
L'Arte di Essere Felici

Paura d'amare e la tentazione di vivere: l'eterna lotta tra impulso e razionalità
Una sera d’estate come tante…poi Lui, un perfetto estraneo,la guarda dritto negli occhi,un sorriso, un colpo al cuore.Ecco ci risiamo!L’ipotetico inizio di molte relazioni. Il primo istinto, dono di una saggezza ancestrale, le suggerisce di scappare.Così, con cavalcata sicura ed indipendente, Lei si dirige verso l’uscita del locale.Lotta contro ogni cellula del suo corpo che vorrebbe restare, mentre Lui con la testa le fa cenno di non andare. Sempre la stessa domanda: "Rischio?"La possibilità di soffrire è alta, anzi altissima e l’ascendente di quello sconosciuto su di lei è tanto forte quanto la paura che l’attanaglia e la blocca.Poi c’è quella vocina subdola che la illude e che le bisbiglia che esiste anche la remota eventualità di essere felice. Persa in questo brulichio mentale percorre almeno un chilometro, per assicurarsi di essere lontana da ogni tentazione di vivere.Poi comincia a rallentare, non sa esattamente dove andare, mentre è in corso una battaglia intestina contro se stessa. C’è festa ovunque, la gente è allegra, è in vacanza. Cerca di distrarsi, si ferma al bar di un amico, beve un drink, chiacchiera apatica con alcuni presenti, clienti abitudinari.La sua testa è ancora là, da un perfetto estraneo con cui ha scambiato poche battute.Passa mezz’ora, poi un’ora, prova ad allontanare il pensiero, osserva i volti dei passanti che ridono spensierati:un papà con la bimba in braccio, la mamma spinge il passeggino con al suo interno una bambola dai capelli rossi, che sporge a testa in giù verso la ruota posteriore.Anche Lei si sente come quel giocattolo, a testa in giù, completamente sopraffatta dalle sue fragilità. Poi arriva Francesco, il complice di avventure estive che, inconsapevole, con aria leggera, le chiede di accompagnarlo da un suo amico che lo sta aspettando proprio lì, dove ha lasciato Lui. L’Universo le sta inviando un messaggio?Forse una seconda possibilità?!L’alibi è servito!Così eccola a ripercorrere la strada a ritroso, in un misto tra eccitazione e terrore. Lei arriva, quando lo vede da lontano, si blocca, si ferma al bancone, nel frattempo lui si volta e in un istante è da lei.È confusa, non riesce a proferire parola, un’emozione sconosciuta le sale in gola, lui le parla, lei annuisce al nulla.Nella sua testa nessun pensiero utile, se non la pellicola di tutti i fallimenti delle storie passate. Pian piano la presenza dell’uomo riesce a placare la sua Anima, lei, unica eroina di questa storia, così audace nel condurla a superare quella paura che l’ha protetta in un’apparente, rassicurante solitudine. È l’inizio di un nuovo viaggio, ormai inevitabile, non sa dove la porterà, ma necessario per andare oltre.

Settembre, il tempo di lasciare andare e rinascere
Settembre è aria leggera, cielo terso, mare blu.E’ quiete dopo il fragore estivo, vuoto fecondo, pronto ad accogliere il nuovo.E’ pace in cui ritrovarsi.La natura rallenta il suo passo, il sole si perde piano all’orizzonte e l’aria punge sui corpi estivi ancora caldi. Dopo il tempo sospeso dell’estate che ci ha sedotto di libertà, la mente torna all’ordine.Il ticchettio dell’orologio si fa nitido e presente.Settembre ci richiama ad un nuovo inizio, è l’ora del rientro alle nostre case. Delicata compagna di questo mese è la malinconia, custode silenziosa di frammenti d’estate che ci hanno sfiorato e cambiato.L’abitiamo fiduciosi, lasciandoci guidare verso ulteriori consapevolezze. Nuove conoscenze ed esperienze ci hanno trasformato, rendendo il ritorno alla nostra vita non più comodo come prima.In questo spazio di mezzo, tra l’estate e l’autunno prendono forma progetti e propositi. Ancora inebriati dagli ultimi guizzi estivi, settembre ci preannuncia la strada verso un tempo più maturo, ci invita ad una pulizia psichica e al raccolto di ciò che siamo diventati.L’estate ci ha fatto dono del distacco dalla quotidianità, che ora ci permette di osservare la realtà con più chiarezza: è il momento del bilancio che porta con sé selezione e scelta. Settembre, come ogni ripartenza ci sollecita ad alleggerire il bagaglio: a lasciare andare un’illusione, un amore, un’attesa.Ci offre lo spazio per comprendere cosa è rimasto in sospeso e ciò che, invece, si è compiuto dentro di noi. Se l’estate è il fuoco della forza, il tempo dei frutti maturati e raccolti, settembre annuncia una fragilità dell’anima che cerca in sé stessa risposte inedite. E’ il punto di svolta tra il conosciuto e l’ignoto.Il ritorno a sé dopo la dispersione.E’ qui che nascono nuovi equilibri.E’ qui che settembre ci richiama alla verità.

