di Diego Fusaro
"Elezioni americane: Trump o Harris? Nulla cambia, a vincere è sempre il blocco imperialistico dominante"
Il giorno delle elezioni presidenziali statunitensi si avvicina sempre più. E allora può essere utile svolgere qualche considerazione critica intorno a questo evento tanto atteso, da cui molti ritengono dipendano le sorti del pianeta. La tesi che intendo esprimere è la seguente: che vinca Donald Trump o che vinca Kamala Harris, a vincere è comunque il blocco oligarchico neoliberale e imperialista ad oggi dominante. Ritengo palesemente mendace e, di più, assurda la narrazione pur largamente diffusa secondo cui bisognerebbe sperare in Donald Trump. Di più, ritengo proditoria e infantile la narrazione stessa secondo cui dobbiamo aspettarci qualche possibile cambiamento radicale proveniente dalla civiltà del dollaro. Parafrasando il mio compianto maestro Costanzo Preve, la Trump-mania di numerosi sedicenti antisistema è una sorta di wishful thinking, ossia una forma di subordinazione e di interiorizzazione della collocazione - fintamente dissidente - nell’impero americano. Come a dire: vorremmo un imperatore buono e non cattivo, vorremmo Traiano (Trump) e non Nerone (Harris). La Trump-mania non è una riflessione dialettica sui nessi tra l’Europa e la civiltà a stelle e strisce, cioè tra la colonia e l'impero. È, invece, semplicemente la forma di interiorizzazione della subalternità: la forma di chi, appunto, preferisce un imperatore buono, senza mai mettere in discussione il proprio ruolo di suddito dell'impero. Anche per questo, come dicevo, non nutro alcuna speranza di cambiamento dalle elezioni americane prossime vetture. Oltretutto, che Donald Trump non rappresenti realmente una possibile alternativa all'ordine vigente mi pare lampante per più ragioni difficilmente confutabili. Anzitutto, sul piano strettamente economico, non dimentichiamo che Donald Trump nel 2017 ha deregolamentato la finanza. E con ciò ha fatto l'ennesimo dono al comparto di Wall Street, o anzi War Street, come ormai sarebbe più opportuno appellarla. La deregolamentazione della finanza ha prodotto il disastro del 2007 e il fatto che anche Trump continui a seguire la via della deregolamentazione ci segnala in modo adamantino non soltanto che nuovi disastri finanziari ci attendono all'orizzonte ma anche che lo stesso Trump è del tutto interno al paradigma che pure dice a parole di voler contrastare. Come non mi stanco di sottolineare, con i suoi modi guasconi e con le sue uscite temerarie, Donald Trump risulta semplicemente una anomalia del sistema neoliberale, del quale è comunque parte integrante. Sul piano geopolitico, poi, non dimentichiamo che Donald Trump è schierato totalmente dalla parte di Israele, in misura non inferiore alla sua rivale Kamala Harris. Addirittura, nei giorni scorsi ha sostenuto la necessità per Israele di colpire i siti nucleari dell'Iran. Nulla da aggiungere, dunque. Per non parlare poi del radicato odio di Trump verso la Cina, un odio su cui recentemente anche il nuovo segretario della NATO, Rutte, gli ha dato sostanzialmente ragione. Come sappiamo, il vero nemico di Washington, soprattutto per l'avvenire, sarà la Cina, e non è da escludersi che la civiltà dell'hamburger utilizzi Taiwan contro la Cina come già ha utilizzato e sta utilizzando l'Ucraina contro la Russia. Insomma, per nutrire speranze in Donald Trump bisogna essere stolti o in cattiva fede, o tutte e due le cose insieme. Con questo, si va di bene, non intendo certo prestare il mio supporto a Kamala Harris. Vorrei anzi dire che peggio di Donald Trump vi è solo lei. Del resto, Kamala Harris non è altro se non un Joe Biden al femminile: visione ultra liberista sul piano economico, prospettiva iper-imperialistica sul versante delle relazioni internazionali, e, dulcis in fundo, difesa a oltranza del capitalismo woke dell'arcobaleno funzionale alla deregolamentazione integrale dell'immaginario. Insomma, nemmeno da Kamala Harris possiamo attenderci qualche cambiamento. Se ella dovesse vincere, allora avremmo semplicemente la continuazione delle sciagurate politiche già poste in essere da Biden. Insomma, di una cosa possiamo essere certi: la salvezza, se mai vi sarà, non arriverà senz'altro da Washington. Potremmo anzi dire che l'imperativo oggi è più che mai quello di salvarsi da Washington.
