di Diego Fusaro

Romano Prodi e la biasimevole tirata di capelli alla giornalista

Romano Prodi e la biasimevole tirata di capelli alla giornalista

L'immagine collaudata di Romano Prodi come uomo mite, mansueto e bonario non risponde del tutto al vero, soprattutto dopo l'ultimo episodio, che molto sta facendo discutere in questi giorni: al cospetto di una giornalista di Mediaset, che lo ha posto dinanzi a un estratto del Manifesto di Ventotene in cui si parla dell'abolizione della proprietà privata, l'euroinomane Prodi ha sbottato con veemenza. E si è infuriato oltre ogni misura: «Che cavolo mi chiede? Ma il senso della storia ce l'ha lei o no?». Il suo volto era livoroso, le sue parole palesemente stizzite e contrariate. La giornalista di Mediaset ha successivamente affermato quanto segue, secondo quel che viene ad esempio riportato da "Open": «Mi ha tirato i capelli, uno shock». Insomma, Romano Prodi ha letteralmente perso la calma e si è infuriato. Anziché rispondere pacatamente alla domanda, ha rovesciato la scacchiera e ha sbottato contro la giornalista, addirittura - secondo quanto da lei dichiarato - tirandole i capelli. Per chi avesse scarsa memoria, ricordiamo che Romano Prodi fu Presidente del Consiglio nonché Presidente della Commissione europea, ma poi anche consulente in Goldman Sachs dal 1990 al 1993. Una figura emblematica, dunque, della politica italiana ed europea e del sistema finanziario egemonico: come abbiamo estesamente mostrato nel nostro studio "Marx a Wall Street", esiste una sorta di porta girevole, in forza della quale i finanzieri diventano politici della Ue, e i politici della Ue diventano finanzieri (è il caso di Barroso, che, finito il suo mandato alla UE, è passato direttamente in Golman Sachs). Con ciò è confermata la nostra tesi, secondo cui l'Unione Europea, lungi dall'essere il grande laboratorio democratico celebrato ideologicamente da Roberto Benigni (alla modica cifra di un milione di euro: tanto è costato il suo show ideologico), rappresenta il trionfo del capitale finanziario a nocumento dei popoli e dei lavoratori della vecchia Europa. Tra l'altro, ancora nei giorni scorsi, Romano Prodi ha celebrato con enfasi il riarmo dell'Europa proposto dalla vestale del neoliberismo cosmopolita Ursula von der Leyen e si è anzi lamentato che si tratta di un piano "troppo prudente". Sarebbe d'uopo rammentare anche il fatto che Prodi, uno dei protagonisti dell'ingresso dell'Italia nell'euro, ebbe a dire a suo tempo che grazie all'euro avremmo lavorato un giorno in meno alla settimana guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più. Si trattava, con tutte evidenza, di una tesi inconsistente, presto smentita dalle dure repliche della realtà. Come d'altro canto è stata smentita la tesi, infinite volte ripetuta, secondo cui l'Unione Europea ci proteggerebbe dalle guerre: abbiamo ora appreso dolorosamente che le propizia in ogni modo. Adesso non ci stupiremmo davvero se Romano Prodi ci spiegasse che grazie all'euro e all'Unione Europea combatteremo un giorno in meno come se avessimo combattuto un giorno in più. Va sottolineato come gli euroinomani e gli austerici di Bruxelles si rivelino attualmente piuttosto tesi e pronti a sbottare contro chiunque osi mettere in discussione la loro narrazione intrinsecamente ideologica, che sempre più fa acqua da tutte le parti. Sia quel che sia, si è molto discusso in questi giorni dell'intervista, particolarmente sgradevole, per i toni rigorosi e palesemente infastiditi di Romano Prodi. La giornalista aveva dichiarato che l'euroinomane di Bruxelles le aveva addirittura tirato i capelli: ma fino a quel momento, in assenza di prove, era la sua parola contro quella di Prodi. Tant'è che molteplici araldi dell'ordine liberal-progressista e dell'armata Brancaleone della sinistrash che ha rinnegato Marx, Gramsci e le classi lavoratrici si erano apertamente schierati senza se e senza ma dalla parte di Prodi. Enrico Letta, ad esempio, aveva cinguettato su X spostando una sua foto accanto a Prodi e scrivendo icasticamente "io sto con Romano". Più in là ancora si era spinto il giornalista Giannini, firma del rotocalco turbomondialista e voce del padronato cosmopolitico "La Repubblica": il quale aveva asserito che Romano Prodi aveva dato una bella lezione ai giornalisti sicari. La signora Serracchiani, in una sua epifania catodica, aveva detto che non si può pretendere da Prodi la pazienza di Giobbe. Però adesso sono spuntate le prove, e segnatamente il video che mostra come effettivamente Romano Prodi abbia tirato i capelli alla giornalista di Mediaset: perfino "Il Corriere della sera" ha pubblicato il video, dedicandogli un articolo specifico. Insomma, Prodi non si è limitato a perdere verbalmente la pazienza, ma è passato alle azioni, più precisamente ad azioni francamente deplorevoli sotto ogni riguardo. E ora femministe, me too e politici liberal-progressisti che diranno? Enrico Letta dirà ancora "Io sto con Romano"? E il giornalista Giannini dirà ancora che Prodi ha dato una bella lezione ai giornalisti? Vi sarà, come è auspicabile, una collettiva presa di posizione contro il contegno francamente criticabilissimo di Romano Prodi o, in maniera opposta, le sinistre liberal-progressiste, sempre in barricata a difesa dell'inclusività e delle donne, preferiranno alzare le spalle e voltare lo sguardo dall'altra parte? Staremo a vedere, intanto registriamo con sgomento l'accaduto, una pagina davvero triste della recente storia italiana, essa stessa, in generale, particolarmente triste.

30/03/2025 11:40
La demenziale piazza per l'Europa e i costi della guerra

La demenziale piazza per l'Europa e i costi della guerra

Sul palco della demenziale e surreale Piazza dell'Europa, in cui si cantava "Bella Ciao" invocando orwellianamente il riarmo dell'Europa, vi era anche il cantautore Roberto Vecchioni. Quest'ultimo ha tenuto un discorso da fare accapponare la pelle, pronunziando parole di una gravità inaudita, che ci inducono a pensare che forse sarebbe davvero meglio se Vecchioni si limitasse a cantare: tanto sono belle indubbiamente le sue canzoni, quanto sono orrende le parole pronunciate sul palco della demenziale piazza per l'Europa, la piazza più demenziale dell'intera storia umana. "Non si può accettare qualsiasi pace", ha asserito il cantautore meneghino. In buona sostanza, secondo Vecchioni, sbagliano quelli che vogliono la pace in maniera incondizionata, poiché la vera pace nel contesto è quella di chi vuole armarsi: non occorre aver conseguito un dottorato in logica a Oxford per capire che il sofisma utilizzato da Vecchioni e dalla nutrita banda degli euroinomani belligeranti è quello secondo cui la vera pace coincide con la guerra, laddove chi respinge la guerra non è un sostenitore della pace ma un pericolo per l'Unione Europea, tempio vuoto che santifica il turbocapitalismo finanziario e il nulla della cancel culture. Del resto, non deve sfuggire a nessuno: dicono di voler difendere la pace, tra bandieroni arcobaleno all'insegna del nulla, e intanto propiziano il riarmo dell'Europa, secondo il folle piano della vestale del neoliberismo europeo, la signora Ursula von der Leyen; folle piano che, oltretutto, si realizzerà probabilmente attingendo a piene mani dalle tasche dei contribuenti europei, secondo quello che già è in discussione a Bruxelles. Come se non bastasse, Roberto Vecchioni ha anche avuto il coraggio di pronunziare queste parole davvero incredibili: «adesso chiudete gli occhi e pensate ai nomi che vi dico: Socrate, Cartesio, Hegel e Marx; vi dico Shakespeare, Pirandello e Leopardi. Ma gli altri le hanno queste cose?». Si tratta di parole fumettistiche e caricaturali, per non dire platealmente senza senso: è bensì vero che la nostra civiltà ha avuto questi spiriti magni, di cui non possiamo che essere fieri; ma è una mossa davvero indecorosa mobilitare i nomi di questi eroi del pensiero e della nostra civiltà per giustificare politiche infami di riarmo che nulla hanno a che vedere con la loro grandezza. Proprio perché abbiamo avuto tali spiriti magni dovremmo avere la dignità di respingere la guerra e di difendere le ragioni della pace e del dialogo. Per non parlare poi del fatto che suona palesemente ridicolo lo schema di pensiero per cui si citano eroi della nostra civiltà per sminuire quelle altrui, come ha fatto senza perifrasi Roberto Vecchioni. Il quale forse ignora che se in Europa abbiamo avuto Dante e Cartesio, in Russia hanno avuto Dostoevskij e Puškin. Ancora, forse Vecchioni ignora che la Russia non è un altro mondo rispetto all'Europa, ma è parte integrante della nostra cultura. Roberto Vecchioni farebbe bene a menzionare Cartesio e Shakespeare per prendere coscienza di come l'Unione Europea li abbia traditi e non ne sia affatto erede in alcun modo. È davvero un peccato che Vecchioni abbia smesso di essere anzitutto un cantautore di successo per vestire i panni del predicatore politico allineato all'ordine dominante, spingendosi addirittura, come ha fatto dal palco della piazza per l'Europa, a celebrare il riarmo europeo voluto dagli euroinomani di Bruxelles e dai banchieri apolidi che comandano attualmente il vecchio continente. Per parte nostra, con spirito di carità, continueremo a ricordare con ammirazione il Vecchioni cantante, stendendo un velo pietoso sulle sue recenti orazioni politiche omologate all'ordine discorsivo egemonico di una Unione Europea sempre più simile a un treno in corsa verso l'abisso. Dovrebbe essere, almeno in teoria, un punto fermo quello per cui la guerra ha i suoi costi. E, come sempre, a sostenerli sono coloro i quali appartengono al popolo degli abissi, gli stessi che peraltro vengono mandati al fronte a morire pur non volendo la guerra. Anche il nostro presente, naturalmente, non fa eccezione. E adesso che si parla a tambur battente di riarmo dell'Europa e di investimenti per 800 miliardi di euro per le armi, sorge ovviamente il problema di dove prenderli. Non è difficile, in effetti, capire donde li prenderanno. La signora Ursula von der Leyen, vestale del neoliberismo cosmopolita e sacerdotessa dei mercati finanziari speculativi, lo ha già lasciato intravedere nitidamente: bisognerà trasformare i risparmi privati in investimenti necessari, ha detto senza perifrasi edulcoranti. E adesso le fa eco anche l'euroinomane di Bruxelles, l'unto dai mercati, l'austerico delle brume europee, Mario Draghi: il quale dichiara che, per il folle programma del Rearm Europe, forse 800 miliardi non bastano ed è opportuno - sono parole sue - "coinvolgere i privati". Una formula decisamente perifrastica, per non dire orwelliana: una formula mediante la quale l'euroinomane di Bruxelles lascia intendere che, presto o tardi, gli araldi dell'ordine disordinato del capitalismo finanziario no border potranno mettere mano ai nostri conti. Magari dapprima lo faranno mediante la via della persuasione, provando a convincere anzitutto i militanti o, meglio, i militonti delle varie piazze per l'Europa circa la necessità di investire i propri denari a beneficio di un progetto volto a difendere i sacri valori dell'Europa odierna, vale a dire finanza e fiscal compact, transizione verde e cancel culture. In seconda battuta, però, non ci sorprenderemmo se i pretoriani dell'ordine liberal-progressista dovessero arrivare alla extrema ratio di un prelievo forzoso, magari simile a quello compiuto nel 1992 dal governo Amato: prelievo in grazia del quale, con il favore delle tenebre, prelevarono il 6 per mille dai conti di tutti gli italiani. Insomma, possiamo dire davvero che la situazione è tutto fuorché tranquilla, anche per quel che riguarda le nostre vite e i risparmi accumulati con fatica per i figli e per i nipoti. L'accumulazione capitalistica per spossamento, come l'ha definita David Harvey, si basa d'altro canto esattamente su questo principio: prelevare la ricchezza dal lavoro per portarla ai piani alti delle classi dominanti transnazionali. Il teorema, tanto caro agli aedi dell'ordine liberista, secondo cui l'arricchimento dei ceti dominanti genera lo sgocciolamento a beneficio del basso deve essere capovolto: l'arricchimento dei piani alti si basa proprio sullo sgocciolamento al rovescio, tale per cui le ricchezze della plutocrazia neoliberale vengono accumulate estraendo danari dalle classi che vivono del proprio lavoro. Si chiama lotta di classe dall'alto.