Congruenza o coerenza: essere o apparire fedeli a sé stessi?
Nel linguaggio comune utilizziamo i termini congruenza e coerenza come se fossero intercambiabili. In realtà, in ambito psicologico, si tratta di due concetti distinti, spesso complementari, che riguardano le dinamiche interne dell’essere umano. La congruenza rappresenta l’ allineamento tra pensieri, emozioni, parole ed azioni. E’ l’espressione di un’ integrità, grazie alla quale la persona riesce a manifestare in modo autentico la propria essenza, vivendo in uno stato di armonia interiore. Essere congruenti comporta aver compiuto un lavoro di consapevolezza su ciò che si prova e si desidera, per poter esprimere sé stessi nella propria autenticità, evitando di inviare al mondo messaggi confusi o contraddittori. Significa essere in linea tra la propria esperienza interna e la sua espressione esterna. Quando ciò non accade, emerge una sorta di dissonanza, una sensazione di scollamento tra ciò che si è e ciò che si mostra. Diverso è il concetto di coerenza, che appartiene maggiormente alla sfera logica. Si esprime in un contesto pubblico in cui una persona mostra pensieri e comportamenti uniformi in diverse situazioni nel corso del tempo. In questo senso, la coerenza crea l’immagine di una condotta stabile e prevedibile ed è spesso associata ad un riconoscimento sociale di affidabilità. Tuttavia se ciò può apparire un valore positivo, col tempo potrebbe trasformarsi in una gabbia. Per mantenere una coerenza esteriore si rischia di sacrificare la propria congruenza interiore. Può, infatti, succedere di essere fedeli e coerenti con i propri ideali, senza però sentirsi in sintonia con le emozioni autentiche del momento. Immaginiamo una persona che si sforza di rimanere paziente, perché in linea con un valore in cui crede, provando nel contempo frustrazione o rabbia, emozioni, queste, che non si concede di riconoscere. In tal modo, pur rimanendo coerente con il proprio ideale, vive un’incongruenza interna, un disallineamento tra il sentire la frustrazione e l’agire con pazienza. Può anche accadere che in seguito ad un’ esperienza significativa, una persona possa evolvere, cambiare prospettiva, emozioni o convinzioni. Un mutamento giusto ed inevitabile che conduce ad una maggiore congruenza con il proprio sé attuale, ma che agli occhi degli altri può sembrare un segno di incoerenza. Ciò che è autentico per sé stessi può, non essere sempre comprensibile per chi ci osserva dall’esterno. Per questo motivo, se da un lato la coerenza è una qualità fondamentale per costruire e mantenere un’ identità sociale, dall’altra essere congruenti è molto importante, perché significa coltivare una connessione autentica con sé stessi per poter coltivare relazioni più genuine. Entrambe sono necessarie e richiedono equilibrio, perché un’ eccessiva congruenza può rendere difficile costruire un’immagine stabile nel tempo, mentre una coerenza troppo rigida rischia di ostacolare il cambiamento, imprigionandoci in convinzioni radicate e poco realistiche in un mondo in continua trasformazione. Se la congruenza nutre la nostra essenza, la coerenza sostiene l’ identità sociale. Trovare un’armonia tra le due dimensioni significa restare fedeli alla propria storia, senza rinunciare all’autenticità. Il nostro benessere psicologico nasce proprio da questo equilibrio sottile: essere integri senza smettere di essere veri.

Quando il corpo parla e si trasforma nel manifesto di un dolore silenzioso: cibo, emozioni e bisogno d’amore negli adolescenti
Esistono molti modi per interagire con il mondo, uno di questi è il cibo. Ciò che mangiamo e come lo mangiamo può riflettere la nostra maniera di relazionarci con gli altri. Nei giovani il cibo può trasformarsi in uno strumento silenzioso ma potente per comunicarci che qualcosa nelle relazioni, soprattutto con la famiglia, non sta funzionando. Il controllo sul cibo e quindi sul proprio corpo è lo strumento attraverso cui esprimere un dolore profondo. Quando questo accade, i genitori vengono travolti da uno stato di ansia e di frustrazione che, se non gestite, vanno ad alimentare sempre più la distanza. In tale situazione i genitori hanno il compito di comprendere cosa sia successo all’interno delle dinamiche familiari che possano aver interrotto il dialogo ed incrinato la relazione. Le ossa che sporgono troppo dalla pelle, rappresentano una richiesta d’aiuto disperato. I figli parlano attraverso il loro corpo quando le parole non trovano spazio o ascolto. Quel corpo che dovrebbe essere simbolo di libertà, vitalità e bellezza si trasforma nel manifesto di un dolore silenzioso. Una sofferenza che si custodisce con determinazione, perché finché resta lì, impressa nella carne, riesce ad avere voce, una voce che esprime parole non dette e che ti pone al centro dell’attenzione. In tal modo il sintomo di questa disfunzione nutre più di ogni cibo: alimenta il bisogno di essere visti, accolti e compresi. Nelle ragazze, soprattutto in una cultura che da sempre pone il corpo femminile al centro dei riflettori, la fisicità diventa un vero teatro di conflitto. Il corpo si trasforma in un mezzo di comunicazione e, talvolta, di rappresaglia nei confronti dell’altro. L’anoressia può diventare un tentativo di riscatto: se sto male, esisto, se sto bene rischio di sparire. In questa caduta silenziosa e a volte invisibile si nasconde il bisogno di affermare la propria esistenza. Così la sofferenza diventa lo strumento per ottenere uno sguardo, una risposta, una conferma. Il malessere è il grido di dolore che implora amore e la guarigione comincia quando ci si permette di chiedere affetto senza dover soffrire, quando si scopre che si può essere degni di attenzione e di cura anche nel benessere e che il diritto di esistere non è legato al dolore, ma semplicemente all’essere autentici e vulnerabili. L’anoressia femminile, in particolare nell’adolescenza, può rappresentare un primo tentativo di riscatto, un gesto estremo, che nella sua drammaticità, può diventare il preludio ad un'emancipazione, ad una nuova relazione tra corpo ed identità. Questa fragilità può essere una grande occasione di crescita, una parte da accogliere ed ascoltare per aprire ad una nuova consapevolezza di sé. Come genitori, è fondamentale essere disposti a riconoscere le nostre stesse fragilità per entrare in connessione con i nostri figli, per ascoltarli con coraggio ed umiltà. Ciò che i ragazzi chiedono non è una soluzione immediata, desiderano piuttosto presenza, di essere lì con loro a contenere e reggere quel dolore, a supportarli con amore e forza anche quando sembrano volerci allontanare, ricordandoci con il loro corpo il nostro fallimento. La grande scommessa è stare accanto per comprendere e cogliere quel dolore. Stare dentro, senza fare. Il rapporto non si misura solo nella quantità di amore o di benessere che offriamo, ma anche nella profondità della connessione con la loro testa ed il loro cuore. È, inoltre, urgente liberare i giovani dalla trappola della performance. Corrono il rischio di restare schiacciati da un’idea di sé che si costruisce solo sul fare, mentre manca lo spazio per ascoltarli nella loro essenza, per guidarli a coltivare desideri ed emozioni. La società insegna molto a conoscere e poco ad essere. I ragazzi hanno infinite informazioni ma non sanno come organizzarle, perché manca loro un orientamento interiore che li conduca verso i loro desideri. È qui che nasce la dissociazione tra ciò che sanno e ciò che non sanno desiderare, tra conoscenza ed identità. Per aiutare i nostri figli, dobbiamo imparare ad ascoltarli anche quando tacciono. Dobbiamo aiutarli a sentire che possono esistere anche senza soffrire e che meritano di essere amati anche nella gioia. Ma in primo luogo dobbiamo essere noi disposti a guardarci dentro, ad accettare e a condividere le nostre fragilità per cambiare insieme.

