Chiedilo all'avvocato

Minorenne che utilizza Whatsapp: dovere di vigilanza e controllo da parte del genitore

Minorenne che utilizza Whatsapp: dovere di vigilanza e controllo da parte del genitore

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica riferita all’utilizzo incauto da parte del minore dei social, circostanza questa che potrebbe risultare dannosa. Ecco la risposta dell’avvocato Pantana alla domanda posta da una lettrice di Morrovalle che chiede: "Quali sono i doveri e/o responsabilità del genitore del minore che utilizza impropriamente internet?".  Si deve anzitutto dare atto che oggi è sempre più frequente l'utilizzo da parte dei minori di internet e in generale degli strumenti di comunicazione telematica, al fine di acquisire notizie e di esprimere le proprie opinioni, diritti questi tutelati dalla nostra Costituzione oltreché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Tale diritto trova tuttavia un limite nella tutela della dignità della persona specie se minore di età: i minori sono infatti soggetti deboli e, in quanto tali, necessitano di apposita tutela, non avendo ancora raggiunto un’adeguata maturità ed essendo ancora in corso il processo relativo alla loro formazione. A questo proposito la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 5 settembre 2006, n. 19069) ha affermato la necessità di tutela del minore nell’ambito del mondo della comunicazione, facendo riferimento in particolare all’art. 16 della Convenzione sui diritti del fanciullo approvata a New York il 20 novembre 1989, che sancisce il diritto di ogni minore a non subire interferenze arbitrarie o illegali con riferimento alla vita privata, alla sua corrispondenza o al suo domicilio. È altresì riconosciuto il diritto del minore a non subire lesioni alla sua reputazione e al suo onore. L'articolo 3 della medesima Convenzione prevede che in ogni procedimento davanti al giudice che coinvolga un minore, l’interesse superiore di quest’ultimo deve essere senz’altro considerato preminente. Tale preminenza ha quindi luogo anche nel giudizio di bilanciamento con eventuali e diversi valori costituzionali, quali il diritto all’informazione e la libertà di espressione degli altri individui; inoltre, è bene anche ricordare che l’art. 17 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo attribuisce agli Stati parti il dovere di riconoscere l’importanza della funzione esercitata dai mass-media, in quanto mezzi idonei a garantire una sana crescita e una corretta formazione del minore stesso.  I pericoli ai quali il minore è esposto nell'uso della rete telematica rendono quindi necessaria una tutela degli stessi, indipendentemente poi dalle competenze digitali da loro maturate. E’ bene porre in evidenza che gli obblighi inerenti la responsabilità genitoriale impongono non solo il dovere di impartire al minore una adeguata educazione all’utilizzo dei mezzi di comunicazione ma anche di compiere un’attività vigilanza sul minore per quanto concerne il suddetto utilizzo.  L’educazione si pone, infatti, in funzione strumentale rispetto alla tutela dei minori al fine di prevenire che questi ultimi siano vittime dell'abuso di internet da parte di terzi. L’educazione deve essere, inoltre, finalizzata a evitare che i minori cagionino danni a terzi o a sé stessi mediante gli strumenti di comunicazione telematica. Sotto tale profilo si deve osservare che l’anomalo utilizzo da parte del minore dei mezzi offerti dalla moderna tecnologia tale da lederne la dignità cagionando un serio pericolo per il sano sviluppo psicofisico dello stesso, può essere sintomatico di una scarsa educazione e vigilanza da parte dei genitori. Riguardo all’uso della rete telematica l’adempimento del dovere di vigilanza dei genitori è, inoltre, strettamente connesso all'estrema pericolosità di quel sistema e di quella potenziale esondazione incontrollabile dei contenuti. Al riguardo la giurisprudenza di merito ha affermato che “il dovere di vigilanza dei genitori deve sostanziarsi in una limitazione sia quantitativa che qualitativa di quell'accesso, al fine di evitare che quel potente mezzo fortemente relazionale e divulgativo possa essere utilizzato in modo non adeguato da parte dei minori e fonte, pertanto, di  responsabilità civile dei genitori ai sensi dell’art. 2048 c.c.” (Trib. Teramo,16.01.2012). Per tali ragioni in risposta alla nostra lettrice è corretto affermare che: "Oltre a possibili responsabilità civili e penali dei genitori, gli stessi sono comunque tenuti ad educare i minori al corretto utilizzo di tali mezzi di comunicazione mediante una limitazione sia quantitativa che qualitativa all’accesso e condivisione di contenuti. Pertanto, l’anomalo utilizzo degli strumenti telematici potrebbe essere sintomatico di una scarsa vigilanza ed educazione da parte dei genitori, i quali, sono tenuti a garantire un’educazione consona alle proprie condizioni socio-economiche e, ad adempiere un’attività di verifica e controllo sul sano sviluppo psicofisico del minore, tanto da rendersi necessaria un’attività di monitoraggio e supporto da parte di professionisti nei riguardi del minore e dei genitori al fine di verificare le effettive capacità educative e di vigilanza degli stessi" (Tribunale di Caltanissetta, sentenza depositata l’8 ottobre 2019). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

16/02/2025 11:00
Genitore "no vax" rifiuta le cure necessarie per il figlio malato: cosa dice la legge

Genitore "no vax" rifiuta le cure necessarie per il figlio malato: cosa dice la legge

