di Diego Fusaro
Rutte (Nato): "Siamo tutti in pericolo". E intanto Zelensky piagnucola
Ebbene sì, il segretario della NATO Rutte (nomina sunt omina) ha recentemente dichiarato, senza perifrasi, che "siamo tutti in pericolo". Ha spiegato che i missili russi potrebbero, da un momento all’altro, colpire Roma o Londra. Continua, dunque, imperterrita la narrazione propagandistica incardinata sul terrore: terrore che, come ormai dovremmo ben sapere, rappresenta un vero e proprio metodo di governo, dacché le masse terrorizzate sono disposte ad accettare docilmente tutte le misure liberticide poste in essere, a patto che siano presentate come atte a garantire la sicurezza minacciata. L’emergenza epidemica dovrebbe pur averci insegnato qualcosa. Governare mediante la paura rappresenta un punto cardinale dell’ordine neoliberale contemporaneo. Non più il nemico invisibile identificato con il patogeno, ma la Russia di Putin viene ora utilizzata come minaccia per giustificare le politiche emergenziali, secondo una narrazione propagandistica in accordo con la quale la Russia di Putin sarebbe in procinto di invadere e aggredire l’Europa: con la conseguenza per cui quest’ultima dovrebbe prepararsi bellicamente a reagire all’attacco. Per questa via, l’ordine dominante può presentare il proprio riarmo (in specie, il folle piano del Rearm Europe) e magari anche il conflitto come se fosse dovuto alla Russia, quando in realtà, come sappiamo, allo stato dell’arte, è l’Europa che si sta riarmando fino ai denti e che sta provocando la Russia, quasi come se volesse trascinarla a tutti i costi nel conflitto. In secondo luogo, non ci stupiremmo se, come già accadde con l’emergenza epidemica, venissero presto poste in essere misure liberticide e palesemente repressive, giustificate come necessarie per fronteggiare l’emergenza bellica cagionata dalla Russia di Putin. Insomma, cambia l’oggetto dell’emergenza, ma persiste lo schema operativo e narrativo di ordine emergenziale, utilizzato come ars regendi da parte del sinedrio liberal-atlantista per potenziare il proprio dominio. Intanto, il guitto di Kiev, l’attore Nato Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, continua a fare la parte che più gli compete, quella dell’attore di second’ordine. E adesso inscena una tragedia greca in piena regola, piagnucolando in mondovisione e lagnandosi accoratamente del fatto che i suoi alleati non supportano adeguatamente l’Ucraina. Con tutta evidenza, le cose stanno andando ben altrimenti rispetto ai desiderata del guitto di Kiev e del suo padrone a stelle e strisce. Non soltanto la Russia di Putin non accenna a crollare, come pure i professionisti dell’informazione ci avevano garantito sarebbe accaduto nel volgere di pochi mesi: la Russia sembra oggi più ringalluzzita che mai, forte economicamente e militarmente, aperta a un mare magnum di nuove relazioni commerciali e politiche. Oltretutto, nei giorni scorsi la Russia ha abbattuto ben 250 droni ucraini. In difficoltà, semmai, sono l’Ucraina del guitto di Kiev, l’Unione Europea degli euroinomani delle brume di Bruxelles e, dulcis in fundo, la civiltà talassocratica dell’hamburger. Mentre l’occidente, anzi l’uccidente liberal-atlantista, affonda gradualmente come il Titanic, il veliero russo procede speditamente e, come avrebbero detto i latini, ventis secundis. Che cosa vuole dunque di più dai suoi alleati il guitto di Kiev? Vuole altre armi e altri soldi? Non ne ha già avuti a sufficienza? Una cosa deve essere chiara al di là di ogni ragionevole dubbio: l’attore Nato non vuole in alcun modo che si giunga alla pace, anche perché nel momento in cui dovesse terminare il conflitto, egli dovrebbe rendere conto del proprio operato al suo popolo e siamo certi che il giudizio non sarebbe particolarmente benigno.
La Ue si prepara per la guerra con la Russia: è ormai inevitabile?
Muro di droni e scudo spaziale: sono queste - apprendiamo in queste ore - le priorità della difesa per l'Unione Europea. Ne danno notizia con zelo i più letti e, soprattutto, più venduti quotidiani nazionali ed europei, con il tono trionfale di chi annuncia una saggia decisione. Francamente, nel leggere questa notizia dal carattere vagamente fumettistico sovviene alla memoria quella sigla di un noto cartone degli anni che furono, che recitava grossomodo così: “Si trasforma in un razzo missile con circuiti di mille valvole, tra le stelle sprinta e va...”. In effetti, tutto questo farebbe anche ridere, se solo non facesse piangere. La situazione va tragicamente peggiorando di ora in ora: sembra che l'Unione Europea sia ormai decisa a trascinare la Russia di Putin nella guerra, naturalmente fingendo che sia la Russia stessa a volere il conflitto e a essere in procinto di invadere l'Europa. D'altro canto, tutto questo risulta perfettamente coerente con la forma mentis oggi egemonica in Occidente, anzi in uccidente: poiché l'invaso ha sempre ragione - come hanno ripetuto in forma martellante per giustificare il sostegno all'Ucraina - e la dichiarazione di guerra da parte dell'Europa potrebbe suonare sgradita all'opinione pubblica europea, non vi è soluzione più efficace che fingere che sia la Russia a dichiarare guerra e che conseguentemente l'Europa stia soltanto difendendo se stessa. Chiaro, no? Si provoca il nemico in ogni modo, portandolo al conflitto, magari anche con menzogne eclatanti come per più versi sembra fare abitualmente l'occidente: e si fa passare la propria volontà bellica e la propria aggressività imperialistica per esigenza difensiva, lasciando credere alle masse tecnonarcotizzate e teledipendenti che l'Europa si stia soltanto difendendo dal perfido nemico invasore e invasato. Una strategia narrativa quasi perfetta, che però, va detto, può far presa soltanto su quanti ancora non abbiano inquadrato il reale modus operandi della civiltà uccidentale. Intanto, il ministro tedesco della difesa, Boris Pistorius, ha recentemente dichiarato con sicumera che la Russia “diventa sempre più pericolosa per la Nato”. Nulla di nuovo sotto il sole, a dire il vero: continua come sempre la solita e ormai logora propaganda russofobica; propaganda in forza della quale si assume che la Russia sia in procinto di invadere l’Europa e che, conseguentemente, l’Europa debba con diritto riarmarsi fino ai denti per potersi così difendere in caso di attacco (attacco che, secondo un generale della NATO britannico, dovrebbe scattare il 3 novembre: manca solo l’ora esatta…). Con spirito critico, dovremmo provare a rovesciare la narrazione: e se fossero la Nato, l’Europa e l’occidente, anzi l’uccidente liberal-atlantista, a volere realmente la guerra contro la Russia, fingendo che sia quest’ultima ad attaccare e in realtà provocandola ogni altra misura per rendere inevitabile il conflitto? Un’ipotesi da non sottovalutare, a nostro giudizio, anche in ragione del fatto che il comparto manifatturiero teutonico, profondamente in crisi, può trarre nuova linfa vitale dalla produzione di armi. In ogni caso, si può rovesciare sicuramente l’affermazione del ministro teutonico della difesa: la Nato rappresenta sempre più un pericolo per la Russia, secondo una climax principiata negli anni Novanta, quando l’uccidente prese ad allargarsi negli spazi un tempo sovietici, e culminante nel nostro presente, con la Russia accerchiata dalla Nato e con l’Ucraina utilizzata come testa d’ariete contro la Russia stessa, grazie all’appoggio del guitto di Kiev, l’attore Nato Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood. D’altro canto, se non erriamo, dal 1989 ad oggi la massima parte delle guerre scaturite nel mondo sono state occasionate proprio dall’imperialismo etico dell’Occidente, non dalla presunta aggressività espansionistica della Russia.
