di Barbara Trasatti Instagram:@barbaratrasatti
Novembre fantasma: il mese che i social hanno cancellato
È l’8 novembre. Apri Instagram e non sai cosa postare. Non sei tu il problema. È novembre. Il mese invisibile. Il buco nero del calendario social. Quello che tutti fingono non esista. Il 31 ottobre togli la zucca. Il 1° dicembre metti l’albero. E novembre? Novembre sparisce. IL LIMBO DIGITALE Come social media manager lo vedo ogni anno. Novembre manda in crisi tutti. Creator, brand, influencer. Nessuno sa cosa postare. Ottobre ha Halloween, le foglie, i colori caldi, l’autunno. Dicembre ha Natale e ci campi per sei settimane di contenuti. E novembre? Novembre ha… cosa esattamente? Pioggia? Grigio? Freddo senza neve? Non proprio materiale da feed virale. Il risultato? Sui social novembre semplicemente non esiste. Si passa da “Happy Halloween” a “Merry Christmas” come se in mezzo non ci fossero 30 giorni. IL MESE CHE NON SI VENDE Il problema vero è che novembre non è monetizzabile. Ad Halloween vendi costumi, trucchi, decorazioni. A Natale vendi tutto. Ma a novembre? Cosa sponsorizzi? Le giornate corte? La nebbia? L’ansia esistenziale? L’unica data che emerge è il 25: la Giornata contro la Violenza sulle Donne. Scarpette rosse, segni rossi sotto l’occhio, post di circostanza. Poi il 26 si torna al vuoto. I brand lo sanno. Infatti a metà novembre partono già con i “regali di Natale”, le wishlist, le guide regalo. Saltano direttamente al vendibile. Novembre diventa terra di nessuno. Il mese che nessuno vuole nel calendario editoriale. L’ANSIA DEL VUOTO DI CONTENUTO E gli utenti? Ancora peggio. Tutti a cercare qualcosa da postare. Qualsiasi cosa. Foto vecchie. Quote motivazionali random. Perché il feed non può restare vuoto. Il silenzio social fa paura. Quindi si anticipa. Albero il 10 novembre. Lucine il 15. Playlist natalizia il 20. Tanto novembre non conta. Oppure si tira avanti. Ancora foglie secche a metà novembre. Ancora “autumn vibes” quando fuori piove da tre settimane. Perché l’alternativa è ammettere che non hai niente da dire. IL PARADOSSO La cosa divertente? Novembre sarebbe perfetto per i social. È il mese del rallentare. Del riposo. Del non fare. Perfetto per staccare, per non postare, per esistere senza performance. Ma sui social il “non fare” non esiste. Il silenzio non è un’opzione. Devi esserci, sempre, con contenuti, sempre. Così novembre, l’unico mese che ti permetterebbe davvero di respirare, diventa quello dell’ansia da vuoto. Il mese in cui ti senti inadeguato perché non sai cosa postare. LA VERITÀ Novembre non è il problema. Siamo noi. Abbiamo trasformato i social in una corsa continua a riempire spazi, produrre contenuti, restare rilevanti. Abbiamo reso ogni giorno una occasione commerciale, ogni mese un tema, ogni momento una performance. E quando arriva un mese che non si presta al gioco? Lo cancelliamo. Lo saltiamo. Come se non esistesse. Forse la lezione di novembre è proprio questa: non tutto ha bisogno di essere postato. Non tutto deve diventare contenuto. Non tutto merita un hashtag. Ma noi, invece, mettiamo le lucine e fingiamo che sia già dicembre. Perché novembre non vende. E sui social, se non vendi, non esisti.
Quando il cimitero è su Facebook: candeline virtuali e ricordi programmati
Il 2 Novembre milioni di italiani andranno al cimitero. Ma prima passeranno da Facebook. Candeline virtuali, foto del defunto con filtro seppia, "Ciao ovunque tu sia". Il feed si trasforma in un muro del pianto digitale dove il lutto diventa contenuto e il dolore si misura in cuoricini. Bentornati nell'era dove anche la morte ha bisogno di visualizzazioni. IL CALENDARIO EDITORIALE DEL DOLORE Come social media manager ne ho viste tante. Ma il fenomeno dei "post commemorativi annuali" è qualcosa che mi lascia sempre interdetta. Stesso giorno, stessa foto, stesso messaggio. Anno dopo anno. Come un appuntamento fisso. Il lutto che diventa ricorrenza programmata. E i commenti? Sempre gli stessi. "Condoglianze", "Ti abbraccio", "È con te". Un copione che si ripete identico. Di fronte al dolore nessuno ti mette "ahah" o "grr". Solo cuori e abbracci virtuali. QUANDO L'ALGORITMO DIVENTA SADICO Facebook mi suggerisce di fare gli auguri a un mio amico. Morto nel 2022. Instagram mi ricorda "Bei momenti" con una persona che non c'è più. LinkedIn mi chiede se lo conosco. Certo che lo conoscevo. Gli algoritmi non capiscono la morte. Continuano a macinare dati, suggerire amicizie con i defunti, farti gli auguri per conto di chi non può più farteli. E tu devi decidere: "Chiudi l'account", "Nascondi", "Ricordamelo più tardi". Come se il lutto avesse un pulsante "dopo". Gli account fantasma restano lì. Facebook li tiene in vita e continua a suggerirti di contattarli. IL DOLORE IN AFFITTO Ma il vero problema non sono gli algoritmi. Il problema è che c'è una differenza enorme tra ricordare e performare il ricordo. Tra dolore autentico e dolore studiato per i social. Lo riconosci dalle didascalie. Troppo curate. "Angelo mio", "La tua luce mi guida", "Sei sempre nei miei pensieri". Caption da influencer, non parole di chi sta davvero soffrendo. E poi ci sono loro: quelli che commemorano persone che nella vita reale manco frequentavano. Il collega visto due volte che diventa "grande amico". Il conoscente lontano che diventa "presenza fondamentale". Il lutto preso in prestito. Perché va di moda. Perché è il 2 Novembre. Perché bisogna postare qualcosa. LA DOMANDA SCOMODA Prima di postare quella candela virtuale, chiediti: lo sto facendo per ricordare o per essere visto ricordare? Perché il dolore vero non ha bisogno di pubblico. Non cerca testimoni. Non si misura in condivisioni. Il ricordo autentico è quella foto che guardi da solo, di notte. Quella voce che senti ancora. Quel numero che hai ancora in rubrica tra i preferiti anche se sai che non risponderà mai più. Non è un post. Non è una storia. Nel 2025 dovremmo aver capito che non tutto va condiviso. Che ci sono dolori troppo grandi per stare in 280 caratteri. Che il rispetto verso chi non c'è più passa anche dal non trasformarlo in contenuto. Ma evidentemente no. Perché il 2 Novembre i social si riempiranno di nuovo. Di candeline, di foto, di "mi manchi". E io, continuerò a chiedermi: quanto di questo è ricordo e quanto è solo rumore?