Inseguire o attrarre nelle relazioni: due stati dell'essere
Nelle relazioni affettive esistono due dinamiche fondamentali: inseguire e attrarre. Non sono solo due comportamenti, ma veri stati interiori dell’essere. Chi insegue ha bisogno di colmare un vuoto alla ricerca di quelle conferme ed amore che non riesce a trovare dentro di sé. Chi attrae, invece, lo fa naturalmente perché ha una pienezza interiore che trova le sue radici in un percorso personale di consapevolezza ed accettazione. Una centratura che genera sicurezza e serenità nel rapporto con l’altro, basato sulla reciprocità e non sulla dipendenza. Una sorta di leggerezza che viene trasmessa da chi è appagato dalla propria vita e si sente completo in sé. Proprio tale completezza esercita un fascino silenzioso, capace di generare legami più autentici e duraturi. Dall’altra parte, il desiderio di approvazione e riconoscimento conduce ad una forma di schiavitù emotiva, che alimenta ansia e un persistente senso di non appartenenza. Inseguire qualcuno all’interno di una relazione, spesso nasconde dinamiche psicologiche profonde, legate ad insicurezze tipiche di uno stile di attaccamento ansioso. Chi presenta questo schema relazionale tende a cercare rassicurazioni nel tentativo di placare la paura del distacco o dell’abbandono. Colui che insegue, in realtà tende ad essere rivolto più all’esterno: cerca di soddisfare i bisogni dell’altro, nella speranza di essere visto, riconosciuto e ritenuto degno d’amore. In questa dinamica si perde progressivamente il contatto con l’identità più autentica. Quando non si ha una reale conoscenza dei propri desideri, si vive in una sorta di anestesia emotiva che offusca la capacità di riconoscere e ascoltare i bisogni. Si finisce per trascurare il benessere personale, convinti che si possa star bene solo in presenza dell’altra persona. Quest’idea portata all’estremo, può sfociare in una dipendenza affettiva. La persona perde vitalità e luce, dimenticando progressivamente quei valori e talenti che le rendono unica. Il cambiamento avviene quando si comprende che la propria esistenza non dipende da nessuno, se non da se stessi. In quel momento lo sguardo si sposta dall’esterno verso l’interno, si inizia a costruire uno spazio interiore fatto di consapevolezza e rispetto per se stessi Impariamo a stabilire confini sacri e a riconoscere ciò che ci nutre e ciò che ci svuota, scopriamo così che si può stare bene anche nella solitudine. Questo passaggio implica un percorso che parte dall’accettazione delle proprie fragilità: si impara ad attraversarle e a trasformarle in forza. Tanto più l’essere umano si dedica alla crescita interiore, tanto più sviluppa un senso di completezza che diventa la forma più autentica di attrazione. L’armonia interiore richiama inevitabilmente ciò che le è affine e la connessione nasce da un equilibrio e non da una mancanza.

