice lui. Ma oramai il danno è fatto e non saranno un pacchetto di gallette ed un barattolo di ceci (tipicità degli aiuti umanitari) ad invertire la rotta. Il punto dirimente è che da oggi il singolo cittadino non ha più fiducia nel sistema bancario perché lo Stato – pur disponendo di attrezzati strumenti di vigilanza - non si è dimostrato in grado di tutelare i suoi risparmi.Quello che sconcerta è che questo concetto è di una banalità disarmante. E’ l’ABC della politica prima e dell’economia poi. Senza fiducia nel sistema non si va da nessuna parte. La gente piuttosto tiene i soldi dentro il materasso. E non saranno le pagine dei giornali, comprate dalle nuove banche per improbabili proclami, a risollevare il morale e tranquillizzare i risparmiatori.Queste quattro banche, più piccole che medie, dovevano essere salvate a qualsiasi costo. Anche aprendo una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea. Invece più che le ragioni sistemiche ed elementari della politica è prevalso l’inglesorum dei tecnici e la miopia di avidi banchieri.Dentro e dietro queste piccole banche non c’erano solo oscuri maneggi di negligenti amministratori, ma c’era soprattutto la fiducia dei piccoli investitori che è stata ridotta, parimenti alle azioni e obbligazioni junior, a carta straccia…
Con la benedizione corale della stampa di regime, si conclude la prima parte della vicenda di ex Banca Marche. Nel corso dell’ultima settimana c’e' stato infatti un profluvio di opinionisti, pareri e articolesse che ci spiegavano come e qualmente gravava su ciascun azionista l’onere del rischio di impresa a che essi azionisti – alla fine della fiera, vieppiù gabbati - dovevano sapere gli azzardi che correvano. Tutto vero se si trattasse di broker professionali o incalliti speculatori, ma il dettaglio che la stragrande maggioranza di questi azionisti fossero piccoli risparmiatori o poveracci, che alla richiesta di un mutuo sono stati persuasi alla sottoscrizione delle azioni, è stato trascurato. Pazienza. Dura lex sed lex. L’importante è che si sappia da che parte sta la libera stampa.Grande spazio allora agli emergenti manager appena nominati. In una conferenza stampa l’ex direttore generale e ora amministratore delegato di Nuova Banca Marche (a proposito: adesso che ci penso lui è l’unico che ci ha guadagnato), ha espresso tutto il suo rammarico per l’infausta circostanza che vede azzerare il valore delle azioni sottoscritte. Colpa dell’Europa e del destino cinico e baro. Tuttavia dice che rimedierà offrendo condizioni di miglior favore a quanti volessero restare clienti del neo istituto. Io, fossi in lui e per tranquillità, offrirei pure un’agendina del 2016 in similpelle ed il libro di ricette di suor Germana. Non si sa mai e di questi tempi, con la cucina di si va sempre sul sicuro…Dello stesso tenore la dichiarazione del pluripresidente Nicastro affidata all’ANSA e rilanciata per ogni dove. Peccato manchino parole di rassicurazione sul futuro degli oltre tremila dipendenti. Ma non stiamo qui a spaccare il pelo in quattro con argomenti stucchevoli e poco interessanti. Il superpresidente ha parlato e guai a molestarlo con domande irriguardose. Chiude infine il cerchio il presidente di ABI, Patuelli il quale addossa tutte le responsabilità alla commissione europea, anche se lascia intendere – come nel caso della banca tedesca da me segnalata nel precedente articolo (autocitarsi non è carino lo so, ma io lo faccio lo stesso) - che da Trento in giù le regole si applicano, mentre da Trento un su si interpretano. Sipario. Fine del primo atto.Adesso il boccone grosso sono le spese pazze in Regione. Dopo tre anni di pazienti, laboriose e certosine indagini, è stata inoltrata la richiesta di rinvio a giudizio per tutti i 66 indagati. Ce n’è per tutti i gusti: assessori, consiglieri, segretari di partito ex presidenti e funzionari. Con i politici, poi si va sempre sul sicuro. Come buttare un prosciutto in mezzo ad un branco di squali. Ma per capire meglio lo stato dell’arte della giustizia nella nostra regione debbo ricorrere ad un episodio che attiene ancora a Banca Marche. C’è un tizio, un commercialista pesarese, detto mister 5% che sarebbe pure un revisore contabile dell’istituto di credito, il quale è accusato di favorire l’accensione di mutui a patto che il beneficiario gli consegni sottobanco il 5% dell’ammontare del prestito. La guardia di finanza lo mette sotto indagine. Un giornalista avvicina l’avvocato del revisore dei conti sotto inchiesta il quale tranquillo e beato gli risponde: “sticazzi”. “Come, scusi?” replica interdetto il giornalista. “Sticazzi nel senso che sono tutti fatti destinati a prescriversi. A livello di indagini non è stato fatto quasi niente. Non mi sembra che questa inchiesta abbia un grande sprint. Altre domande? No? Grazie, buonasera…” Verosimilmente il revisore contabile di ex Banca Marche continuerà a sgommare, immacolato, a bordo della sua Porsche. A noi ci toccherà, viceversa, sorbirci chissà per quanto la storiella delle mimose comprate dai politici regionali con i soldi dei contribuenti.Che ci volete fare? Così va il mondo…