"Il 3 novembre la Russia invaderà l'Europa": la previsione Nato e l'ambiguo contegno di Trump
"Il 3 novembre la Russia invaderà l'Europa e ci sarà la terza guerra mondiale": sono queste le parole decisamente allarmanti pronunziate dall’ex vice comandante supremo alleato in Europa della NATO, il generale britannico Richard Shirreff, in un video diffuso dall'emittente televisiva 'La7'. Continua dunque imperterrita la narrazione dell'imminente invasione russa dell'Europa, il pezzo forte dello storytelling odierno della NATO e dell'Unione Europea. Finora gli zelanti pretoriani del discorso a senso unico, politicamente e geopoliticamente corretto, si erano limitati a parlare vagamente di imminente invasione russa dell'Europa: adesso si spingono oltre, e addirittura prevedono il giorno esatto, quasi come se si trattasse di un'eclissi solare. Nella previsione, manca solo l'ora esatta, in effetti... Non abbiamo naturalmente alcun argomento per dire se la previsione del generale britannico sia vera o falsa. Quel che possiamo dire con ragionevole certezza è, però, che essa si inscrive perfettamente nel quadro ideologico e nella cornice cognitiva (ampiamente propagandistica) dell'odierno Occidente, anzi dell’u(c)cidente liberal-atlantista, che di tutto sta facendo per provocare la Russia e per propiziare l'incipit del conflitto, salvo poi fingere che sia la Russia stessa a voler invadere l'Europa. E non possiamo neppure nascondere di essere attraversati dal sottile sospetto che dietro questo modus operandi si nasconda la longa manus di Washington, forse pronta a mandare avanti in avanscoperta il suo alleato sciocco, cioè l’Unione Europea, per poi poter intervenire attivamente con bombe umanitarie e missili democratici, una volta che la miccia della guerra sia stata innescata. Ipotesi interpretative le nostre, certo; ipotesi che tuttavia riteniamo degne di essere seriamente prese in considerazione. Del resto, risulta piuttosto difficile in questa fase seguire le dichiarazioni di Donald Trump, il codino biondo che fa impazzire il mondo: esse appaiono spesso contraddittorie e senza una logica interna, quasi come se fossero trovate del momento e Trump si esprimesse per intervalla insaniae, come si diceva di Lucrezio. L'ultima sua dichiarazione ci pare che possa essere letta in questo quadro ermeneutico: il codino biondo ha infatti dichiarato che il guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky, è "un grande uomo" (sic!) e che deve "riconquistare i territori occupati". Dichiarazione curiosa, invero, se si considera che in un passato non remoto Donald Trump aveva apostrofato piuttosto sprezzantemente la marionetta della NATO, peraltro maltrattandola incondizionatamente durante l’incontro che ebbero in presenza nei mesi scorsi. Perché adesso Trump celebra il guitto di Kiev e, di più, lo esorta a rioccupare i territori e dunque a procedere nel conflitto? Non diceva con orgoglio Trump di volere la pace e la fine di ogni conflittualità con la Russia? A che giuoco sta realmente giocando? Sorge sempre più il sospetto che gli Stati Uniti d'America stiano conducendo una guerra per procura contro la Russia di Putin, mandando avanti al massacro anzitutto l’Ucraina del guitto di Kiev e, a seguire, l’Unione Europea, sempre più condannata al ruolo lugubre di serva sciocca di Washington. Quasi come se Washington attendesse il divampare del conflitto dell'Europa con la Russia per poi poter intervenire trionfalmente, presentandosi come suo solito alla stregua della potenza liberatrice e democratica e interviene per promuovere la pace e la libertà. Sono sospetti suffragati, oltretutto, dal fatto che fin dagli anni Novanta la civiltà del dollaro, grazie al suo braccio armato detto Nato, si va espandendo negli spazi postsovietici con l’obiettivo di accercare la Russia in vista della sua normalizzazione in senso liberale e atlantista.
Il drone era polacco, non russo: la prova che è l'Europa a volere la guerra
Alla fine, la verità viene a galla, nonostante gli sforzi di chi prova a tenerla sommersa per il proprio interesse. E così, adesso, leggiamo sugli organi ufficiali della stampa che il famoso drone che aveva colpito Lublino, in Polonia, non era russo, come tutti in Europa senza un attimo di esitazione avevano invece sostenuto a tambur battente. Pare infatti che fosse polacco, secondo quanto ora ammesso dagli stessi organi della propaganda che inizialmente non avevano alcun dubbio sull'origine russa del drone. In effetti, benché non ne avessimo le prove, ci pareva decisamente strano che il drone potesse essere russo: da subito, la notizia puzzava di false flag, di invenzione della propaganda per giustificare, more solito, il manicomiale riarmo europeo e la demenziale narrazione secondo cui la Russia di Putin aspira a invadere l'Europa. Perché dunque Varsavia ha taciuto? Perché non si è ammesso da subito che non era russo il drone in questione? La vicenda ricorda, a tratti e con le debite proporzioni, quella della famosa provetta agitata da Colin Powell per giustificare l'invasione dell'Iraq. A stupire non è soltanto il vergognoso livello della propaganda europea, ma anche il fatto che, al cospetto di una così grave notizia, non si sia registrato il dovuto moto di indignazione da parte delle istituzioni europee. Ricordiamo che, dopo l'accaduto, Varsavia aveva schierato 40.000 uomini dell'Esercito e Macron aveva inviato tre caccia a sostegno della Polonia. L'Italia, per parte sua, aveva giurato fedeltà agli alleati del Patto Atlantico. Perché non si ammette onestamente che quella della imminente invasione russa dell'Europa è una menzogna, utilizzata dagli euroinomani delle brume di Bruxelles soltanto per giustificare l'ingiustificabile riarmo dell'Europa fatto sulle spalle degli ignari cittadini europei? Perché non si ammette che non è la Russia, ma l'Europa a volere a tutti i costi la guerra? L'abbiamo ribadito diverse volte e lo facciamo anche ora: se la Russia aggredirà l'Europa, ciò accadrà perché l'Europa l'avrà portata allo sfinimento e l'avrà provocata oltre ogni misura, come in effetti sta facendo oscenamente da mesi. E dire che in un suo recente intervento, Papa Leone XIV si è rivolto con parole decisamente critiche alla Russia di Vladimir Putin: ha dichiarato, infatti, che "la Nato non ha cominciato alcuna guerra". Con queste parole, il pontefice intende dire che la responsabilità reale del conflitto in atto è integralmente russa e deve essere ravvisata nell'invasione dell'Ucraina nel 2022. Insomma, la logora narrazione dell'Occidente imperialista o, meglio, dell'uoccidente liberal-atlantista: il quale, come non ci stanchiamo di sottolineare, ha gradualmente preso ad accerchiare la Russia fin dagli anni Novanta, quando, venuta meno l'Unione Sovietica ingloriosamente, ha mirato unicamente a normalizzare la Russia e a renderla, per così dire, una dependance di Washington, trovando però in Vladimir Putin una fermissima resistenza. Insomma, in antitesi con quanto sostenuto dal pontefice, la guerra è stata indubbiamente occasionata dalla NATO e dalla sua libido dominandi planetaria. Gioverebbe oltretutto far notare pacatamente a Leone XIV che di guerre la NATO ne ha principiante davvero parecchie, dalla Serbia all'Iraq per citarne due soltanto. Insomma, il nuovo pontefice - le cui origini americane potrebbero indubbiamente orientarne lo sguardo - sposa integralmente la causa dell'imperialismo di Washington. Non l'avremmo mai immaginato, ma ci troviamo oggi a rimpiangere perfino Bergoglio, il quale, nonostante la sua teologia del nulla e la sua religione smart e low cost, sul tema bellico era perfettamente nel vero, quando sosteneva che la guerra era principiata per via dell'abbaiare scomposto della NATO ai confini della Russia.