"Un tempo piccolo" di Franco Califano: la confessione musicale di un’anima inquieta
Franco Califano, Alberto Laurenti ed Antonio Gaudino sono gli autori di una poesia in musica che con parole delicate e profonde ci rivela quel momento fugace in cui qualcosa dentro di noi cambia per sempre. E’ l’istante n cui si svela una nuova consapevolezza. Una confessione struggente che cattura un frammento di esistenza spesa fuori dagli schemi, ma pienamente autentica. Nei versi il rimpianto, quasi amico, di chi ha vissuto tutto con intensità e che ora guarda al passato con la sincerità di chi sa che ogni errore ha avuto il suo senso. Il testo cita:"Diventai grande in un tempo piccoloMi buttai dal letto per sentirmi liberoMi truccai il viso come un pagliaccioE bevvi vodka con tanto ghiaccioScesi nella strada, mi mischiai nel trafficoRotolai in salita come fossi magicoE toccai la terra rimanendo in bilicoMi feci albero per oscillareTrasformai lo sguardo per mirare altroveE provai a sbagliare per sentirmi erroreDipinsi l’anima su tela anonimaE mescolai la vodka con acqua tonicaE pranzai tardi all’ora della cenaE mi rivolsi al libro, come ad una personaGuarda le tele con aria ironicaE mi giocai i ricordi provando il rischioPoi di rinascere sotto le stelleDimenticai di colpo un passato folleIn un tempo piccoloIngannai il dolore con del vino rossoE multai il mio cuore per qualunque eccessoMi addormentai con un vecchio discoRaccontai una vita che non riferiscoRaccolsi il mondo in un pasto mistoDipinsi l’anima su tela anonimaE mescolai la vodka con acqua tonicaE pranzai tardi all’ora della cenaMi rivolsi al libro come ad una personaGuardai le tele con aria ironicaE mi giocai i ricordi provando il rischioPoi, di rinascere sotto le stelleDimenticai di colpo, un passato folleIn un tempo piccoloE mi giocai i ricordi provando il rischioPoi di rinascere sotto le stelleDimenticai di colpo, un passato folleIn un tempo piccolo" Con toccante malinconia Califano ci conduce in un momento di intima rivelazione. E’ quel tempo sospeso, che si consuma spesso nel silenzio delle nostre stanze. Una ricerca di senso a ciò che siamo stati, alle scelte forse avventate, vissute con libertà e poca misura. Riemergono, così, frammenti di esperienze vissute non sempre felici ma autentiche. Quando l’autore scrive “ diventai grande in un tempo piccolo”, sembra suggerire una crescita improvvisa dovuta ad un’esperienza profonda e trasformante. Nelle sue parole “Mi truccai il viso come un pagliaccio…pranzai tardi all’ora della cena…mescolai la vodka con acqua tonica” ci evoca immagini disordinate che raccontano una quotidianità vissuta al limite tra ironia e abbandono. C’è un’urgenza di libertà al limite dell’autolesionismo. Una ribellione ad ogni schema, come se solo nel disordine fosse possibile esprimere la propria verità. Dietro un’apparente leggerezza e sottile ironia si cela il dolore di un profondo sentire umano. Un viaggio interiore alla ricerca di un senso nella realtà vissuta. Nella frase “provai a sbagliare per sentirmi errore…” c’è l’identificarsi con la caduta come atto coraggioso di autoanalisi per giungere ad una nuova consapevolezza della propria anima “dipinsi l’anima su tela anonima”. La ricerca di conforto e di risposte nel “mi rivolsi al libro come ad una persona...” Una sensibilità che aspira ad elevarsi da tutto ciò che è terreno con le sue tentazioni, per accogliere la vita con nuova leggerezza. Un’anima che ora sa guardare oltre sospinta da quella magia sottile che abita nei versi “rotolai in salita come fossi magico e toccai la terra rimanendo in bilico, mi feci albero per oscillare, trasformai lo sguardo per mirare altrove”. L’amarezza per gli errori commessi si posa sulle parole “multai il mio cuore per qualunque eccesso “ ma è vivo anche il desiderio di accettare ciò che è stato e decidere di perdonarsi per rinascere sotto nuove stelle. La solitudine, compagna silenziosa della crescita si insinua tra le righe “ingannai il dolore con del vino rosso”. Questa canzone rappresenta una testimonianza umana e vera di chi non ha più niente da perdere o da dimostrare. Una persona che si svela per ciò che è con le proprie fragilità, errori e rimpianti, ma anche con accettazione lucida di un passato folle e con il desiderio di rinascere sotto nuove stelle.

L'amore maturo: come riconoscere una relazione sana
Molte persone adulte, giunte alla fine di una relazione di coppia durata anni, si trovano ad interrogarsi se saranno ancora in grado di costruire un nuovo legame in cui credere ed investire le proprie energie. Con tanta vita alle spalle si sono attraversate esperienze intense: la convivenza, la crescita dei figli, la costruzione di una casa, simbolo di una sicurezza reale o, a volte, solo apparente. Poi ad un certo punto tutto cambia, si abbandona una routine condivisa per ritrovarsi soli a fare i conti con un'inedita versione di sé. Una versione al momento più fragile ma potenzialmente più consapevole. Ci si ricostruisce un pezzo alla volta: una nuova casa, nuove abitudini, nuove amicizie. Si cresce dentro una forma di solitudine, più silenziosa e profonda. Impariamo ad amarci in modo nuovo, a prenderci cura di noi stessi con la stessa attenzione che per anni abbiamo rivolto all’altro. Il conforto, il sostegno e l’ascolto che inconsciamente aspettavamo di ricevere dalla relazione ora sappiamo donarceli da soli. Le amicizie diventano allora più che mai un punto di riferimento importante. Alimentiamo un fiuto infallibile nel riconoscere negli occhi degli altri le nostre stesse ferite che ci donano una senso di appartenenza. Poi succede che, poco a poco, dentro di noi comincia a farsi spazio una nuova sensazione, una fiducia inconscia che qualcosa di diverso potrebbe accadere, così timidamente ci chiediamo se mai potremmo essere pronti a vivere una relazione sana. Più o meno traumatizzati dalle possibili dinamiche tossiche che abbiamo già sperimentato all’interno della coppia, ci affacciamo a questa possibilità con molta cautela. Poi, come persone ormai consapevoli della propria forza e fragilità, decidiamo di rischiare. Ci mostriamo per ciò che siamo, senza più chiederci se siamo abbastanza o cercare conferma nell’altro. Sappiamo che potrebbe andar male, ma scegliamo comunque di aprirci, perché comprendiamo che la crescita passa attraverso le nostre esperienze con gli altri. Viviamo una relazione sana quando ci sentiamo a casa, al sicuro, accettati, non giudicati o sminuiti. Non dobbiamo guadagnarci l’amore, viviamo nella naturalezza e nel flusso. L’altro ci calma, ci regala centratura e rafforza la nostra identità, aiutandoci a valorizzare i nostri talenti. C’è sostegno reciproco e comunicazione leale, non per attaccare ma per ascoltare con il cuore. Ci si può allontanare sapendo di ritrovarsi, vivere insieme senza perdersi nell’altro. Il valore di ognuno viene riconosciuto senza dimostrazioni continue. I giorni difficili vengono accolti e attraversati insieme, con coraggio, per un progetto comune che unisce e sostiene. Amare di nuovo in maniera libera ed adulta, dopo aver attraversato il dolore, è un atto di coraggio, frutto di un lungo cammino che ha visto cadute e ricostruzione.