Non si ricorda, a memoria d’uomo e a fronte di una operazione che brucia letteralmente più di un miliardo e mezzo di euro, una reazione così entusiasta come quella che ho letto ieri. In verità ero perplesso e sicuro che si trattasse di una bufala, ma poi cerca che ti cerca, ho scoperto essere vera e reale.Leggetela. “Il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri, che contiene le norme procedimentali per agevolare la tempestiva ed efficace implementazione delle procedure di risoluzione di alcuni istituti di credito, fra i quali Banche delle Marche, è un provvedimento estremamente positivo. In questo modo, attraverso il forte impegno del Governo, si tutelano il credito di impresa, le famiglie, i risparmiatori, i correntisti. Si tratta di un decreto perfettamente in linea con quanto avevamo auspicato fin dall’inizio, che garantisce la continuità creditizia e salvaguarda anche i posti di lavoro”. Lo afferma in una nota, come si legge in calce, la senatrice del PD Camilla Fabbri. Quindi buttare nel cesso tremila miliardi di vecchie lire e tirare la catena è, secondo la Fabbri un’operazione “estremamente positiva ed in linea con quanto lei ed altri auspicavano sin dall’inizio.” Non riesco ad immaginare chi possano essere gli altri suoi sodali (il suo condominio?) ma temo parlasse anche a nome del partito che lei rappresenta presso il Senato della Repubblica: il Partito Democratico. Non è un sogno, non si sta su scherzi a parte. Qui è tutto vero. Migliaia di persone perdono tutti i loro risparmi a causa di un decreto legge e questa qui un altro po’ e si mette a stappare lo champagne… C’è altro da aggiungere???Più pacate e misurate, ma sempre a difesa dell’operazione, le parole del Presidente Ceriscioli il quale indica tre direttrici positive: la tutela dei risparmiatori, la difesa dei posti di lavoro ed infine il fatto che non sia stato utilizzato danaro pubblico. Intanto, a ben vedere, quanto al danaro pubblico, fatti quattro conti verranno a mancare un miliardo tondo, tondo di imposte, poiché i versamenti effettuati dalle banche che partecipano al salvataggio – che ammontano a 3,6 miliardi – sono deducibili ai fini dell’IRES. L’aliquota del 27,5% su 3,6 miliardi fa un miliardo. Sempre che la matematica non sia un’opinione. Quanto alla difesa dei posti di lavoro vorrei avere lo stesso ottimismo di Ceriscioli. Non voglio fare l’uccello del malaugurio, ma temo sia insostenibile per qualsiasi acquirente mantenere i quasi tremila dipendenti e più di trecento sportelli. La partita deve ancora cominciare. Rilevo piuttosto, quanto al presidente Ceriscioli, che le cose non sono andate come auspicava. Poco più di un mese fa, rispondendo ad una interrogazione, vagheggiava sulla partecipazione del fondo interbancario a tutela dei depositi e bacchettava – come scolaretti indisciplinati – i consiglieri di minoranza che reclamavano un intervento politico. Disse che lui, notte e giorno, lavorava sottotraccia. Con tatto e discrezione.Chi invece lavorava alla luce del sole, mentre tutti parlavano della partecipazione del fondo interbancario, era la Banca d’Italia. Lo scorso maggio aveva già affidato alla “Boston consulting grup” un servizio di consulenza, a trattativa privata, finalizzato alla costituzione di un asset management company per la gestione delle sofferenze bancarie. Insomma la bad bank. E nel mese di luglio, il governatore Visco, parlando all’assemblea annuale dell’ABI, diceva che la bad bank doveva costituirsi in tempi rapidi. Tanto per capirci: mentre fino a pochi giorni fa tutti, ma proprio tutti confidavano sull’intervento del fondo a tutela dei depositi, via Nazionale aveva già deciso per la bad bank. E, alla fine bad bank è stata. Non prima però che venisse approvato un decreto legislativo, il 180/2015 che contiene delle mostruosità inaudite. Scritto, in fretta e furia e peraltro con i piedi, consta di 106 articoli e di 68 pagine. L’unico filo conduttore è che decide tutto Bankitalia e lo fa nel più totale segreto d’ufficio. Roba che manco ai tempi della seconda guerra mondiale. Si desume che il legislatore ha scientemente voluto rinunziare ai poteri di controllo riservati al Parlamento su una materia delicata come questa. Complimenti vivissimi anche da parte mia…Ma andiamo avanti. La strada del salvataggio attraverso il fondo interbancario di tutela dei depositi, non si è voluta percorrere nemmeno quando, verso i primi di novembre è uscita la notizia che il Tribunale dell’Unione Europea (non la Commissione, ma il tribunale di ultima istanza!) ha stabilito che tre miliardi di aiuti