Halloween: la gara sui social a chi si maschera meglio (anche nella vita)
Halloween 2025 sui social è iniziato una settimana fa. Tutorial per trucchi spaventosi, ricerche del costume perfetto, countdown alle feste a tema. Ma mentre osservo questo carnevale digitale, mi viene da pensare: questa è l'unica notte dell'anno in cui ammettiamo apertamente di indossare una maschera? LA FESTA DELLA FINZIONE ONESTA C'è qualcosa di liberatorio in Halloween. Per una notte possiamo essere qualcun altro e tutti lo sanno. Nessuno pensa che tu sia davvero un vampiro o una strega. La maschera è dichiarata, evidente, accettata. Halloween è onesto. I social no. Quest'anno ho notato una cosa: la gara per il costume perfetto è diventata quasi più stressante della gara per la foto perfetta. La gente inizia a ottobre a cercare idee, a pianificare look che finiranno su Instagram. Non si tratta più di divertirsi a una festa. Si tratta di creare un contenuto. Il costume non è più per la festa. È per il feed. LA MIA ESPERIENZA DIETRO LE QUINTE Nel mio lavoro vedo entrambi i lati della medaglia. Creo strategie social per aziende e professionisti, so esattamente come si costruisce un'immagine online. Ho visto influencer che postano "momenti spontanei" studiati al millimetro con team di professionisti. Ho lavorato con persone che hanno fatto fotoshoot di tre ore per ottenere quella singola foto "naturale". La differenza con Halloween? Ad Halloween sappiamo che è finto. Sui social ci crediamo davvero. LA LEZIONE DI HALLOWEEN Forse Halloween ci sta insegnando qualcosa. Forse dovremmo essere più onesti come lo siamo ad Halloween. Dichiarare apertamente quando stiamo indossando una maschera invece di fingere che sia la nostra vera faccia. "Questa foto l'ho rifatta venti volte." "Ho messo un filtro perché oggi mi sentivo brutta." "Questa vita perfetta che vedete è costruita per i social." Sarebbe rivoluzionario. Ma non succederà. Perché la maschera funziona. Genera like, engagement, validazione. E nella economia dell'attenzione, la maschera vende più della verità. Le persone davvero autentiche sono rare sui social. Le riconosci perché non hanno paura di sembrare imperfette, confuse, normali. Non costruiscono una versione ideale di sé. Vivono e basta. Indossare una maschera ogni giorno è stancante. Devi sempre essere "on". È un lavoro a tempo pieno. LA RIVOLUZIONE POSSIBILE Immaginate se Halloween diventasse la norma. Se ammettessimo apertamente che sui social siamo mascherati. Se dichiarassimo i filtri, i ritocchi, le bugie piccole e grandi. Non succederà mai del tutto. Ma qualcosa sta cambiando. Vedo sempre più persone che iniziano a stancarsi della finzione. Che cercano contenuti veri anche se meno belli. Che premiano l'onestà più della perfezione. Halloween ci dà il permesso di essere qualcun altro per una notte. Ma sui social abbiamo preso quel permesso e lo abbiamo esteso a tutto l'anno. La differenza è che ad Halloween ci divertiamo. Sui social ci esauriamo
La sindrome del confronto: quando tutti sembrano felici tranne te
Lavoro con i social da anni e c'è una cosa che vedo ripetersi ogni giorno: persone che si sentono sbagliate, inadeguate, perdenti. Non perché la loro vita sia davvero un disastro, ma perché hanno scrollato troppo Instagram. Benvenuti nella sindrome del confronto, il male oscuro dell'era digitale. E ottobre è il mese in cui colpisce di più. IL MESE DEL CONFRONTO TOSSICO Ottobre è il momento peggiore dell'anno per i social. L'estate è finita, le vacanze sono un ricordo, il Natale è lontano. È il mese grigio, quello della routine. E proprio in questo momento i social ti bombardano di vite perfette: viaggi esotici, successi professionali, case da sogno, corpi perfetti. LA VERITÀ CHE NESSUNO TI DICE Dopo anni nel settore, una cosa l'ho capita: i social sono un teatro. Ognuno recita la parte del vincente mentre nella vita reale siamo tutti un po' confusi, stanchi, imperfetti. Quella ragazza con 50mila follower che viaggia sempre? Magari è piena di debiti. Quel ragazzo che mostra la vita sociale perfetta? Magari si sente solo. Quella coppia che sembra perfetta? Magari litiga ogni giorno. I numeri mentono. I like mentono. Nessuno posta quando piange, litiga, fallisce. E tu confronti la tua vita vera con le loro bugie patinate. L'ALGORITMO COMPLICE Molti non sanno che gli algoritmi sono programmati per mostrarti contenuti che generano emozioni forti. E sai quale emozione è fortissima? L'invidia. Per questo ti compaiono sempre i post delle persone che stanno "meglio" di te. Perché quelli ti fanno fermare, guardare, scrollare di più. L'algoritmo non vuole che tu sia felice, vuole che tu resti incollato allo schermo. Instagram ti mostra la vita perfetta degli altri. TikTok ti bombarda di bellezza e successo. LinkedIn ti fa vedere solo promozioni e riconoscimenti. Ma è tutto costruito per tenerti lì, a confrontarti, a sentirti inadeguato. LA NORMALITÀ NON È INSTAGRAMMABILE Il vero problema è questo: la vita normale non fa contenuto. Le giornate tranquille non fanno engagement. La quotidianità non genera tanti like. Così la gente pensa che la propria vita sia sbagliata perché è normale. Ma la vita vera è fatta di giorni normali, piccole soddisfazioni, routine. La vita eccezionale h24 che vedi sui social semplicemente non esiste. E se esistesse sarebbe estenuante. COME PROTEGGERSI Da esperta, ecco cosa suggerisco a chi soffre di questa sindrome: riconosci il momento. Quando ti accorgi che stai confrontando, chiudi l'app. Il confronto è un buco nero, più ci stai più ti risucchia. Ricorda la regola base. Stai vedendo solo quello che gli altri vogliono farti vedere. Quella foto perfetta ha dietro 50 tentativi. Quel sorriso nasconde magari una giornata pessima. Fai pulizia. Smetti di seguire chi ti fa stare male. Non è cattiveria, è protezione. I tuoi social devono essere uno spazio che ti fa stare bene. Sdogana la normalità. Posta anche tu il grigio, il normale, l'imperfetto. Più siamo a mostrare la vita vera, più rompiamo questa illusione collettiva. LA LEZIONE DI OTTOBRE Ottobre è il mese perfetto per questa riflessione. Dopo l'estate da postare, torna la normalità. E la normalità fa paura perché non è contenuto social. Ma è nella normalità che si vive davvero. Nei momenti che non fotografi. Nelle risate che non filmi. Nelle soddisfazioni piccole che non generano like. La prossima volta che ti senti inadeguato guardando i social, ricordati che stai guardando un film. E nei film tutti sono belli, felici, vincenti. Ma quando finisce il film, tutti tornano a essere umani. Con problemi, insicurezze e giornate grigie. La differenza è che loro lo nascondono meglio. Tu stai solo vivendo la vita vera.
Micro influencer: la tua amica che ti vende di tutto
L'altro giorno scrollavo TikTok (sì, lo ammetto, ci passo più tempo di quanto dovrei) e mi sono imbattuta in una ragazza che con entusiasmo contagioso mi spiegava perché quella crema viso aveva "letteralmente cambiato la sua vita". Aveva 3000 follower, sembrava sincera, parlava come parlerebbe un'amica davanti a un caffè. Per un attimo mi sono detta: "Okay, forse dovrei provarla anch'io". Poi mi sono fermata. Ma questa ragazza mi sta davvero consigliando qualcosa che ha provato, o è l'ennesimo spot mascherato da consiglio amichevole? Benvenuti nell'era delle micro influencer, dove il confine tra amicizia digitale e pubblicità è diventato invisibile. LA RIVOLUZIONE DELLE PICCOLE Fino a qualche anno fa gli influencer erano quelli con milioni di follower, vite patinate, collaborazioni con grandi brand. Oggi il gioco è cambiato. Le vere regine dei social sono loro: le micro influencer. Quelle con 5.000, 10.000 follower. Quelle che sembrano "una di noi". E funzionano proprio per questo. Quando Chiara Ferragni ti consiglia un prodotto sai che è pubblicità. Ma quando te lo consiglia Sara, quella che segui da due anni, che ha una vita normale, problemi normali come i tuoi... allora ti fidi. Il marketing lo sa bene. Oggi le aziende investono più sulle micro che sulle mega star. Perché la fiducia vale più dei numeri. L'AMICA CHE TI CONOSCE (O ALMENO COSÌ SEMBRA) Navigando su TikTok, che personalmente considero più una piattaforma di intrattenimento che un vero social, trovo centinaia di queste ragazze che ti parlano come se vi conosceste da una vita. Ti raccontano la loro routine e casualmente menzionano l'integratore che le ha "cambiate". Ti mostrano il trucco perfetto e ti consigliano esattamente quali prodotti comprare. Ti fanno vedere come puliscono casa con quell'aspirapolvere "fantastico". E lo fanno con tale naturalezza che ti dimentichi di chiederti: ma questa persona sta guadagnando da quello che mi sta dicendo? Spesso la risposta è sì. Ma è un sì nascosto tra le righe, camuffato da testimonianza spontanea, mascherato da consiglio disinteressato. QUANDO L'AUTENTICITÀ È UNA STRATEGIA Ho passato anni a lavorare con i social, e una cosa l'ho capita: l'autenticità oggi è diventata una strategia di marketing. Sembra un paradosso, ma è così. Le micro influencer più furbe hanno capito che il loro potere sta