Oltre il senso visibile della realtà
L’uomo è spinto da un bisogno ancestrale di attribuire un significato alla realtà, ma non sempre è possibile svelare l’arcano. Senza una regola o uno scopo che gli conferisca appartenenza ad un sistema prestabilito di convenzioni sociali, l’essere umano prova disorientamento, come sospeso in un vuoto esistenziale. Nel silenzio e nel non fare, la mente umana si smarrisce, così l’uomo per sentirsi al sicuro e placare l’inquietudine interiore, cerca sicurezza nel rumore delle voci esterne. Nella corsa affannosa per l’approvazione altrui, insegue un’ identità che non gli appartiene, così l’illusione di una stabilità costruita sul consenso degli altri, rivela presto la sua fragilità. Rischiamo di perderci nella confusione di altre opinioni, che diventano rumore per la nostra anima. Siamo molto di più di ciò che mostriamo, siamo essenza, siamo l’ascolto silenzioso di noi stessi nella solitudine. Il ritiro si rivela una fonte svelatrice della nostra unicità, sia nelle sue fragilità che nella forza. Uscire dal confronto è una conquista difficile in un’epoca in cui ogni attimo viene manifestato. Rischiamo di restare travolti e condizionati da ideali e sogni altrui, perdendo la nostra visione. Arriva il momento di fermarci, non per cercare un senso, ma per vivere ogni esperienza con un suo significato molto più profondo di quello apparente. Lontano dal frastuono che confonde, possiamo ascoltare quella melodia, solo nostra, che ci indica la giusta strada. Proviamo ad affidarci alle coincidenze, che in realtà tali non sono, a cogliere il momento giusto e a perderci nel mistero della vita. Accogliamo le emozioni senza spiegarle, viviamo il dolore con presenza senza doverlo subito guarire, troviamo il coraggio di sperimentare, anche quando la mente ci suggerisce di scappare. Non abbiamo bisogno di essere perfetti ma di sentirci vivi, di sbagliare per poi comprendere. Non esiste il fallimento, ognuno è libero di scegliere il proprio personale successo, importante è esserci con verità. Lasciamoci attraversare dalla bellezza dell’ignoto, che racchiude in sé una saggezza antica, oltre ogni interpretazione razionale.

L'arte di annoiarsi: l'origine silenziosa della creatività
L'estate porta con sé lunghi e pigri pomeriggi, lasciando alle spalle le frenetiche giornate di una quotidianità conosciuta e rassicurante. La mente, nella sua folle corsa, di colpo, precipita nel vuoto assoluto: nessun impegno, nessuna urgenza. Ci troviamo nel non fare, si comincia ad avvertire un senso di nullità generatrice di irrequietezza, una sorta di disconnessione dalla realtà che ci spaventa. Subentra, così, la tanto temuta noia: uno stato mentale spesso frainteso, a volte considerato un fastidio, ma che in realtà nasconde una spiegazione psicologica del nostro rapporto con il tempo e con noi stessi. La noia può costituire una fonte di creatività, un momento di riflessione. Lontani da distrazioni esterne, ci spinge ad esplorare il nostro mondo interiore, per cercare soluzioni di vita più stimolanti e riconsiderare scelte passate che non ci motivano più. Quando cominciamo ad avvertire disinteresse nei confronti di ciò che ci circonda, probabilmente la nostra realtà non ci rispecchia come prima. Nel momento in cui la noia diventa costante e non limitata a una situazione contingente, ci sta mettendo in contatto con una mancanza. Questo malessere è uno strumento evolutivo, che ci indica il bisogno di nuovi stimoli. Ci spinge a cambiare per riportarci sulla strada, ci dice che abbiamo perso il senso delle nostre scelte. La realtà attuale con solleciti continui ed immediati, ha reso sempre più difficile comprendere e vivere la noia. Tendiamo a riempire ogni momento, senza una reale consapevolezza, pur di non avvertire il peso del silenzio. Invece di chiederci perché ci sentiamo annoiati e cosa desideriamo fare o essere, cerchiamo l’azione senza una vera motivazione. La noia non è nemica, ma una risorsa, ci allontana dal dover agire per dare spazio all’essere. Essa genera la spinta per oltrepassare quella soglia che altrimenti non avremmo mai varcato. Un ponte verso un nuovo modo di percepire noi stessi nel mondo. L’assenza di stimoli esterni ci costringe a confrontarci con una sorta di solitudine in un tempo non definito che normalmente evitiamo di sperimentare. L’essere umano ha bisogno di questo vuoto per far emergere il potenziale che è in lui. La noia va ad infrangere abitudini e pensieri ripetitivi, facendoci assaporare una mancanza di direzione: tutto ciò che prima sembrava rassicurarci ora appare inutile ed insoddisfacente. Quello che prima aveva un senso ora non ha più significato. Arriva il momento di cambiare frequenza, per sintonizzarci su una realtà più consona a noi. È importante non combattere la noia ma ascoltarla per permetterle di darci nuovi suggerimenti. Dall’insofferenza del silenzio e dell’attesa, possiamo passare ad un risveglio con una presenza più autentica nel presente.