La guerra con la Russia parte dalla Polonia?
A un'analisi attenta, la storia degli ultimi tre anni e mezzo si potrebbe anche ragionevolmente leggere come una lunga vicenda di preparazione dell'Occidente, anzi dell’uoccidente liberal-atlantista, alla guerra con la Russia. A voler essere più elastici con la periodizzazione, si potrebbe dire che tutto è principiato già negli anni Novanta, quando la NATO ha preso ad allargarsi indebitamente negli spazi dell'ex Unione Sovietica, caduta ingloriosamente, con l’obiettivo di normalizzare la Russia e trasformarla in una innocua colonia di Washington. L'inimicizia con Putin nacque proprio quando con il suo avvento la Russia cominciò a opporsi fermamente all'allargamento imperialistico della NATO verso Oriente. Adesso siamo davvero giunti al redde rationem. Nei giorni scorsi, infatti, la Polonia ha abbattuto dei droni russi che, a suo dire, stavano sorvolando il suo spazio aereo. E, di più, ha invocato l'intervento della NATO, appellandosi all'articolo 4 del Patto Atlantico. L'Italia è già coinvolta, poiché un suo aereo è già intervenuto in Polonia. Il ministro Crosetto ha detto senza perifrasi che l'Italia interviene a sostegno dei suoi alleati. E il guitto Zelensky, attore NATO e prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, ha nelle ore scorse accusato i leader europei di non aver agito prima contro la Russia. È dunque ormai inevitabile il conflitto con la Russia di Putin? E soprattutto dove ci porterà questa guerra, considerata la disparità delle forze in campo e lo scarso interesse che per ora Donald Trump sembra nutrire per il conflitto? È dunque giunto il momento perché l'Europa, come da tempo vuole sire Macron, invii le sue truppe in Ucraina a combattere contro la Russia? La macchina della propaganda ripeterà a oltranza che è d'uopo combattere in difesa dei sacri valori dell'occidente: ma quali sono oggi detti valori? Cancel culture e arcobaleno, finanza e liberismo? In verità, se guerra ci sarà, l'Europa combatterà soltanto in difesa del nulla che ha innalzato a proprio orizzonte di senso, rinnegando la propria storia e la propria cultura. E, come sappiamo, tutte le guerre che in passato gli europei hanno provato ad avviare contro la Russia hanno avuto esiti catastrofici, naturalmente per l'Europa. Intanto, la Germania del cancelliere Merz sta allestendo gli ospedali come se già di fatto fosse in guerra: le strutture ospedaliere teutoniche si stanno infatti attrezzando per ricevere fino a cento feriti gravi al giorno. La notizia, senz'altro allarmante, non ci sorprende poi molto: l'Unione Europea sta facendo di tutto per propiziare il conflitto con la Russia di Putin, provocandola in ogni modo e continuando stoltamente a supportare le irragionevoli ragioni del guitto di Kiev, l’attore NATO Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha recentemente dichiarato che l'Unione Europea non ha mai scatenato un conflitto: ora potrebbe essere la volta buona, aggiungiamo noi, considerato il contegno irresponsabile dei cosiddetti volenterosi europei. L'abbiamo sottolineato abbondantemente: il folle piano del Rearm Europe, voluto dalla sacerdotessa dei mercati apatridi Ursula von der Leyen, presenta solo in astratto una funzione difensiva, essendo in realtà volto a preparare l'Europa a confliggere con la Russia di Putin; Russia di Putin che di per sé non avrebbe alcun interesse a entrare in guerra con l'Europa e che, a nostro giudizio, lo farebbe soltanto se venisse ulteriormente provocata, come l’Unione Europea si sta con zelo impegnando a fare. Non dimentichiamo che la Francia di sire Macron si sta impegnando in ogni modo affinché l'Unione Europea mandi le proprie truppe sul fronte ucraino a immolarsi nel nome dell’imperialismo dell’occidente, anzi dell’uoccidente liberal-atlantista. Sicché il noto teorema, cavallo di battaglia degli euroinomani di Bruxelles, secondo cui "l'Unione Europea ci protegge dal ritorno delle guerre" risulta vero quanto l’altro teorema, quello in accordo con il quale - Romano Prodi dixit - "grazie all'euro lavoreremo un giorno in meno guadagnando come se avessimo lavorato un giorno in più".
D'Alema in Cina da Xi e l'ira goffa delle destre atlantiste
Nei giorni scorsi, Massimo D'Alema era alla parata di Xi Jinping in Cina. Premetto che non ho affatto dimenticato le invereconde posizioni di Massimo D'Alema in tema di liberalizzazioni neoliberali e di sostegno alle politiche economiche del capitale. Né ho obliato le sue posizioni ai tempi della guerra di Serbia, quando sostenne deplorevolmente l'aggressione imperialistica della Nato contro Belgrado. Fu una delle tante oscenità dell’imperialismo a stelle e strisce, in quel caso sostenuto pienamente da Massimo D'Alema. Ciò detto, questa volta Massimo D'Alema è dalla parte giusta: la Cina di Xi Jinping rappresenta oggi un’alternativa reale al mondo della anglobalizzazione coatta e dell’imperialismo del capitale sans frontières. Xi Jinping è oggi probabilmente lo statista più lucido, più sobrio e più lungimirante esistente sullo scacchiere geopolitico internazionale. D'Alema sbagliò grandemente nel 1999 e ora in parte si redime collocandosi dalla parte giusta della storia. La destra bluette filoatlantista, filoisraeliana e filobancaria lo sta attaccando spietatamente con ogni mezzo. Leggo ad esempio un demenziale post della pagina ufficiale di Fratelli d'Italia, con cui viene preso di mira D’Alema con parole assai dure. Fratelli d'Italia, o meglio fratelli di NATO, come ormai andrebbe più opportunamente ribattezzato il partito date le sue posizioni ultra-atlantiste, lo accusa di schierarsi dalla parte di una nascente coalizione antioccidentale. Insomma, secondo lo schemino puerile di Fratelli d'Italia, da un lato c’è l’Occidente buono, che deve essere comunque difeso, e dall’altro c’è l’Oriente cattivo, abitato da neocomunisti come Putin e Xi Jinping. Forse a Fratelli d'Italia e alla sua giullaresca narrazione sfugge che ciò che chiamano pomposamente Occidente coincide oggi semplicemente con l’imperialismo statunitense e dunque anche con la subalternità permanente della nostra patria alla civiltà del dollaro e alla sua libido dominandi planetaria. Forse sfugge a Fratelli d'Italia che Russia e Cina rappresentano oggi una speranza per l'umanità tutta e per la genesi di un mondo multipolare, sottratto al mortifero imperialismo della civiltà del dollaro, che il partito di Giorgia Meloni finisce per supportare goffamente, nascondendosi dietro la categoria di patriottismo: un patriottismo di cartone, invero, quello di Fratelli d’Italia, considerato il fatto che il partito di Giorgia Meloni finisce per supportare la subalternità eterna della nostra patria all'imperialismo di Washington giustificando il cosiddetto Occidente, o meglio uccidente; nome che, lo ripeto, oltre a dire il tramonto tragicomico della nostra civiltà, allude soltanto alla subalternità dell’Europa tutta al leviatano a stelle e strisce. D’altro canto, è la storia ben poco gloriosa della destra dall’Msi ad Alleanza Nazionale fino al precipitato ultimo di Fratelli d'Italia: quanto più invocano a gran voce il patriottismo, tanto più si genuflettono a Washington, da Almirante a Giorgia Meloni (fatte naturalmente le debite proporzioni tra i personaggi e il loro spessore politico e culturale). Il post-fascismo, come ebbe a rilevare Costanzo Preve, è stato semplicemente un pittoresco fenomeno di normalizzazione atlantista e liberale della destra. Ci permettiamo di dare una piccola lezione non richiesta di patriottismo a Fratelli d'Italia: il vero patriottismo oggi consiste anzitutto nel rivendicare la liberazione della patria dall'imperialismo di Washington e dalle basi militari americane; per farlo, occorre aprirsi ad alleanze con l’Eurasia, sganciandosi dalla subalternità a Washington. Meglio amici di Mosca e di Pechino che zerbini di Washington, non v’è dubbio.