nel sembrare "normali". Nel parlare come parleresti tu a una tua amica. E molte di loro sono sincere. Ci sono ragazze su TikTok che recensiscono prodotti comprati con i loro soldi, che danno consigli sinceri, senza accordi con le aziende. Le riconosci perché mostrano anche i prodotti che NON hanno funzionato, perché ammettono quando sbagliano. Ma poi ci sono le altre. Quelle che hanno trasformato la loro vita in uno shop, dove ogni oggetto inquadrato è lì per un motivo commerciale. IL CASO DELL'INFLUENCER ONESTA Su TikTok c'è @influenceronesta. Seguitela, è una ragazza che compra davvero i prodotti, li prova davvero, e li recensisce senza nessun legame con i brand. Il suo profilo è esploso proprio perché la gente è stanca della finzione. E questo la dice lunga: abbiamo bisogno di qualcuno che si definisca "onesta" per distinguerla dalla massa? Come se l'onestà fosse diventata una caratteristica speciale invece che la base. COME RICONOSCERLE Chi è davvero sincero ti racconta anche i fallimenti. Non solo "questo prodotto è fantastico", ma anche "questo l'ho comprato e non mi è piaciuto". Chi ti vende tutto come perfetto probabilmente ti sta vendendo qualcosa. Chi è autentico non ha paura di mostrare imperfezioni. La casa in disordine, la giornata no. Chi ti mostra sempre tutto perfetto probabilmente ha una regia dietro. LA MIA ESPERIENZA DIETRO LE QUINTE Lavorando nel settore, ho visto come funzionano queste dinamiche dall'altra parte. Aziende che contattano ragazze con pochi follower offrendo prodotti gratuiti in cambio di "una recensione spontanea". Micro influencer che promuovono prodotti mai provati. Contratti che specificano esattamente cosa dire, mantenendo però un tono "naturale e autentico". E ho visto anche il contrario: ragazze che rifiutano collaborazioni perché il prodotto non rispecchia i loro valori, che testano davvero tutto prima di consigliarlo, che perdono soldi per mantenere credibilità. La differenza? Nel lungo periodo, le seconde vincono sempre. Perché la fiducia, una volta persa, non torna più. IL LATO POSITIVO Non voglio dipingere tutto di nero. Ci sono micro influencer che fanno un lavoro straordinario. Ti aiutano a scoprire prodotti che non avresti mai trovato. Ti danno consigli preziosi basati sulla loro esperienza reale. Su TikTok ne seguo diverse che considero superaffidabili. Quelle che quando mi consigliano qualcosa so che l'hanno davvero provato, pagato coi loro soldi. E questo ha un valore enorme in un mare di pubblicità camuffate. Il problema non sono le micro influencer in sé, ma la mancanza di trasparenza. Il vendere senza dire di stare vendendo. LA RESPONSABILITÀ DI CHI SEGUE C'è anche un altro lato. Noi che seguiamo queste persone abbiamo una responsabilità. Quella di non credere ciecamente a tutto. Di fare domande. Di cercare recensioni multiple. Di usare il nostro senso critico. È comodo pensare che quella ragazza su TikTok ci stia dando un consiglio disinteressato. Ma dobbiamo sempre chiederci: cosa ci guadagna lei? Non per cinismo, ma per protezione. Perché i nostri soldi sono nostri, e le nostre scelte devono essere nostre. LA MORALE DELL'AMICA VIRTUALE La prossima volta che una ragazza su TikTok ti consiglia quel prodotto "fantastico che ha cambiato la sua vita", fermati un attimo. Chiediti: guadagna qualcosa? Ha altri video dove critica prodotti o promuove sempre tutto? Mostra anche i fallimenti? E poi decidi. Magari quel prodotto è davvero fantastico. Magari quella ragazza è davvero sincera. Ma la scelta deve essere tua, consapevole. Perché la tua vera amica è quella che ti dice anche quando qualcosa non va. Non quella che ti vende tutto con il sorriso.
Troppa AI: quando l'intelligenza artificiale fa tutto al posto tuo
"Chiedi a ChatGPT", "Usa un filtro AI", "Fatti fare il post dall'intelligenza artificiale". In poco tempo l'AI è passata da curiosità tecnologica a presenza costante nelle nostre vite digitali. E sui social? È diventata la nuova dipendenza di massa. Ma quando l'intelligenza artificiale fa troppo al posto nostro, cosa resta di noi? IL NUOVO ASSISTENTE CHE NON CI LASCIA MAI Scenario quotidiano 2025: devi scrivere un messaggio importante? ChatGPT. Vuoi migliorare una foto? Filtro AI. Serve un'idea per un post? Intelligenza artificiale. Devi rispondere a una mail? AI. Persino per scegliere cosa cucinare a cena: "Chiedi all'AI". L'intelligenza artificiale è diventata il nostro nuovo migliore amico digitale. Quello che sa tutto, fa tutto, risolve tutto. Il problema? Stiamo dimenticando come fare le cose da soli. E sui social il fenomeno è ancora più evidente. LA GENERAZIONE COPIA-INCOLLA Una volta copiavi i compiti dal compagno di banco. Oggi copi i contenuti dall'intelligenza artificiale. La differenza? Il compagno di banco almeno aveva studiato. Post scritti da AI, foto ritoccate da AI, video creati da AI, didascalie generate da AI. I social del 2025 sono pieni di contenuti tecnicamente perfetti ma stranamente vuoti e tutti uguali. Come quei dolci bellissimi in vetrina che poi sanno di plastica. Il paradosso? Tutti usano l'AI per sembrare più autentici. Ma l'autenticità costruita da un algoritmo è ancora autenticità? IL FILTRO CHE CANCELLA LA REALTÀ I filtri AI hanno raggiunto livelli di perfezione inquietanti. Cancellano rughe, rimodellano corpi, cambiano sfondi, correggono imperfezioni. Con un tap sei una versione migliorata di te stesso. Il problema non è il filtro in sé. È che stiamo perdendo la capacità di accettare la versione reale. Quella senza AI. Ragazze di 15 anni che non postano più foto "normali" perché "non sono abbastanza". Adulti che ritoccano ogni selfie prima di condividerlo. La realtà non è più abbastanza Instagram senza l'aiuto dell'intelligenza artificiale. Quando il filtro diventa la norma, la normalità diventa difetto. L'ILLUSIONE DELLA PRODUTTIVITÀ "Con l'AI lavoro il doppio in metà tempo!" - il mantra del 2025. Ma è davvero produttività o è solo velocità senza qualità? Sì, puoi creare 50 post in un'ora con l'intelligenza artificiale. Ma diranno qualcosa di te? Rifletteranno il tuo pensiero? Creeranno connessione vera con chi ti segue? La produttività non è quanti contenuti produci, è quanti contenuti significativi produci. E qui l'AI può aiutare, ma non può sostituire. LA DIFFERENZA TRA USO E ABUSO Uso intelligente dell'AI: Ti aiuta a velocizzare processi noiosi; migliora contenuti che hai già creato tu; ti suggerisce idee che poi sviluppi personalmente; ti libera tempo per la creatività vera. Abuso dell'AI: Sostituisce completamente il tuo pensiero; crea contenuti "perfetti" ma senza personalità; ti rende dipendente per ogni piccola decisione; cancella ogni traccia di imperfezione umana; la linea è sottile ma fondamentale. L'AI dovrebbe essere uno strumento, non un sostituto. IL COSTO NASCOSTO DELLA PERFEZIONE ARTIFICIALE Quando deleghi tutto all'intelligenza artificiale, perdi qualcosa di prezioso: la capacità di sbagliare, di imparare, di crescere. Un post scritto male ma autentico crea più connessione di dieci post perfetti generati da AI. Un selfie con imperfezioni racconta più di cento foto ritoccate. Perché? Perché le persone si riconoscono nell'imperfezione, non nella perfezione artificiale. IL PARADOSSO DELL'AUTENTICITÀ ARTIFICIALE Ecco la contraddizione più grande del 2025: usiamo l'AI per sembrare più autentici. Ma l'autenticità per definizione non può essere costruita da un algoritmo. "Fatti scrivere un post autentico da ChatGPT" è la frase più assurda dell'anno. Come può un'intelligenza artificiale che non ti conosce creare qualcosa di autentico per te? L'autenticità richiede vulnerabilità, imperfezione, umanità. Tutte cose che l'AI non può replicare, per quanto sofisticata. QUANDO L'AI È DAVVERO UTILE Non fraintendiamoci: l'intelligenza artificiale è uno strumento potentissimo. Il problema non è l'AI, è come la stiamo usando. L'AI funziona quando: Ti aiuta a migliorare idee che hai già; velocizza compiti tecnici ripetitivi; ti suggerisce prospettive che non avevi considerato; ti libera tempo per la creatività vera L'AI fallisce quando: Sostituisce completamente il tuo pensiero; cancella la tua personalità; crea contenuti standardizzati uguali per tutti; ti rende incapace di fare senza; la chiave è usarla come amplificatore della tua voce, non come sostituto. IL RITORNO DELL'UMANO Perché? Perché dopo mesi di perfezione artificiale, la gente ha nostalgia di umanità vera. Di errori, di imperfezioni, di contenuti che raccontano persone vere. Il futuro non sarà "AI vs umano", ma "AI al servizio dell'umano". LA MORALE DIGITALE L'intelligenza artificiale non è il nemico. Il nemico è la dipendenza da essa. È l'idea che senza AI non siamo abbastanza. Sui social, come nella vita, ciò che conta è l'equilibrio. Usa l'AI per velocizzare, migliorare, sperimentare. Ma non dimenticare che la tua voce, la tua imperfezione, la tua umanità sono quello che ti rende riconoscibile. L'intelligenza artificiale può fare molto al posto tuo. Ma non può essere te. E questo, in un mondo di perfezione artificiale, è il tuo più grande vantaggio competitivo.