23/03/2025 12:10
Continua la tragedia della Romania: escluso dalle elezioni Georgescu

Continua la tragedia della Romania: escluso dalle elezioni Georgescu

Seguita senza tregua la tragedia della Romania, laboratorio politico dell'Unione Europea e della sua tecnocrazia repressiva indebitamente appellata democrazia. Scopriamo ora, infatti, che Georgescu è stato escluso definitivamente dalle elezioni presidenziali del suo Paese. Sono scoppiate le proteste in tutta la Romania per questa vicenda vergognosa, che segna la bancarotta finale dell'Unione Europea. La tragedia si è consumata dunque in tre atti, che vogliamo celermente ripercorrere a volo d'aquila. Qualche mese addietro, Georgescu vinse le elezioni, che furono immediatamente annullate con la scusa che si erano registrate delle non meglio chiarite interferenze russe: si disse che Georgescu era un uomo di Putin, un pericolo per la democrazia Europea, un nemico dei valori di quell'Occidente che già da tempo abbiamo proposto di ribattezzare uccidente liberal-atlantista. Il secondo atto della tragedia si è avuto pochi giorni addietro: Georgescu è stato fermato dalla polizia con l'accusa di organizzazione di gruppi pericolosi per la democrazia europea. E adesso, dulcis in fundo, Georgescu è stato definitivamente escluso dalle elezioni. Il fabula docet è chiarissimo, almeno per quanti non vogliano compiere il noto gesto dello struzzo, che nasconde la testa sotto la sabbia per non vedere ciò che gli sta intorno. L'Unione Europea non è una democrazia, ma una tecnocrazia repressiva che ricalca i moduli dello schema americano, se mai è possibile rendendolo ancor meno democratico. Si è spalancata una nuova finestra di Overton grande come una casa. Negli spazi repressivi dell'Unione Europea, se si vincono le elezioni ma si risulta sgraditi a Washington e a Bruxelles, ecco che le elezioni stesse vengono annullate, si viene fermati dalla polizia e, infine, si viene esclusi dalla possibilità di competere nella gara elettorale. Qualcosa non è chiaro? Lo stesso Georgescu ha commentato con rabbia e sgomento la vicenda, chiamando apertamente dittatura il nuovo ordine degli euroinomani e degli austerici delle brume di Bruxelles. L'Unione Europea non è mai stata una democrazia. È stata da subito l'emblema della dominazione plutocratica capitalistica del vecchio continente, riorganizzato dopo il 1989 in chiave verticistica a beneficio dei gruppi dominanti e contro le masse popolari, le nazioni, i lavoratori e i ceti medi. Ora cade definitivamente la maschera e l'Unione Europea si esibisce universalmente per quello che realmente è: una plutocrazia finanziaria neo-liberale e bellicista. Alla fine, è stato bloccato anche il ricorso di Georgescu, escluso dalle elezioni in Romania. Una decisione gravissima, come già abbiamo detto: una decisione che apre una enorme finestra di Overton e forse fa della Romania un vero e proprio laboratorio per quelle che saranno le politiche autoritarie e repressive di una Unione Europea sempre più indistinguibile dagli autoritarismi contro cui è solita puntare il dito. Tant'è che in Italia Carlo Calenda ha già proposto, nei giorni scorsi, un surreale "scudo democratico" contro le ingerenze straniere nelle elezioni italiane: "scudo democratico" - mai espressione fu più orwelliana - che di fatto, se dovesse diventare legge, comporterebbe la possibilità di fare anche in Italia ciò che è stato fatto in Romania. E mentre assistiamo increduli a questa deriva autoritaria, la parlamentare del Partito Democratico Alessia Morani così cinguetta su X o Twitter che dir si voglia: "In Romania il pupazzo di Putin non potrà partecipare alle elezioni". Anziché denunciare con preoccupazione quello che è accaduto in Romania e che segna sotto ogni profilo l'avviamento di un percorso autoritario e repressivo rispetto a tutte le posizioni disallineate rispetto al verbo unico liberal-atlantista, la parlamentare del Partito Democratico - altra espressione ormai puramente orwelliana - giubila per la decisione e irride spietatamente Georgescu, liquidandolo come un "pupazzo di Putin". Se ne infierisce ragionevolmente che, d'ora in poi, magari anche grazie allo scudo democratico di Calenda, le elezioni saranno annullate anche in Italia tutte le volte che produrranno esiti sgraditi ai pretoriani dell'ordine costituito e agli araldi del liberal-atlantismo dominante. Non ci stanchiamo di sottolinearlo e ci pare degno della massima attenzione: l'Unione Europea seguita a celebrarsi come il paradiso della libertà e della democrazia, ma in realtà appare già da tempo una realtà concentrazionaria e repressiva, che orwellianamente chiama democrazia la soppressione della democrazia e chiama pace la difesa a oltranza della guerra. Di più, Orwell era un dilettante.

16/03/2025 12:00
La disfatta di Zelensky: Trump lo ha scaricato senza pietà come Mangiafuoco coi suoi burattini

La disfatta di Zelensky: Trump lo ha scaricato senza pietà come Mangiafuoco coi suoi burattini