La nuova moda del ciuccio per adulti: la società infantilizzata
Sta largamente prendendo piede una nuova moda, che va diffondendosi direttamente dal Brasile: è la moda degli adulti che usano il ciuccio. Aveva ragione Lukács, allorché sosteneva che nel capitalismo la vita avvizzisce tra alienazione e stravaganza. La nuova moda testimonia in modo adamantino del regressus ad pueritiam del nostro tempo: la civiltà tecnocapitalistica è l’evo dell’infantilizzazione generale, in forza della quale tutti si diventa eterni bambini senza mai essere adulti e maturi. Il fanciullo, come notava Aristotele, è colui il quale ha il logos solo in potenza, e che pertanto deve restare sotto la giurisdizione e la tutela degli adulti. Il "parco umano" al tempo del capitalismo globalizzato figura in effetti come un Kindergarten allargato, in cui i soggetti sono infanti a tempo determinato e vivono "come color che son sospesi". L La società si riconfigura, così, nell’inedita forma di un immenso luna park, popolato da adulti infantilizzati sine die e da bambini dalla crescita negata, condannati a quella "depauperizzazione psicologica" che li porta a desiderare tutto, fuorché una società altrimenti strutturata. Con le parole del Nietzsche della seconda delle Considerazioni inattuali, l’abitatore della cosmopoli mercificata lavora alacremente "nella fabbrica delle utilità generali" allo scopo di "non diventare mai un uomo maturo". Sotto il cielo, regna oggi un generale infantilismo intriso di avidità puerile: il bambino non sopporta autocontrollo ed educazione del limite, né accetta gratificazione ritardata o senso della legge e dell’interdizione. Ancora, non sopporta ordine razionale che disciplini il principio di piacere. Era nel vero Pasolini, allorché sosteneva che i "personaggi principali" del "penitenziario del consumismo" erano i giovani. Il capriccio puerile del tempo dell’egocrazia nega alla radice l’idea stessa della mancanza come condicio humana: esige incondizionatamente di avere tutto a sua disposizione nell’immediato spazio dell’hic et nunc del godimento scevro di interdizioni e di differimenti. Tale è la condizione del puer eternus in balia della sindrome di Peter Pan. La società del turbocapitalismo planetario mira, per questo, a una infantilizzazione integrale dell’uomo, secondo il principio di una vera e propria regressione psichica dominata dal principio del pathos. In virtù di questo regressus ad pueritiam, si impone il nuovo infantilismo consumistico neoedonista, in cui domina la pulsione all’acquisto immediato e al consumo senza interdizioni. Anche in questa chiave si spiega l’adiaforizzazione generalizzata che la civiltà dei consumi genera su vasta scala: i suoi sudditi, i consumatori apolidi, sono pervasi dal senso di indifferenza e di apatia, nel trionfo iperbolico di quella figura che Simmel chiama blasé e che Benjamin appella flâneur. La meccanica dei desideri della civiltà dei consumi, in effetti, ci vuole tutti eternamente bambini e desideranti, votati al consumo di merci e all’incapacità di conoscere l’esperienza del limite. Poiché il padre – come sottolineato ad esempio da Lacan – è la figura che educa il fanciullo alla legge e al senso della misura, non stupisce che la nostra civiltà voglia annientare ogni determinazione del padre e fare in modo che i bambini non crescano mai e mai apprendano il senso del limite e della legge. Chiamano lotta contro il patriarcato quella che semplicemente è la lotta contro la figura del padre, coerente con il dispositivo della civiltà dei consumi e della sua infantilizzazione allargata del parco umano. La nuova moda giunta dal Brasile appare dunque perfettamente consona al carattere della nostra civiltà occidentale, o meglio uccidentale. La situazione è tragica, ma non seria.
Vertice in Alaska. Putin esce vincitore: UE e Kiev con le ossa rotte
Nulla di fatto in relazione al vertice dell'Alaska tra Putin, presidente russo, e Trump, presidente della civiltà del dollaro. Non si è trovato l'accordo su Kiev, come d’altro canto sembrava plausibile dovesse accadere fin da subito. Trump ha comunque assicurato che ci sono stati "grandi progressi", e ha altresì dichiarato che sentirà Zelensky (dichiarazione, quest'ultima, che suona inavvertitamente comica, dato che il guitto di Kiev è stato tenuto ai margini delle trattative). Putin non ha perso occasione per rivolgersi criticamente all'Europa, esortandola a non ostacolare la pace, come evidentemente dal suo punto di vista sta facendo nella misura in cui continua a supportare le irragionevoli ragioni del guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky. A ogni modo, il vertice in Alaska con Putin e Trump rivela alcune cose interessanti: 1) che questa, fin dall'inizio, era la guerra tra USA e Russia; 2) che l'Ucraina ha già perso la guerra e dovrà subire le decisioni altrui; 3) che la Russia, come prevedibile, non è stata sconfitta e ora può dettare le condizioni; 4) che gli USA hanno finalmente capito di non poter sconfiggere la Russia e di dover scendere a compromessi; 5) che Trump, meno ottuso di Biden, prova a uscirne dignitosamente dialogando con Putin. Insomma, tutta un'altra storia rispetto a quella che da anni ci raccontano gli autoproclamati professionisti dell'informazione politicamente e geopoliticamente corretta. Il guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, è con le spalle al muro. Escluso dal vertice in Alaska, egli è il grande sconfitto della guerra in Ucraina; guerra che egli ha propiziato in ogni modo e che si ostina a voler far continuare. Tant'è che adesso rifiuta di incontrarsi con Putin e si avventura a sostenere scioccamente che il solo modo per fermare la Russia è la forza. Come più volte abbiamo ricordato, il guitto di Kiev - adesso col cerino in mano - appare del tutto simile ai burattini di mangiafuoco nel capolavoro di Collodi "Pinocchio": una volta che essi non servano più per gli spettacoli del famelico burattinaio, vengono gettati alle fiamme. La vera domanda da porre così suona: perché l'attore Nato, sapendo perfettamente che la guerra è persa, si ostina a fare di tutto acciocché essa continui? La risposta è piuttosto semplice: il guitto vuole procrastinare il più possibile il momento del redde rationem, dacché sa benissimo che allora dovrà rendere conto delle proprie malefatte; e sa bene anche che i soggetti come lui molto spesso non fanno una fine particolarmente soave, perché il popolo non li perdona per i loro guai. Il guitto di Kiev, con buona pace della narrazione propagandistica occidentale, non si è battuto per la sovranità dell'Ucraina e per l'interesse del suo popolo: ha sacrificato entrambi sull'altare dell'imperialismo dell'Occidente, anzi dell'uccidente. Il popolo ucraino lo sa bene e non è certo disposto ad accettare in silenzio. Ecco perché il guitto teme decisamente più la fine della guerra che non la sua continuazione.