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica riguardante le cure mediche in generale ed in particolare il consenso informato ed il rifiuto alle stesse. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Macerata che chiede: "Se il genitore 'no vax' rifiuta le cure necessarie per il figlio minore ammalato, a chi spetta la decisione?".  Il caso di specie ci porta ad affrontare una tematica molto sensibile ma allo stesso tempo importante in quanto riguarda la salute degli individui. A tal proposito di recente la Suprema Corte ha affrontato una vicenda nella quale i genitori di un bambino per il quale era stato programmato un intervento chirurgico con elevata probabilità di trasfusione rappresentavano ai sanitari un consenso condizionato alla trasfusione, ponendo ad essa delle condizioni fondate essenzialmente su convinzioni di natura religiosa e su infondati convincimenti scientifici, smentiti dalla letteratura scientifica. L'azienda ospedaliera, dopo aver rappresentato ai genitori che non era possibile garantire che i donatori non avessero ricevuto i vaccini Covid-19, né aderire alla richiesta di ricorrere a donatori non vaccinati, aderendo essa a protocolli conformi alle linee guida dettate dalle raccomandazioni del Consiglio d'Europa sulla donazione periodica anonima, propose ricorso al Giudice Tutelare chiedendo di autorizzare con urgenza la prestazione del consenso all'intervento e all'eventuale trasfusione, proponendo la nomina di un curatore speciale nella persona del direttore. Il Giudice Tutelare, rilevando che il consenso condizionato è un "non consenso", nominò il direttore generale dell'ospedale curatore. Il provvedimento tutelare venne reclamato dinanzi al Tribunale dei Minorenni, che lo respinse dando atto di essere intervenuto nel frattempo sulla stessa linea con un provvedimento di sospensione della responsabilità genitoriale, che fu poi revocato. I ricorrenti quindi adirono la Corte di Cassazione, la quale rigettò il ricorso presentato dai genitori ritenendo che il provvedimento impugnato non fosse privo di motivazione e che l'unione degli atti - ovvero quelli del Giudice Tutelare con quelli relativi alla sospensione o limitazione della potestà genitoriale avanti al Tribunale dei Minorenni - non avesse comportato per le parti alcun pregiudizio difensivo. Tutto ciò tenendo in considerazione che, la legge Dat (Direttive Anticipate di Trattamento) è diretta a tutelare, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2,13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1,2 e 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona. Stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. Il consenso informato deve essere inteso come espressione della consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario proposto dal medico e si configura come un vero e proprio diritto della persona. Nel consenso informato si incontrano quindi l'autonomia decisionale del paziente e la competenza, l'autonomia professionale e la responsabilità del medico. Nell'ambito di questa responsabilità rientra il dovere del medico di indirizzare il paziente verso il trattamento sanitario adeguato alle sue condizioni. Nei trattamenti sanitari della persona minorenne, il consenso informato è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore, tenendo conto della volontà del minore in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità. La legge Dat prevede che nel caso in cui il rappresentante legale della persona minore rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione venga rimessa al Giudice Tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o dei soggetti indicati negli articoli 406 e seguenti del codice civile o dal medico o dal rappresentante legale della struttura sanitaria. La legge Dat stabilisce quindi una procedimentalizzazione per la formazione e manifestazione del consenso riferibile ai minori e agli altri soggetti deboli e pone anche un rimedio nell'ipotesi in cui queste regole procedimentali vengano disattese, prevedendo un meccanismo di controllo che opera in relazione al determinato compito genitoriale presumibilmente non adeguatamente assolto. La norma consente infatti al Giudice Tutelare, adito dai medici o dagli altri soggetti indicati dalla norma, di decidere se un certo intervento o trattamento possa avere luogo anche senza il consenso dei genitori, comprimendo così il diritto di costoro di autodeterminarsi in merito alle scelte da fare nella cura dei figli minori e di provvedere direttamente in tal senso in un settore dove le scelte comportano effetti potenzialmente irreversibili nella vita del minore. Tale intervento del Giudice Tutelare, tuttavia, non incide - come accadeva prima dell'entrata in vigore della DAT - sulla responsabilità genitoriale sospendendola o limitandola temporaneamente; si riferisce solo alla specifica situazione relativa al mancato consenso al trattamento sanitario ritenuto necessario e finalizzato al best interest del minore. Pertanto, in risposta alla nostra lettrice risulta corretto affermare che "la DAT regolamenta il conflitto tra il rappresentante legale dell'incapace e il medico in relazione alle cure proposte da quest'ultimo. Pertanto, se il paziente ha un legale rappresentante, la legge - pur disponendo che sia quest'ultimo ad esprimere o negare il consenso - impone una procedimentalizzazione nella formazione del consenso stesso, dando ampio spazio al parere dei sanitari e rimettendo alla coscienza e alla responsabilità del medico che ritenga le cure appropriate e necessarie la scelta di sollecitare la verifica giudiziale in merito". "L'iter stabilito dalla legge prevede di: (a) tenere conto della volontà del minore; b) avere come scopo la tutela della sua salute psicofisica; da cui ne consegue anche che occorre considerare il parere oggettivo medico volto ad assicurare che la soluzione scelta sia quella che realizzi il miglior interesse dell'incapace. Il rispetto di questo iter pone quindi dei limiti al potere di rappresentanza dei genitori in questa materia e rende altresì evidente che il rimedio giudiziale costruito dalla norma - ovvero il ricorso al Giudice Tutelare - non ha più nulla a che vedere con il controllo sul corretto esercizio della responsabilità genitoriale; ma si tratta piuttosto di valutare nel conflitto tra il parere medico e la volontà dei genitori quale sia la soluzione che meglio tutela la persona interessata" (Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza del 03.02.2025, n. 2549). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.                    

09/02/2025 10:10
Sottrae il cellulare della compagna per vedere i messaggi: un atto di gelosia che configura il reato di rapina

Sottrae il cellulare della compagna per vedere i messaggi: un atto di gelosia che configura il reato di rapina

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica riguardante i rapporti tra la coppia e nello specifico dell’utilizzo del telefonino. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Recanati che chiede: "Appropriarsi del cellulare della propria compagna comporta un reato?".  Il caso di specie ci porta ad affrontare una condotta sempre più presente all’interno delle coppie soprattutto per gelosia o per altri residuali scopi. A tal proposito ci è utile riportare un caso giudiziario nel quale l’imputato aveva sottratto con prepotenza alla ex fidanzata il telefono cellulare, al fine di rivelare al padre della donna, la relazione sentimentale che questa aveva instaurato con un altro uomo.  La Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il dolo specifico richiesto quale elemento soggettivo del reato di rapina, in quanto il profitto richiesto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l'agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene. Alla luce di ciò, ha statuito il seguente principio di diritto "nel diritto di rapina sussiste l'ingiustizia del profitto quando l'agente, impossessandosi della cosa altrui (nella specie un telefono cellulare), persegua esclusivamente un'utilità morale, consistente nel prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da un altro soggetto, trattandosi di finalità antigiuridica in quanto, violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell'autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane" (Cass. pen., Sez. II, 10 marzo 2015, n. 11467; Cass. pen., Sez. II, 10 giugno 2016, n. 24297). Pertanto, in risposta alla nostra lettrice risulta corretto affermare che "sottrarre di prepotenza lo smartphone della propria compagna per poter dare un'occhiata a rubrica telefonica e messaggi comporta la commissione del reato di rapina in quanto l’ingiusto profitto richiesto può consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale" (Cass. Pen, Sez. II, 10 dicembre 2021, n. 45557). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.          

02/02/2025 10:30
"Metto in atto il metodo Montessori", ma per il giudice sono maltrattamenti: maestra condannata

"Metto in atto il metodo Montessori", ma per il giudice sono maltrattamenti: maestra condannata

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica estremamente delicata, relativa alle condotte violente o da considerarle tali poste in essere da soggetti esercenti il ruolo di educatore o docente, nei confronti dei propri allievi. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Macerata, che chiede: "Quali comportamenti, se tenuti da insegnanti nello svolgimento della propria professione, possono condurre ad una condanna penale per maltrattamenti?" Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione molto delicata e attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la stessa Corte di Cassazione, con una sentenza di condanna, la n.5205/2019, nei confronti di una maestra d’asilo, per il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 del codice penale.  L'articolo punisce espressamente "chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte".  Tale delitto, si caratterizza infatti, per l’elemento soggettivo del dolo generico, inteso come volontarietà dell’azione, nonché come consapevolezza di porre in essere un comportamento oppressivo, ed è integrato da condotte di lesione o messa in pericolo dell'incolumità fisica o psicologica, nell'ambito di rapporti interpersonali che dovrebbero favorire la personalità degli specifici soggetti, e non danneggiarla. Inoltre, elemento costitutivo di tale delitto, è l’abitualità dell’azione, ovvero la circostanza che tali condotte lesive siano reiterate e perpetrate ai danni delle vittime.  Proprio questo ultimo requisito, distingue tale delitto di maltrattamenti, quale reato abituale, dal delitto meno afflittivo di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, previsto ai sensi dell’art. 571 del codice penale, il quale punisce espressamente: "Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte". Difatti, nella sentenza citata emessa nei confronti della maestra d’asilo, la quale, nel tentativo di giustificare i propri metodi, li qualificava come "di vecchio stampo in armonia con il metodo Montessori", la Suprema Corte ha ritenuto, "integrato il delitto di maltrattamenti in considerazione della reiterazione delle condotte violente perpetrate ai danni degli alunni, tutti minorenni, del carattere sistematico del ricorso alla violenza fisica e morale, non suscettibile di essere inquadrata in alcun metodo educativo, scolastico, o di insegnamento, tenuto anche conto della tenera età dei bambini maltrattati". (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 5205 del 01.02.2019). Pertanto, alla luce di quanto affermato ed in risposta alla domanda della nostra lettrice, "sul piano della qualificazione giuridica dei fatti si deve ribadire che integra il reato di maltrattamenti e non quello di abuso di mezzi di correzione, la reiterazione di atti di violenza fisica e morale, l’uso sistematico di comportamenti violenti, obiettivamente non leciti, insuscettibili di essere qualificati come espressivi di metodi educativi: schiaffi ripetuti, tirate di orecchio e capelli, sottoposizione a vessazioni morali e fisiche consistenti nell’apostrofare i bambini in malo modo, nello strappare loro i disegni, nel sottrarre loro l’acqua, allontanarli dagli spazi di condivisione per lasciarli da soli in bagno ovvero in una stanza poco illuminata “per riflettere”, inadeguatezza delle espressioni verbali utilizzate, ancorché sostenute da animus corrigendi”(Cass. Pen., Sez. VI, n. 53425/ del 22.10.2014). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