di Stato della Germania, alla HSH Nordbank fossero legittimi e compatibili con il mercato. Il governo Renzi, in quel momento aveva un motivo in più per forzare la mano per approvare i decreti e salvare le quattro banche attraverso il fondo di tutela dei depositi, salvando così gli azionisti. Ma come si diceva prima, la Banca d’Italia aveva già deciso per la bad bank. La stessa Banca d’Italia che ha inserito nei consigli di amministrazione delle nuove banche Maria Pierdicchi, la ex numero uno di Standard & Poor’s Italia. Cioè la stessa agenzia di rating che nel 2012 declassò l’Italia, con le conseguenti dimissioni di Berlusconi e quindi la formazione del governo Monti.Il morale della favola è che chi comprerà la nuova Banca della Marche, lo farà con quattro spicci. All’insegna del massimo rendimento, minimo sforzo. Le Marche, i risparmiatori marchigiani, nel frattempo, hanno perso un miliardo e mezzo di euro. La senatrice Fabbri dice che lei è soddisfatta ed è andato tutto come previsto.Prosit…
La situazione delle banche italiane in crisi è grave, ma non è seria. Due episodi stanno lì a testimoniare questa affermazione. Il primo capita il 6 novembre scorso quando il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Stefano de Vincenti, si presenta in conferenza stampa ed annuncia che il governo ha approvato due decreti per regolamentare il salvataggio delle banche in difficoltà. Le agenzie battono la notizia, tutti i giornali la rilanciano con titoli trionfalistici. Poi passano cinque ore e si scopre che non è vero niente. La notizia, semplicemente non esiste. Ci si dice che il governo ha solo esaminato i testi, ma non li ha approvati. Un dettaglio, questo, che deve essere sfuggito al pur solerte sottosegretario De Vincenti, che svolge anche la funzione di segretario del Consiglio dei Ministri e che quindi verbalizza tutto quanto. Un semplice, grossolano errore di comunicazione (adesso si dice topic fail) o una precisa strategia politica? Sospetto di più la seconda. Nel senso che il governo ha tentato il bluff e non gli è riuscito. Come si sa, la commissione europea ritiene che il salvataggio da parte del fondo interbancario possa configurarsi come aiuto di Stato ed ha già rappresentato al governo italiano questa sua indicazione. Renzi ha provato a forzare la mano per vedere quello che succedeva. Verosimilmente, in queste cinque ore, si sono messi in moto gli sherpa tra Roma e Bruxelles che, alla fine, hanno dato lo stop. Da lì il contrordine compagni. Bisogna ricominciare da capo…Passiamo al secondo episodio: un giornale locale on line pubblica la notizia secondo cui il direttore generale di Banca Marche avrebbe presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Ancona contro chi ha prospettato, attraverso articoli di stampa, blog e social network, scenari devastanti, infondati e pure datati quali il fallimento della banca o inesistenti pericoli per i correntisti. La procura della repubblica dovrebbe indagare sul contenuto e sull’origine di queste errate informazioni. Il contenuto di queste presunte calunnie è facilmente reperibile on line e basterebbe leggerle per giudicarle. Quanto all’origine, qui viene il bello. Perché tutte fanno riferimento alle dichiarazioni di Salvatore Maccarone, presidente del fondo interbancario di tutela dei depositi. Cosa è accaduto? E’ successo che il 27 di ottobre questo Maccarone qui (absit iniuria…) si è recato, in audizione, in sesta commissione al Senato e, a differenza dei suoi colleghi dell’ABI, di Bankitalia e del Credito Cooperativo – i quali si sono presentati con una puntuale ed avveduta relazione scritta – ha parlato a braccio. Mentre tutti i commissari lo guardavano come la mucca guarda il treno, Maccarone paventava scenari catastrofici quali le fughe dagli sportelli ed il rischio sulle liquidazioni dei depositi. Tanto che la sera stessa ha dovuto provvedere a precisare e smentire quanto aveva poco prima affermato davanti alle telecamere impietose del Senato della Repubblica. Ma adesso arriva il colpo di scena. La notizia dell’esposto in procura da parte di Banca Marche non c’è. Non esiste ufficialmente. L’ufficio stampa di Banca Marche non la riporta. Come non la riporta nessuna altra agenzia. Si tratta di una semplice indiscrezione che Banca Marche non conferma, né smentisce, in quanto sarebbe frutto di una comunicazione interna – in teleconferenza - del direttore generale con i capi area dell’istituto bancario. E tuttavia, nell’articolo, non si usa il condizionale come si fa, solitamente, in questi casi. Il punto è che vera o meno, essa notizia viene pubblicata come certa e chi volesse fare un post o scrivere qualcosa su Banca Marche è mezzo avvisato. Soprattutto se si tratta di promotori finanziari di banche concorrenti o di private banker…Non so a voi, ma a me, queste condotte, paiono quantomeno strane.