Scontro tra Schlein e Meloni sul turismo: il livello sempre più basso del dibattito politico
Come usa dire, la situazione è tragica, senza però riuscire a essere seria. Il livello demenziale, pietoso e rasoterra del dibattito politico in Italia è perfettamente rappresentato dalla recente querelle tra Elly Schlein, vestale della sinistra fucsia, e Giorgia Meloni, sacerdotessa della destra bluette, in relazione al turismo in Italia. Come riportato dai più letti (e più venduti) quotidiani nazionali, Elly Schlein ha accusato duramente Giorgia Meloni in relazione al drastico calo di turismo che, a suo dire, si registrerebbe in Italia quest'estate. Per parte sua, Giorgia Meloni ha replicato altrettanto duramente, dicendo stizzita che la sinistra mistifica i dati e cerca tutti i costi la polemica in maniera pretestuosa. Si tratta con tutta evidenza di una polemica sterile e di livello bassissimo; una polemica che rivela ancora una volta, se ve ne fosse bisogno, come destra neoliberale e sinistra neoliberale siano perfettamente coincidenti e possano contrapporsi soltanto su questioni marginali e secondarie. Come non ci stanchiamo di ripetere ormai da anni, e come più estesamente abbiamo mostrato nel nostro studio “Demofobia”, destra e sinistra sono oggi le due ali dell'aquila neo-liberale, che vola alta nei cieli della globalizzazione turbocapitalistica, per poi calarsi rapacemente sui popoli e sulle nazioni e depredarli senza pietà. Alternanza senza alternativa e omogeneità bipolare sono oggi i concetti che meglio ci permettono di chiarire la fiction della contrapposizione illusoria tra una destra e una sinistra egualmente organiche alla dominazione capitalistica del mondo della vita. Come due camerieri zelanti, destra e sinistra si alternano sulla plancia di comando per prendere ordini dal blocco oligarchico neoliberale, ossia dai gruppi dominanti sans frontières. Non è certo un mistero: Elly Schlein e Giorgia Meloni rappresentano egualmente le istanze dell'ordine neo-liberale e imperialistico, e appunto possono contrapporsi soltanto su questioni secondarie come quelle relative all'andamento del turismo estivo. Per inciso, ci sembra plausibile che il turismo sia in calo, considerate le condizioni pessime in cui versano i ceti medi e le classi lavoratrici, suppliziate dalla globalizzazione concorrenziale senza confini. Su questo ha ragione Elly Schlein, che però sbaglia Se pensa di poter attribuire la colpa al solo governo di Giorgia Meloni, considerato il fatto che la sinistra neoliberale è stata ugualmente protagonista nel massacro di classe contro lavoratori e ceti medi. Quod erat demonstrandum: destra e sinistra rappresentano oggi l’interesse dell’alto contro il basso, del patriziato cosmopolitico contro le masse nazionali-popolari.
Ottanta anni dalla bomba atomica su Hiroshima
Il Giappone ricorda in questi giorni gli ottant'anni dallo sgancio della bomba atomica su Hiroshima. Un gesto orrendo e disumano, di cui è bene conservare sempre la memoria. Lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki costituisce l’ultimo atto della seconda Guerra mondiale e, insieme, il primo della Guerra fredda. A dover essere sottolineato non è solo il fatto che si è trattato di un gesto “post-occidentale”, perché per la prima volta nella storia dell’Occidente si è apertamente legittimato lo sterminio di soggetti riconosciuti come innocenti (donne, vecchi, bambini), ma anche l’assoluta mancanza di pentimento e di elaborazione collettivi del crimine commesso, che non è neppure stato definito “crimine”, ma legittimo atto di guerra o, da una diversa prospettiva, “male necessario” (contro un Giappone già vinto e impotente). L’origine dell’odierna fondazione della monarchia universale a stelle e strisce risiede, sul piano della Weltgeschichte, nella scandalosa assoluzione del bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki, in quell’inammissibile squilibrio della colpa in forza del quale, alla giusta deplorazione dei lager e dei gulag, non è seguita un’analoga condanna delle due bombe atomiche e, con esse, della pratica del bombardamento in quanto tale. L’esito di questa asimmetria valutativa è, del resto, fin troppo noto: in quanto “male necessario”, il bombardamento legalizzato può nuovamente essere praticato, come è attestato dalle vicende del Vietnam (1965), della Jugoslavia (1999), dell’Iraq (1991 e 2003), della Libia (2011). L’invenzione mediatica di sempre nuovi Hitler sanguinari si rivela funzionale all’attivazione del “modello Hiroshima”, ossia del bombardamento legittimato come male necessario (ubi Hitler, ibi Hiroshima). Aspetto, quest’ultimo, da cui emerge limpidamente l’inammissibile squilibrio della colpa in forza del quale, alla giusta deplorazione dei lager e dei gulag, non è seguita un’analoga condanna delle due bombe atomiche e, con esse, della pratica del bombardamento qua talis. L’esito di questa asimmetria valutativa è, del resto, tragicamente noto. In quanto male necessario, il bombardamento legalizzato contro i nuovi Hitler può nuovamente essere praticato, dall’Iraq del 1991 e del 2003 alla Jugoslavia del 1999, dall’Afghanistan del 2001 alla Libia del 2011. Per questo, l’uccisione di mezzo milione di bambini nella guerra in Iraq del 1991 - proprio come la strage degli innocenti di Hiroshima - può essere rivendicata dalla monarchia universale come male necessario: con le parole del segretario di Stato Madeleine Albright, risalenti al maggio 1996, "this is a very hard choice, but the price… we think the price is worth it". La reductio ad Hitlerum si accompagna pressoché sempre all’impiego ideologico del concetto di umanità come titolo volto a giustificare l’ampliamento imperialistico. La guerra che si autoproclama umanitaria serve non solo a glorificare se stessa, ma anche a delegittimare il nemico, a cui è negata in principio la qualità stessa di uomo. Contro un nemico ridotto a Hitler e a essere non umano, il conflitto può allora essere spinto fino al massimo grado di disumanità, in una completa neutralizzazione di ogni dispositivo inibitorio di una violenza chiamata a esercitarsi in forma illimitata. È quella che Schmitt chiamava la "forza discriminatrice e di spaccatura propria dell’ideologia umanitaria". Là dove vi è un nuovo Hitler, deve esservi anche sempre una nuova Hiroshima: è questo il presupposto dell’inimicizia assoluta e della sua logica ideologica.