Silenzio elettorale: finalmente un weekend senza santini
Oggi è silenzio elettorale e per la prima volta da mesi i nostri social respirano. Niente simboli di partito, niente video motivazionali su quanto sono belle le Marche, niente santini sorridenti che ci promettono il paradiso in terra. Solo 3 giorni di pace digitale prima che lunedì sera torni il solito teatrino di vincitori esultanti e sconfitti che già pianificano la rivincita. IL RESPIRO DIGITALE CHE NON SAPEVAMO DI VOLERE Per quasi tutta l’estate i nostri feed sono stati invasi dalla più grande operazione di marketing territoriale della storia: "Le Marche sono bellissime" ripetuto in salsa elettorale da tutti i candidati. Partecipazione alle sagre estive (tutti alle stesse), passeggiate nei borghi medievali (rigorosamente gli stessi), dichiarazioni d'amore per la regione che sembravano spot pubblicitari dell'ente del turismo. E oggi? Silenzio. Benedetto silenzio. I nostri social sono tornati a essere quello che dovrebbero sempre essere: uno spazio per le persone normali che raccontano la loro vita normale. Senza promesse elettorali, senza slogan, senza l'ansia da campagna elettorale. L'ARTE PERDUTA DEL NON DIRE NULLA Il silenzio elettorale sui social è un esperimento sociologico involontario. Costringe i candidati a non poter comunicare proprio quando vorrebbero farlo di più: nel momento clou, quando l'attenzione è massima. E così oggi scopriamo che i social possono funzionare benissimo anche senza la politica che invade ogni spazio. Che le persone hanno altre cose da raccontare oltre ai programmi elettorali. Che esistono contenuti più interessanti dei comizi digitali. È come quando togli il volume alla TV durante una pubblicità particolarmente fastidiosa e ti accorgi che il silenzio è molto più rilassante del messaggio. IL PARADOSSO DELLA COMUNICAZIONE FORZATA Per mesi abbiamo visto candidati trasformarsi in influencer improvvisati: stories h24, dirette motivazionali, reel con musichette, persino TikTok (con risultati spesso imbarazzanti). Tutto per "stare vicini alla gente". Il paradosso? Più cercavano di sembrare spontanei, più sembravano forzati. Più volevano apparire autentici, più risultavano artefatti. Oggi che non possono parlare, paradossalmente, ci sembrano più umani. Perché il silenzio è l'unica cosa che non si può fingere. LA RICETTA DEL WEEKEND SENZA PROPAGANDA Come sopravvivere a 3 giorni di social senza promesse elettorali: - Riscopri il piacere dei contenuti senza messaggi nascosti - Goditi le foto dei tramonti fatte per bellezza, non per voti - Apprezza i post sulla domenica in famiglia senza retropensieri - Leggi opinioni che non nascondono candidature future - Respira l'aria di social finalmente spontanei - Preparati mentalmente al ritorno del circo da martedì Servire tiepido con una buona dose di serenità ritrovata. Effetto rilassante garantito. IL RITORNO ALLA REALTÀ (TEMPORANEO) Oggi sui social delle Marche si parla di gite in famiglia, di pranzi della domenica, di partite di calcio. Cose normali, dette da persone normali, senza sottotesti politici. È come quando finisce una festa molto rumorosa e improvvisamente senti di nuovo il suono degli uccelli che cantano. Ti accorgi che c'erano sempre, solo che non li sentivi più. I social "normali" c'erano sempre, nascosti sotto la valanga elettorale. Oggi riemergono per 3 giorni prima di essere di nuovo sommersi dal post-voto. L'ATTESA DI MARTEDÌ Perché martedì, inevitabilmente, tornerà tutto come prima. Anzi, peggio. Avremo i vincitori che ringraziano (e si prendono già il merito di tutto), i perdenti che promettono battaglia (e si candidano già per la prossima), i commentatori che spiegano perché avevano ragione loro. I social torneranno a essere un campo di battaglia, le Marche torneranno a essere il "territorio più bello del mondo" (a seconda di chi vince), e noi torneremo a sognare il prossimo silenzio elettorale. Ma intanto, godiamoci questi tre giorni. Sono un regalo involontario della democrazia. LA MORALE DEL SILENZIO Il silenzio elettorale ci sta insegnando una cosa importante: a volte il miglior messaggio è non mandare nessun messaggio. A volte la comunicazione più efficace è smettere di comunicare. In un mondo che urla costantemente per attirare attenzione, chi sa tacere al momento giusto ha un potere incredibile. Il potere di far sentire la propria assenza più della propria presenza. E oggi, per la prima volta da mesi, i social delle Marche stanno parlando davvero. Proprio perché finalmente tacciono. Ci risentiamo martedì, quando il circo riprenderà. Ma intanto, godiamoci il weekend lento.
Belforte, Villa Valentini rinasce: 8 anni di restauro per un gioiello del XVII secolo (FOTOGALLERY)
Belforte del Chienti - Otto anni di lavoro, passione e dedizione hanno ridato vita a uno dei gioielli architettonici più preziosi del territorio marchigiano. È stata ufficialmente inaugurata sabato 20 settembre, alle ore 11:00, anche alla presenza del presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli. Il merito di questa straordinaria rinascita va a Roberto Gujusa e Isabella Del Vecchio, i titolari di Alessia Manifatture che hanno intrapreso il lungo e complesso percorso di restauro, trasformando quello che era un autentico gioiello nascosto in una realtà che oggi rappresenta “un viaggio tra arte, storia e cultura d’impresa”. “Ma non era meglio un capannone?” è stata la provocazione rivolta a Roberto, titolare di Manifatture Alessia, che ha risposto con convinzione: “Arte, bellezza, storia”. Il riferimento al soffitto nero che nascondeva una storia millenaria ha simboleggiato perfettamente la filosofia del progetto: portare alla luce ciò che il tempo aveva coperto. Il professor Giuseppe Valentini Malavolti, storico dell’arte, ha tracciato un affascinante ritratto del cardinale Giacomo e di suo fratello Clemente, raccontando “la storia di un percorso di successo di uomini comuni, storia di un’amicizia” che ha lasciato tracce indelebili in questo palazzo. Particolarmente toccante l’intervento del professor Romano Benini, che ha sottolineato come “noi siamo ciò che siamo stati” e ha celebrato la vocazione italiana per “il bello e ben fatto”. “Noi italiani sappiamo connettere mente, braccia e cuore: questa è l’artigianalità”, ha concluso, sintetizzando perfettamente lo spirito del progetto. Francesco Acquaroli si è mostrato particolarmente colpito: “Viviamo in una regione bellissima, sono orgoglioso di questa ristrutturazione. Il saper fare che va trasmesso, l’autenticità. Conserviamo la nostra bellezza”. Il presidente ha concluso augurando “tanti successi” all’iniziativa. Isabella, socia del progetto, ha chiuso la cerimonia con un ringraziamento “emozionantissimo” a tutti i presenti, amici e dipendenti che hanno reso possibile questa rinascita. Villa Valentini si presenta oggi come un esempio di eccellenza nella conservazione del patrimonio artistico marchigiano.