26/01/2025 10:17
L'ambiente di lavoro è troppo stressante per la dipendente: il datore la dovrà risarcire

L'ambiente di lavoro è troppo stressante per la dipendente: il datore la dovrà risarcire

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla salubrità dell’ambiente di lavoro legato alla salute dei dipendenti. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana in merito alla domanda posta da una lettrice di Civitanova Marche che chiede: “In caso di danno alla salute del dipendente da ambiente lavorativo stressogeno può essere risarcito dal datore di lavoro?” La conflittualità delle relazioni personali esistenti all'interno di un ambiente di lavoro sono sempre più frequenti e ciò va a minare la serenità necessaria per il corretto espletamento delle prestazioni lavorative, oltre a creare possibili danni alla salute stessa del dipendente. Di recente la Suprema Corte ha affrontato il caso di una lavoratrice che lamentava di essere stata vittima di condotte avversative da parte del direttore generale della ASL presso cui era impiegata, la quale replicava alle stesse fino a creare un circolo vizioso senza termine, laddove invece sin da subito il datore di lavoro avrebbe dovuto ristabilire l'ordine anche con provvedimenti disciplinari. A tal proposito la Cassazione coglie l'occasione per ricordare la piena autonomia della responsabilità per straining del datore di lavoro, configurabile anche in assenza di mobbing, per l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli della salute e del benessere psicofisico del lavoratore. La responsabilità per straining può derivare anche da una condotta omissiva del datore di lavoro, che non può e non deve tollerare il perpetrarsi di condotte avversative nei confronti di un dipendente e deve del pari vigilare sulla serenità dell'ambiente lavorativo, al fine di evitare che lo stesso diventi fonte di disagi o stress. Un ambiente lavorativo stressogeno è infatti, configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre al riesame di condotte datoriali apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell'art. 2087 c.c.. Per tale ragione il datore di lavoro può essere responsabile di straining, quale forma attenuata di mobbing per comportamenti stressogeni, anche se manca la pluralità di azioni vessatorie ma si producono comunque effetti dannosi rispetto all'interessato. Pertanto in risposta anche alla nostra lettrice risulta corretto affermare che, “in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni di salute del dipendente, è ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nel caso in cui il datore di lavoro consenta anche colposamente il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere dei comportamenti anche in sé non illegittimi ma tali da poter indurre dei disagi o stress che si manifestino isolatamente o si connettano ad altri comportamenti inadempienti contribuendo ad inasprire gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la salute latamente intesi” (Cass. Civ. Sez. Lav. Ord. 04.01.2025 n. 123). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

19/01/2025 09:50
In caso di incidente è responsabile il gestore della pista di sci o lo sciatore?

In caso di incidente è responsabile il gestore della pista di sci o lo sciatore?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla pratica dello sci sempre più attuale, e non solo per il periodo dell’anno, e alle relative responsabilità del gestore dell’impianto o dello sciatore in caso di caduta o per altre problematiche. Ecco l’analisi dell’avv. Oberdan Pantana in merito alla domanda posta da una lettrice di Sarnano che chiede: "Quando una pista da sci può essere considerata sicura e quali sono le responsabilità del gestore o dello sciatore?".  Le piste da sci ogni anno sono i luoghi in cui si verificano episodi lesivi, anche gravi, che traggono origine dall'interazione tra il gestore dell'area sciabile e gli utenti e/o tra gli utenti stessi (gli scontri ne rappresentano l'esempio per antonomasia). Il Legislatore ha riformato la disciplina, entrata in vigore nel 2022, con l'intento di revisionare e adeguare il previgente sistema normativo (legge n. 363/2003) alla luce degli insegnamenti ricavabili dai molteplici principi di diritto espressi in sede nomofilattica, nati su impulso della moltitudine di processi civili e penali che oramai sono sempre più presenti nella cronaca giudiziaria. Dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che il gestore dell'area sciabile e lo sciatore sono i protagonisti del concetto di sicurezza del tracciato, in quanto il gestore ha l'obbligo di assicurare agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, provvedendo - per l'appunto - alla messa in sicurezza dei tracciati, al contempo, lo sciatore assume un ruolo coessenziale al concetto astratto di «sicurezza delle piste», poiché l'ordinamento pretende che quest'ultimo osservi e mantenga, in ogni fase della fruizione dell'area sciabile, una condotta improntata a scrupolosa diligenza e rispetto delle regole di prudenza. Nella fase patologica del rapporto, quando il sinistro sciistico si è ormai verificato, la natura relazionale del rapporto fra gestore e sciatore finisce per rilevarsi cruciale: l'analisi (giocoforza postuma) del comportamento tenuto da ciascuna delle parti in gioco (gestore e sciatore), alla luce di tutti gli elementi di fatto disponibili al giudizio, deve tendere a identificare l'effettivo livello di esigibilità di interventi correttivi destinati a correggere o a integrare l'attività precauzionale dell'altra parte.  Nello specifico, il Capo III del d.lgs. n. 40/2021 enuclea le regole per il gestore dell'area sciabile agli artt. 4-16. Il gestore dell'area sciabile attrezzata è tenuto ad assicurare agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza e deve, parimenti, proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste. Grava su di esso l'obbligo di segnalare eventuali situazioni di pericolo atipico: il termine così coniato è di matrice giurisprudenziale e la riforma ha colto l'opportunità (finalmente!) di attribuirgli un nomen iuris, ora previsto dall'art. 2, comma 1, lett. d), intendendosi il «pericolo difficilmente evitabile anche per uno sciatore o sciatrice responsabile lungo il tracciato sciistico». Tra le regole più incisive, si segnala l'obbligo, in difetto del quale scatterà un’importante sanzione amministrativa oltre ad una responsabilità civile o addirittura penale in caso di sinistro: - di apporre, in prossimità delle biglietterie e dei punti di accesso agli impianti di arroccamento al comprensorio, una mappa delle piste di sci alpino, di fondo e degli altri sport sulla neve, con indicazione del loro percorso e del relativo grado di difficoltà; in più, alla partenza di ogni impianto deve indicare il colore delle piste servite (art. 5); - di delimitare le piste da discesa, le piste da fondo e le altre piste (artt. 6 e 7); per le prime la delimitazione avviene mediante una palinatura deve avere il colore corrispondente alla difficoltà della pista e che sia intervallata, almeno ogni 200 metri, con un segnale che indica la denominazione oppure la numerazione della pista; - di manutenzionare adeguatamente la pista: qualora la pista presenti condizioni di innevamento insufficienti, il suo stato deve essere segnalato in modo ben visibile al pubblico, all'inizio della pista stessa, nonché presso le stazioni a valle degli impianti di trasporto a fune. Qualora le condizioni presentino pericoli oggettivi dipendenti dalle condizioni di innevamento del fondo o altri pericoli atipici, il gestore dell'impianto deve provvedere alla loro rimozione o alla loro neutralizzazione mediante segnalazione o altri dispositivi di delimitazione e protezione. L'obbligo di chiusura del tracciato scatta laddove sussista un pericolo atipico non rimosso, non neutralizzato o in assenza di agibilità (art. 12); - di garantire il primo soccorso agli sciatori (art. 14). L'utente della neve, invece, quale protagonista della sicurezza sui tracciati, è tenuto a osservare delle specifiche regole presidiate, tra l'altro, da una sanzione amministrativa, oltre ad una sua responsabilità civile o in alcune circostanze anche penale in occasione di sinistro. Di indubbio interesse la regola dettata dall'art. 27 d.lgs. n. 40/2021 che impone all'utente di praticare le piste scegliendo esclusivamente quelle aventi un grado di difficoltà rapportato alle relative capacità fisiche e tecniche. Inoltre, in seno all'art. 18 d.lgs. n. 40/2021, lo sciatore, confermando ciò che è già desumibile dall'art. 27, è responsabile della condotta tenuta sulle piste da sci: infatti, il Legislatore ha aggiunto un nuovo obbligo di comportamento con un termine sconosciuto assente nella precedente legge: "la prudenza".  Ogni sciatore deve tenere una velocità e un comportamento di prudenza, diligenza e attenzione adeguati alla propria capacità, alla segnaletica e alle prescrizioni di sicurezza esistenti, nonché alle condizioni generali della pista stessa, alla libera visuale, alle condizioni meteorologiche e all'intensità del traffico. Lo sciatore deve adeguare la propria andatura alle condizioni dell'attrezzatura utilizzata, alle caratteristiche tecniche della pista e alle condizioni di affollamento della medesima. L'autoresponsabilità esige che lo sciatore, prima di intraprendere la pista, sappia: - di essere in grado di scendere da quella pista (art. 27); - conoscere e rispettare le regole della pista (che devono essere messe a disposizione del gestore dell'area sciabile) (art. 18, comma 1); - tenere una condotta che, in relazione alle proprie capacità tecniche, alle caratteristiche della pista e alla situazione ambientale, non costituisca pericolo per l'incolumità propria e altrui (art. 18, comma 2).  In caso di sorpasso, l'utente (responsabile) deve assicurarsi di disporre di uno spazio sufficiente allo scopo e di avere sufficiente visibilità; la manovra può essere effettuata sia a monte sia a valle, sulla destra o sulla sinistra, a una distanza tale da evitare intralci allo sciatore sorpassato (art. 20); nel caso di scontro tra sciatori, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno di essi abbia concorso ugualmente a produrre i danni eventualmente occorsi (art. 28). Pertanto, nel consigliarvi di divertirvi pur seguendo tali regole fondamentali, rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