Il Cremlino fa la lista dei russofobi: compare anche il nome di Mattarella
Era ampiamente prevedibile che dovesse accadere, non c'è dubbio. È esplosa repentina e virulenta in Italia un'ondata di indignazione per il fatto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato inserito dal Cremlino nella lista dei russofobi. Nella lista, a dire il vero, non compare soltanto lui, ma troviamo anche i nomi di altri esponenti della politica italiana. Personalmente non ho alcuna simpatia per le liste di proscrizione, di ogni ordine e grado: alla proscrizione preferisco la confutazione socratica. Anziché mettere la x su chi sostiene posizioni diverse dalle nostre ritengo più utile confutarlo socraticamente mediante la forza docile delle idee. In ogni caso, mi siano consentite soltanto due considerazioni telegrafiche e a volo d'angelo. La prima: che ipocrisia da parte dell'Italia! Se, come è stato fatto, si definisce la Russia di Putin l'analogo del terzo Reich di Hitler, perché stupirsi se la Russia risponde in maniera ugualmente ostile? Dovrebbe essere noto universalmente: a ogni gesto offensivo ne può corrispondere uno uguale e contrario. O forse si vuole ammettere che l'Italia può offendere a suo piacimento la Russia e che quest'ultima, per parte sua, non ha diritto di replicare alle offese ricevute? Sarebbe buona cosa essere consapevoli del peso delle parole che si usano per essere sempre pronti alle conseguenze che ne derivano, anziché agitarsi scompostamente quando l'insultato risponde alle offese ricevute. La seconda considerazione che intendo svolgere si riassume in una domanda: quelli che adesso, Giorgia Meloni in primis, tanto si indignano per le liste di proscrizione ai danni dei russofobi dov'erano quando, sulle prime pagine dei quotidiani nazionali italiani, comparivano le liste di proscrizione con i nomi dei fantomatici putiniani d'Italia? Forse quelle liste di proscrizione andavano bene ed erano degne di essere accettate, magari anche con entusiasmo? La verità è che l'apocrisia regna sovrana in Italia ed è anzi forse l'unica realtà oggi sovrana nel nostro Paese. Possiamo dirlo senza tema di smentita, una volta di più: la Russia continua a essere provocata in ogni modo dall'Europa, la quale poi si indigna se la Russia osa reagire alle provocazioni. Di più, la Russia viene provocata e poi accusata di essere belligerante rispetto all'Europa, nel culmine dell'ipocrisia e della tartuferia.
Rileggere Orwell per capire l'Occidente e la sua demonizzazione della Russia
Quanti abbiano letto 1984 di Giorgio Orwell (ed è una lettura consigliatissima sempre e, a maggior ragione, nel nostro tempo massimamente orwelliano), ricordano senz'altro la figura emblematica di Emmanuel Goldstein. Egli è il nemico principale del Partito che governa Oceania. A causa della sua opposizione al Grande Fratello, ogni giorno, dalle ore 11.00, in ogni ufficio e in ogni luogo pubblico, si tengono manifestazioni di isteria collettiva contro di lui: i "Due minuti d'odio", come liqualifica il capolavoro di Orwell. Le masse ipnotizzate dalla propaganda del Grande Fratello sospendono ogni attività per manifestare istericamente il proprio livore verso Emmanuel Goldstein, di cui pure non sanno nulla se non ciò che il partito dice loro quotidianamente sul suo conto, presentandolo appunto come il nemico per eccellenza, come la minaccia che mette a rischio la pace del loro mondo. Anche in questo caso, come in molti altri, la fantasia distopica di Orwell appare superata di diverse misure dal nostro presente compiutamente distopico. Anche l'odierno occidente, rectius uccidente, ha il suo Emmanuel Goldstein, che si chiama però Vladimir Putin. A tutte le ore, radio, televisioni e giornali della civiltà fintamente democratica del Grande Fratello ripetono propagandisticamente che è lui il nemico, il pericolo massimo, la suprema minaccia per il paradiso occidentale. E le masse tecnonarcotizzate e teledipendenti si prestano con ebete euforia a questa recita di isteria collettiva, esibendosi in altrettante tragicomiche variazioni dei due minuti d'odio di orwelliana memoria. Quando l’ordine del discorso imbocca la via della “reductio ad hitlerum” (come la appellava Leo Strauss) dell’avversario, occorre davvero iniziare seriamente a preoccuparsi. Non è una novità, invero. Quante volte, di grazia, in questi anni è stata evocata la figura di Hitler in riferimento a quelli che di volta in volta l’Occidente a trazione atlantista ha individuato come suoi nemici, vale a dire quasi sempre come ostacoli rispetto alla americanizzazione del mondo pudicamente detta globalizzazione? Abbiamo rapidamente visto negli anni Hitler prendere corpo in Saddam e in Milosevic, in Gheddafi e in Assad. L’osceno canovaccio era sempre il medesimo e nondimeno i più, artatamente manipolati, continuavano a prestargli fede, senza accorgersi della manipolazione ideologica in atto. Non deve dunque destare maraviglia il fatto che ora compaia un nuovo Hitler nella lista, Vladimir Putin. Era, au fond, la cosa più prevedibile del mondo. Il dispositivo perverso di hitlerizzazione dell’avversario presenta una serie di conseguenze non trascurabili, delle quali voglio qui evidenziarne solo alcune. La hitlerizzazione dell’avversario nega in forma apriorica ogni possibile via del negoziato, della diplomazia e della possibile risoluzione pacifica delle contese. Con l’avversario si può trattare pacificamente, cercando accordi diplomatici. Con Hitler bisogna invece necessariamente intraprendere la guerra totale, senza mediazione possibile. In tal guisa, la hitlerizzazione dell’avversario diventa un pericoloso strumento per giustificare la guerra totale, vuoi anche la guerra mondiale che troppo spesso è stata disinvoltamente evocata da più parti in queste settimane. Lo schema del nuovo Hitler rende sempre giustificabili i disastri più osceni, presentati di volta in volta come risposte dolorose ma necessarie al male assoluto. È una vecchia e collaudata pratica del potere il far credere che la contraddizione e il nemico siano al di là del muro, nello spazio esterno rispetto alla società totalmente amministrata dal potere stesso: in tal guisa, sempre defocalizzando lo sguardo rispetto alle contraddizioni interne alla nostra società, si produce una unificazione fittizia dell'interno, chiamato a cooperare in funzione della resistenza al nemico esterno, di cui magari, come oggi (ma lo stesso vale per Emmanuel Goldstein), si dice che è pronto a invadere la nostra civiltà. Come nel romanzo di Orwell, vi è sempre e comunque Emmanuel Goldstein dietro a ogni contraddizione, dietro a ogni stortura, dietro a ogni male, così accade oggi nell'ordine discorsivo dominante, che sempre e di nuovo indica Putin - il novello Emmanuel Goldstein - come il responsabile di ogni male. Qualcuno osa dissentire rispetto all'Unione Europea della vestale dei mercati apatridi Ursula von der Leyen? Deve esserci dietro la longa manus di Putin. Qualcuno osa criticare le politiche imperialistiche a stelle e strisce? Deve essere un agente segreto inviato da Putin in occidente. Qualcuno ha il coraggio di mettere in discussione gli assetti della sempre più asimmetrica globalizzazione neoliberale? Di necessità, è un subdolo infiltrato della Russia di Putin. Rileggere Orwell può davvero giovare a un risveglio collettivo dall'incantesimo ipnotico della società dello spettacolo e della manipolazione millimetrica delle coscienze. Spegnete radio e TV, leggete Orwell. Chi ve lo sta suggerendo è, naturalmente, una spia mandata da Emmanuel Goldstein...si è prodotta una scena degna della caverna di Platone: schiavi che amano le proprie catene.