Quando d’improvviso venne giù i mortai tacquero e cominciarono ad abbaiare i cani. L’orologio segnava le 10,13 in punto. La verde Neretva, sotto, smise per un istante di scorrere, poi inghiottì le sue pietre e si colorò di giallo. L’arco di pietra bianca, la tenelija, svanì e restarono solo le due torri: l’Helebija e la Tara. Stava lì dal 1566, da quando l’architetto Hayruddin Mimar lo costruì. Il generale croato, Slobodan Pralijac, che per due giorni ininterrotti lo bombardò con i cannoni non se ne curò. Disse che lo avrebbe ricostruito lui stesso, più bello e più antico di prima… Non aveva un ruolo particolarmente strategico. Non era un obbiettivo militare. Il ponte di Mostar esisteva semplicemente. Univa due sponde. Al centro, nel suo arco di volta, si congiungevano nostalgia e speranza. Da quel punto vedevi scorrere il fiume, ma il tempo si fermava. L’arco di pietra ha dentro se una forza invisibile. La sua linea ricalca il ponte celeste che – secondo i musulmani – solo i puri di cuore possono varcare per raggiungere l’aldilà. Era il nove novembre del 1993. Quattro anni prima, in quella medesima data – la storia a volte sa essere crudele - crollava il muro a Berlino. Nel ’91 lo attraversai per raggiungere Mostar est. Mi fermai a parlare con il vecchio Selim che aveva un bazar proprio lì. Gli regalai un sigaro toscano, bevemmo il suo caffè. Lui sentiva già da lontano l’artiglieria che da lì a breve avrebbe ridotto la città in macerie. Non detti molta importanza alle sue parole, ma lui aveva già intuito tutto. Ogni volta che passavo per Mostar mi fermavo da Selim per il caffè e donargli un sigaro. Il ponte non c’era più. Al posto della volta di pietre c’erano tavole e cavi d’acciaio. I giovani del posto fecero mettere un traliccio in orizzontale per potersi tuffare, come facevano da quando fu costruito. D’estate, dal ristorantino, di sotto, sulla parte ovest, li guardavo lanciarsi nel vuoto, infilarsi in acqua e riemergere dopo pochi secondi che mi sembravano lunghissimi. Guardavo nel vuoto e ricordavo a memoria le parole di Ivo Andric a proposito del suo ponte sulla Drina: “Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi posto, il mio pensiero vada e si arresti, trova fedeli ed operosi ponti. Come eterno e mai soddisfatto desiderio dell'uomo di collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi. Perché non vi siano divisioni, contrasti, distacchi… Così anche nei sogni e nel libero gioco della fantasia, ascoltando la musica più bella e più amara che abbia mai sentito, mi appare all'improvviso davanti il ponte di pietra tagliato a metà. Mentre le parti spezzate dell'arco interrotto dolorosamente si protendono l'una verso l'altra e con un ultimo sforzo fanno vedere l'unica linea possibile dell'arcata scomparsa. E' la fedeltà e l'estrema ostinazione della bellezza, che permette accanto a se un'unica possibilità: la non esistenza. E infine, tutto ciò che questa nostra vita esprime - pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, baci, sospiri - tutto tende verso l'altra sponda. Come verso ad una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso. Tutto ci porta a superare qualcosa, ad oltrepassare: il disordine, la morte o l'assurdo. Poiché tutto è un passaggio, un ponte le cui estremità si perdono nell'infinito e al cui confronto tutti i ponti di questa terra sono giocattoli da bambini. Pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è su quell'altra sponda.” Nell’altra sponda, appunto, su di una pietra bianca c’era un incisione con della vernice nera: “don’t forget ’93” c’era scritto, in stampatello. Allora il segreto della speranza è la memoria, pensavo io. Quel giorno, quel nove novembre del ’93 la storia si è fermata ed è tornata indietro. Abbiamo festeggiato per l’abbattimento del muro di Berlino, ma non abbiamo pianto abbastanza per il crollo del ponte di Mostar. Perché ogni ponte che cade è un confine in più e una possibilità di riconciliazione in meno. Un ponte che cade è come una bestia che si piega sulle ginocchia dopo il colpo alla nuca. Manda un segnale cosmico che spezza qualcosa nell’universo. E se la costruzione di un ponte è la più sublime delle ingegnerie, il suo abbattimento è la più impressionante delle distruzioni. Quel gorgo che inghiottì le pietre ed ingiallì la Neretva, a più di venti anni di distanza è ancora lì, nel cuore del vecchio continente. I disperati che il Mediterraneo caccia dalle proprie guerre, fanno rotta per il grande fiume d’Europa. Lo percorrono, coperti da pochi stracci addosso, controcorrente, scansando recinti e fili spinati che uomini di poca memoria – quindi senza speranza – innalzano a loro difesa. L’incontro dei due mondi è ancora lontano.