12/01/2025 10:04
Rientra dalla settimana bianca con la valigia alleggerita: sarà risarcita dalla compagnia aerea

Rientra dalla settimana bianca con la valigia alleggerita: sarà risarcita dalla compagnia aerea

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al risarcimento danni derivanti dallo smarrimento del proprio bagaglio in occasione della partenza per le vacanze natalizie.  Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Civitanova Marche che chiede: "Si può chiedere il risarcimento danni alla compagnia aerea per il furto di oggetti contenuti nel proprio bagaglio depositato in stiva durante il viaggio?" Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi il Giudice di Pace di Pistoia, il quale ha approfondito e disciplinato in modo del tutto innovativo, una nuova fattispecie in materia di tutela del passeggero e di danno da vacanza, stabilendo testualmente quanto segue: "Nei casi di smarrimento di bagagli, è da ritenersi pacifico che il danno e la relativa responsabilità siano da attribuire esclusivamente al vettore ai sensi della Convezione di Montreal, del codice del consumatore e dell’art. 1681 c.c., non potendo essere invocata una colpa in capo alla impresa di handling gerente il traffico di bagagli presso lo scalo aeroportuale, in virtù del contratto sottoscritto col cliente" (Giudice di Pace di Pistoia, Sent. n. 902/2013). Difatti l’articolo 1681 del codice civile citato nella menzionata sentenza, prevedendo testualmente al comma 1° quanto segue: "Salva la responsabilità per il ritardo e per l'inadempimento nell'esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell'avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”, stabilisce, pertanto, una presunzione di colpevolezza a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio. Circostanza questa che opera sul presupposto che sussista un nesso di causalità tra l’evento dannoso occorso al viaggiatore e l’esecuzione del trasporto. A tal proposito, occorre rilevare che al fine di ampliare la tutela del consumatore/viaggiatore, il legislatore ha previsto un onere probatorio aggravato in capo al vettore, e dunque, alla compagnia aerea, alla quale sia mosso un addebito circa la propria responsabilità. Difatti la stessa dovrà dimostrare di aver adottato tutte le opportune precauzioni e di aver posto in essere l’esatto adempimento della propria prestazione, oltre alla sopravvenienza per caso fortuito o forza maggiore, di un evento imprevedibile ed improvviso, dal quale sia derivato il fatto lesivo ai danni del viaggiatore, il quale al contrario, dovrà semplicemente dimostrare la sussistenza di un contratto di trasporto col vettore, nonché l’evidente nesso causale col furto subito. In aggiunta, è opportuno osservare come la sentenza citata, abbia apportato un contributo innovativo a tale disciplina, estendendo la responsabilità del vettore, non solo allo smarrimento dell’intero bagaglio, ma anche al furto degli oggetti in esso contenuti, escludendo tassativamente ogni responsabilità in capo alla ditta di smistamento dei bagagli selezionata dalla stessa compagnia aerea, la quale, in virtù della relazione contrattuale sussistente con lo sfortunato turista e perfezionato al momento dell’acquisto del biglietto, resterà in ogni caso, l’unica obbligata a provvedere al trasporto, alla custodia e a tutte le attività funzionali.  Pertanto, in risposta alla nostra lettrice e in linea con la più autorevole giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di risarcimento danni da furto di bagaglio, si può affermare che: "Con l’acquisto del biglietto aereo, il viaggiatore acquirente conclude un contratto che vincola la compagnia aerea all’esatto adempimento della propria prestazione, la quale comprende il trasporto e la custodia dei bagagli, con presunzione di colpa in capo a quest’ultima, per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio, operando sul presupposto di un nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto, nonché legittimando le pretese risarcitorie per i danni patrimoniali e non patrimoniali da quest’ultimo sofferti" (Cass. Civ. sez. III, Sent. n. 12143/2016). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

05/01/2025 10:30
Lui le dona la casa, lei ci va con l'amante e pensa di venderla: l'uomo chiede la revoca al giudice

Lui le dona la casa, lei ci va con l'amante e pensa di venderla: l'uomo chiede la revoca al giudice

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica riguardante i rapporti interpersonali oltre all’istituto della donazione. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Macerata che chiede: "In caso di una donazione immobiliare il donante può revocare la stessa per ingratitudine dell’ex convivente per la nuova relazione amorosa?" A tal proposito risulta utile portare la recente vicenda risolta poi in Cassazione la quale è stata chiamata a pronunciarsi sulla revoca della donazione di un immobile nel contesto di una vicenda dove nel corso di una lunga relazione sentimentale sfociata in un’altrettanto duratura convivenza di fatto, l'uomo donava alla donna un appartamento, da lui in precedenza acquistato e adibito a casa comune. Pochi giorni prima della stipula della donazione, però, l'uomo scopriva che la donna da tempo intratteneva una relazione sentimentale con un altro, che peraltro era anche stato visto frequentare proprio la casa oggetto di donazione. Ancora, si veniva a sapere che qualche giorno prima dell'atto notarile, la donna aveva contattato proprio quel notaio da cui si era informato circa la possibilità di vendere a terzi il bene. Ebbene, l'accertamento del rapporto di convivenza di fatto intervenuto tra le parti costituisce una valutazione operata dal giudice di merito con motivazione logica e coerente, e la stessa, sebbene non corredata dai doveri ed obblighi tipici del vincolo matrimoniale, pone in ogni caso degli obblighi morali e sociali, la cui violazione, ove intervenuta con modalità tali da ledere gravemente la dignità del compagno, ben può configurare l'ingiuria grave richiesta dall'art. 801 del codice civile.  I doveri di solidarietà reciproca che scaturiscono dalla convivenza di fatto, sebbene connotati da una non coercibilità e da una minore vincolatività, si impongono e soprattutto non escludono che la condotta del convivente possa risultare compromissoria della dignità morale del convivente. L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, ossia resa palese ai terzi, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, aperta ai mutamenti dei costumi sociali, dovrebbero invece improntarne l'atteggiamento: non è la relazione in sé trattenuta, ma il fatto che tale relazione veniva ostentata. Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore si può affermare che: "La donazione va incontro alla revocabilità in presenza di una ingiuria grave del donatario consistente non tanto nella nuova relazione in sé ma nelle modalità con le quali la stessa è stata resa palese, sebbene già intrapresa in epoca anteriore alla donazione, ma essendo stata poi esternata con modalità evidentemente irriguardose nei confronti dell'ex compagno" (Cass. Civ. Sez. II, Ordinanza del 16.12.2024, n. 32682). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.                  