L'EDITORIALE DI FUSARO - Israele e Ucraina: i due fronti della nuova guerra mondiale
Sempre più sta prendendo forma una vera e propria guerra mondiale, che si sta sviluppando su due fronti: quello ucraino e quello mediorientale. Si tratta di due scontri diversi, chiaramente, ma che debbono essere a nostro giudizio intesi come parti differenziate di un medesimo conflitto: il che emerge limpidamente se si considera che, sui due fronti, troviamo contrapposte le stesse forze, cioè da un lato l'occidente o, meglio, l'uccidente liberal-atlantista, e, dall'altro, la Russia, la Cina e quelli che potremmo genericamente definire i paesi disallineati alla globalizzazione americano-centrica e turbocapitalistica. A rigore, questo conflitto mondiale non è cominciato adesso, ma già nel lontano 1989, quando terminò la guerra fredda, che potremmo altresì intendere come la terza guerra mondiale, e principiò la nuova guerra mondiale, la quarta. Quest'ultima potrebbe essere ragionevolmente intesa come la guerra planetaria che la civiltà del dollaro ha scatenato contro tutte le forze che, per una ragione o per un'altra, non si sono ancora piegate alla sua libido dominandi e al processo stesso di americanizzazione del globo. Così debbono dunque essere intesi scontri come quello della Serbia del 1999 o dell'Iraq, fino alla Libia di Gheddafi: scontri diversi tra loro, certo, ma che si lasciano agevolmente ricondurre a questo paradigma ermeneutico, secondo cui la civiltà del dollaro ha preso di mira Stati che, in un modo o nell'altro, non erano ancora genuflessi all'ordine liberal-atlantista di matrice americana. Quello che è accaduto in Ucraina nel 2022 e che sta ora accadendo a Gaza e dintorni deve essere letto in questa cornice di senso: il processo di americanizzazione del mondo è giunto ora direttamente allo scontro con una potenza mondiale come la Russia e non è difficile immaginare che, nei prossimi anni, il nuovo obiettivo di Washington sarà la Cina, anch'essa una potenza sovrana e peraltro ormai tale da primeggiare sullo scenario mondiale. Come non mi stanco di ripetere, non è in atto una guerra della Russia contro l'Ucraina, come vanno ripetendo con l'usuale zelo gli araldi del pensiero unico politicamente e geopoliticamente corretto. Si tratta, invece, della guerra che la civiltà dell'hamburger sta conducendo contro la Russia, colpevole di non genuflettersi al nuovo ordine mondiale americanocentrico. L'Ucraina del guitto Zelensky, attore Nato, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, figura soltanto come instrumentum belli manovrato da Washington contro Putin. Per quel che riguarda il Medio Oriente, le politiche imperialistiche e genocidarie di Netanyahu debbono essere esse stesse lette secondo questa chiave interpretativa, ossia come orientate a normalizzare in senso occidentale e capitalistico l'intera area. La vecchia categoria leniniana di imperialismo, lungi dall'essere un inservibile ferro vecchio, ci permette di comprendere piuttosto bene quel che sta accadendo sia contro la Russia di Putin, sia contro i paesi detti mediorientali che non si piegano al nuovo ordine mondiale, l'Iran in primis. Dovrebbe essere ormai chiaro come il sole che il vero obiettivo di Israele risulta soprattutto l'Iran, che già da tempo Washington ha connotato come "Stato canaglia", espressione orwelliana che serve di fatto a definire tutti gli stati resistenti all'imperialismo a stelle e strisce. Surreale e irresponsabile risulta naturalmente l'atteggiamento della cosiddetta comunità internazionale, l'ennesimo nome ipocrita con cui l'uccidente qualifica se stesso. Detta comunità internazionale, sempre pronta a denunciare soprusi e dittature quando si tratta di realtà non occidentali, tace vergognosamente sull'operato di Netanyahu. Israele sta utilizzando soprattutto due argomenti puramente ideologici per giustificare l'ingiustificabile, ossia il proprio operato imperialistico e genocidario: Israele dice infatti di esercitare il proprio sacrosanto diritto di difendersi, quando in realtà sta aggredendo Stati sovrani come l'Iran e come il Libano. Ancora, Israele dice che sta lottando contro il terrorismo, quando in realtà sta ponendo in essere politiche che sono esse stesse palesemente terroristiche, nella misura in cui vanno a colpire obiettivi civili e procurano morti su morti. Si vorrà forse riconoscere che le donne, gli anziani e i bambini uccisi da Netanyahu sono tutti indistintamente terroristi degni di fare quella fine? Insomma, non sta giungendo una nuova guerra mondiale: essa è cominciata fin dal 1989 e adesso sta entrando nella fase più acuta. (Credit foto: hosny salah da Pixabay)