Il volto nascosto del traditore seriale: tra vuoti affettivi e paura dell’ intimità, un viaggio nella mente dell’infedele abituale
Approfondirò la figura dell’infedele, spostando l’attenzione dal giudizio morale, per concentrarmi soltanto su un’analisi delle dinamiche emotive ed identitarie che spingono una persona a tradire abitualmente il proprio partner. Non si tradisce soltanto per noia o per attrazione nei confronti di un’altra persona, la spinta può anche arrivare da un senso di incompletezza e vuoto psichico. In realtà non si cerca un altro ma si insegue un’ esperienza che ci faccia sentire ancora vivi e amati. Se da un lato l‘amante può costituire quell’ alternativa che ci permette di uscire da una relazione ormai finita che altrimenti non avremmo il coraggio di troncare, dall’altra invece può anche succedere che si manchi di fedeltà senza alcun desiderio di porre fine alla propria storia. In questo caso si avverte un bisogno ancora più profondo e complesso, cioè quello di scappare da sé stessi. Si cerca di sfuggire dal disagio di non riuscire a stare totalmente in una relazione seria e totalizzante, perchè questa comporterebbe un ‘intimità troppo forte ed una profondità emotiva che farebbe paura, ingestibile con i propri mezzi. La persona vive un conflitto interno, dovuto a dinamiche di attaccamento infantile che lo portano a fuggire quando il legame diventa profondo e stabile. Si ha timore di attraversare fino in fondo un amore perchè da bambini si è sperimentato un rifiuto o una freddezza che hanno portato a difendersi da eventuali esperienze simili che ci porterebbero ad un dolore troppo intenso da affrontare. In fondo il traditore è una persona fragile, che teme l’abbandono; avere altre storie gli permette, invece, di tenere alta la propria autostima alimentando una visione grandiosa del proprio io. Quali potrebbero essere i motivi che portano, nonostante tutto, l’infedele a professare amore nei confronti della/ del propria/o compagna/o? Alla base del suo comportamento ci può essere un affetto sincero condito con la paura della solitudine, un porto sicuro da cui tornare ogni volta, ma non supportato da una scelta totale e definitiva. L’infedele decide di non scegliere totalmente il suo partner, egli tiene accanto la persona senza mai donarsi pienamente. Ha bisogno di credere di avere una routine rassicurante, cercando poi fuori attenzioni e forti emozioni quando desidera sentirsi vivo. La frattura interiore è un peso con cui prima o poi la persona dovrà fare i conti, perché nel tradire l’altro in realtà inganna se stesso. Chi tradisce più volte non ama realmente né il compagno, né se stesso, cerca sollievo al proprio vuoto, senza voler guardare le proprie fragilità e bisogni per lavorarci e superarli. Non costruisce ma distrugge. Si sente libero ma in realtà vive uno stato di disconnessione interiore: da un lato la necessità di sentirsi amato e dall’altro il terrore di sperimentare l’amore puro Si alimentano esigenze che poco hanno a che fare con un sentimento vero, si parlerà di dipendenza affettiva, di una narrazione irreale della relazione in cui ci si convince che sia la storia della vita, o di paura di essere lasciati mascherata da disinteresse. Meccanismi molto distanti dal concetto di un amore adulto che richiede, invece, presenza, verità e scelta reciproca.

Parola e silenzio: il dialogo invisibile della comunicazione umana
L’interazione ritmica tra parola e silenzio rappresenta il dialogo invisibile nella comunicazione umana. Non sono opposti, ma strumenti complementari del nostro linguaggio. Gli spazi di silenzio tra le parole danno una scansione al nostro discorso, riescono a porre luce su ciò che potrebbe restare in ombra. Sono respiro nell’ascolto dell’altro, attesa nell’aiutare l’interlocutore a cercare dentro se stesso il suo significato più profondo. Dall’altra, le parole che scegliamo raccontano chi siamo, con esse diamo forma a pensieri ed emozioni, creando la nostra realtà. Possiamo dichiarare amore o guerra! Le parole hanno il potere di illuminare, confortare e salvare, oppure ferire come coltelli, farci vivere notti angoscianti o albe da cui risorgere. Quando parliamo, abbiamo la capacità di connettere le persone, avvicinare mondi diversi e apparentemente ostili, creare alleanze e complicità, oppure allontanare, provocare dolore e ferite indelebili. Come genitori, in particolar modo, abbiamo la responsabilità di scegliere con cura le frasi che utilizziamo con i nostri figli. A volte con superficialità diciamo loro: “non sei in grado, non mi fido... “ generando inconsapevolmente enormi insicurezze. Basterebbe eliminare il “non” per rafforzare e motivare le loro azioni. Poi, in mezzo al frastuono delle parole esiste un luogo incantato e sospeso, il luogo del silenzio. Concetto affascinante e profondo che, invece, la società ci ha trasmesso come qualcosa da evitare, associandolo spesso ad imbarazzo. Non siamo abituati a fermarci nella dimensione del non dire e del non fare. Abbiamo paura di stare nel vuoto, perché ci costringerebbe a fare i conti con noi stessi. Ci sono situazioni in cui la meraviglia del momento richiede soltanto l’ascolto delle emozioni che stiamo provando, qui il silenzio diventa un linguaggio molto più sapiente, quello dell’anima. Tacere può rappresentare una soglia, un confine eretto quando ogni parola risulterebbe inutile, oppure il mezzo per disinnescare una discussione nella quale scegliamo l’altro piuttosto che il nostro ego. A volte punisce, altre protegge per custodire una verità più profonda. E’ quel vuoto da colmare con tutte le parole che abbiamo scelto di non dire. Dalla danza armonica tra voce e non detto può nascere un dialogo autentico, dove le parole non sono rumore ed il silenzio non fa più paura.