22/12/2024 10:10
Dispetti, pedinamenti e aggressioni verbali: l'incubo di una donna con il vicino stalker

Dispetti, pedinamenti e aggressioni verbali: l'incubo di una donna con il vicino stalker

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato".  In questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente le vicende che possono insorgere tra condomini nei rapporti di vicinato. Di seguito la risposta dell’avvocato Pantana alla domanda posta da una nostra lettrice di Sarnano, che chiede: "A quale responsabilità può andare incontro colui che pone in essere dispetti ed appostamenti nei confronti della propria vicina di casa?".  Il caso di specie ci offre la possibilità di fare chiarezza riguardo ai controversi rapporti che possono insorgere tra condomini fino ad arrivare a causare quotidiane molestie in danno altrui. A tal proposito, risulta utile riportare una vicenda recentemente affrontata dalla Suprema Corte, nella quale una donna si ritrova a dover fare i conti con un vicino di casa che è un vero e proprio incubo: la pedina, le fa dispetti, la aggredisce verbalmente, la minaccia. A certificare la gravità della situazione è anche il fatto che la donna si sia decisa, alla fine, «ad installare una telecamera di sicurezza ed un piccolo cancello sulla rampa delle scale» così da poter evitare il contatto diretto col fastidioso vicino. A fronte degli elementi probatori raccolti, anche per la Corte di Cassazione la donna è stata vittima del reato di stalking; in particolare, i magistrati sottolineano «la ripetitività e la consistenza dei comportamenti» dell'uomo, comportamenti che «avevano destabilizzato la donna, costretta a ricorrere alle cure di uno specialista per il grave stato di ansia prodottosi» e decisasi, infine, «ad installare una telecamera di sicurezza ed un piccolo cancello sulla rampa delle scale» per provare a ridurre il potenziale pericolo di un contatto con lo sgradevole vicino di casa. Impossibile, quindi, ridimensionare tali episodi nel reato di molestie poiché le condotte da lui tenute hanno instillato un profondo timore nella vicina di casa, spingendola a «mutare le proprie abitudini di vita» e a «ricorrere a un sistema di videosorveglianza e di difesa della propria casa». Pertanto, in risposta alla nostra lettrice risulta corretto affermare che, "il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di molestie, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di stalking di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato meno grave di molestie di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021 Rv. 281029). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana. 

15/12/2024 09:50
Nuovo codice delle strada 2024: alcol, limiti di velocità e uso del cellulare, cosa cambia davvero

Nuovo codice delle strada 2024: alcol, limiti di velocità e uso del cellulare, cosa cambia davvero