Tempo due mesi, non un giorno di più, ed alla fine sapremo il vero destino di Banca Marche. La notizia dell’intervento del fondo interbancario che molti politici avevano salutato con soddisfazione, si è rivelata per quello che era: una non notizia. Bastava fare il conto della serva per capire la realtà vera e con essa tutta la gravità della situazione. Banca Marche ha un portafoglio di 500 mila correntisti. Ammettiamo che 20 mila di essi (sono il 4%) detengano almeno 100 mila euro di deposito, fanno due miliardi tondi tondi. Tanto avrebbe dovuto liquidare, a norma di legge ed a risarcimento, il fondo interbancario di tutela dei depositi, in caso di fallimento dell’istituto. Non solo: questi due miliardi garantiti dal fondo interbancario non coprono solo le criticità di Banca Marche, ma anche di altri tre istituto di credito che navigano in pessime acque. La somma totale dei fondi garantiti (cioè quelli fino a 100 mila euro) fa la bellezza di dodici miliardi. Una cifra astronomica. Tanto è vero che il presidente del fondo si è affrettato a dichiarare le seguenti parole: “questi miliardi non li abbiamo e non li avremo mai.” Questo è quanto, al netto di ulteriori, verosimili inciampi che da qui a due mesi potrebbero concretizzarsi. Credo tuttavia che la vicenda di Banca Marche, sino a qui raccontata, sia stata presa solo per un verso, cioè quello della responsabilità degli amministratori. A scanso di equivoci dico subito che fosse stato per me, a costoro non avrei fatto amministrare nemmeno un pianerottolo dell’Hotel House. Però, ora che sono caduti in disgrazia, non trovo nemmeno giusto infierire, a senso unico, contro di loro. Ad onor del vero bisognerà pure ricordare a noi stessi la pressoché unanime deferenza nei loro riguardi. E già, perché dalla squadra di pallavolo fino alla sagra della castagna lessa, un po’ tutti hanno bussato a quattrini al portone di Banca Marche, traendone vantaggi. Il punto che vorrei invece venisse analizzato e sviluppato meglio è quello del ruolo della Banca d’Italia in questa vicenda. Tutte le inchieste giornalistiche, viceversa, danno per scontato la bontà del suo operato. Ora, in Italia, si può scrivere e parlar male di tutti; si può pure affermare che il papa ha un tumore al cervello, ma guai a mettere in dubbio l’operato di Bankitalia. Si scatena un fuoco di sbarramento e manca poco che ti mandino gli infermieri a casa a portarti via con la camicia di forza, come succedeva con gli oppositori in Unione Sovietica. Bankitalia è più che una torre d’avorio di cui non si conoscono i meccanismi e le pratiche, con trasparenza zero. Basti pensare che solo nel 2005, grazie ad un lavoro immane e certosino di pochi appassionati, è stata resa nota la lista e le partecipazioni degli azionisti. La questione che pongo è la seguente: è possibile che in circa quattro anni di crisi appurata e conclamata di un istituto bancario di media grandezza non vi sia stata alcuna possibilità di soluzione alternativa? Il Monte dei Paschi di Siena, per esempio è stato salvato in due giorni con decreto governativo (i così detti Moti bond). Oppure si è voluto con scienza e coscienza ed attraverso uno stillicidio, arrivare alla soluzione finale che – per combinazione – fa comodo a tanti altri istituti di credito concorrenti? I quali istituti di credito, attraverso il fondo interbancario, sono entrati nel capitale di Banca Marche. E, sempre per pura coincidenza, gli stessi istituti di credito sono i maggiori azionisti della Banca d’Italia. Tanto per capirci: Unicredit ed Intesa San Paolo sono i maggiori azionisti di Bankitalia, la quale forte del potere di vigilanza commissaria Banca Marche. La crisi di Banca Marche si prolunga, oltremodo nel tempo, fino a quando il Fondo interbancario a tutela dei depositi (di cui sono maggiori azionisti Unicredit e Intesa San Paolo) senza sborsare – di fatto – un euro entra nel capitale di Banca Marche. A questo punto basta allargare lo sguardo oltre i confini regionali e moltiplicare per tre, cinque o sette medesime situazioni, per realizzare che si sta ridisegnando radicalmente e repentinamente la politica del credito a livello nazionale. Nel frattempo Bankitalia continuerà ad affermare che formalmente ha messo in atto ogni strumento di vigilanza consentito. Ma nei fatti più che di vigilanza i suoi sono strumenti unilaterali di indirizzo. Sarebbe ora che qualche giornalista osasse di più e piuttosto che al dito guardasse alla luna…
