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Amori nell'era dei social: come le nuove comunità virtuali hanno influenzato le nostre relazioni

Amori nell'era dei social: come le nuove comunità virtuali hanno influenzato le nostre relazioni

Ho sempre creduto che la spontaneità fosse un valore nelle relazioni, sono cresciuta con questa convinzione. Da ragazzini, quando uscivamo ed incontravamo qualcuno che potesse destare un nostro interesse, dopo una timidezza iniziale, ci si avvicinava per conoscersi.

C’erano due persone che si guardavano negli occhi e che si studiavano con pudore, osservando i minimi gesti. Tra di loro non si interponeva alcun mezzo, attraverso cui rielaborare pensieri ed emozioni. Allora non esisteva lo smartphone!

Il tutto avveniva in maniera abbastanza coerente: un corteggiamento iniziale, passi incerti dovuti alla scarsa confidenza, che poi nel tempo avrebbero potuto evolversi in un’amicizia, in un fidanzamento o in una semplice conoscenza.

Non mancava, di certo, il gioco della seduzione, che si sviluppava in maniera armoniosa e con un'evoluzione più o meno immediata. Si assisteva ad una sorta di congruenza tra parole e comportamento. Oggi trovare la stessa spontaneità sembra faticoso.

Il vecchio detto "vince chi fugge" è diventato un comportamento estremizzato e a volte manipolatorio. Molto si gioca sulla tempistica e sulla gestione dei messaggi scambiati su WhatsApp.

Chi si manifesta genuino e diretto rischia di scoraggiare l’altro, che perde il piacere della conquista. Il meccanismo si basa su un equilibrio di forze nel riuscire a rispondere più tardi possibile ad un messaggio o addirittura nel non visualizzarlo.

Tanto più siamo nel nostro e ci facciamo rincorrere tanto più ci sentiamo potenti. È una dinamica in cui predomina l’ego mentre la vera essenza della persona sembra avere poco valore.

L’individuo schietto patisce questo gioco che alla fine non può che rivelarsi controproducente, perché avrà come unico risultato aumentare la distanza emotiva tra le persone.

L’approvazione dell’altro si misura sui like ricevuti, si pubblicano storie per far vedere che non si è soli e che si conduce una vita sociale attiva. Pure questo è un bluff.

L’unico fine è comunicare alla persona che ci interessa: "Guarda come sono figo anche senza di te", quando in verità vorremmo soltanto dirle: "Vorrei stare con te". 

Così corriamo il rischio di vivere una realtà che non ci appartiene o che non desideriamo veramente, per il timore di parlare apertamente e di dichiararci con i nostri sentimenti più autentici.

Spendiamo una vita virtuale, dove ci perdiamo dietro a giochi psicologici inconsci. Abbiamo timore di comunicare le nostre emozioni e pensieri, per non risultare banali o ancora peggio sottomessi. Nessuno è disposto a lasciare il proprio scettro di apparente perfezione in nome di una sana e spontanea fragilità.

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