È stata una autentica Caporetto quella subita a Washington dal "guitto" Zelensky, attore Nato, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, dittatore e attore, in una parola "dittattore". Egli è stato "accolto", se così vogliamo dire, da Trump, che lo ha metaforicamente preso a sberle dall'inizio alla fine, rinfacciandogli senza perifrasi edulcoranti tutta la sua nequizia e tutta la sua inutilità politica. Il "guitto" di Kiev si era illuso di poter andare a Washington a dettare la linea da seguire, ma Trump lo ha letteralmente steso a tappeto: "non hai le carte", "non sei nelle condizioni di dettare la linea", "ti sei messo in una brutta posizione", "vuoi portarci alla terza guerra mondiale?". Questi alcuni dei passaggi salienti del discorso sferzante tenuto dal codino biondo che fa impazzire il mondo al cospetto del "dittattore", che è stato effettivamente umiliato in mondovisione. La lezione che se ne trae, il fabula docet, è che di Washington non ci si può fidare, come peraltro era già da tempo noto: il "guitto" di Kiev è stato prodotto in vitro da Washington e utilizzato da Biden in funzione antirussa, come una sorta di testa d'ariete impiegata contro Putin, senza alcun risultato peraltro. Adesso Donald Trump lo scarica senza pietà, alla stregua del modus operandi di Mangiafuoco con i suoi burattini in Pinocchio di Collodi. Si tratta di un esempio della più spietata Realpolitik: Donald Trump ha preso coscienza del fatto che la Russia non può essere sconfitta, come peraltro insegna magistralmente la storia delle campagne di Russia passate. E allora ha deciso ragionevolmente di porre fine alla guerra, scendendo a patti con Putin e scaricando senza pietà il "guitto" di Kiev, peraltro umiliandolo in mondovisione a Washington. Il "guitto" di Kiev, lungi dall'essere un eroe, come taluni stoltamente hanno sostenuto nei giorni scorsi, si conferma per quello che è sempre stato: una marionetta manovrata da Washington e ora scaricata da Washington, un pavido burattino telecomandato dall'imperialismo a stelle e strisce. E in maniera del tutto folle, l'Unione Europea desidera seguitare a supportare il guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky, nei suoi stolti propositi di guerra contro la Russia. Anziché giubilare per l'ormai prossima, si spera, fine di una guerra che ha lasciato sul campo migliaia e migliaia di morti, l'Unione Europea, con ciò confermando il proprio nichilismo, vuole che la guerra continui e si schiera saldamente dalla parte del "guitto" di Kiev contro Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo, che nei giorni scorsi lo ha umiliato e sbertucciato in mondovisione. Vero è che né Trump, né Zelensky hanno avuto l'onestà di dire in mondovisione che questa guerra è stata voluta da Washington, la quale ha utilizzato il "guitto" e "dittattore" come una semplice marionetta, come un mero instrumentum belli, per poi abbandonarlo alle fiamme come le marionette di Mangiafuoco in Pinocchio di Collodi. È, a ben vedere, la sorte nefanda a cui vanno incontro i servi: servono finché servono, e quando non servono più vengono scaricati brutalmente e impietosamente. Quello che naturalmente l'Unione Europea, continuando a difendere il "guitto" di Kiev, si guarda bene dal mettere in mostra è che egli non rappresenta in alcun modo i valori della libertà e della democrazia: ha chiuso i partiti d'opposizione e ha perseguitato la chiesa ortodossa, ha imposto il canale televisivo unico e ha supportato il battaglione Azov. Non possiamo nemmeno obliare le immagini del guitto intento a firmare missili in una fabbrica in Pennsylvania, un gesto osceno e nefando. Leggo che adesso gli euroinomani di Bruxelles stanno organizzando in tutta Europa piazze gialloblu per sostenere le insostenibili ragioni della guerra del guitto contro la Russia. Michele Serra ha lanciato sulle pagine del rotocalco turbomondialista "La Repubblica" un appello affinché si scenda uniti in piazza per portare il sostegno all'Ucraina della marionetta telecomandata da Washington e poi da Washington abbandonata senza dignità. Come non mi stanco di sottolineare fino allo sfinimento, l'Unione Europea risulta oggi del tutto simile a un treno in corsa verso l'abisso. Farebbe ridere, se non facesse piangere.

09/03/2025 11:20
La guerra d’Ucraina sta finendo. E l’Europa esce con le ossa rotte

La guerra d’Ucraina sta finendo. E l’Europa esce con le ossa rotte

Pare che finalmente - Deo gratias - la guerra d'Ucraina stia finendo, grazie alla volontà congiunta di Vladimir Putin, presidente della federazione Russa, e di Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo. Quest'ultimo, non certo per bontà intrinseca, ma per semplice comprensione sobria dei rapporti di forza, ha deciso di scendere a patti con la Russia, ben sapendo che non la si può sconfiggere. E mentre le destre e le sinistre neoliberali europee starnazzano scompostamente, desiderando stoltamente la continuazione della guerra, ci punge vaghezza di rammemorare alcuni passaggi epocali dei sermoni della montagna dell'euroinomane delle brume di Bruxelles, Mario Draghi, l'unto dai mercati. Il quale non solo aveva a suo tempo dichiarato che, grazie all'infame tessera verde, si sarebbero prodotti ambienti sicuri dai contagi. Oltre a questa favola priva di fondamento, l'euroinomane di Bruxelles, l'austerico dei mercati cosmopoliti, si era anche bellamente sbilanciato in dichiarazioni relative alla guerra d'Ucraina, come quando aveva comicamente detto agli italiani che si trattava di scegliere tra il condizionatore e la pace. Ecco allora, proposte sparsamente, alcune delle memorabili dichiarazioni dell’unto dai mercati: "Kiev sembra avere un vantaggio sul campo"; "le sanzioni hanno avuto un effetto dirompente"; "la Russia fatica a fabbricare armamenti"; "l'economia Russa si contrarrà del 10%". Avevamo da subito messo in discussione dichiarazioni come queste, a cui pure gran parte degli italiani prestava fede come se provenissero da un oracolo infallibile e tale in effetti era per il discorso dominante l'euroinomane Mario Draghi. Ora possiamo dire senza tema di smentita che eravamo nel vero e che quei sermoni erano del tutto privi di fondamento, frutto di mera propaganda volta a giustificare la guerra e a far credere che la Russia fosse sul punto di crollare. La realtà, si sa, ha la testa dura e si incarica quasi sempre di smentire le narrazioni ideologiche, come nel caso specifico quelle proposte dall'unto dai mercati Mario Draghi. La cosa più incredibile è che, nonostante questa dura smentita, l'austerico di Bruxelles continui a essere serenamente considerato alla stregua di un oracolo infallibile, quando in realtà egli è soltanto una delle tante voci organiche al discorso neoliberale oggi egemonico. Discorso che oltretutto ha mostrato tutta la propria carica ideologica quando ha solennemente dichiarato l'esigenza di salvare l'euro a ogni costo (whatever it takes), con ciò lasciando apertamente intendere che tutto e tutti possono essere sacrificati sull'altare della moneta unica e dell'economia capitalistica connessa. Come se non bastasse, in questi giorni bui come non mai per l'Unione Europea, la signora von der Leyen, vestale del neoliberismo di Bruxelles, ha annunciato candidamente che entro marzo verranno inviati altri 3,5 miliardi di euro di sostegno all'Ucraina. E l'euroinomane Kallas ha serenamente domandato se gli europei siano pronti a inviare le proprie truppe a Kiev, per portare sostegno all'Ucraina ormai abbandonata da tutti. L'aveva proposto tempo addietro Macron, prodotto in vitro dei Rothschild, e adesso il progetto sciagurato sembra sempre più destinato a concretizzarsi. Non intendo ragionare ulteriormente sulla bancarotta dell'Unione Europea, che sta ora dolorosamente prendendo consapevolezza della propria irrilevanza e della propria integrale subalternità a Washington, che peraltro da sempre la tratta come una colonia priva di dignità. Desidero invece richiamare l'attenzione sul mutamento di paradigma che sta prendendo forma in queste settimane: le sinistre padronali e neoliberali, che sembrano ormai avere del tutto scavalcato le destre stesse nella difesa dell'ordine dominante, si stanno strappando le vesti in tutta Europa perché insoddisfatte della ormai imminente fine della guerra, sancita dall'accordo tra Vladimir Putin, presidente della federazione Russa, e Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo. Anziché giubilare per la fine dei supplizi inflitti al popolo ucraino, le sinistre arcobaleno, forse ancora più delle destre neoliberali, vogliono che la guerra continui. E hanno già apertamente ammesso che continueranno a votare per il sostegno a oltranza a Kiev. Il mutamento di paradigma a cui facevo riferimento si lascia così cristallizzare: nel 1999, per la prima volta i partiti europei della sinistra comunista ormai ridefinita come avamposto di diffusione del verbo capitalistico scesero in piazza per supportare la guerra imperialistica della NATO contro la Serbia. Se realmente il comunismo era morto nel 1989, simbolicamente moriva nel 1999, con la sinistra schierata apertamente dalla parte dell'imperialismo della NATO, come peraltro avrebbe seguitato a fare anche negli anni seguenti. Ora, nel 2025, ci troviamo in una situazione ancor più radicale e ancor più grottesca: le sinistre continuano a sostenere le ragioni dell'imperialismo della NATO, quand'anche esse siano provvisoriamente accantonate da Washington. Figurano come più realiste del re nel propugnare le ragioni irragionevoli dell'imperialismo dell'Occidente, anzi dell'uccidente liberal-atlantista. L'abbiamo già sottolineato: Trump ha deciso di porre fine alla guerra non per una sua intrinseca bontà e per un suo innato amore per la pace, ma semplicemente per il fatto che ha ragionevolmente compreso che la guerra contro la Russia non può portare ad alcun risultato concreto e dunque conviene farla cessare il prima possibile, capitalizzando la decisione e facendo la bella figura di chi vuole la pace (e in realtà fa di necessità virtù). Le sinistre europee invece, alla stregua delle destre, vogliono la continuazione del conflitto: per la prima volta in forma radicale la sinistra diventa il partito della guerra e dell'imperialismo. Non si limita a supportarlo, come era ancora nel 1999, ma apertamente lo promuove e si fa vettore delle sue istanze. La situazione è tragica, senza riuscire a essere seria.