Fare silenzio all'orale della maturità: la nuova tendenza folle dell'epoca immatura
Si va imponendo una nuova curiosa tendenza, direi quasi una moda: riguarda studenti che, all'orale della maturità, scelgono di stare in silenzio, rifiutandosi di sostenere l'esame e mettendo magari anche in discussione lo stesso sistema dei voti. Già diversi casi si sono registrati in questo senso. In questo modo, l'esame di maturità si capovolge in esame di immaturità: più precisamente, nell'incapacità di affrontare una prova, nella volontà di sottrarsi al primo dei tanti esami a cui la vita ci sottoporrà. Perfino il ministro Valditara è dovuto intervenire, precisando che chi si rifiuta di sostenere l'orario della maturità sarà bocciato. Non possiamo certo generalizzare, considerato il fatto che la massima parte dei giovani continua a studiare con serietà e a sottoporsi con rigore all'esame di maturità. Tuttavia, questa nuova tendenza, per quanto marginale, chiede di essere analizzata criticamente in relazione con il nostro tempo: le nuove generazioni, native a capitalismo integrale e vissute nell'epoca dell'evaporazione del padre, hanno già in parte metabolizzato lo spirito del nostro tempo e il suo abbattimento di ogni legge, di ogni confine e di ogni tabù. Si è, a questo proposito, parlato di snowflake generation, ossia di generazione fragile come i fiocchi di neve che, come è noto, si sciolgono appena toccano il suolo. Si va dunque verso l'abolizione dell'esame di maturità e del sistema dei voti? Riteniamo che ciò sarebbe profondamente sbagliato, considerato il fatto che è bene fin da giovani abituarsi alle prove e agli ostacoli che la vita ci pone dinanzi. La prova di maturità è una prima piccola sfida che incontriamo nella nostra vita e che richiede serietà e rigore, studio e dedizione. Ci educa a metterci alla prova e a prendere coscienza del fatto che la vita è fatta anche di questo. Siamo passati da un'epoca in cui la legge soffocava il desiderio, com'era prima del '68, a un tempo in cui il desiderio tende a sovrastare la legge e a ergersi a unica legge possibile, abbattendo ogni regola e ogni norma, come si conviene alla società della deregolamentazione economica e antropologica che stiamo, nostro malgrado, già da tempo sperimentando. Senza esagerazioni, la società del turbocapitalismo è una società senza maturità: o si è giovani o si è anziani, ma non si è mai maturi. Più precisamente, si è giovani fino a 60 anni. Poi si è improvvisamente anziani e si continua goffamente a imitare il lifestyle dei giovani, cancellando in ogni guisa i segni lasciati sul nostro corpo dal tempo che incede irreversibilmente. Ma non esiste più - questo il punto - la fase della maturità, quella della stabilizzazione professionale e sentimentale, in una parola della "eticità" (Sittlichkeit) in senso hegeliano: si è sempre precari della vita, apolidi dell'esistenza, salvo poi trovarsi repentinamente anziani, senza mai essere stati maturi. Eppure, secondo natura, le stagioni della vita umana sono tre: giovinezza, maturità e anzianità. Che fine ha fatto, dunque, la maturità nel nostro tempo della miseria? L'odierna battaglia pittoresca contro l'esame di maturità - che diventa, con il silenzio e la scelta di non sostenerlo, esame di immaturità - sancisce simbolicamente questa fase dell'immaturità generalizzata per una società di atomi giovanilistici e gaudenti, che non pensano se non a godere (life is now!) e, con ciò, assecondano i moduli del nuovo capitalismo della seduzione e del godimento merciforme. Il giovane e, più precisamente, l'eterno giovane è il soggetto ideale del sistema turbocapitalistico: il giovane è sedotto dai desideri (gaudeamus igitur!) e vive precariamente in attesa di una stabilizzazione che, in regime capitalistico, non giungerà mai. Come sempre, l'ordine dominante produce l'intollerabile e, a un solo parto, soggetti disposti ad accettarlo con ebete euforia. Il capitale nega ai suoi sudditi la maturità ed essi non solo non oppongono resistenza, ma si battono a spada tratta contro ogni figura possibile della maturità. È questo l'identikit dei nuovi abitatori postmoderni dell'antro caliginoso delineato da Platone nella "Repubblica". Schiavi che non sanno di esserlo.