Enorme scalpore e particolare interesse, ha suscitato la vicenda del pensionato sessantacinquenne di Vaprio D’Adda che ha sparato ed ucciso un ladruncolo il quale, nottetempo ed in compagnia di due compari, tentava di derubarlo in casa propria. Immediata l’italica reazione e la conseguente divisione per fazioni, tra i sostenitori del pensionato e quelli che viceversa hanno ritenuto riprovevole questa condotta. Non so se quantitativamente prevalgano i primi o i secondi, ma di sicuro i “pistoleri” hanno avuto maggior successo mediatico. Un numero considerevole di essi si è recato fin sotto casa del pensionato e non se ne sono andati finché egli non si affacciato al balcone – con a latere tutta la famiglia – per salutarli, manco fosse Papa Francesco. Mi guardo bene dall’esprimere un giudizio sulla vicenda, ma in un tempo in cui sono state resuscitate le giornate obbligatorie di ottocentesca memoria e addirittura la pratica del baratto, non trovo affatto bizzarro che pure la giustizia-faidate faccia il suo corso. Lungimiranti ed acutissimi leader politici, nei dibattiti in TV, hanno spiegato come e qualmente sia non solo giusto, ma anche doveroso che un cittadino si armi e, alla bisogna, scarichi un intero caricatore calibro nove su qualunque malintenzionato che voglia inopinatamente introdursi nelle altrui magioni. Il più efficace, tra questi è stato senza dubbio Gianluca Buonanno, europarlamentare della Lega Nord. In un intervista si è presentato armato di una automatica calibro 38 ed ha pure proposto sgravi fiscali per chi dovesse acquistare un arma da difesa: il bonus pistola. Ora detto in milanese si presta anche a doppi sensi che da quelle parti pistola significa coglione. Io lo avrei chiamato bonus revolver, ma a parte questo scivolone lessicale, il senso era chiaro. Il punto che invece mi interessa più di tutti è la mutazione antropologica del concetto di eroe che si sta producendo nella società. Fin dall’antichità, ma invero fino a pochi anni fa, la figura di eroe era caratterizzata dalla giovinezza e dalla prestanza fisica. Da Achille, fino all’ispettore Callaghan, passando per l’agente 007, i parametri di giovinezza e prestanza sono sempre stati rispettati. In questo caso l’eroe degno di tutta la nostra venerazione è un pensionato sessantacinquenne. Anche un po’ pingue e con capelli e pizzetto - tipici del maresciallo della sussistenza - incanutiti. Per giunta pure miope (o presbite?), poiché indossa sempre il laccetto con gli inseparabili ed indispensabili occhiali da vista. Mica i Ray Ban a specchio del pilota top-gun… Ecco, incontrare al bar giovanotti palestrati che si davano di gomito ed ammiccavano, con malcelata ammirazione, al vecchietto, mi ha fatto riflettere. Credo sia un fenomeno da studiare con attenzione e ritengo pure che si aprano interminati spazi pure per il cinema, la letteratura ed i fumetti. Basta con i venticinquenni dai bicipiti lucidi e carnosi. Basta pure con gli inseguimenti in moto a duecento all’ora sulle colline toscane. Il nuovo eroe degli italiani, oggi è un attempato signore della terza età.
Si avviava alla chetichella - come un vecchio sommergibile si reca nel suo ultimo viaggio, verso la demolizione - nel dimenticatoio. E invece a riportaci alla memoria i fasti (o nefasti) della Quadrilatero ci ha pensato Barbara Cacciolari, candidata di Forza Italia in plurime, ultime elezioni.Lo ha fatto con un roboante e minatorio comunicato nel quale si lodavano la Legge obiettivo di berlusconiana memoria e appunto la Quadrilatero SpA, che sarebbe, appunto la società di scopo di diretta emanazione di questa legge. Progettata e realizzata per costruire strade con assegnazione diretta. Senza gare, senza controlli e con la partecipazione dei privati. Ora, a distanza di quindici anni dalla promulgazione della Legge Obiettivo il consuntivo sono le centinaia di indagati per qualche dozzina di reati. I più ricorrenti: la corruzione, la concussione e la turbativa d’asta. Tra essi ministri, sottosegretari, imprenditori e funzionari di diversi enti pubblici. Stiamo parlando, per capirci, degli Anemone, i Balducci e la cricca non estranea nemmeno al crac di Banca Marche.Quanto alla Quadrilatero ci sarebbe da scrivere un romanzo a parte. Un caso di scuola di sperpero di danari pubblici da far impallidire. Non si è mai capito, infatti perché per costruire una strada bisognasse realizzare un baraccone di queste dimensioni che non ha fatto altro che raddoppiare i costi e – sempre a consuntivo – non ha portato beneficio alcuno sul territorio. Sarebbe bastata l’ANAS con i suoi progetti, i suoi ingegneri, il suo consiglio di amministrazione, il suo direttore