02/03/2025 11:30
La guerra sta finendo: Europa e Zelensky sconfitti

La guerra sta finendo: Europa e Zelensky sconfitti

Da qualsivoglia prospettiva, sembra che ormai la guerra in Ucraina si avvii alla propria conclusione. E non possiamo che rallegrarcene. Vladimir Putin, presidente russo, e Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo, hanno già trovato la quadra, come si suol dire. E sono risoluti nella loro decisione di porre fine a questo sciagurato e osceno sconfitto, che già troppi lutti ha causato sia sul fronte russo, sia soprattutto su quello ucraino. Come prevedibile, e nonostante tutti i proclami del guitto Zelensky, attore Nato, e dei cortigiani europei del bellicismo atlantista, l'Ucraina non è nemmeno vagamente riuscita a imporsi e a trionfare sulla Russia. A quanto pare, abbassare la temperatura di un grado e chiudere i rubinetti di casa - come nel 2022 ci chiedevano di fare - non è servito a molto, se non a dare prova del tramonto dell'Occidente. Non era necessaria in effetti una scienza per prevederlo, e solo un'ideologia ottusa come quella dell'Unione Europea poteva far credere il contrario alle masse tecnonarcotizzate e teledipendenti. I veri sconfitti di questa guerra sono, naturalmente, il guitto di Kiev, del tutto simile ai burattini di Mangiafuoco, che una volta utilizzati non servono più e vengono gettati alle fiamme, e poi quell'Unione Europea che fin da subito ha pateticamente assunto la postura del servo e ora come servo senza dignità viene trattato fino in fondo. Non ha vinto soltanto Putin, che naturalmente ha ottenuto ciò che desiderava, frenando l'avanzata dell'imperialismo a stelle e strisce e bloccando finalmente la possibilità dell'ingresso dell'Ucraina nella Nato, braccio armato della violenza della civiltà dell'hamburger. Ha vinto anche il codino biondo che fa impazzire il mondo: soprattutto ha vinto sull'Unione Europea, che ora è più debole che mai ed è ancor più dipendente di prima rispetto al proprio padrone a stelle e strisce. Si potrebbe anzi dire, a posteriori, che questa è stata certamente la guerra della civiltà del dollaro contro la Russia, ma anche e non trascurabilmente il conflitto condotto da Washington contro l'Unione Europea, che ora esce con le ossa rotte. Viene platealmente punita per aver osato in passato guardare alla Russia e alla Cina, tradendo idealmente il proprio sempiterno padrone a stelle e strisce. E ora viene brutalmente riportata alla propria subalternità totale rispetto a Washington, vedendosi costretta a troncare ogni rapporto con la Russia e con la Cina: emblematico risulta il caso del gas, che ora l'Unione Europea è costretta ad acquistare a prezzi esorbitanti da Washington, e che prima, come è noto, comprava a prezzi contenuti da Mosca. E, mentre si registra questa Caporetto, la signora Ursula von der Leyen propone urbi et orbi il riarmo dell'Europa. Vi sarebbe da ridere, se solo non vi fosse da piangere. Il vertice di Parigi tra i paesi europei per discutere della guerra in Ucraina non fa, poi, che segnalare una volta di più la morte ormai evidente dell'Unione Europea, del tutto simile a uno zombie che ancora cammina ma che già da tempo ha abbandonato la vita. Si potrebbe anzi ragionevolmente asserire che l'epilogo della guerra in Ucraina possa intendersi come la pietra tombale sull'Unione Europea. La Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti d'America del codino biondo che fa impazzire il mondo, Donald Trump, hanno già deciso che la guerra deve finire e lo hanno fatto escludendo integralmente l'Unione Europea dalle trattative. L'Unione Europea dunque continua a essere trattata come un servo senza dignità, ed è giusto che sia così, dato che essa stessa ha da subito assunto l'ignobile postura del servo. Essa, insieme con l'Ucraina del guitto Zelensky, attore Nato, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, è la vera sconfitta della guerra. Non solo perché è stata ridicolmente esclusa dalle trattative di pace, ma anche perché si trova ora a essere decisamente più debole di quanto già non fosse prima che la guerra principiasse. La vittoria di Washington si misura anche da questo: l'Unione Europea si trova ora a essere ancora più soggiogata dalla potenza a stelle e strisce, avendo spezzato i suoi legami con la Cina e con la Russia e trovandosi ora a dipendere in toto da Washington. Sì, la guerra d'Ucraina non è stata solo la guerra della civiltà del dollaro contro la Russia, colpevole di non genuflettersi al suo dominio: è stata anche la guerra che Washington ha condotto contro l'Unione Europea, per punirla per le sue precedenti simpatie verso la Russia e verso la Cina e per renderla ancora più subalterna al proprio dominio. Si pensi anche solo alla controversa questione del gas, che prima l'Europa acquistava a prezzi contenuti dalla Russia e che ora è costretta a comprare a prezzi esorbitanti dal cosiddetto amico americano. Per non parlare poi della Germania, tradizionalmente celebrata come la locomotiva d'Europa: la Germania si trova ora in una crisi profondissima, che si lascia inquadrare sotto il segno della recessione, come limpidamente affiora dal comparto automobilistico in crisi nera. Che succede se crolla la Germania? Non è difficile immaginarlo: con effetto domino, precipita l'intero costrutto tecnocratico dell'Unione Europea, tempio vuoto che santifica il capitale finanziario e quotidianamente umilia e mortifica lavoratori e ceti medi. Se, come ormai pare evidente sotto ogni profilo, l'Unione Europea dovesse crollare, allora non resterebbe che dire con le parole del poeta: nunc est bibendum. Intanto, Enrico Mentana, con l’usuale sobrietà, vomita odio verso i "manigoldi di cartone" (sic!) che osano sostenere le ragioni di Putin e di Trump, offendendo l’invaso: con un piccolo ripasso di storia, sarebbe d’uopo far notare al bardo del pensiero dominante, Mentana, che l’invaso è la Russia, gradualmente accerchiata dall’uccidente fin dagli anni Novanta.

23/02/2025 12:15
Festival di Sanremo, il tempio del musicalmente corretto

Festival di Sanremo, il tempio del musicalmente corretto

Puntuale come un orologio elvetico, anche quest'anno vi è il festival della canzone italiana di Sanremo. Come ogni anno, il sottoscritto ha trascorso altrimenti il suo tempo, nella fattispecie leggendo di filosofia. Il festival della canzone di Sanremo rappresenta il non plus ultra della distrazione di massa cara al potere. La variante postmoderna del panem et circenses dei romani. Divertimento nell'accezione sottolineata da Pascal nei suoi "Pensieri": se devertere, distrarsi rispetto alla realtà e alle sue contraddizioni, ai suoi traumi e ai suoi conflitti. Per un'intera settimana, gli strateghi del consenso e i padroni del discorso possono tirare il fiato, poiché i problemi reali del mondo contraddittorio di cui siamo abitatori resteranno integralmente fuori dai radar. Perché, si sa, nella civiltà dello spettacolo è ciò che appare. E nulla esiste se non ciò che appare. Oltre a questa funzione, ve ne è un'altra svolta da Sanremo: la diffusione a tambur battente del pensiero unico di glorificazione dei rapporti di forza della globalizzazione neoliberale. Una grande ortopedizzazione di massa volta a far sì che gli internati dell'antro platonico amino le proprie catene e si educhino a comprendere la splendente razionalità di ciò che quotidianamente li fa soffrire: celebrazione della globalizzazione e dei suoi stili di vita, dissacrazione del sacro e santificazione dell'eroticamente corretto pansessualista e deregolamentato. Insomma un poderoso dispositivo di imposizione mediatica delle categorie mentali e psicologiche funzionali allo status quo. Sul palco di Sanremo il musicalmente corretto e il politicamente corretto si intrecciano senza soluzione di continuità. Per un verso, si registra il più mortificante conformismo all'insegna della dissacrazione del sacro e della celebrazione della postura liberal-progressista, a tal punto che si potrebbe ragionevolmente asserire che ormai Sanremo, più che un festival della canzone, figura come un palcoscenico di ostentazione e di propagazione dei moduli del pensiero unico politicamente corretto di completamento del nuovo ordine mondiale turbocapitalistico. Per un altro verso, domina incontrastato il musicalmente corretto: canzoni per lo più orrende, vacue, coerenti con la civiltà che ha innalzato il nulla a proprio orizzonte. La morte dell'arte è il tratto che caratterizza il festival di Sanremo, con la sua mediocrità elevata a stile, con la sua superficialità innalzata a paradigma. Quest'anno peraltro ha preso parte alla rassegna anche Bergoglio, che ha inviato un video messaggio da diffondere durante la kermesse culturale. Una volta di più, Bergoglio si conferma a suo agio più nei salotti televisivi che in chiesa, figurando ormai sotto ogni profilo come un caposaldo del pensiero unico politicamente e teologicamente corretto. Senza mai parlare di Dio e del Sacro, Bergoglio non fa che ribadire i punti salienti del pensiero unico: quella che propone è una fede low cost, tale per cui il buon cristiano è ormai indistinguibile dal buon consumatore. Insomma, Sanremo è davvero il tempio della dominazione simbolica del padronato cosmopolitico.

16/02/2025 12:00
Bill Gates da Fabio Fazio: la catechesi liberal-progressista e la nuova caverna di Platone

Bill Gates da Fabio Fazio: la catechesi liberal-progressista e la nuova caverna di Platone