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la riforma al Codice della Strada e le principali novità e curiosità di tali modifiche. Di seguito l’analisi effettuata dall’avv. Oberdan Pantana. Il nuovo Codice della Strada che entrerà in vigore precisamente il 14 dicembre 2024 ha quali principali e sostanziali novità le seguenti modifiche: - Guida sotto l'influenza dell'alcool: Nell'art. 186 C.d.S. vengono introdotti due ulteriori commi supplementari al comma 9.  Sulla patente, rilasciata in Italia, di chi sia stato condannato per i reati di guida in stato di ebbrezza (intermedia e grave) sono apposte le indicazioni restrittive di cui ai codici armonizzati unionali relativi alla limitazione dell'uso:  n. 68, “Niente alcool”, in qualunque quantitativo; n. 69, “Limitata alla guida di veicoli dotati di un dispositivo di tipo alcolock, conformemente alla norma EN 50436”, che impedisce l'avviamento del motore.   La prescrizione permane per un periodo di almeno 2 o 3 anni a seconda della gravità del reato, salvo l'eventuale maggior durata imposta dalla commissione medica locale. Conseguentemente è previsto l'aumento di un terzo delle sanzioni previste nei confronti del conducente titolare di patente gravata dai codici unionali 68 e 69. Le sanzioni sono, invece, raddoppiate nel caso in cui il dispositivo che impedisce l'avviamento del motore a seguito del riscontro di un tasso alcolemico superiore a 0 - di cui al nuovo comma 3-ter dell'art. 125 C.d.S. - venga alterato o manomesso; -  Il nuovo reato di guida dopo l'assunzione di sostanze stupefacenti: All'art. 187 C.d.S. vengono apportate numerose modifiche.  Al fine di superare l'accertamento del nesso causale tra consumo della sostanza ed effetto di alterazione sull'organismo, è soppressa la locuzione “in stato di alterazione psico-fisica”, di talché il reato diventa guida “dopo” l'assunzione di sostanze stupefacenti. Previste nuove modalità di accertamento del reato da parte degli organi di polizia stradale che possono, direttamente sul luogo del controllo stradale, sottoporre i conducenti al prelievo di un campione di liquido salivare sul quale effettuare accertamenti tossicologici da parte di laboratori certificati. Confermata la possibilità per gli organi di polizia stradale di disporre il ritiro precautelare della patente per un periodo massimo di 10 giorni, qualora l'esito degli accertamenti non sia immediatamente disponibile, ma la prova preliminare abbia dato esito positivo.  Qualora non sia possibile procedere agli accertamenti, ma la prova preliminare abbia dato esito positivo, gli organi di polizia stradale possono impedire immediatamente al conducente di continuare a condurre il veicolo. Inoltre, il prefetto, sulla base dell'esito positivo della prova preliminare, dispone che il conducente si sottoponga, nel termine di 60 giorni, alla visita medica di verifica dei requisiti psichici e fisici con sospensione della patente fino al superamento degli accertamenti. Ove il giudizio della commissione medica attesti l'inidoneità alla guida del conducente, è disposta la revoca della patente, con inibizione dalla possibilità di conseguirne una nuova prima di 3 anni. Sono, poi, previste specifiche misure a carico dei conducenti non titolari di patente. Infatti, il conducente infra-ventunenne, nei confronti del quale siano stati accertati i reati di guida dopo l'assunzione di sostanze stupefacenti e di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti, non può conseguire, qualora non ne sia già titolare, la patente di guida prima del compimento di 24 anni. Inoltre, quando i medesimi reati siano commessi da persona che non sia "munita" di patente, si applica: in attesa della definizione del giudizio penale, il divieto di conseguire la patente per un periodo da 1 a 2 anni; all'esito del giudizio, il divieto di conseguire la patente per il periodo corrispondente alla durata prevista per la sospensione della patente, o per i 3 anni successivi all'accertamento dei reati, nel caso in cui sia prevista la revoca.   Inoltre, nel delineare un percorso di verifica dell'idoneità psico-fisica che consenta di monitorare nel tempo il conducente che abbia fatto uso di stupefacenti, si prevede che, nei casi in cui sia stata disposta la visita medica, la validità della patente non possa essere confermata, la prima volta, per più di 1 anno, la seconda volta, per più di 3 anni e, dalla terza volta in poi, per più di 5 anni.  Infine, si prevede che, in caso di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti, con l'ordinanza con la quale dispone la sospensione della patente e la sottoposizione a visita medica, il prefetto dispone anche la sospensione in via cautelare della patente fino all'esito dell'esame di revisione; - Sull'abbandono di animali: Vengono, poi, introdotte due modifiche alla contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. Al fine di scongiurare il verificarsi di situazioni di pericolo per la sicurezza della circolazione stradale, viene aggiunto un periodo che introduce un'aggravante speciale con aumento di un terzo della pena, quando l'abbandono di animali domestici avvenga “su strada o nelle relative pertinenze”.  All'accertamento del reato consegue, ove il fatto sia commesso mediante l'uso di veicoli, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da 6 mesi a 1 anno; - Sui limiti di velocità: L'art. 142 C.d.S. risulta, in maniera disorganica, oggetto di modifiche da parte di diverse disposizioni. In caso di reiterazione di violazioni ai limiti di velocità, accertate con dispositivi di controllo automatico, commesse su tratti di strada che ricadono nella competenza del medesimo ente, nell'arco temporale di massimo 1 ora, si applica la sanzione amministrativa prevista per la violazione più grave, aumentata di un terzo. Si tratta di un istituto che, nel prendere le mosse dalla continuazione, di matrice penalistica di cui all'art. 81 c. 2 c.p., introduce un correttivo all'applicazione del cumulo materiale delle sanzioni.  Inoltre, la ripetizione infrannuale dell'eccesso di velocità di oltre 10 km/h e di non oltre 40 km/h, commessa all'interno del centro abitato, comporta un aumento della sanzione pecuniaria, cui si aggiunge la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da 15 a 30 giorni; - Sull'uso di lenti o di determinati apparecchi durante la guida: Rafforzato l'assetto sanzionatorio dell'art. 173 C.d.S. All'inasprimento della sanzione pecuniaria in caso di violazione del divieto di utilizzo, durante la marcia, di apparecchi radiotelefonici et similia, si affianca l'introduzione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, da 15 giorni a 2 mesi, fin dalla prima violazione, oltre che la decurtazione di 5 punti; in caso di ripetizione infrabiennale della violazione, alla già prevista sanzione accessoria della sospensione della patente da 1 a 3 mesi, si affianca una sanzione pecuniaria aggravata, oltre che la decurtazione di 10 punti; - Sulle limitazioni nella guida:  L'art. 7 introduce alcune modifiche all'art. 117 C.d.S. Ai neofiti della patente di categoria B è interdetta, per 3 anni, la guida di autoveicoli aventi una potenza specifica, riferita alla tara, superiore a 75 kW/t; nel caso di veicoli di categoria M1 (destinati al trasporto di persone, aventi al massimo 8 posti a sedere oltre al sedile del conducente), anche elettrici o ibridi plug-in, si applica l'ulteriore li mite di potenza massima pari a 105 kW. Viene, quindi, previsto un innalzamento del rapporto peso/potenza del 50%;  - Sul concorso formale di violazioni:  Nell'art. 198 C.d.S. vengono apportate importanti modifiche di metodo. Il cumulo giuridico applicato al concorso eterogeneo viene limitato all'ipotesi in cui la violazione delle diverse disposizioni avvenga su “un unico tratto stradale, compreso tra due intersezioni, o sezione stradale”. Inoltre, l'accertamento, attraverso dispositivi di controllo da remoto, di violazioni plurime agli artt. 6 e 7, nella medesima ZTL, area pedonale urbana o nel medesimo tratto di strada su cui insiste una stessa limitazione o uno stesso divieto, comporta l'applicazione di 1 sola sanzione per ciascun giorno.  Infine, il controllo in uscita dei veicoli da: centri storici, ZTL, aree pedonali, piazzole di carico e scarico di merci, corsie e strade riservate, con i dispositivi elettronici, nel caso di divieti e limitazioni variabili nel tempo, può essere attivato solo in condizioni di regolare circolazione, per essere disattivato qualora eventi eccezionali e straordinari determinino l'involontaria permanenza dei veicoli a causa di imprevedibili rallentamenti dei flussi di traffico. Nel caso di controllo della durata di permanenza, si applica una tolleranza pari al 10% del tempo di permanenza consentito; - Sull'esecuzione forzata: Nell'art. 27 legge 689/1981, che stabilisce che il ritardo nel pagamento della sanzione amministrativa comporta una maggiorazione di 1/10 per ogni semestre a decorrere da quello in cui la sanzione è divenuta esigibile, è inserito un periodo a tenore del quale, per le violazioni previste dal codice della strada, la maggiorazione non può superare i 3/5 dell'importo della sanzione. Queste sono le principali novità apportate al Codice della Strada e come sempre rimango in attesa delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

08/12/2024 10:10
Parcheggia l'auto davanti al passo carrabile del vicino di casa: rischia il carcere

Parcheggia l'auto davanti al passo carrabile del vicino di casa: rischia il carcere

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente vicende riferite ai rapporti interpersonali tra i vicini che spesso degenerano con condotte penalmente rilevanti. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Sarnano che chiede: "Chi ostacola l’ingresso del vicino di casa con l’auto può andare incontro a delle responsabilità penali?" Il caso di specie ci porta ad analizzare una vicenda recentemente risolta in Cassazione che ha visto protagonista un vicino di casa che davanti al passo carrabile altrui aveva parcheggiato la propria auto impedendone così il passaggio. A tal proposito risulta utile ricordare l’articolo 610 del codice penale e precisamente il reato di violenza privata, secondo il quale, "chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni". Secondo la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza prevalente la violenza non si esaurisce nelle sole condotte consistenti nell'impiego di energia fisica nei confronti di una persona (cosiddetta violenza propria), ma si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libertà di determinazione e di azione l'offeso il quale sia pertanto costretto a fare tollerare od omettere qualche cosa contro la propria volontà (cosiddetta violenza impropria) anche per mezzo dell'utilizzo di mezzi particolarmente insidiosi - quali la narcosi, l'ipnosi, i lacrimogeni, eccetera - che comunque pongono la vittima in uno stato di incapacità di volere ed agire. Lo stesso consolidato orientamento giurisprudenziale ritiene idonea ad integrare il reato di violenza la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo alla parte lesa di procedere, considerato che ai fini della configurabilità del delitto in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l'offeso della libertà di determinazione e di azione (Cass. n. 21779/2006; Cass. n. 40983/2005; Cass. n. 8425/2014). Così come, integra il delitto di violenza privata la condotta di chi alla guida del proprio veicolo, compie deliberatamente manovre tali da interferire significativamente nella guida di altro utente della strada, costringendolo ad una condotta diversa da quella programmata (nella specie, l'imputato, con il proprio veicolo, aveva superato quello della persona offesa, per poi sbarrarle la strada ed impedirle di andare nella direzione desiderata).  Pertanto, in risposta alla nostro lettore risulta corretto affermare che: "Il reato di violenza privata può essere commesso anche con l'auto, quando la stessa viene posta davanti al punto di ingresso e uscita di un edificio, impedendo così il passaggio, tanto più se in presenza di un passo carrabile" (Cass. Pen., sentenza n. 22594/2022). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

01/12/2024 10:20
Provoca un incidente e il tagliando assicurativo dell'auto è palesemente falso: chi paga?