Circe: la donna dietro l'incanto
Circe figlia di Elio, il Dio Sole e della ninfa Perseide è una delle protagoniste femminili più interessanti dell’Odissea: è la maga che ha il potere divino di trasformare gli uomini in animali. All’inizio la conosciamo come una donna affascinante che incarna la seduzione femminile, in grado di manipolare gli uomini con le sue arti magiche, riducendoli a bestie con i loro istinti primari. Poi, con stupore, vediamo fiorire una donna innamorata che sa accogliere, curare per poi lasciare andare... È ambivalente: autonoma, autosufficiente e allo stesso tempo aperta ad una relazione. Per l’uomo è tentazione e pericolo ma anche possibilità di crescita. Come una vera Dea, Circe attrae con il suo canto Ulisse ed i suoi compagni, appena approdati sull’isola di Eea, per poi offrire loro una bevanda che li trasforma in bestie. Tutti mutano, tranne Ulisse che, grazie ad un’erba magica, mantiene la sua forma naturale. La maga rimane stupita da questo uomo, l’unico che non è riuscita a tenere nel recinto, che sfugge alla sua magia e che non la fa sentire onnipotente. L’unico uomo che non cambia per lei. Nasce così una storia d’amore. Quando poi la Dea comprende che Ulisse deve proseguire il suo viaggio, da conquistatrice diventa protettrice, aiutandolo ad affrontare il proseguimento della sua avventura. Lei dominatrice riesce a cambiare, offrendo l’amore più difficile, quello che ti lascia andare e che ti dona gli strumenti per crescere. Circe non ha potuto trasformare Ulisse, rimasto integro. A sua volta, lui con l’amore ha trasformato lei, insegnandole a vedere l’altro non come una preda ma come una persona libera. Lo ha sostenuto nella crescita, ha rinunciato ad averlo per sé, per lasciargli la possibilità di compiere il suo destino. Circe ci insegna quanto potere e quanta bellezza ci sono nell’accogliere il mistero dell’altro.

"Il risveglio": liberarsi dall'illusione di un amore
Come facciamo a riconoscere un amore vero da un'idealizzazione? Il confine è labile e di difficile identificazione. Il bisogno di una persona che ci protegga dalle nostre paure e che ci sostenga nel viaggio della vita, ci spinge, a volte, a costruire nell’immaginario individuale l’uomo o la donna ideale. Ci infatuiamo di chi nella realtà non esiste e proiettiamo su di lui/lei i nostri desideri più intimi. Fabbrichiamo un sogno di cui diventiamo noi stessi prigionieri. Ci soffermiamo solo su ciò che ci piace, mentre soprassediamo su segnali importanti che ci dovrebbero far riflettere sull’esistenza di una reale sintonia. Coloriamo di rosa, semplici gesti, attribuendo loro significati che non hanno, giustifichiamo così assenze e parole non dette. Portiamo avanti questa menzogna con noi stessi, fingiamo che vada tutto bene e accettiamo le mancanze dell’altro perché è più forte il bisogno di credere nella storia. Costruiamo un mondo in cui solo noi crediamo, investiamo energia per mantener viva la relazione, accontentandoci delle briciole. Così confondiamo un misero pasto con un banchetto luculliano. Sentiamo di dover guadagnare l’amore dell’altro, dimenticando i nostri veri desideri. Poi accade che un giorno la realtà si rivela con tutta la sua crudeltà: l’altro supera il nostro limite della distanza emotiva, così ciò che abbiamo sempre saputo senza volerlo accettare, diventa consapevolezza. Cominciamo a notare la discrepanza tra ciò che abbiamo sperato e ciò che accade realmente: piccole sfumature nei gesti o nelle parole diventano spilli al cuore. Dopo una prima fase di rifiuto, ci sono vari tentennamenti, in cui ci si allontana per poi riavvicinarsi, con vane speranze di un eventuale cambiamento. Fino a comprendere finalmente che ci si era innamorati di un ideale e non della persona in sé. Perdendo il sogno, perdiamo quella parte di noi che ci aveva creduto e cominciamo a rinunciare alla proiezione che avevamo fatto della nostra persona in quella storia. La finta intensità che credevamo di vivere, lascia il posto al vuoto. La disillusione pesa come un macigno e ci costringe ad ascoltare quella voce che rivendica un atto d’amore verso noi stessi. Con coraggio, cerchiamo la verità e capiamo come la necessità di sentirsi visti e scelti abbia distorto la realtà. Comprendiamo che l’amore non può essere frutto del bisogno, ma il risultato di un desiderio puro, dove c’è reciprocità e non si rincorre, un luogo sicuro in cui incontrarsi con lo stesso entusiasmo. La fase di risveglio è dolorosa , ma ci regala quella crescita che ci permette di vedere le proprie dinamiche interiori e di riconoscere il nostro valore.