L'ex premier britannico Sunak passa a Goldman Sachs: una volta di più, comanda la finanza
Vi è un colpo di scena politico che merita una attenta analisi, come sempre controvento. Apprendiamo in questi giorni che Goldman Sachs ha assunto l'ex premier britannico Sunak come consulente senior. Proprio così, Sunak abbandona la politica per passare all'alta finanza. Ancora una volta, si manifestano con limpido profilo i rapporti incestuosi tra politica e alta finanza: nel suo aspetto più generale, l'ordine neoliberale di cui siamo, nostro malgrado, abitatori si caratterizza per un rapporto di forza in grazia del quale la finanza interviene senza sosta nella politica, direzionandola e orientandola secondo i propri desiderata, senza che, a propria volta, la politica possa intervenire nella finanza per disciplinarla e normarla, secondo quello che si potrebbe con diritto definire il primato del politico. L'obiettivo, con tutta evidenza, è fare in modo che la politica risponda sempre e solo sull'attenti agli imperativi del mercato finanziario e delle sue classi di riferimento. L'aristocrazia finanziaria, per riprendere la definizione usata da Marx nel "Capitale", coincide con l'odierna classe dominante su scala cosmopolitica. Sicché quella che viene trionfalmente e pomposamente definita democrazia coincide oggi in toto con una plutocrazia neoliberale finanziaria a base imperialistica, nei cui spazi blindati decidono autocraticamente i mercati finanziari: quei mercati finanziari che, qualora i governi osino discostarsi dai loro imperativi, intervengono massicciamente con il ricatto dello spread e con veri e propri colpi di Stato finanziario, come quello subito dall'Italia nel 2011. A decidere non è la politica sovrana, ma il mercato finanziario, che usa la politica in forma ancillare. In questo senso, la politica oggi non è altro se non l'economia finanziaria continuata con altri mezzi. Viviamo d'altro canto nel tempo in cui le agenzie di rating valutano anche gli Stati, trattati alla stregua di ogni altra azienda. E come sul piano geopolitico vengono qualificati come "Stati canaglia" quei governi che resistono all'imperialismo della civiltà a stelle e strisce, così sul piano finanziario vengono definiti "Stati inaffidabili" e "populisti" quelli che non rispondono sull'attenti agli imperativi dell'alta finanza cosmopolitica. La categoria di populismo risulta, sotto questo riguardo, particolarmente interessante: si stigmatizzano come populisti quei governi che danno ascolto alla volontà del popolo. Il tacito corollario è che i governi dovrebbero dare ascolto sempre e solo alla volontà delle banche e del sistema finanziario, limitando il più possibile ogni spazio residuo di sovranità popolare. La vicenda dell'ex premier britannico risulta particolarmente istruttiva: esiste un vero e proprio circuito chiuso tra finanza e politica; un circuito chiuso in forza del quale i politici, terminato il loro mandato, passano nelle sfere dell'alta finanza e, con movimento inverso, gli strateghi del sistema finanziario globale entrano agevolmente in politica per tutelare gli interessi della finanza predatoria senza confini. Oltre al caso recente dell'ex premier britannico, si possono rammemorare quelli di Romano Prodi e di Mario Draghi, i quali, prima di accedere alle alte sfere dell'Unione Europea, ebbero incarichi di prestigio in Goldman Sachs. Come esempio del passaggio opposto, analogo a quello ora compiuto dall'ex premier britannico, si può poi ricordare la vicenda di Barroso: il quale, terminato il suo mandato presso l'Unione Europea, passò direttamente ai piani alti di Goldman Sachs. Così inteso, l'ordine neoliberale appare come una dittatura finanziaria plebiscitaria: alle masse popolari viene data l'opportunità di votare, con scadenza regolare, per scegliere quali politici di volta in volta mandare in Parlamento a prendere devotamente gli ordini dagli apolidi della finanza; ordini che, ovviamente, tutelano sempre e solo l'interesse del capitale finanziario, che discute in modo tutto fuorché democratico le proprie traiettorie in consessi privati come il Bilderberg. In questo contesto, la parola democrazia non dice altro se non una grande finzione teatrale, che nasconde una realtà sotto ogni profilo antitetica rispetto a ogni autentica democrazia. Se le parole hanno ancora un senso, la democrazia è il governo in cui il popolo decide sovranamente delle proprie sorti: ma oggi a decidere sovranamente sono soltanto i mercati speculativi, che camuffano il loro dispotismo dietro le procedure di una democrazia sorvegliata e amministrata in maniera tale da far apparire pluralistico un ordine che tale non è. L'occidente, anzi l’uccidente liberal-atlantista, che sempre punta al dito contro Le dittature e totalitarismi altrui, farebbe bene una volta tanto a guardare in se stesso e a scoprire che oggi il conflitto non è tra democrazia occidentale e dittatura non occidentale: il reale conflitto è tra le forme non democratiche oggi ovunque esistenti e l'ideale di una vera democrazia, assente anche in occidente.
Destra e sinistra ugualmente dalla parte dell’imperialismo Usa
Tutta la pochezza della cosiddetta "destra sovranista" (pochezza perfettamente speculare a quella della sinistra cosmopolita) emerge con adamantino profilo dalla vicenda dell'Iran vigliaccamente aggredito da USraele: anziché difendere le sacrosante ragioni dell'Iran e della sua difesa della propria sovranità nazionale, la giullaresca destra "sovranista" si schiera indecorosamente con l'imperialismo di USraele, con ciò rivelando che il proprio concetto di sovranismo coincide in toto con quello di nazionalismo imperialistico. Se il patriottismo sovranista riconosce a ogni popolo il diritto pieno di difendere la propria sovranità, l'infame nazionalismo imperialistico ammette il diritto alla sovranità nazionale solo per le potenze imperialistiche, a loro volta legittimate a neutralizzare la sovranità altrui con bombe umanitarie e missili democratici. Il governo di Giorgia Meloni, ogni giorno più risibile e più subalterno a Washington e a Israele, si era pateticamente riempito la bocca di espressioni come sovranità nazionale, patria, difesa degli interessi nazionali, e via discorrendo: ora ha gettato la maschera e si è rivelato un governo subalterno all'imperialismo di Washington e di Israele, facendosi latore del già richiamato nazionalismo imperialistico. A questa miseria della destra nazionalista si accompagna quella della sinistra cosmopolita, la quale per una via opposta giunge al medesimo punto, ossia alla legittimazione se non alla santificazione dell'imperialismo dell'occidente, anzi dell'uccidente, presentato subdolamente come democratico e umanitario, orientato all'abbattimento di quelli che di volta in volta Washington identifica con i regimi nemici della libertà umana (nel caso specifico, l'Iran).Una volta di più, destra nazionalista e sinistra cosmopolita si rivelano le due ali dell'aquila neoliberale, dunque della dominazione turbocapitalistica del mondo. Tale dominazione si fonda sull'imperialismo, di fatto coincidente con la dinamica di anglobalizzazione, ossia di americanizzazione forzata del pianeta. La destra, come sappiamo, è stata il luogo fondamentale di propulsione e di legittimazione dell’imperialismo. La novitas degna di nota sembra essere la recente riconversione stessa della new left fucsia alle “ragioni” dei bombardamenti etici, dell’interventismo umanitario, degli embarghi terapeutici: in una parola, alle ragioni del “cattivo universalismo” dell’imperialismo statunitense, che de facto coincide con il “braccio armato” della globalizzazione mercatista. E che, a rigore, lungi dall’inquadrarsi come una figura dell’universalismo, si pone come espressione di un etnocentrismo esaltato, che semplicemente mira a estendere senza limiti il proprio modello e il proprio dominio, ideologicamente contrabbandato come valido in universale. Se il tratto fondamentale della vetero-sinistra fu l’universalismo, occorre riconoscere che la new left lo ha abbandonato mediante la difesa dell’imperialismo americano-centrico non meno che attraverso il sostegno alle ragioni della società competitiva di free market, nei cui spazi reificati il paradiso dei pochi si regge sull’inferno dei più. L’imperialismo, infatti, non è se non la violenza del particolare che si contrabbanda come universale. La società competitiva del capitale è, a sua volta, il trionfo di una classe sulle altre o, se si preferisce, il nesso di signoria e servitù che rende possibile il successo di un gruppo mediante la sopraffazione ai danni degli altri. Sicché vero universalismo sarebbe combattere contro l’imperialismo e contro la società di mercato, ciò che la new left ha da tempo cessato di fare, divenendo neo-sinistra global-imperialista e liberal-nichilista. La struttura economica di destra (imposizione del mercato e dell’interesse dei gruppi dominanti) trova anche questa volta il suo corrispettivo nella superstruttura culturale di sinistra (ideologia interventistica dei diritti umani). In effetti, l’imperialismo del Leviatano a stelle e strisce procede sempre, nelle sue giustificazioni, con un doppio registro: quello cinico della destra e quello dell’“anima bella” di sinistra. Il cinico right-oriented apertamente sostiene l’invasione imperialistica senza infingimenti, nel nome dell’“utile del più forte” – secondo il teorema di Trasimaco – e del nudo interesse economico e geopolitico della forza dominate. L’anima bella left-oriented, invece, cerca di giustificare l’invasione imperialistica con la roboante retorica dei diritti umani o, addirittura, fingendo di assumere il punto di vista dei più deboli, che l’operazione imperialistica stessa difenderebbe.

cielo coperto (MC)