Nei giorni scorsi, sui canali social di La9, è stata annunciata con tanto di gigantografia la presenza imperdibile per domenica sera di Bill Gates, il turbocapitalista che i giornali aziendali da anni definiscono indecorosamente "filantropo", rovesciando more solito la realtà a beneficio dei rapporti di forza dominanti. Lo ripeto una volta di più: Orwell era un dilettante in confronto alla situazione odierna, che ha superato di diverse misure quella di 1984. Chi ancora non sia stato lobotomizzato, anzi "logotomizzato", per usare un efficace neologismo, sa bene che Bill Gates non è affatto un filantropo, a meno che per filantropia non si intenda il fare il proprio interesse a nocumento di quello dell'intera società. Bill Gates, come un tempo si sarebbe detto, quando ancora si aveva coscienza dei rapporti di forza e dello sfruttamento connesso, non è se non un nemico di classe: non va amato né venerato, ma combattuto sul piano delle idee e sul piano politico. Bill Gates che, tra l’altro, ha candidamente ammesso, ancora recentemente, che da bambino era un "disadattato" (sono parole sue). Il salotto televisivo di Fabio Fazio si conferma una volta di più come il tempio del pensiero unico di completamento della globalizzazione neoliberale in stile arcobaleno e liberal-progressista. Dalla giornalista mainstream Cecilia Sala al giornalista iperatlantista Giannini, per non parlare poi del ragazzino di una certa kual kultura (simbolo dell'integrazione di un'intera generazione) e del bardo cosmopolita del sontuoso attico di Nuova York, Roberto Saviano. Un salotto televisivo che, in fondo, ha un solo mal celato obiettivo: far amare alle masse popolari le proprie catene e indurle a detestare aprioricamente tutto ciò che possa spezzarle. La caverna di Platone 2.0. Non troverete mai in detto salotto lavoratori, gente del popolo o anche solo pensatori che ancora pensino e che mettano in discussione gli assetti della globalizzazione neoliberale e chiamino le cose con il loro nome, non è contemplato dalla produzione e dalla ars regendi di Fabio Fazio. Nel salotto di Fabio Fazio la globalizzazione neoliberale è il paradiso, tutto ciò che osi contestarla viene criminalizzato come se fosse l'inferno. Il pensiero unico procede in questa maniera, venendo ripetuto ipnoticamente in assenza di contraddittorio, di più liquidando l'idea stessa di contraddittorio come complottistica e fascistoide, e con ciò stesso ammettendo che un unico pensiero è ammesso perché un unico pensiero, quello voluto dai padroni, risponde ai canoni della open society con sbarre arcobaleno. Non è difficile immaginare i punti che il nemico di classe Bill Gates impropriamente detto filantropo verrà snocciolando nel suo sermone senza contraddittorio, con le domande aperte del sussiegoso Fazio: ci spiegherà che noi, masse indesiderate e mangiatori inutili, dobbiamo piegarci alla transizione ecologica e a quella digitale, e che in definitiva ciò che ci chiedono i padroni per il loro interesse corrisponde in realtà al nostro interesse e al nostro bene. Ci spiegherà, in sostanza, che lui e la sua classe agiscono sempre e solo nell'interesse dell'umanità e per questo dovremmo essere loro grati in eterno. Ci spiegherà, ancora, che il mondo della globalizzazione della disuguaglianza è un paradiso in terra nonostante le fastidiose increspature causate da ottusi e terrapiattisti che ancora osano contestare il migliore dei mondi possibili, quello del capitalismo senza frontiere, il paradiso dei pochi che si regge sull'inferno dei più. Gli intellettuali organici al sistema dominante non fanno altro che spiegare da mane a sera la perfetta e splendente razionalità di tutto ciò che fa quotidianamente soffrire le masse popolari, dalla globalizzazione al mercato senza frontiere, dall'immigrazione di massa alla competitività no border. Sarà, come sempre, il capolavoro della propaganda a beneficio dell'ordine dominante; ordine dominante che non soltanto produce l'intollerabile, ma che uno motu genera e plasma soggetti disposti a tollerarlo con stolta letizia, proprio come i cavernicoli ottenebrati dell’antro di Platone. Mai una volta - e ve ne stupite? - che il signor Soros, il signor Gates e i generosi membri dell’upper class finanziaria postmoderna e apolide foraggino i lavoratori, i popoli massacrati dal debito (Grecia), i diritti sociali in fase di smantellamento. Non v’è filantropia, né il mondo è retto oggi da pacifiche buone intenzioni. Continua a prevalere il conflitto: tutto è conflitto, tutto è lotta, tutto è prassi dei dominanti per affermare i propri interessi. Guai a perdere di vista questa elementare verità che Marx ci ha trasmesso in eredità. Di qui occorre ripartire per organizzare la risposta dei dominati, per proporre piste di emancipazione reale. Naturalmente, fuori dal salotto fintamente pluralista di Fabio Fazio.

09/02/2025 11:20
La giornata della memoria e le sue controversie

La giornata della memoria e le sue controversie

Nei giorni scorsi, si è celebrata, come ogni anno, la giornata della memoria legata alla tragedia di Auschwitz, tragedia che, come è noto, ha riguardato, oltre agli ebrei, comunisti e omosessuali, rom e dissidenti. Liliana Segre, senatrice a vita e a suo tempo vittima delle persecuzioni naziste, ha asserito che, di questo passo, in futuro il ricordo della Shoah sarà cancellato. A mio giudizio, corriamo un rischio forse anche maggiore, se mai è possibile: quello dell’utilizzo della memoria in chiave ideologica per giustificare le contraddizioni del presente. Basti ricordare il fatto che la Russia, anche quest'anno, è stata vergognosamente esclusa dalle celebrazioni ufficiali della giornata della memoria: si tratta di un paradosso evidente, che oltretutto si pone come una offesa alla memoria stessa, considerato il fatto che furono proprio i carri armati sovietici a liberare Auschwitz il 27 gennaio del 1945. Giornata della memoria corta, verrebbe da dire. La propaganda hollywoodiana sta già da tempo cancellando la memoria, riscrivendo e riplasmando orwellianamente la storia a proprio uso e consumo e, naturalmente, celebrando i soli americani come liberatori dell'Europa. L'obiettivo di Washington oltretutto non è soltanto quello di estromettere la Russia dal ricordo della liberazione ma di impiegare il ricordo stesso della liberazione per giustificare la propria permanenza eterna sul territorio europeo in qualità di dominatori. Come a dire "noi americani vi abbiamo liberati e ora abbiamo il diritto di occupare in eterno con le nostre basi il vostro territorio". Non sfugga poi che nei discorsi ufficiali tenuti in Italia nei giorni scorsi, come ad esempio in quello della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, non si è fatto cenno nemmeno per sbaglio al genocidio in atto a Gaza. Eppure a Gaza si sta verificando quello che non possiamo definire altrimenti se non genocidio, e ci scuserà la senatrice Segre, che in più occasioni si è peritata di precisare che il termine non può essere applicato in relazione a ciò che sta accadendo a Gaza. Non saprei davvero trovare un sinonimo o un termine egualmente appropriato. Non dovrebbe la memoria storica anzitutto educarci a non ripetere le tragedie del passato e, se si ripetono, a condannarle e ad agire per fermarle il prima possibile? Era questa la funzione che giustamente assegnava alla memoria Theodor Adorno, il quale si avventurava a dire che, dopo Auschwitz, tutta la cultura è spazzatura: tesi esagerata, indubbiamente, che rimodulerei sostenendo che è spazzatura tutta la cultura che usa la memoria del passato per giustificare le atrocità del presente. Aveva ragione Gramsci, allorché sosteneva che la storia insegna, ma non ha scolari, e proprio per questo siamo condannati a ripeterla con tutti i suoi supplizi e con tutte le sue atrocità. In occasione della recente celebrazione della giornata della memoria, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spiegato solennemente, senza peraltro fare un solo cenno a quel che sta accadendo a Gaza, che il nazifascismo è una "tentazione che torna". Abbiamo ancora una volta l'epifania del logoro ritornello dell'antifascismo in assenza di fascismo; ritornello funzionale alla tenuta dell'ordine neoliberale. L'abbiamo ripetuto più volte e lo sottolineiamo anche ora: l'antifascismo in presenza di fascismo, come fu quello di Gramsci, era doveroso ed eroico. Ma qual è la funzione dell'odierno antifascismo in assenza di fascismo, del tutto inaccostabile al nobile antifascismo di Gramsci? A mio giudizio, l'antifascismo in assenza di fascismo figura oggi come una patetica fiction volta sostanzialmente a puntellare ideologicamente e a santificare la società della violenza economica dei mercati. Svolge una parte sostanzialmente apotropaica, dacché dirotta lo sguardo rispetto alla contraddizione principale del market system, lasciando intendere che la società così com'è sia in sé giusta e buona, da difendere rispetto al ritorno del fascismo, a sua volta identificato propagandisticamente con ogni anelito di trasformazione della società realmente data. Inutile sottolineare che oggi la violenza subita da giovani e lavoratori non sia più quella del manganello fascista, per fortuna morto e sepolto da diversi decenni, ma quella del libero mercato concorrenziale e della competitività planetaria, che va riducendo ogni giorno le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari, esercitando su di esse una violenza inaudita. L'unico senso che potrebbe avere oggi l'antifascismo sarebbe quello di determinarsi come anti-capitalismo, ma è esattamente quello che non avviene, dato che, in maniera contraria, l'antifascismo viene utilizzato come alibi per giustificare il capitalismo stesso nella sua forma finanziaria e precarizzante. Proprio così, l'antifascismo in assenza di fascismo permette alla massima parte delle forze politiche di non dover essere anti-capitaliste in presenza di capitalismo e anzi di farsi paladine del capitalismo stesso, mutato ideologicamente in società democratica che deve essere difesa appunto dal ritorno del fascismo per fortuna completamente estinto. Il paradosso oltretutto sta nel fatto che viene santificata come progressista e democratica la posizione di chi difende la società della asimmetria capitalistica, celebrata come non plus ultra della democrazia, e viene viceversa demonizzata come fascista la posizione di chiunque aspiri a superare il capitalismo (gli stessi Marx e Lenin, se tornassero in vita, sarebbero oggi additati come fascisti dall'ordine discorsivo dominante). Il capitalismo, che un tempo si servì del fascismo, oggi non ne ha più alcun bisogno e può utilizzarne la memoria come clava ideologica per giustificare se stesso nella sua nuova fase deregolamentata e finanziaria, anarchica e postmoderna. Giusto ricordare il passato e le sue atrocità: ma la memoria deve anzitutto educare a non riprodurre e a non giustificare le atrocità che tornano a realizzarsi.