Social galateo: il nuovo bon ton dell'ignorare
Il ghosting è diventato la nuova arte social del 2025. Un click e via: blocco, unfollow, sparizione digitale totale. Mai è stato così facile eliminare qualcuno dalla propria vita. Ma quando è legittima autodifesa digitale e quando è solo codardia mascherata da self-care? Facciamo chiarezza su quello che ormai è il galateo più praticato (e meno capito) dell’era social. L’EPIDEMIA DEL BLOCCO FACILE Scenario tipo: un amico mette like alla foto del tuo ex. Soluzione 2025: blocco immediato. Un collega condivide un’opinione politica diversa? Blocco. Qualcuno non risponde entro tre ore? Blocco preventivo. Il tasto “blocca” è diventato il nuovo “vaffa”, solo più elegante e definitivo. Il problema? Lo stiamo usando come un martello quando spesso servirebbe un bisturi. Non tutto richiede la cancellazione digitale totale. Anzi, spesso il blocco compulsivo rivela più i nostri problemi che quelli degli altri. LA FALSA FILOSOFIA DEL “NO ALLE PERSONE TOSSICHE” “Ho eliminato le persone tossiche dalla mia vita” - il mantra dell’era social. Ma quando ogni piccola delusione diventa “tossicità”? Quando ogni momento di tensione viene catalogato come “energia negativa da rimuovere”? La verità scomoda: spesso non sono le persone ad essere tossiche, è il nostro modo di gestire i rapporti che lo è. Bloccare non risolve il problema, lo sposta solo altrove. Il vero benessere non è eliminare tutto quello che ci disturba. È imparare a gestire quello che ci mette in difficoltà. QUANDO IL GHOSTING È GIUSTO Attenzione però: non tutto è recuperabile e non tutti meritano una seconda possibilità. Esistono situazioni in cui mettere confini digitali netti è non solo giusto, ma necessario. Il blocco intelligente si usa quando: - C’è stalking o molestie persistenti - Vengono violati confini chiari già espressi - La persona ha un comportamento dannoso - La relazione è diventata un ciclo tossico senza possibilità di cambiamento - La tua salute mentale è a rischio In questi casi, il ghosting non è codardia: è protezione intelligente. L’ARTE DEI CONFINI DIGITALI Il problema non è mettere confini. È che la maggior parte delle persone non sa come farlo in modo efficace. Credono che esistano solo due opzioni: subire tutto o bloccare tutto. Invece esistono molte sfumature tra il “tutto aperto” e il “blocco totale”: - Silenziare senza rimuovere - Limitare la visibilità dei propri contenuti - Ridurre le interazioni senza drammi - Comunicare i propri limiti prima di sparire I social offrono strumenti sofisticati per gestire le relazioni. Non usiamoli come asce ma come bisturi. LA RICETTA DEL BLOCCO COMPULSIVO Come trasformare ogni piccolo conflitto in una guerra digitale: - 1 dose di aspettative irrealistiche sugli altri - Tolleranza zero per qualsiasi forma di disaccordo - Convinzione che tu sia sempre quello ragionevole - Paura del confronto mascherata da “non ho tempo per i drammi” - L’illusione che eliminare i problemi li risolva Mescolate con una buona dose di immaturità emotiva e servite freddo a ogni minima difficoltà. Risultato garantito: solitudine social perfettamente curata. IL PARADOSSO DEL CONTROLLO TOTALE Più controlli chi può interagire con te sui social, più diventi dipendente da questo controllo. Più blocchi, più hai bisogno di bloccare. È un circolo vizioso che alla fine ti isola invece di proteggerti. Il vero potere non è eliminare tutto quello che ci disturba, ma sviluppare la capacità di gestire le situazioni difficili senza perdere la calma. L’OPPORTUNITÀ NASCOSTA Ecco il punto che molti perdono: saper gestire i conflitti digitali in modo intelligente è una competenza preziosa nel 2025. Chi sa quando bloccare e quando no, chi sa mettere confini senza bruciare ponti, chi sa navigare le acque torbide dei social senza affondare ha un vantaggio competitivo enorme. Perché? Perché i social sono diventati il nuovo ufficio, il nuovo salotto, la nuova piazza. E in tutti questi spazi, saper gestire le relazioni difficili è una skill fondamentale. IL BON TON DIGITALE CHE FUNZIONA 1. Prima comunica, poi eventualmente blocca 1. Usa gli strumenti graduali prima della cancellazione totale 1. Distingui tra fastidio personale e comportamento dannoso 1. Mantieni la professionalità anche quando chiudi un rapporto 1. Ricorda che tutto resta tracciato sui social Non si tratta di essere santi digitali, ma di essere strategicamente intelligenti nelle proprie scelte social. Il vero segno di maturità sui social non è avere zero conflitti (impossibile), ma saperli gestire senza distruggere tutto. È capire quando vale la pena investire energia in un chiarimento e quando è meglio prendere le distanze. È la differenza tra chi subisce i social e chi li sa usare a proprio vantaggio. IL FUTURO DELLE RELAZIONI DIGITALI Le persone stanno imparando a riconoscere chi sa gestire i rapporti digitali in modo maturo e chi invece reagisce sempre in modo estremo. Nel lungo termine, chi sa dosare i propri confini digitali costruisce reti più solide e durature.
10 anni di Picchio News: quando essere social era visionario
Ieri sera a Villa Koch di Recanati si è celebrato un traguardo che vale più di un semplice compleanno aziendale. Picchio News ha festeggiato 10 anni di attività, ma soprattutto 10 anni di visione. Fu una scommessa. Una scommessa che oggi, guardando la proiezione delle avventure di Guido Picchio fotoreporter tra gli applausi degli amici, possiamo dire di aver vinto. QUANDO I SOCIAL ERANO UNA SFIDA, NON UN OBBLIGO Dieci anni fa essere “social” nel giornalismo era quasi rivoluzionario. Facebook era ancora considerato “roba da ragazzini”, Instagram muoveva i primi passi, TikTok non esisteva nemmeno. Mentre i media tradizionali guardavano con sospetto questi “nuovi” strumenti, Picchio News scelse di abbracciarli completamente. Non come appendice del giornale, ma come cuore pulsante della comunicazione. E non fu una scelta facile: significava imparare linguaggi nuovi, inventare formati inesistenti, rischiare di essere presi per “poco seri”. Il risultato? Oggi siamo qui, a festeggiare non solo 10 anni di vita, ma 10 anni di innovazione continua. L’EVOLUZIONE DI UN LINGUAGGIO Ieri sera, rivedendo le immagini delle avventure di Guido Picchio, abbiamo ripercorso non solo la storia di Picchio News, ma l’evoluzione di un intero modo di fare informazione. Da quando documentavamo eventi con foto statiche, a quando abbiamo iniziato le prime dirette, fino ad arrivare alle stories, alle video notizie ai reel, ai contenuti multimediali di oggi. Perché essere social, per Picchio News, non è mai stato “stare al passo coi tempi”. È sempre stato “anticipare i tempi”. E Guido Picchio, con la sua originalità e voglia di vivere con leggerezza, è stato il simbolo perfetto di questo approccio: curioso, autentico, sempre pronto allo scoop ma mai pesante. Esattamente quello che dovrebbe essere un media social. LA DIFFERENZA TRA CHI CI CREDE E CHI SI ADEGUA La festa di ieri sera è il risultato di 10 anni di relazioni autentiche, di contenuti onesti, di presenza costante ma mai invadente. È la prova che quando i social li usi con passione e non per obbligo, il risultato si vede. E si sente. IL VALORE DELLE RELAZIONI VERE La serata di ieri ha dimostrato una cosa che spesso si dimentica nell’era digitale: dietro ogni social media di successo ci sono relazioni umane vere. I volti sorridenti di Villa Koch non erano follower anonimi, ma amici, collaboratori, lettori che in questi 10 anni sono diventati parte della famiglia Picchio News. Questo è il segreto che molti non capiscono: i social funzionano quando non sono solo social, ma quando sono espressione di una comunità reale. E Picchio News, in 10 anni, ha costruito esattamente questo: una comunità. LA RICETTA DEL SUCCESSO SOCIAL DI LUNGO PERIODO Come si costruisce un media social che dura 10 anni senza perdere autenticità: 1 dose massiccia di passione genuina per quello che fai; curiosità infinita verso le persone e le loro storie; coraggio di sperimentare quando tutti pensano che sia una follia; coerenza nel tempo, indipendentemente dalle mode del momento; rispetto per il proprio pubblico (mai prenderlo in giro); capacità di innovare rimanendo fedeli ai propri valori; zero paura di sembrare “diversi” dalla massa Mescolate con tanto lavoro e servite caldo per 10 anni consecutivi. Risultato: una festa come quella di ieri sera, dove chi c’era si è divertito davvero! LA MORALE DEI 10 ANNI Ieri sera, tra le luci di Villa Koch e gli applausi degli amici, una cosa era chiara: Picchio News non ha solo attraversato 10 anni di cambiamenti digitali, li ha anticipati. E questo non per caso, ma per scelta. Per la scelta di credere che dietro ogni schermo ci fossero persone vere, con storie vere da raccontare e da ascoltare. I prossimi 10 anni? Iniziano oggi. Con la stessa curiosità, la stessa passione, la stessa voglia di raccontare il mondo che cambia. Ma con 10 anni di esperienza in più. E con la certezza che quando credi davvero in quello che fai, il tempo ti dà sempre ragione. Auguri Picchio News. Auguri a noi tutti. E che la festa continui!