generale. L’idea vincente (secondo loro), viste le limitate risorse pubbliche era quella della “cattura di valore”. Un sorta di taglieggio nei confronti dei piccoli comuni che insistono sulla costruenda direttrice giacché, in un lontano avvenire, essi comuni ne avrebbero tratto inestimabili benefici. L’assemblea degli azionisti di Quadrilatero SpA, colà riunita, chiamò allora un “cacciatore di valore” di indiscussa fame e lo inserì nel proprio consiglio di amministrazione. Era Ercole Incalza, un nome una garanzia. Non c’è stato scandalo dei lavori pubblici, nell’intero globo terracqueo negli ultimi quaranta anni, in cui Incalza non sia stato coinvolto ed indagato. Ma con un curriculum del genere trovare 300 milioni da catturare per lui era una bazzecola. Avrebbe trasformato la desolata piana di Colfiorito in un insediamento di opifici, centri commerciali, fabbriche e villette a due piani così che Silicon Valley a confronto fosse sembrata il deserto del Namib. Si narra che nelle notti nevose e gelide, Incalza, armato di arco e frecce, si recasse a cacciare valore nelle pietraie dell’appennino umbro marchigiano. Purtroppo, per lui e per noi fu catturato dalla guardia di finanza e tradotto nelle patrie galere a causa di uno dei millanta scandali in cui era coinvolto. A tutt’oggi è agli arresti domiciliari. Finì che dei trecento milioni preventivati se ne tirarono fuori meno di trenta, tanto che anche un giornale come il Sole 24 Ore fu costretto ad ammettere il flop dell’iniziativa.Stando alle cronache andò molto meglio, invece, al cementificio Barbetti di Gubbio che – secondo intercettazioni telefoniche del ROS – si vide assegnare una commessa di 80 milioni di euro di calcestruzzo da utilizzare in Quadrilatero. Il tutto grazie a Rocco Girlanda, parlamentare eugubino del PDL e (ma solo per combinazione) dirigente della stessa Barbetti. Non eletto nelle ultime elezioni politiche, venne nominato sottosegretario alle infrastrutture, nel governo Letta, grazie all’amico Denis Verdini. E siccome noi non ci facciamo mancare mai nulla, non poteva non comparire in questa vicenda pure l’ombra della malavita organizzata. Solo un sospetto dei malpensanti? Non saprei, ma so per certo che il procuratore generale della corte di appello di Ancona nel 2014 disse che “l’ombra delle organizzazioni criminali si allunga sugli appalti per l'ampliamento dell'A/14 e su quelli per la realizzazione del "Quadrilatero" Marche-Umbria."Ora, la domanda che mi pongo è la seguente: ma la signora Cacciolari è al corrente di tutte queste belle ed edificanti storie? Lo sa, per esempio, che nell’ultima galleria che hanno costruito hanno messo le luci al neon e non i led? Che, sempre per capirci, è come se cinquanta anni fa le avessero illuminate con il carburo e non con le lampadine. Oppure fa finta di non saperlo perché, ora che la Quadrilatero è stata incorporata da ANAS, c’è bisogno di mettere in piedi un altro carrozzone mangiasoldi? No perché, casomai, più che salvare la Quadrilatero bisognerebbe salvare la soldatessa Cacciolari da se stessa…
A distanza di pochi giorni dalla conferenza stampa in cui il presidente ed assessore alla salute della regione Marche, Ceriscioli, annunciava mirabolanti azioni per migliorare il servizio, registriamo alcune notizie tra il comico, il preoccupato ed il drammatico. Ce n’è per tutti i gusti. Ma partiamo da quella comica. Una signora di Jesi in stato interessante, si reca nel locale ospedale per effettuare una ecografia di routine. Tutto va bene, fino a quando va alla cassa e si vede raddoppiata la normale parcella perché in grembo ha due gemelli. Chiede spiegazioni, che nessuno riesce a darle. Il caso finisce sulla stampa ed il direttore dell’area vasta, sollecitato dall’assessorato competente, passa il dossier al direttore di zona che, a sua volta, lo gira agli uffici. Dopo lunga ed articolata indagine, attraverso una nota infarcita da tante supercazzole, il gotha della sanità marchigiana stabilisce inequivocabilmente che qualcosa non ha funzionato. Lì per lì e su due piedi, lo avevo sospettato pure io, ma vuoi mettere avere il conforto ed il supporto della scienza?? In attesa di futuri ed illuminanti sviluppi, non sarebbe male che questi manager della salute inviassero alla signora il giusto rimborso, unitamente ad una lettera di scuse.La dottoressa Lucia Torracca, primaria di cardiochirurgia all’ospedale di Torrette (una con un curriculum lungo sei pagine), sbatte la porta e se ne va per altri lidi. In un’ intervista denuncia mancati investimenti in tecnologie e scarse