02/02/2025 12:00
L'esordio di Donald Trump: un'analisi critica

L'esordio di Donald Trump: un'analisi critica

È giunto infine il giorno tanto atteso o tanto temuto, a seconda delle prospettive, dell’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo. La cerimonia è stata come sempre una vera e propria americanata, stucchevole e hollywoodiana. Ma questo già si sapeva. Nihil novi sub sole. Da rilevare, oltretutto, l’assenza del guitto di Kiev, l’attore Nato Zelensky, che pure pare avesse chiesto ripetutamente di essere invitato. Ci sembra già un buon segnale, assolutamente da non sottovalutare. Biden, l’arcobalenico e vegliardo presidente uscente, se ne va compiendo l’ultima malefatta, la "grazia preventiva" concessa a Fauci: per inciso, se una persona è innocente, perché mai dovrebbe accettare la grazia (ricordiamo che Gramsci non la accettò)? Riconoscere la grazia non significa riconoscere di fatto la propria colpevolezza? Uno Stato che ha inventato la guerra preventiva non stupisce che inventi ora anche la grazia preventiva. Sia quel che sia, desidero riconfermare la mia diagnosi. Peggio di Donald Trump, solo Joe Biden. L’abbiamo detto e lo ripetiamo, a beneficio dei tanti capita insanabilia che si attendono ora una rivoluzione radicale delle strutture stesse del sistema dominante: tale rivoluzione non vi sarà, per l’ovvia ragione che Donald Trump è parte integrante, sia pure come anomalia, di detto ordine dominante. Nel 2017 deregolamentò la finanza a beneficio di Wall Street, anzi di War Street (altro che amico del popolo!). È del tutto dalla parte di Israele, non meno di Biden. Il Cremlino stesso ha fatto sapere che non si aspetta grandi trasformazioni con l’avvento di Trump. La cosa più ridicola resta l’atteggiamento da sudditi degli europei, che sperano nell’imperatore buono anziché mettere in discussione il loro essere sudditi perenni dell’impero a stelle e strisce (cosa che, naturalmente, seguiteranno a essere anche con Trump). Trump ha già dismesso, come prima mossa, l’oscena impalcatura woke-arcobaleno: si torna ai due soli sessi e si cancellano le politiche dell’arcobaleno. Cosa giusta e buona, ma non basta: l’arcobaleno è l’effetto perverso del libero mercato deregolamentato, togliere il primo lasciando il secondo significa cancellare gli effetti mantenendo le cause. E, come prevedibile, Trump non farà nulla contro il fanatismo del libero mercato del quale egli stesso è fervente cultore. E che dire di Musk? Alla cerimonia, l’abbiamo visto saltellare come un attore hollywoodiano, in una scena francamente raccapricciante, in specie se considerata in relazione alla serietà della politica in Italia prima della fine della prima Repubblica. Fa sorridere vedere persone che in Europa e magari anche in America pensano che Trump e Musk rappresentino il cambiamento, quando semplicemente sono dramatis personae dell’integralismo del libero mercato e delle asimmetrie sempre maggiori che esso produce (per inciso, Elon Musk è tra gli uomini più ricchi del pianeta, altro che antagonista del sistema dominante!). Insomma, tutto cambia perché nulla muti: dal capitalismo arcobaleno e green si passa a quello grigio, dalla sinistra fucsia si transita alla destra bluette. Il capitalismo imperialistico continua nella sua rovinosa marcia come se nulla fosse, proponendo l’alternativa tra Trump e Biden come finta antitesi che in realtà ripropone sempre da capo il medesimo sistema totalitario. Anche in questo sta la forza del capitalismo, nel produrre antagonismi tra parti che egualmente sono espressione del medesimo ordine, e che dunque contribuiscono a far apparire pluralistico un ordine che non lo è. Oltretutto Trump esordisce ricollocando Cuba tra gli Stati potenzialmente terroristici: non un granché, come inizio.

26/01/2025 11:50
Elezioni annullate in Romania: e ora la UE farà lo stesso in Germania con Alternative fuer Deutschland?

Elezioni annullate in Romania: e ora la UE farà lo stesso in Germania con Alternative fuer Deutschland?

Possiamo dirlo senza ambagi: l’ultima frontiera mentale è stata abbattuta, l’ultima finestra di Overton è stata spalancata. È accaduto realmente: sono state annullate le elezioni presidenziali in Romania, che avevano dato vincente alle primarie Georgescu, candidato dichiaratamente vicino alle posizioni della Russia e di Putin. Il pretesto dell’annullamento delle elezioni sarebbero le presunte interferenze della Russia; interferenze indimostrate e semplicemente dichiarate, a quanto pare. Si sa, nella liberissima Europa le uniche interferenze ammesse sono quelle di Washington. A questo punto, il dilemma amletico così suona: è nato un colpo di stato, o è un colpo di stato Nato? Come ricordavo poc’anzi, si è spalancata una nuova finestra di Overton: per la prima volta è passato il principio secondo cui se le elezioni danno un esito sgradito a Washington, possono serenamente essere annullate. D’altro canto, nei giorni scorsi, Washington aveva fatto sapere che se la Romania si fosse discostata dall’occidente ne sarebbero discese pesanti conseguenze. Le prime pesanti conseguenze non hanno tardato a manifestarsi: sono, appunto, state annullate le elezioni. Provate anche solo a immaginare a parti inverse la reazione dell’Occidente: provate a immaginare se, ex hypothesi, Putin annullasse in Russia delle elezioni con esito a lui sfavorevole sostenendo che vi sono le ingerenze statunitensi. Subito l’occidente, anzi l’uccidente, urlerebbe allo scandalo e alla dittatura, al totalitarismo e all’infamia massima. Ma se a operare in quel modo è l’uccidente, allora la narrazione cambia di 180 gradi. Tant’è che adesso ci spiegano che le elezioni sono state annullate per proteggere la democrazia. Non sfugga il paradosso lampante, non passi inosservata la menzogna totale: per proteggere la democrazia ci dicono che bisogna sospendere la democrazia. Per tutelare la democrazia bisogna annullare le elezioni con cui il popolo ha sovranamente scelto, cioè bisogna appunto annullare la democrazia. Ormai dovrebbe essere chiaro lippis et tonsoribus, ai ciechi e ai barbieri, per dirla con Orazio: la democrazia in Occidente è ormai soltanto un flatus vocis, una parola svuotata di significato, tale per cui si è in democrazia se si vota come vuole Washington. Il lemma democrazia oggi copre una realtà intimamente non democratica, che sempre più puzza di dittatura imperialistica mascherata. Detto altrimenti, i popoli europei sono liberi di votare come vogliono, a patto che votino come vuole Washington, pena vedersi annullate le elezioni, come ora è accaduto in Romania. Il re è nudo, come si suol dire. E intanto, nel silenzio mediatico generale, il popolo della Romania sta protestando contro questa profanazione della democrazia. Thierry Breton, ex commissario dell'Unione Europea, ha recentemente rilasciato delle dichiarazioni che meritano di essere commentate criticamente. Segnatamente egli si è espresso sulle elezioni in Germania, dicendo testualmente: "Se necessario, faremo come in Romania". Il riferimento, naturalmente, riguarda la possibile vittoria di Alternative für Deutschland, un partito che evidentemente non piace all'ordine neoliberale dominante, benché a dire il vero sia tutto fuorché anti-sistemico, dato che tra l'altro supporta Israele e non ha certo una visione anticapitalistica del mondo. Ma basta anche solo risultare vagamente disallineati rispetto all'ordine dominante per essere stigmatizzati e avversati, come appunto avviene per Alternative für Deutschland (che definirei una anomalia dell'ordine neoliberale più che una forza antitetica rispetto a detto ordine). Insomma, come volevasi dimostrare, l'annullamento recente delle elezioni in Romania ha spalancato una pericolosa finestra di Overton, che i gruppi dominanti dell'ordine neoliberale sono pronti a mettere a frutto molte altre volte. Non è implausibile immaginare che d'ora in avanti verranno annullate le elezioni in cui a vincere saranno forze sgradite all'ordine liberale e atlantista, per il tramite della mobilitazione di argomenti come quelli già utilizzati in relazione alla Romania, vale a dire le fantomatiche interferenze russe. Una volta di più, l'ordine della civiltà turbocapitalistica si conferma tutto fuorché democratico, essendo meglio inquadrabile come una plutocrazia imperialistica finanziaria. Non soltanto manca la sostanza democratica, vale a dire la decisione sovrana del popolo sulle questioni dirimenti della vita pubblica (a decidere, lo sanno ormai anche i bambini, sono i mercati sovrani e cosmopolitici): oltre a ciò, sembra sempre più mancare anche la forma democratica, dato che l'esito delle elezioni sembra ormai liberamente rovesciabile come nel caso della Romania. Insomma, l'ordine contemporaneo nega tanto la sostanza quanto la procedura della democrazia e, ciò non di meno, continua fieramente a proclamarsi democratico, delegittimando come non democratico ogni altro sistema. Non molto tempo addietro, il grigio tecnocrate di Bruxelles Oettinger si era avventurato a sostenere che i mercati avrebbero insegnato agli italiani come votare... Una formula in cui si condensa perfettamente l'orientamento non democratico della civiltà dei mercati, quella che Angela Merkel ebbe una volta a definire come la "democrazia conforme al mercato" (e non, si badi, il mercato conforme alla democrazia). Mi sia consentito ricordare brevemente chi è Thierry Breton, per darne un breve ma necessario identikit di classe. Ex commissario europeo che ha promosso il Digital Service Act (DSA), Breton è stato direttore generale prima di Thomson e poi di France Télécom. Dal 2005 al 2007, sotto la presidenza di Jacques Chirac, è stato ministro dell'economia nel governo de Villepin, con posizioni sfacciatamente neoliberali. Dopo aver insegnato brevemente presso la Harvard Business School, Breton è tornato alla carriera manageriale in qualità di presidente di Atos, dal 2009 al 2019. Insomma, si tratta di un esponente della classe dominante neoliberale con forte incidenza politica nel quadro delle istituzioni di quella Unione Europea che non è altro se non una megamacchina finanzcapitalistica volta a potenziare il dominio delle classi dirigenti apolidi e a vessare i popoli e i lavoratori.