Amori nell'era dei social: come le nuove comunità virtuali hanno influenzato le nostre relazioni
Ho sempre creduto che la spontaneità fosse un valore nelle relazioni, sono cresciuta con questa convinzione. Da ragazzini, quando uscivamo ed incontravamo qualcuno che potesse destare un nostro interesse, dopo una timidezza iniziale, ci si avvicinava per conoscersi. C’erano due persone che si guardavano negli occhi e che si studiavano con pudore, osservando i minimi gesti. Tra di loro non si interponeva alcun mezzo, attraverso cui rielaborare pensieri ed emozioni. Allora non esisteva lo smartphone! Il tutto avveniva in maniera abbastanza coerente: un corteggiamento iniziale, passi incerti dovuti alla scarsa confidenza, che poi nel tempo avrebbero potuto evolversi in un’amicizia, in un fidanzamento o in una semplice conoscenza. Non mancava, di certo, il gioco della seduzione, che si sviluppava in maniera armoniosa e con un'evoluzione più o meno immediata. Si assisteva ad una sorta di congruenza tra parole e comportamento. Oggi trovare la stessa spontaneità sembra faticoso. Il vecchio detto "vince chi fugge" è diventato un comportamento estremizzato e a volte manipolatorio. Molto si gioca sulla tempistica e sulla gestione dei messaggi scambiati su WhatsApp. Chi si manifesta genuino e diretto rischia di scoraggiare l’altro, che perde il piacere della conquista. Il meccanismo si basa su un equilibrio di forze nel riuscire a rispondere più tardi possibile ad un messaggio o addirittura nel non visualizzarlo. Tanto più siamo nel nostro e ci facciamo rincorrere tanto più ci sentiamo potenti. È una dinamica in cui predomina l’ego mentre la vera essenza della persona sembra avere poco valore. L’individuo schietto patisce questo gioco che alla fine non può che rivelarsi controproducente, perché avrà come unico risultato aumentare la distanza emotiva tra le persone. L’approvazione dell’altro si misura sui like ricevuti, si pubblicano storie per far vedere che non si è soli e che si conduce una vita sociale attiva. Pure questo è un bluff. L’unico fine è comunicare alla persona che ci interessa: "Guarda come sono figo anche senza di te", quando in verità vorremmo soltanto dirle: "Vorrei stare con te". Così corriamo il rischio di vivere una realtà che non ci appartiene o che non desideriamo veramente, per il timore di parlare apertamente e di dichiararci con i nostri sentimenti più autentici. Spendiamo una vita virtuale, dove ci perdiamo dietro a giochi psicologici inconsci. Abbiamo timore di comunicare le nostre emozioni e pensieri, per non risultare banali o ancora peggio sottomessi. Nessuno è disposto a lasciare il proprio scettro di apparente perfezione in nome di una sana e spontanea fragilità.

Consapevolezza: l’inizio invisibile di ogni cammino
Il cammino per la conquista della serenità parte da un presupposto necessario: la consapevolezza. Cosa significa, esattamente, essere consapevoli? Vuol dire avere il coraggio di guardarsi onestamente, di accettare le proprie fragilità e di riconoscere le risorse ed i talenti di cui siamo dotati. Questo lavoro reclama un tempo in cui fermarci ad ascoltare le emozioni che ci attraversano, per poi gestirle e trasformarle. Chi non ha timore di osservare il proprio dolore, la frustrazione o la rabbia ha imparato a non mentirsi: sa che soltanto affrontando le sue paure può maturare, per vivere in maniera più vera e partecipe. La presa di coscienza costituisce una base solida su cui costruire un percorso di crescita. Lungo la strada si apprende a non perdersi dietro a pensieri invadenti che offuscano la mente e si acquisisce l’arte di rimanere centrati nell’ascolto del cuore. Il silenzio non è un vuoto da colmare, ma il miglior luogo dove ritrovare la pace e le risposte che cerchiamo. Si comprende che tutto ciò che accade, anche se non è quello che avremmo voluto, va bene così, perché ogni esperienza vissuta ha un suo senso per il nostro viaggio, che forse al momento non capiamo, ma che poi svelerà i suoi frutti. Accettiamo la vita con gratitudine e cerchiamo di carpirla più con il cuore che con la mente. L’intuito ci guida nell’afferrare l’invisibile oltre le parole pronunciate. Smettiamo di giudicarci, ascoltiamo e accogliamo tutte le nostre parti dialogando con loro serenamente. Il cammino prosegue affidandoci ad un universo molto più intelligente di noi che sa dove portarci e che ci insegna ad abbandonare il controllo. Crediamo nella bellezza ed ogni giorno seminiamo azioni che porteranno alla realizzazione dei nostri desideri. Il respiro diventa uno strumento potente per gestire i momenti di ansia, perché ci riporta nel sentire il corpo nell’istante presente, allontanandoci dalle trappole della mente. Diventiamo consapevoli della nostra energia che custodiamo con rispetto e, senza alcun senso di colpa, mettiamo confini per amarci. Perdoniamo perché sappiamo che il perdono è fonte di libertà e di leggerezza. Tutto diventa più intenso e più vivo nel suo rispecchiare in maniera autentica ciò che siamo, riconosciamo le nostre passioni e viviamo per esprimerle e condividerle con il mondo.