Back to work social: quando il rientro diventa performance
È settembre e i social si riempiono della stessa scena: scrivania perfettamente ordinata, caffè fumante accanto al MacBook, agenda aperta su "nuovi progetti", didascalia motivazionale su "fresh start" e "new goals". Il back to work 2025 è diventato uno spettacolo teatrale dove tutti recitano il ruolo del professionista motivato che riparte alla grande. Ma dietro questa messa in scena cosa c'è davvero? E soprattutto: questa performatività del rientro aiuta davvero a ripartire o è solo l'ennesima pressione sociale travestita da motivazione? Settembre è diventato il gennaio bis: stessa pressione sociale, stessi propositi irrealistici, stessa delusione quando la realtà si scontra con l'immagine perfetta che abbiamo costruito online. L'ANSIA DA RIENTRO "Come sono preparato per settembre", "I miei obiettivi per l'autunno", "La mia routine mattutina per la produttività": i social di settembre sono un manuale di self-help collettivo dove tutti fanno gli esperti di organizzazione personale. Ma questa gara a chi riparte meglio genera più ansia che motivazione. Perché quando vedi tutti gli altri apparentemente super organizzati e motivati, e tu stai ancora cercando di capire dove hai messo l'agenda, ti senti automaticamente in ritardo sulla vita. Il rientro vero non è su Instagram. È fatto di mattine difficili, progetti che non decollano subito, abitudini che faticano a consolidarsi. Ma questo sui social non lo vedi mai. LA DIFFERENZA TRA RIPARTIRE E FINGERE DI RIPARTIRE Chi riparte davvero: Non annuncia ogni piccolo cambiamento Lavora sui processi più che sull'estetica È costante nel tempo, non solo a Settembre Sa che i cambiamenti richiedono tempo Non ha bisogno di validazione sociale per ogni passo Chi finge di ripartire: Documenta tutto nei minimi dettagli Si concentra sull'aspetto "instagrammabile" dei cambiamenti Fa grandi annunci ma poca sostanza Smette dopo le prime difficoltà Ha bisogno di approvazione esterna per continuare La differenza è sottile ma fondamentale per chi vuole costruire un cambiamento reale, non solo apparente. IL MITO DELLA PERFEZIONE I Social ci hanno convinto che per essere produttivi bisogna avere tutto perfetto e documentato. Ma la creatività e la produttività vera nascono spesso dal caos, dall'imperfezione, dal processo, non dal risultato finale da condividere su Facebook. L'OPPORTUNITÀ NASCOSTA DEL VERO RIENTRO Ecco il punto che molti perdono: Settembre può essere davvero un nuovo inizio, ma solo se smetti di recitarlo e inizi a viverlo. I Social possono essere alleati del cambiamento, ma devono essere usati strategicamente, non compulsivamente. Come usare i social per un vero top start: 1. Condividi processi, non solo risultati 2. Sii onesto sulle difficoltà, non solo sui successi 3. Crea contenuti che aiutano gli altri, non che li intimidiscono 4. Usa i Social per creare contatti positivi 5. L'autenticità nel raccontare il proprio rientro crea connessioni vere e motiva davvero, invece di generare solo invidia o competizione tossica. LA RICETTA DEL BACK TO WORK FAKE Come trasformare settembre in un altro mese di frustrazione mascherata da motivazione: 1. 50 foto della scrivania ordinata in angolazioni diverse 2. Lista di obiettivi impossibili da raggiungere in 3 mesi 3. Routine mattutina copiata da influencer motivazionali 4. Agenda riempita di impegni "produttivi" ma poco realistici 5. Confronto costante con altri "super organizzati" sui Social 6. Abbandono della "motivazione" alla prima difficoltà Mescolate con perfezionismo tossico e servite freddo quando la realtà non corrisponde all'aspettativa. Risultato garantito: senso di fallimento entro fine ottobre. IL PARADOSSO DELLA MOTIVAZIONE CONDIVISA Più condividi la tua motivazione sui social, più rischi di perderla. La vera motivazione non ha bisogno di essere costantemente alimentata dai like. È intrinseca, sostenibile, privata quando serve. Si nutre di risultati reali, non di approvazione virtuale. LA STRATEGIA DEL RIENTRO INTELLIGENTE Il back to work efficace sui Social non elimina la documentazione, ma la rende strategica: 1 Condividi il "perché", non solo il "cosa" 2. Mostra l'imperfezione del processo, non solo i successi 3. Crea contenuti utili per chi sta affrontando le tue stesse sfide 4. Usa i social per connetterti, non per competere 5. Documenta con costanza, non solo nei momenti perfetti Questo approccio costruisce un personal brand autentico e aiuta davvero chi ti segue, invece di intimidirlo. Le persone stanno diventando più brave a riconoscere l'autenticità dalla performance. Chi saprà raccontare il proprio rientro in modo genuino e utile avrà un vantaggio competitivo su chi continua a recitare la perfezione motivazionale. Il mercato premia chi ispira davvero, non chi intimorisce con la propria apparente super-organizzazione. LA MORALE SETTEMBRINA Settembre può essere un vero nuovo inizio, ma solo se smetti di metterlo in scena e inizi a viverlo. I social non sono nemici del cambiamento reale, sono strumenti. Come tutti gli strumenti, il risultato dipende da come li usi. La vera produttività è fatta di costanza silenziosa, errori che insegnano, processi che migliorano gradualmente. È meno spettacolare della scrivania perfetta, ma infinitamente più efficace. E se proprio vuoi documentare il tuo back to work, fallo per aiutare gli altri a sentirsi meno soli nel processo, non per dimostrare quanto sei bravo a ripartire. Perché alla fine, il rientro migliore è quello che non ha bisogno di essere dimostrato a nessuno. Solo vissuto.
Social elettorali: basta sagre, iniziate a parlare di programmi
Campagna elettorale 2025: i social dei candidati sono diventati il festival del folklore politico. Sagre, feste di paese, selfie sorridenti, strette di mano infinite. Ma dove sono finiti i programmi? Le proposte concrete? Le idee per il futuro? I social elettorali si sono trasformati in una vetrina permanente dove l’unica cosa che conta è essere visti. E i cittadini? Stanchi di vedere politici che si comportano come influencer. IL GRANDE INGANNO DELLA VICINANZA “Essere vicini alla gente” è diventato sinonimo di “farsi fotografare ovunque ci sia una festa”. Mercatini, sagre, inaugurazioni: ogni evento è buono per un selfie e un post. I cittadini non hanno bisogno di un candidato che sa sorridere alle feste. Hanno bisogno di qualcuno che sappia gestire sanità, trasporti, lavoro, ambiente. Ma di questo, sui social elettorali, non c’è traccia. L’EPIDEMIA DEL SELFIE ISTITUZIONALE Scenario tipo di ogni candidato 2025: foto con il sindaco di turno, selfie con gli organizzatori della festa, video mentre assaggi prodotti tipici. Il risultato? Profili social tutti uguali. Cambiano le facce, restano identici i contenuti.Ma soprattutto: zero rispetto per l’intelligenza degli elettori, che a furia di vedere sempre la stessa minestra rifrittta, hanno smesso di seguire i candidati sui social. COSA VOGLIONO DAVVERO I CITTADINI Sorpresa: la gente sui social vuole capire: - Come risolverai il problema del traffico - Cosa farai per l’ospedale che non funziona - Quale sarà la tua strategia per il lavoro - Come gestirai le risorse della regione - Quali sono le tue priorità concrete I social sono lo strumento perfetto per spiegare programmi complessi in modo semplice. IL PARADOSSO DELL’ACCESSIBILITÀ “Dobbiamo essere accessibili” è la scusa per giustificare contenuti banali e ripetitivi. Ma essere accessibili non significa essere superficiali. Si può spiegare un programma sanitario complesso con un video di 60 secondi ben fatto. Si può parlare di economia regionale senza addormentare nessuno. Si può essere seri senza essere noiosi. Il problema non è la complessità dei temi, è la pigrizia comunicativa di chi preferisce il selfie facile al video che richiede preparazione. LA RICETTA DEL CANDIDATO SOCIAL PERFETTO Come sprecare una campagna elettorale sui social: - 80% di contenuti su sagre, feste e inaugurazioni - 15% di foto con “la gente comune” (sempre sorridente) - 4% di slogan generici senza contenuti (“Insieme per il futuro!”) - 1% di accenni vaghi al programma (solo se proprio costretti) - 0% di risposte concrete alle domande dei cittadini - Stessa strategia di comunicazione di tutti gli altri candidati Mescolate con totale mancanza di personalità e servite tiepido agli elettori stanchi. Risultato: disaffezione politica e astensionismo record. L’OPPORTUNITÀ SPRECATA I social sono l’opportunità più grande che la politica abbia mai avuto per parlare direttamente ai cittadini. Senza filtri giornalistici, senza mediazioni, senza limiti di tempo. Puoi spiegare, educare, coinvolgere, rispondere. E invece cosa fanno i candidati? Li usano come un album fotografico delle loro uscite pubbliche. Uno spreco colossale di potenzialità. Chi saprà usare i social per comunicazione seria avrà un vantaggio competitivo enorme sugli altri. Ma evidentemente nessuno se n’è ancora accorto. IL CASO DEGLI INFLUENCER POLITICI CHE FUNZIONANO Nel mondo esistono politici che sui social spiegano le loro proposte, educano i cittadini, rispondono alle domande, creano dibattiti costruttivi. E guarda caso: sono quelli che ottengono più consenso duraturo. Non è magia, è strategia comunicativa intelligente. È rispetto per l’intelligenza degli elettori. È utilizzare gli strumenti digitali per quello che sono: mezzi di comunicazione, non album di ricordi. LA MORALE ELETTORALE Una campagna elettorale sui social dovrebbe educare, informare, coinvolgere. Dovrebbe elevare il dibattito pubblico, non abbassarlo al livello della cronaca mondana. I cittadini meritano di più. Meritano candidati che usano i social per spiegare come vogliono governare, non per documentare dove sono stati invitati a cena. E chi lo capirà per primo avrà già vinto. Non solo le elezioni, ma soprattutto il rispetto degli elettori. Perché alla fine, la vera vicinanza alla gente si misura nella capacità di risolvere i loro problemi reali. E questo, sui social, si può raccontare benissimo. Se sai come fare.