Provoca un incidente e il tagliando assicurativo dell'auto è palesemente falso: chi paga?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la controversa tematica, relativa alla responsabilità delle compagnie assicurative in caso di sinistro stradale, e in alternativa, la possibilità di attivazione del Fondo di Garanzia vittime della strada. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Sarnano, che chiede: "In caso di sinistro stradale provocato da un veicolo sprovvisto di assicurazione o munito di tagliando assicurativo falso, è comunque responsabile la compagnia assicurativa del soggetto che ha provocato l’incidente, oppure si può essere indennizzati direttamente dal Fondo di Garanzia vittime della strada?".  Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione molto dibattuta, relativa alla responsabilità colposa delle compagnie assicurative, nonché circa le condizioni e modalità di attivazione del c.d. Fondo di Garanzia, facendo particolare riferimento all’art. 283 C.d.A., che disciplina in modo chiaro, le circostanze in cui il Fondo interviene ad indennizzare il soggetto danneggiato nella misura stabilita in sede di formulazione della relativa offerta, statuendo testualmente quanto segue:  "Il Fondo di garanzia per le vittime della strada, costituito presso la Consap, risarcisce i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è l'obbligo di assicurazione, nei casi in cui: a) il sinistro sia cagionato da veicolo o natante non identificato; b) il veicolo o natante non risulti coperto da assicurazione;c) il veicolo o natante risulti assicurato presso una impresa in stato di liquidazione coatta o vi venga posta successivamente;d) il veicolo sia posto in circolazione contro la volontà del proprietario, dell’usufruttuario, dell’acquirente con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria".  Inoltre, per il caso specifico di sinistro con veicolo provvisto di tagliando assicurativo falso e dunque, privo di idonea copertura assicurativa, rientrante nella categoria di cui alla lettera b), è opportuno operare una precisazione, poiché in tal caso, infatti, così come stabilito dall’art. 127 C.d.A, la compagnia di assicurazione del soggetto danneggiante risulterebbe responsabile per il solo fatto del rilascio di contrassegno assicurativo ed indipendentemente dall’inefficacia o dall’invalidità del rapporto di assicurazione, pure in ipotesi di contrassegno contraffatto o falsificato. Salvo che l’assicurazione stessa dia prova dell’insussistenza di una propria condotta colposa, tale da ingenerare in capo al danneggiato, l’incolpevole affidamento in merito alla sussistenza del rapporto assicurativo; in tale ultimo caso, dunque, ad operare sarà il Fondo di Garanzia.  La questione è stata infatti affrontata dalla Corte di Cassazione, con l’Ordinanza, n. 6300/2019, la quale ha fatto luce su tale controversa fattispecie, pronunciandosi in merito ad una questione analoga e consolidando un prezioso principio di diritto. Difatti, nel caso di specie, sia il Giudice di Pace che il Tribunale adito in funzione di Giudice di Appello, avevano rimproverato al danneggiato che aveva subito dei danni a causa di un sinistro avuto proprio con un veicolo munito di un tagliando falso, di aver attivato direttamente il Fondo di Garanzia per le vittime della strada, anziché promuovere preventivamente una causa di risarcimento avverso la compagnia di assicurazione falsamente indicata nel tagliando, sulla base di un autonomo convincimento circa la palese falsità del contrassegno in oggetto.  Al contrario, la Suprema Corte adita, ha cassato tale pronuncia, stabilendo il principio di diritto secondo il quale: "Non sussiste per il danneggiato la necessità di citare autonomamente l’assicurazione apparentemente titolare del contrassegno assicurativo, allorchè la prova della falsità o comunque della non attribuibilità del tagliando assicurativo all’assicurazione citata, emerga dagli atti del giudizio promosso nei confronti del Fondo Vittime della Strada, per essere stata dal danneggiato spontaneamente e preventivamente accertata, rendendo superflua l’instaurazione di un autonomo giudizio nei confronti dell’apparente compagnia, la quale si limiterebbe ad invocare il fatto notorio della falsità del contrassegno" (Corte di Cass.; Sez. III Civ.; Ord. n. 6300; dep. 05.03.2019). Per tali motivi, in risposta alla domanda della nostra lettrice, in caso di sinistro con veicolo sprovvisto di idonea copertura assicurativa o munito di tagliando palesemente falso, il soggetto danneggiato potrà attivare direttamente la procedura di indennizzo nei confronti del Fondo di Garanzia con le modalità previste dal codice delle assicurazioni, il quale fornirà una copertura dei danni in base all’offerta di indennizzo di volta in volta formulata, senza dover preventivamente citare per il risarcimento dei danni, la compagnia assicurativa falsamente indicata, dal momento che, dato l’immediato accertamento circa la palese falsità del contrassegno assicurativo, non appare in nessun caso ipotizzabile una responsabilità colposa in capo alla stessa.  Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.  

24/11/2024 09:40
La gelosia può giustificare gli atteggiamenti aggressivi del marito verso la moglie?

La gelosia può giustificare gli atteggiamenti aggressivi del marito verso la moglie?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, "Chiedilo all'avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato maggiormente le problematiche relative ai rapporti di coppia e nello specifico gli atteggiamenti tenuti. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Macerata che chiede: "Il marito è giustificabile se tiene atteggiamenti maltrattanti nei confronti della moglie per gelosia?" A tal proposito risulta utile portare una recente vicenda risolta poi in Cassazione che ha riguardato i comportamenti tenuti dal marito tra le mura di casa nei confronti della moglie dai connotati aggressivi a causa di un’assurda gelosia connessa, nell’ottica difensiva, anche ai comportamenti della donna. A fronte della specifica obiezione proposta dal marito, i Giudici di Cassazione ribattono in modo netto: è incontestabile, spiegano, «la non riconoscibilità di alcun valore morale o sociale alla gelosia», con conseguente «incompatibilità della provocazione con il reato di maltrattamenti». In particolare, i Giudici ribadiscono il principio secondo cui «il movente della gelosia non riveste quelle caratteristiche di altruismo e di nobiltà che costituiscono il presupposto per la configurabilità dell'attenuante» prevista in caso di azione criminosa commessa per «un motivo di particolare valore morale o sociale». Al contrario, «la gelosia costituisce uno stato passionale sfavorevolmente apprezzato dalla comune coscienza etica, essendo espressione di un sentimento egoistico tutt'altro che nobile ed elevato», sottolineano i Giudici. E in questa ottica viene anche ribadita «l'incompatibilità della circostanza attenuante della provocazione con un reato di natura abituale quale il delitto di maltrattamenti, essendo questo connotato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici». Difatti, l'essere preda della gelosia non potrà mai giustificare né rendere meno gravi i comportamenti aggressivi tenuti dal marito nei confronti della consorte. Pertanto, in risposta alla nostra lettrice si può affermare che: “In tema di maltrattamenti in famiglia, ai fini della configurabilità delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 n. 1 e 2 c.p., il movente della gelosia non riveste quelle caratteristiche di altruismo e di nobiltà che costituiscono il presupposto per la configurabilità dell'attenuante del motivo di particolare valore morale o sociale, prevista dall'art. 62 n. 1, c.p., ma, al contrario, costituisce uno stato passionale sfavorevolmente apprezzato dalla comune coscienza etica, essendo espressione di un sentimento egoistico tutt'altro che nobile ed elevato che si estrinseca attraverso l'annientamento della vittima tanto da rendere configurabile l'aggravante dell'aver agito per motivi futili o abietti, di cui all'art. 61, n. 1, c.p. (Cassazione penale sez. I, 07/07/2023, n.36364)". "Va, infine, ribadita l'incompatibilità della circostanza attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2, c.p., con un reato di natura abituale quale il delitto di maltrattamenti, essendo questo connotato dalla reiterazione nel tempo di comportamenti antigiuridici" (Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n.22374/2023). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.                 

17/11/2024 10:18
"Ti sposo, ma è solo per prova": il marito può chiedere il risarcimento?

"Ti sposo, ma è solo per prova": il marito può chiedere il risarcimento?