19/01/2025 13:40
Zuckerberg cambia rotta: via i fact-checkers da Facebook

Zuckerberg cambia rotta: via i fact-checkers da Facebook

Ebbene, Mark Zuckerberg ha deciso in questi giorni di porre fine al demenziale sistema del cosiddetto fact-checking, nome pudico, rigorosamente in lingua inglese, per non dire censura. Il patron di Meta sceglie dunque di seguire la via di X di Elon Musk, rete sociale sulla quale non esiste di fatto la censura ed è ancora possibile parlare liberamente. Che cosa ha indotto in concreto Mark Zuckerberg a prendere questa decisione e a cambiare traiettoria? Due le possibili interpretazioni, non necessariamente alternative tra loro: in primo luogo, il modello della libera espressione di X premia, laddove quello con censura di Facebook evidentemente alla lunga non dà buoni risultati in termini di utenze. La censura generalmente non piace e non stupisce dunque che le persone preferiscano utilizzare X rispetto a Facebook. Zuckerberg deve essersene accorto e su queste basi deve aver scelto, meglio tardi che mai, di cambiare direzione. In secondo luogo, a determinare la scelta può essere stata anche l'elezione di Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo: in passato, Zuckerberg aveva candidamente ammesso di aver eseguito gli ordini di Biden e della Casa Bianca in tema di censura relativa all'emergenza epidemica. Ora il vento è cambiato e Zuckerberg si adegua. Sia quel che sia, non possiamo non rilevare come il sistema del fact-checking sia stolto e pericoloso: finisce per censurare come fake news o come violazione delle norme della community ogni interpretazione non aderente all'ordine simbolico dominante, facendo appunto trionfare la censura. Tanto più che, come non ci stanchiamo di sottolineare, le idee false si combattono con le idee vere, non con la censura. Il silenziamento apriorico di certe opinioni con l'etichetta di fake news e di complottismo rappresenta l'antitesi dello spirito socratico, che invece si determina nella discussione con tutti senza preclusioni: non certo per accettare relativisticamente ogni opinione, bensì per far trionfare la verità contro le idee false. Complottismo e lotta alle fake news sono le due categorie fondamentali con cui l'ordine discorsivo neoliberale prova a silenziare ogni prospettiva dissenziente, subito accostandola alle fandonie di chi dice che la Terra è piatta o che due più due fa cinque (tesi evidentemente deliranti ma che devono essere combattute e vinte con le idee non certo con la mordacchia). Il contrario di falsità è verità e non censura. Lotta al complottismo e alle fake news diventa con estrema facilità sinonimo di persecuzione di ogni pensiero diverso da quello che qualcuno ha deciso essere il solo possibile. La categoria di fake news presuppone una sorta di scientificità assoluta del mondo dello spirito che in realtà non esiste. Se è evidentemente una fake news dire che Re Luigi non morì nel 1793 (e anche in questo caso, perché non confutare la menzogna anziché silenziarla preventivamente?), come fare a classificare una fake news in relazione alla interpretazione degli eventi storici? Su che base silenziare come fake news la tesi di chi dice che Re Luigi fu giustiziato da degli eroi o, viceversa, quella di chi dice che fu assassinato da dei barbari? La posta in palio coincide con la liquidazione della possibilità di pensare criticamente la realtà sociale, politica ed economica nella quale siamo immersi e che già da tempo, non per caso, viene programmaticamente dichiarata senza alternative (there is no alternative).

12/01/2025 11:17
Giorgia Meloni ed Elly Schlein: la serietà, in politica, è un’altra cosa

Giorgia Meloni ed Elly Schlein: la serietà, in politica, è un’altra cosa

La vestale del neoliberismo arcobaleno Elly Schlein ha recentemente tuonato contro Giorgia Meloni, vestale del neoliberismo bluette: "Scenda dal ring, il Parlamento è una cosa seria". Sul fatto che il parlamento debba essere una cosa seria e che le politiche di Giorgia Meloni tutto siano fuorché serie, non possiamo che essere d'accordo in toto. Il governo di Giorgia Meloni riesce a risultare ogni giorno più giullaresco, come peraltro affiora in forma limpida quanto drammatica dal recente risibile codice della strada: esso rivela come il governo della destra bluette faccia la voce grossa coi deboli, cioè con i cittadini comuni, per poi svolgere la parte di docile cameriere rispetto ai forti, cioè ai padroni di Washington, di Bruxelles e del sistema bancario. Ci sembra tuttavia discutibile che a richiamare il tema della serietà politica sia proprio Elly Schlein: in effetti, ancora non abbiamo dimenticato, a proposito di grande serietà, le scene della vestale del neoliberismo arcobaleno che ballava scompostamente sulle note di Maracaibo a bordo dei carri dei Pride, tra parrucconi fucsia e uomini camuffati da donne. Sarebbe questo il modello di serietà propiziato dalla signora Elly Schlein? E in cosa si distinguerebbe, di grazia, da quello di Giorgia Meloni, che si fa i selfie con i soldati in Lituania o che si abbraccia con il guitto Zelensky, attore Nato (l’attore più pagato di tutti i tempi?)? È questa l'idea di serietà politica fatta valere dai nostri politici, sempre più indistinguibili da influencer e da uomini e donne dello spettacolo? Pensiamo anche solo per un istante alla serietà e alla compostezza di un Aldo Moro, di un Enrico Berlinguer o di un Giorgio Almirante, uomini dalle idee certo diverse, ma accomunati dalla dignità di portamento e di eloquio. Cosa avrebbero in comune con questi politici della prima Repubblica i vari Elly Schlein e Giorgia Meloni, Luigi di Maio e Matteo Salvini? La risposta naturalmente è già racchiusa nella domanda e chiunque può trarla molto facilmente. Nel tempo del dominio del mercato finanziario e della Tecnica, la politica evapora, lasciando spazio a personaggi dello spettacolo scevri di ogni capacità di decisione e di ogni reale valenza politica. Come non mi stanco di ripetere, destra e sinistra sono oggi soltanto le due ali dell'aquila neoliberale, i docili camerieri che prendono ordini, con zelo, dal padronato cosmopolitico. È questo, in effetti, il tratto più peculiare della politica al tempo del globalcapitalismo e dell’alternanza senza alternativa della destra bluette e della sinistra fucsia come "maggiordomi" che, con la livrea di colore differente, ugualmente sono al servizio del blocco oligarchico plutocratico neoliberale. La politica al tempo del neoliberismo si riduce, allora, a continuazione dell’economia con altri mezzi, a "gran teatro" sul cui palco va in scena il non democratico autogoverno dei ceti possidenti, mascherato da procedure elettorali che fanno coesistere l’apparente decisione sovrana popolare con la sua reale neutralizzazione. L’aquila neoliberale, con il grand récit elettorale dell’alternanza senza alternativa delle sue due ali destra bluette e sinistra fucsia – che, congiuntamente, formano il finto pluralismo del partito unico del capitale e della sua omogeneità bipolare –, egemonizza lo spazio politico: e, dall’alto, vola rapacemente verso il basso, aggredendo ceti medi e classi lavoratrici, popoli e nazioni. Nemica dell’alternativa reale, l’alternanza unica tra la sinistra fucsia e la destra bluette si conferma la base di tutti i progressi della dominazione neoliberale. E quello che viene osannato come "pluralismo" non è se non la concorrenza totalmente amministrata dalle coercizioni del mercato.

05/01/2025 11:54
Trump minaccia l'Europa, ma per la Meloni la vera minaccia è la Russia