Estate senza filtri: la ribellione dei veri
“Body positive”, “real is beautiful”, “no filter”: l’estate 2025 è stata invasa da questi hashtag. Sembra che tutti abbiano deciso di mostrarsi “autentici”, senza ritocchi, con imperfezioni in bella vista. Ma siamo sicuri che questa rivoluzione anti-filtro sia davvero autentica? O è solo l’ultimo trend da cavalcare per sembrare più credibili? Spoiler: spesso è la seconda. E qui iniziano i problemi. L’AUTENTICITÀ Paradosso dell’estate: mai visti così tanti post “senza filtri” così perfettamente studiati. Cellulite strategicamente in bella vista, capelli “naturalmente” fatti in casa, makeup “no makeup” che richiede più prodotti del trucco da sera. Il risultato? L’autenticità è diventata un altro personaggio da interpretare. E come tutti i personaggi fake, si riconosce a chilometri di distanza. Il problema non è voler apparire naturali. Il problema è fingere di essere naturali quando non lo si è. IL BUSINESS DELLA SINCERITÀ Influencer che mostrano la pancia non perfetta per vendere integratori dimagranti. Creator che postano acne e brufoli per promuovere prodotti skincare. Personal trainer che mostrano cellulite per attrarre più clienti. L’autenticità è diventata una strategia di marketing. E quando l’autenticità diventa strategia, smette di essere autentica. Ma attenzione: questo non significa che sia tutto falso. Significa che bisogna saper distinguere tra chi è genuinamente autentico e chi fa cinema dell’autenticità. LA TRAPPOLA DELL’ESTREMO OPPOSTO Dopo anni di filtri esagerati e corpi impossibili, molti sono caduti nell’estremo opposto. Dal “tutto perfetto” al “tutto imperfetto”. Ma anche l’imperfezione studiata è una perfezione, solo di segno contrario. Il vero equilibrio non è nel mostrare tutto o nascondere tutto. È nel sapere cosa condividere, quando e perché. È autenticità strategica, non esibizione compulsiva. E qui casca l’asino: la maggior parte delle persone non sa dove sia questo equilibrio. IL RICONOSCIMENTO DELL’AUTENTICITÀ VERA Come si riconosce l’autenticità vera da quella finta? L’autenticità vera: - Non si annuncia (“Eccomi senza filtri!”) - È coerente nel tempo, non a spot - Non cerca like attraverso l’imperfezione - Racconta storie, non vende prodotti L’autenticità finta: - Ha sempre un hashtag di accompagnamento - Compare solo quando conviene - È perfettamente imperfetta - Ha sempre un tornaconto commerciale La differenza è sottile ma fondamentale per chi costruisce un personal brand sui social. LA RICETTA DELL’AUTENTICITÀ FINTA Come trasformare la naturalezza in ennesima strategia fallimentare: - 1 imperfezione studiata nei minimi dettagli - 3-4 tentativi per la foto “spontanea” perfetta - Caption motivazionale sull’accettazione di sé - Hashtag #nofilter su foto chiaramente ritoccate - Scopo commerciale nascosto dietro la “sincerità” Mescolate con buone intenzioni sbagliate e servite a un pubblico stanco delle solite pose. Risultato garantito: ennesima performance che nessuno crede più! L’OPPORTUNITÀ MANCATA Ecco il punto: l’autenticità sui social non è solo possibile, è la strategia più efficace che esista. Ma deve essere VERA autenticità, non il suo teatrino. Le persone hanno sviluppato un radar per la falsità. Sanno riconoscere chi è autentico e chi recita l’autenticità. E premiano il primo, puniscono il secondo. Il mercato oggi premia chi sa essere genuinamente sé stesso. IL PARADOSSO DEL SUCCESSO Chi ha davvero successo con l’autenticità? Chi non la sbandiera come una bandiera. Chi semplicemente è, senza bisogno di dimostrarlo ogni tre post. Questi creator hanno capito che l’autenticità non è un contenuto, è un modo di comunicare. Non è cosa dici, è come lo dici. Non è mostrare imperfezioni, è essere coerenti con i propri valori. E soprattutto hanno capito che l’autenticità vera costruisce fiducia. E la fiducia, nel 2025, vale più di cinquemila follower fake. LA STRADA GIUSTA ESISTE La buona notizia? Il futuro appartiene ai veri. Si può costruire una presenza social autentica ed efficace. Si può essere sé stessi e ottenere risultati. Si può essere credibili e aumentare la propria visibilità. La chiave è capire che l’autenticità sui social non significa condividere tutto, ma condividere bene. Non significa essere sempre perfetti o sempre imperfetti, ma essere sempre coerenti. LA MORALE SOCIAL L’autenticità non è un trend da seguire, è un modo di essere. Non si può fingere a lungo termine. O sei autentico o non lo sei. I social sono solo uno strumento. Come tutti gli strumenti, il risultato dipende da come li usi. E questo, credetemi, fa tutta la differenza del mondo. Tra chi subisce i social e chi li sa usare. Tra chi recita un personaggio e chi costruisce un brand. Tra chi insegue l’ultimo trend e chi ne crea di nuovi. L’autenticità sui social si può imparare. Basta sapere come fare.