Torna come ogni domenica la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana "Chiedilo all'Avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa ai rapporti interpersonali e nello specifico alle problematiche inerenti le separazioni dei coniugi. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Civitanova Marche che chiede: "Se la moglie contrae comunque matrimonio nonostante l’incertezza dei propri sentimenti verso il futuro marito e poco dopo infatti viene lasciato il marito ha diritto ad un risarcimento danni?".  Il caso di specie ci porta ad analizzare una vicenda di recente affrontata dalla Suprema Corte nella quale, a sei mesi dalle nozze, lei chiede e ottiene in un Tribunale ecclesiastico la nullità del vincolo matrimoniale. A tale scopo sono decisive le parole della donna, la quale riconosce di «avere escluso il bene della indissolubilità del matrimonio e di essersi sposata con l'intenzione di rimanere tale per lo stretto tempo necessario a fare una prova, onde verificare se l'unione potesse reggere», e spiega che «tale intendimento» è stato da lei «totalmente sottaciuto al marito, che ne è venuto a conoscenza soltanto in occasione della causa canonica per la nullità del matrimonio religioso». A fronte di tale quadro, il marito reagisce citando in giudizio la moglie al fine di ottenere un adeguato risarcimento, addebitandole la colpa di «avergli celato la determinazione di sposarsi per prova». Per i giudici di merito però, la pretesa avanzata dall'uomo è priva di fondamento. Così, sia in primo che in secondo grado, si vede respinta la richiesta risarcitoria avanzata. In Tribunale e in Appello infatti, i giudici sottolineano «l'irrilevanza per l'ordinamento italiano dell'esistenza di una causa di invalidità del matrimonio religioso». La vicenda finisce in Cassazione, e gli stessi magistrati pongono in evidenza, come fatto anche dai giudici d'Appello, «l'assenza di un comportamento da parte della donna che possa essere configurato quale produttivo di un danno ingiusto, o altrimenti pregiudizievole sulla base di una sorta di responsabilità prenegoziale». L'assunto di fondo dell'uomo è «la denuncia della portata dannosa della mancata comunicazione da parte di uno dei coniugi, prima della celebrazione delle nozze, della riserva mentale di contrarre il matrimonio per prova, ossia quale esperimento derivante dalla condizione di incertezza della futura sposa circa la possibilità dell'insorgenza di fatti che avrebbero potuto rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza». Per quanto concerne la responsabilità risarcitoria per la mancata comunicazione, da parte della donna, della riserva mentale sulla possibile dissolubilità del matrimonio a causa del ravvisato concreto rischio di emersione di fatti che avrebbero potuto rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Rischio che la futura sposa si era rappresentata al punto di contrarre il matrimonio per prova, i magistrati osservano che «la libertà matrimoniale è un diritto della personalità, sancito anche dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo» e «benché il matrimonio sia un atto di autonomia privata, non può esservi attribuito l'effetto impegnativo del vincolo» previsto in materia di efficacia dei contratti, anche perché non si può ignorare l'esistente «diritto di chiedere la separazione giudiziale al cospetto di un fatto tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza». Non a caso, in materia di famiglia è previsto «il diritto di ciascun coniuge, a prescindere dalla volontà o da colpe dell'altro coniuge, di separarsi e divorziare, in attuazione di un diritto individuale di libertà riconducibile alla Costituzione». Per fare chiarezza poi, sottolineano che «l'atto di impegno matrimoniale è rimesso alla libera e responsabile scelta del soggetto, quale espressione della piena libertà di autodeterminarsi al fine della celebrazione del matrimonio». »Tale libertà non può essere limitata da un obbligo giuridico di comunicare al proprio coniuge uno stato soggettivo quale l'incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale, avvertendo il soggetto il rischio concreto della sua dissoluzione ed effettuando la scelta matrimoniale nella consapevolezza di tale rischio, ciò che in altri termini comporta un tentativo o prova di convivenza matrimoniale - si legge ancora -. Affinché tale libertà non sia compromessa dall'incombenza di una conseguenza quale la responsabilità risarcitoria derivante dall'inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale». Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore e in adesione con il più autorevole orientamento della Suprema Corte, si può affermare che «la riserva mentale circa la concreta possibilità della dissoluzione del matrimonio è così improduttiva di effetti per l'ordinamento italiano, sia dal lato del coniuge portatore della riserva, che non può avvantaggiarsene fino a conseguire la nullità del matrimonio – in conformità, del resto, alla generale irrilevanza della riserva mentale in materiale negoziale –, sia dal lato dell'altro coniuge, che non è titolare di un interesse meritevole di tutela risarcitoria per l'ordinamento, per avere fatto affidamento sulla mancanza di quella riserva» (Cass. Civ. Sez. III, Ord. 05.11.2024 n. 28390). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

10/11/2024 10:10
Responsabilità medica: quando il ritardo diagnostico giustifica il risarcimento

Responsabilità medica: quando il ritardo diagnostico giustifica il risarcimento

Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla responsabilità medica per danno da ritardata diagnosi. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Macerata che chiede: “In quali circostanze è possibile richiedere il risarcimento danni al medico che ha ritardato la valutazione diagnostica di una malattia?”. Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente sensibile, su cui ha avuto modo di pronunciarsi la Suprema Corte con sentenza n. 8461/2019, in una causa che ha riguardato la morte di una paziente alla quale era stato diagnosticato tardivamente un male di natura maligna. In tale circostanza, nella valutazione circa l’eventuale responsabilità del medico che aveva eseguito la prima visita alla paziente, la Corte di Cassazione si è uniformata a quanto enunciato dalle Sezioni Unite nel 2008 con la sentenza n. 576, ovvero che: “ In tema di responsabilità civile, il nesso causale tra la condotta o l’omissione illecita ed il danno ingiusto, inteso quale fatto materiale (c.d. “nesso di causalità materiale”), va accertato secondo le regole dettate dagli artt. 40 e 41 c.p., per effetto dei quali, tale nesso di causalità va escluso solo quando, al momento in cui è stata tenuta l’azione o l’omissione, l’evento di danno appariva assolutamente imprevedibile ed inverosimile, alla luce delle migliori conoscenze scientifiche del momento” (Cass. Civ. Sez. Un. Sent. n. 576/2008). Difatti, in base a tale orientamento, per un’idonea valutazione circa la responsabilità del soggetto autore dell’azione o dell’omissione, deve necessariamente sussistere un’indissolubile relazione tra tale condotta e l’evento dannoso verificatosi, nel senso che se fosse possibile eliminare astrattamente la prima, ovvero l’azione o l’omissione, il danno non si sarebbe realizzato. Inoltre, nel caso che ci occupa, deve essere compiuta un’ulteriore valutazione, in relazione alla circostanza per la quale, anche nell’ipotesi in cui tale epilogo, ovvero l’evento dannoso, si sarebbe comunque verificato, se è dimostrato che la condotta attiva od omissiva del soggetto in questione ha in ogni caso aggravato o velocizzato il procedimento di accadimento di tale evento, è sempre ravvisabile una responsabilità in capo a quest’ultimo, risarcibile in ambito civile sia in termini di danno patrimoniale, sia in quelli di danno non patrimoniale. Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore e in adesione con il più autorevole orientamento della Suprema Corte, si può affermare che: “E’ configurabile il nesso causale tra il comportamento omissivo del medico ed il pregiudizio subito dal paziente, qualora attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si ritenga che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi”; aggiungendo inoltre che, in tali circostanze, “Si dovrà applicare la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non” al nesso di causalità, fra la condotta del medico e tutte le conseguenze dannose che da essa sono scaturite" ( Cass. Civ.; Sez. III, Sent. n. 8461/2019; n. 10978/2023). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

03/11/2024 10:12
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