Trump minaccia l'Europa, ma per la Meloni la vera minaccia è la Russia

Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo, passa alla minaccia diretta contro l'Europa: se non comprate più gas e più petrolio dall'America, arriveranno sempre più dazi. La notizia si trova su tutti i principali quotidiani nazionali. Con buona pace dei tanti che si illudevano che con Trump le cose potessero cambiare radicalmente, tutto procede secondo la stessa traiettoria e secondo lo stesso copione: l'Europa, con Trump come con Biden, seguita a essere trattata da Washington come una colonia di second'ordine, da umiliare e da sfruttare senza limiti. L'Europa è dovuta entrare in guerra al fianco dell'Ucraina perché così ha voluto Washington, che sta conducendo la sua guerra contro la Russia utilizzando l'Ucraina e l'Europa come instrumenta belli. Ha dovuto fare le sanzioni alla Russia, distruggendo la propria economia, perché così ha chiesto la monarchia del dollaro. Non ha più potuto ricevere il gas dalla Russia, dovendosi rivolgere all'America per averlo pagandolo decisamente di più. E adesso, dulcis in fundo, le viene intimato di acquistare più gas e più petrolio, pena l'attivazione di misure repressive quali sono i dazi. Come non mi stanco di ripetere, la salvezza, se vogliamo scomodare una categoria teologica, non arriverà mai da Washington, con Trump o senza Trump. Potrà forse giungere dai Paesi disallineati che a Washington stanno resistendo con dignità. Trump, comunque lo si voglia intendere, resta una anomalia interna al sistema neoliberale, del quale fa comunque parte, come ora emerge da queste vili minacce rivolte all'Europa. Gli europei dovrebbero smettere una volta per tutte di perseverare nella propria subalternità mentale rispetto a Washington e dovrebbero principiare a immaginare seriamente la propria indipendenza dal giogo americano. E mentre ciò accade, così ha pontificato Giorgia Meloni nei giorni scorsi: "La Russia rappresenta per noi una minaccia". Si tratta, a ben vedere, di una affermazione palesemente infondata e, di più, strutturalmente demenziale. Perché mai la Russia di Putin rappresenterebbe una minaccia per l'Europa, stante il fatto che l'Europa fino a tempi recenti ha avuto ottimi rapporti con la Russia? Su che basi Giorgia Meloni fa la sua grottesca affermazione? Lo pensa veramente o svolge ancora una volta la semplice parte di megafono della voce del padrone a stelle e strisce? Anche un bambino di tre anni può consultare le mappe geografiche e scoprire che, dal 1989 ad oggi, la Russia non si è allargata verso l'Europa, ma al contrario si è "rimpicciolita". È stata la Nato, semmai, a espandersi a oriente, occupando gradualmente gli spazi dell'ex Unione Sovietica, accerchiando la Russia e portandola alla guerra di vampata nel 2022: guerra che coincide di fatto con il conflitto che la civiltà dell'hamburger ha fatto scaturire contro la Russia al fine di piegarla definitivamente. Se solo Giorgia Meloni avesse studiato un po' di più e fosse meno viziata dall'ideologia imperialistica rispetto alla quale il suo giullaresco governo risulta del tutto subalterno, saprebbe bene che la vera minaccia per l'Italia e per l'Europa è rappresentata proprio da Washington: contrariamente a quel che dice la narrativa ufficiale, la civiltà del dollaro non è il nostro alleato, ma è il nostro padrone; un padrone che tratta l'Europa tutta come una colonia al proprio servizio, facilmente sacrificabile sull'altare del proprio interesse imperialistico e peraltro sempre minacciabile come nei giorni scorsi ha fatto volgarmente Trump. Se Giorgia Meloni avesse studiato un po' di più, saprebbe che in Europa non esiste nemmeno una base militare russa o cinese, e invece ve ne sono centinaia di americane. Ancora, se Giorgia Meloni avesse studiato un po' di più, saprebbe che quelle basi non servono a proteggere l'Europa, come ripete vergognosamente l'ordine discorsivo padronale, ma servono a mantenere sotto scacco l'Europa, rendendola permanentemente subalterna a Washington. È per via dell'imperialismo di Washington che l'Europa ha interrotto i suoi rapporti con la Russia e alla Russia ha fatto oscene sanzioni che danneggiano soprattutto l'Europa stessa, come sa bene la Germania nella condizione in cui versa. Non mi stanco di ribadire che Orwell era un dilettante rispetto alla realtà presente: il penoso discorso di Giorgia Meloni lo rivela una volta di più. Il livello della propaganda ha raggiunto intensità mai sperimentata in precedenza, trovando ancora capita insanabilia disposti a prestare ascolto alle infinite menzogne che vengono quotidianamente diffuse dall’ordine discorsivo egemonico. L’ordine dominante produce l’intollerabile e, a un sol parto, soggetti disposti a tollerarlo, magari anche con ebete euforia.

29/12/2024 11:00
Chiude la fabbrica della carta Fabriano: alcune considerazioni controvento

Chiude la fabbrica della carta Fabriano: alcune considerazioni controvento

È purtroppo finita l'avventura della storica fabbrica di carta marchigiana Fabriano. "La storica produzione di carta Fabriano termina dopo 50 anni", leggiamo ad esempio su "Il resto del Carlino". Ben 173 lavoratori si trovano ora senza impiego e l'Italia – non solo le Marche – perde un altro marchio storico di grande rilievo, che ha fatto la storia del nostro Paese. Effetti della cosiddetta transizione digitale o della competitività globale? Probabilmente un combinato disposto delle due istanze. Il mondo del tecnofeudalesimo digitalizzato sta sostituendo i libri con gli schermi: gli schermi rappresentano al meglio l'essenza del mondo liquido, dove tutto scorre, e dove la lettura stessa diventa fluida e smart (il mondo delle "non cose" evocato dal filosofo Han). Tra i tanti fenomeni che si possono interpretare come peculiari della civiltà liquida e tecnomorfa, v’è anche il transito dalla forma-libro alla forma-schermo: il libro è un oggetto stabile, che rende disponibile un mondo compiuto e ordinato, là dove lo schermo fluidifica il reale e lo sottrae a ogni stabilità. L’ordinamento digitale mette, dunque, in congedo il nomos della terra, per dirla con Carl Schmitt. La globalizzazione neoliberale produce in forma parossistica quella che Marx nel "Capitale" chiamava la "centralizzazione del capitale", la quale si lascia esprimere iconicamente nella raffigurazione di Bruegel il Vecchio che mostra il pesce grande che mangia quello piccolo. Infatti, la legge della concorrenza capitalistica fa sì che i grandi gruppi divorino quelli piccoli e che il capitale si concentri nelle mani di pochi: tale concentrazione del potere economico si porta appresso la concentrazione del potere politico, come è sempre più evidente dal fatto che i grandi gruppi del capitale amministrano anche il potere politico, con pressioni sempre più massicce sui governi a loro volta sempre più subalterni al potere del capitale no border. Big tech, big Pharma, big food, ecc. Il capitolo XXIV del primo libro di Das Kapital, dedicato all’“accumulazione originaria”, ove Marx affronta il nodo della "centralizzazione capitalistica" (Zentralisation der Kapitale): "con la produzione capitalistica si forma una potenza assolutamente nuova, il sistema del credito, che ai suoi inizi s’insinua furtivamente come modesto ausilio dell’accumulazione (bescheidne Beihilfe der Akkumulation), attira mediante fili invisibili i mezzi pecuniari, disseminati in masse maggiori o minori alla superficie della società, nelle mani di capitalisti individuali o associati, diventando però ben presto un’arma nuova e terribile (eine neue und furchtbare Waffe) nella lotta della concorrenza e trasformandosi infine in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali". Il capitale finanziario favorisce la centralizzazione, nella forma di una nuova e "terribile" arma nella concorrenza: "I capitali più grossi sconfiggono quelli minori" scrive Marx, rendendo la concorrenza e il credito "le due leve più potenti della centralizzazione". La contraddizione non è più solo quella tra il capitale e il lavoro, ma anche quella interna alle fazioni differenti e antagonistiche del capitale stesso. I capitalisti più piccoli soccombono, precipitando nell’inferno del proletariato. E immani quantità di capitale e di potere connesso si concentrano nelle mani di sempre meno soggetti, generando un contesto sempre più marcatamente oligopolitistico. Peraltro, tali colossi globocratici – veri 'padroni del mondo' – non inverano soltanto la tesi marxiana della "centralizzazione dei capitali" ma, in pari tempo, dimostrano come essa trapassi anche, senza soluzione di continuità, in una conseguente centralizzazione del potere politico: la potenza economica di tali istituti finanziari è tale da mutarsi in forza politica in grado di porsi al di sopra degli Stati e di condizionarli, assai frequentemente rendendoli semplici esecutori della loro voluntas economica, alla stregua di docili e zelanti maggiordomi. Anche questa è una delle cifre fondamentali della globalizzazione finanziaria: gli Stati sono soggiogati dalla potenza dell’economia finanziaria – il nuovo superiorem non recognoscens –, rispetto alla quale si trovano a svolgere una funzione prettamente ancillare. La tesi marxiana della "centralizzazione" del capitale risulta, ancora una volta, aderente alla realtà fattuale, se si considera che la classe turbocapitalistica dominante, liquida e post-borghese, conta attualmente una decina di milioni di persone in tutto il pianeta. D’altro canto, è noto che il mercato finanziario occidentale risulta signoreggiato da tre colossi americani, che rispondono ai nomi di Black Rock (che gestisce circa 10 trilioni di dollari), Vanguard (che ne amministra circa sette trilioni) e State Street (che ne controlla circa quattro trilioni). Non si contano, in effetti, le piccole e medie imprese italiane che in questi decenni hanno definitivamente abbassato la serranda, non riuscendo più a sopravvivere nel mondo della competitività planetaria. La legge della competitività capitalistica fa sì che, come usa dire, la moneta cattiva cacci quella buona e, dunque, le eccellenze come Fabriano vengano spazzate via da gruppi e da marchi che riescono a produrre la merce a prezzi più bassi, magari anche sfruttando il lavoro e l'ambiente senza limiti. Il capitalismo potrebbe con diritto essere inteso come la guerra di tutti contro tutti di hobbesiana memoria, una giungla in cui vince chi riesce a produrre al costo più basso, quelli che siano le conseguenze. Non per caso Hegel parlava di "regno animale dello spirito" in relazione al sistema dei bisogni dell'atomistica concorrenziale: nei cui spazi, appunto, lo spirito smarrisce la sua umanità e si fa ferino, producendo quello che Hegel stesso chiamava lo smarrimento dell'idea etica. Già questo peraltro basterebbe a mettere criticamente in discussione la sempre decantata globalizzazione, la quale, lungi dall'essere un campo neutro e magari anche encomiabile, rappresenta semplicemente l'humus ideale per il trionfo del dominio capitalistico e delle sue sempre più palesi malefatte su scala globale. Con la fine dell'avventura di Fabriano l'Italia perde un'altra sua eccellenza. Non è la prima e purtroppo temo non sarà neppure l'ultima. Questo aspetto, oltretutto, giova a mostrare come il conflitto non sia più solo, genericamente, tra capitale e lavoro: la nuova figura dello scontro è quella del capitale contro tutto e tutti, dall’ambiente alla vita umana, secondo una dinamica folle e irrazionale destinata a generare sempre nuove catastrofi di ogni genere. La si potrebbe idealmente raffigurare, in forma iconica, con La parabola dei ciechi (1568) di Bruegel il Vecchio, l’opera che immortala una colonna di ciechi che segue un altro cieco in direzione dell’abisso: non v’è immagine che meglio descriva la folle marcia nel baratro del nulla a cui la cosmopoli si è consegnata aprendo la via a quel nuovo capitalismo finanziario, che – contraddizione in movimento – sta trascinando nell’abisso la vita umana e del pianeta.

22/12/2024 11:30
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