Ferragosto: la competizione del "chi si diverte di più" sui social
Si è spenta l’ultima story di Ferragosto e possiamo finalmente fare i conti. Come ogni 15 Agosto che si rispetti, i social sono stati teatro della più grande competizione estiva: chi posta la vacanza più invidiabile vince. Mare contro montagna, grigliata contro ristorante stellato, casa contro Formentera. Il verdetto? La giornata più “rilassante” dell’anno si è trasformata nel più stressante giorno dell’estate. IL BILANCIO DEL GRANDE TEATRO Ieri mattina alle 8:00 è iniziata ufficialmente la maratona del “guarda come mi sto divertendo meglio di te”. Stories a raffica fino a mezzanotte, post studiati nei minimi dettagli, video “spontanei” girati diciassette volte. Il risultato? Milioni di italiani che hanno passato più tempo a documentare il loro divertimento che a divertirsi davvero. Ora che la polvere social si è posata, la domanda sorge spontanea: ma alla fine, chi si è divertito davvero? LA GUERRA DELLE LOCATION Mare vs Montagna: la battaglia più antica dell’estate italiana, combattuta ieri a colpi di geotag e hashtag. Da una parte il “team mare” con tramonti arancioni, aperitivi in spiaggia e corpi abbronzati perfettamente inquadrati. Dall’altra il “team montagna” con panorami mozzafiato, aria pulita e pose zen sui sentieri. In mezzo, i poveri “team casa” che hanno fatto sparire completamente per non sembrare sfigati. Spoiler del risultato finale: ha vinto chi era troppo occupato a godersi il momento per postarlo. L’ASSURDO DELLA GRIGLIATA La grigliata di Ferragosto 2025 è diventata un set cinematografico. Ogni fase doveva essere immortalata: preparazione della carne (story obbligatoria), accensione del barbecue (reel con musica epica), momento “conviviale” (foto di gruppo con sorrisi plastificati). Il paradosso? Bistecche carbonizzate perché tutti erano impegnati a trovare l’angolazione perfetta, e conversazioni interrotte ogni tre minuti da “aspetta, devo fare una storia di questo momento magico”. IL MITO DEL RELAX INSTAGRAMMABILE “Relax mode on” hanno scritto nelle caption, mentre erano impegnati nella produzione di contenuti dalle 7 del mattino alle 11 di sera. Perché anche il dolce far niente, nel 2025, deve essere curato, editato e condiviso. Sdraio al mare? Libro sulla sabbia? Story. Cocktail al tramonto? Reel con trending audio. Il relax è diventato il lavoro più faticoso dell’estate. I DISPERSI DIGITALI DEL 15 AGOSTO E chi è rimasto a casa? Completamente svanito dai social. Il Ferragosto 2025 ha creato una nuova specie: i “fantasmi digitali del 15 agosto”. Non hanno postato nulla per non ammettere la loro “sconfitta”, ma hanno passato la giornata a scrollare le vite perfette degli altri. Il risultato? Si sono persi anche il loro Ferragosto casalingo, troppo occupati a invidiare quello degli altri. LA MATEMATICA DELL’INFELICITÀ Equazione del Ferragosto 2025: più stories posti, meno presente sei. Più dimostrare di divertirti, meno ti diverti davvero. È matematica sociale spicciola, ma evidentemente non così ovvia per chi ieri ha trasformato una giornata di festa in un part-time da content creator. LA RICETTA PER IL FERRAGOSTO PIÙ STRESSANTE Ingredienti per trasformare una giornata di relax in ansia da prestazione: - 1 location “instagrammabile” (possibilmente costosa) - 50+ stories nell’arco di 16 ore (ritmo industriale) - 3-4 outfit per diversificare i contenuti - Cibo fotogenico prima che buono - Amici disposti a fare da fotografi gratis - Hashtag strategici studiati in anticipo - Ansia costante per la conta dei like in tempo reale Mescolate tutto e servite bollente sui social. Effetto collaterale garantito: incapacità totale di vivere il momento presente. Ma chi ha vinto la gara del Ferragosto più bello? Semplice: chi non sapeva nemmeno che ci fosse una gara. Chi ha vissuto i momenti invece di documentarli. Chi si è divertito senza bisogno di dimostrarlo a nessuno. Il Ferragosto perfetto non finisce mai nelle stories. Resta nei ricordi, non negli insights. E soprattutto: non ha bisogno di like per essere stato fantastico. L’APPUNTAMENTO CON IL FUTURO La prossima volta, invece di chiederci “come faccio a mostrare che mi sto divertendo”, proviamo a chiederci “come faccio a divertirmi davvero”. E poi possiamo anche postarlo!
Amicizie a scadenza: perché i rapporti durano quanto una story
Ventiquattro ore. È questo il tempo di vita di una Instagram Story. Coincidenza vuole che sia anche la durata media di molte amicizie nell’era dei social. Benvenuti nell’epoca delle relazioni usa e getta, dove bloccare qualcuno è più facile che dire “scusa”. IL GRANDE BLUFF DELLE CONNESSIONI Mai così tanti contatti in rubrica, mai così pochi numeri da chiamare in caso di emergenza. I nostri smartphone traboccano di “amici”: WhatsApp, Instagram, TikTok, LinkedIn. Eppure quando serve davvero qualcuno, scopriamo che la maggior parte sono solo figurine sullo schermo.Il paradosso della generazione iperconnessa: 5000 amici su Facebook, 1000 follower su Instagram, zero persone disposte ad aiutarti per un trasloco. Qualcosa non quadra. L’ARTE DEL BLOCCO PREVENTIVO Una volta per litigare con un amico serviva coraggio. Guardarsi negli occhi, alzare la voce, sbattere una porta. Oggi basta un click e via: blocco su WhatsApp, unfollow su Instagram, rimozione completa e puff! Come se quella persona non fosse mai esistita. Il bello (si fa per dire) è che spesso il “crimine” è ridicolo: ha messo like alla foto del tuo ex, non ha risposto entro tre ore, ha condiviso un post che non ti è piaciuto. Reati che una volta si risolvevano con una battuta, oggi si puniscono con la cancellazione totale. E così il tasto “blocca” è diventato il nuovo “vaffa”. Più elegante, meno rumoroso, ma più definitivo. LA SINDROME “ZERO DRAMMI” “Non ho tempo per i drammi” è il nuovo mantra. Traduzione: non ho voglia di fare la fatica di capire perché una persona si comporta in un certo modo. È più comodo premere delete e passare al prossimo. Questa filosofia da self-help da quattro soldi ci ha convinto che ogni momento di tensione sia “tossico”, che ogni disaccordo sia “energia negativa da eliminare”. Risultato? A forza di fare “pulizie energetiche”, ci ritroviamo con la casa vuota. IL FAST FASHION DELLE RELAZIONI Le amicizie social seguono le stesse logiche di Shein: consumo veloce, qualità scarsa, sostituzione immediata. Aggiungi, interagisci, ti annoi, rimuovi. Il ciclo di vita di un’amicizia 2.0 è più breve di quello di una tendenza su TikTok. LA NOSTALGIA DEL LITIGIO VERO C’era un tempo in cui litigare con un amico era normale. Ti arrabbiavi, non ti parlavi per una settimana, poi uno faceva il primo passo e tutto tornava come prima. O meglio di prima. Il conflitto rafforzava il legame invece di spezzarlo. Oggi la prima incrinatura è spesso l’ultima. Non c’è tempo per elaborare, per capire, per perdonare. Il mondo pullula di nuove connessioni da fare, perché perdere tempo a riparare quelle danneggiate? IL MITO DELL’AMICIZIA INSTAGRAMMABILE I social ci mostrano solo amicizie perfette: cene sorridenti, weekend da sogno, solo commenti positivi. Così ci aspettiamo che anche le nostre siano sempre: senza conflitti, senza momenti morti, senza la noia della quotidianità. Ma l’amicizia vera non è un contenuto curato. È fatta anche di silenzi imbarazzanti, opinioni diverse, periodi di lontananza. È umana, quindi imperfetta. LA RICETTA PER L’ISOLAMENTO PERFETTO Ingredienti per rimanere soli nell’era dell’iperconnessione: - 1 kg di aspettative impossibili sugli altri - Una manciata di tolleranza zero per i conflitti - Dito pronto al tasto “blocca” - Paura di investire emotivamente (quanto basta) - L’illusione che esista sempre qualcuno “migliore” Mescolate tutto con una buona dose di narcisismo digitale. Lasciate riposare in una bolla di autoreferenzialità. Servite freddo con contorno di solitudine. L’EPIDEMIA DELL’USA E GETTA Abbiamo trasformato le persone in contenuti usa e getta. Non intrattengono più? Next. Non rispondono abbastanza velocemente? Next. Hanno un’opinione diversa dalla nostra? Next. Questa mentalità del “sempre meglio di” ci sta rendendo incapaci di apprezzare quello che abbiamo. Siamo sempre in cerca dell’amicizia perfetta, come fossimo su un’app di incontri. LA CURA ANALOGICA Forse è il momento di tornare a trattare le amicizie come facevano i nostri genitori. Con investimento a lungo termine, con la consapevolezza che le persone attraversano momenti diversi, con l’accettazione che non tutto deve essere perfetto sempre. Prova questo esperimento: la prossima volta che un amico ti delude, invece di bloccarlo, chiamalo. Scoprirai che dietro ogni comportamento “strano” c’è spesso solo una persona che sta passando un brutto momento. LA MORALE SOCIAL In un mondo dove tutto scorre veloce come una Story, le amicizie vere sono quelle che resistono agli algoritmi. Non quelle perfette da postare, ma quelle autentiche da vivere. Non quelle senza conflitti, ma quelle che sanno attraversarli. Le persone non sono contenuti. Non hanno bisogno di essere sempre interessanti, sempre disponibili, sempre positive. Hanno solo bisogno di essere umane. E l’umanità, per definizione, non è mai perfetta. Ma è l’unica cosa che vale davvero la pena conservare.

nubi sparse (MC)