risorse umane a disposizione di una specializzazione unica nella regione Marche. Non solo nessuno dice bai, ma dalle parole della luminare trapela quasi una certa insofferenza della politica nei suoi confronti. E siccome stiamo parlando di cardiochirurgia e non dei calli ai piedi, mi auguro che la replica del presidente Ceriscioli sia puntuale e circostanziata. Non solo a parole, ma soprattutto con azioni immediate e concrete.Quanto all’area vasta di Macerata sembra che si profilino nubi all’orizzonte a forma di forbice. Il neo direttore Maccioni sta già prendendo le misure per una campagna di comunicazione che sia meno dolorosa possibile. Al poveretto è stato affidato un compito ingrato ed ai limiti della possibilità. Fare cioè in pochissimi mesi quanto non è stato fatto in tantissimi anni. Finito il tempo delle campagne elettorali in cui anche il più improbabile aspirante politico prometteva di erigere nuovi ospedali per ogni dove, è giunto quello di fare i conti con la realtà vera. Si parla di cinque o sei milioni di euro di tagli. Poco meno di un bombardamento a tappeto. Ne vedremo delle belle.Se a Macerata grandina, nel fermano, viceversa, splende un sole raggiante. Il primo atto dell’assessore al bilancio regionale Cesetti (combinazione vuole che sia proprio di quelle parti) è stato quello di annunciare che a Fermo si costruirà un nuovo ospedale e la regione Marche contribuirà per 31 milioni. Premesso che a pensar male si fa peccato, sono però sicuro che nel profluvio di parole, promesse ed auspici propri delle dinamiche politiche, quello dell’ospedale di Fermo sia una sicurezza scolpita sulla pietra. In una giunta regionale composta da neofiti, apprendisti e carneadi, l’unico – per esperienza e competenza – che può arginare l’esuberante comportamento del presidente Ceriscioli è proprio lo stesso Cesetti. Tenerselo buono per cinque anni val bene un ospedale. Così è se vi pare…
Poiché l’estate, ormai alle spalle, ci ha privati dell’annosa disputa se tra i fuochi di artificio di ferragosto fossero più belli quelli di Portorecanati o quelli di Civitanova, tutta l’attenzione mediatica si è concentrata sull’edificando forno crematorio. La notizia, in breve, sarebbe questa: l’amministrazione comunale di Civitanova, preso atto che gli spazi cimiteriali non siano bastevoli alla domanda, ha riproposto un vecchio progetto per costruire nelle sue adiacenze un forno crematorio, così da soddisfare anche le esigenze provinciali. Le spese sarebbero in gran parte a carico del privato costruttore. Resa pubblica l’iniziativa, subitaneamente sono scattate le proteste ed è sorto un comitato ad hoc auto denominatosi “no-crem” che solo per combinazione raccoglie tutte le opposizioni in consiglio comunale. Per dovere di cronaca va segnalato che, a tutt’oggi, non si è ancora costituito il comitato avverso, cioè quello degli “yes-crem”. Attendiamo fiduciosi. Tre le ragioni della contrarietà: la prima è che, secondo loro, le copiose emissioni di fumo di detto forno sarebbero gravemente nocive alla salute dei cittadini; la seconda che dietro questo appalto si nasconderebbero loschi traffici di mafia, ‘ndrangheta, camorra e finanche infiltrazioni dei lupi grigi turchi; la terza è che non c’è stata abbastanza partecipazione popolare sulla scelta. Molte le iniziative e le manifestazioni di protesta. Da segnalare una fiaccolata – dalla città alta al porto - con torce, lumini, candele ed altro materiale variamente combustibile, in cui pare che le emissioni di fumo siano state pari a due volte l’incendio della petroliera Haven. Di notevole interesse anche l’attesa ed affollata conferenza stampa nella quale il locale Movimento 5 Stelle, con tanto di inoppugnabili, probanti documenti, rivelava al mondo il malaffare. Peccato siano inciampati in un banale errore di omonimia delle carte e da denunzianti sia siano trovati in un batter d’occhio a denunziati. Quanto al coinvolgimento ed alla partecipazione della cittadinanza sono arrivate aperture e rassicurazioni, da parte dell’amministrazione comunale. Si terranno assemblee, dibattiti, e cineforum in cui, verosimilmente, intellettuali di chiara fama introdurranno ulteriori elementi di criticità, in ordine al sentito argomento. Visti gli argomenti e considerate le modalità di protesta dei “no-crem”, la maggioranza politica cha amministra Civitanova ha tutto l’interesse nell’incentivare la loro protesta. Sono un’assicurazione sulla loro vita e se si impegnassero ancora di più su questa strada, non è escluso che li facciano rieleggere a furor di popolo…