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Ottanta anni dalla bomba atomica su Hiroshima

Ottanta anni dalla bomba atomica su Hiroshima

Il Giappone ricorda in questi giorni gli ottant'anni dallo sgancio della bomba atomica su Hiroshima. Un gesto orrendo e disumano, di cui è bene conservare sempre la memoria. Lo sgancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki costituisce l’ultimo atto della seconda Guerra mondiale e, insieme, il primo della Guerra fredda.

A dover essere sottolineato non è solo il fatto che si è trattato di un gesto “post-occidentale”, perché per la prima volta nella storia dell’Occidente si è apertamente legittimato lo sterminio di soggetti riconosciuti come innocenti (donne, vecchi, bambini), ma anche l’assoluta mancanza di pentimento e di elaborazione collettivi del crimine commesso, che non è neppure stato definito “crimine”, ma legittimo atto di guerra o, da una diversa prospettiva, “male necessario” (contro un Giappone già vinto e impotente).

L’origine dell’odierna fondazione della monarchia universale a stelle e strisce risiede, sul piano della Weltgeschichte, nella scandalosa assoluzione del bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki, in quell’inammissibile squilibrio della colpa in forza del quale, alla giusta deplorazione dei lager e dei gulag, non è seguita un’analoga condanna delle due bombe atomiche e, con esse, della pratica del bombardamento in quanto tale.

L’esito di questa asimmetria valutativa è, del resto, fin troppo noto: in quanto “male necessario”, il bombardamento legalizzato può nuovamente essere praticato, come è attestato dalle vicende del Vietnam (1965), della Jugoslavia (1999), dell’Iraq (1991 e 2003), della Libia (2011).

L’invenzione mediatica di sempre nuovi Hitler sanguinari si rivela funzionale all’attivazione del “modello Hiroshima”, ossia del bombardamento legittimato come male necessario (ubi Hitler, ibi Hiroshima). Aspetto, quest’ultimo, da cui emerge limpidamente l’inammissibile squilibrio della colpa in forza del quale, alla giusta deplorazione dei lager e dei gulag, non è seguita un’analoga condanna delle due bombe atomiche e, con esse, della pratica del bombardamento qua talis.

L’esito di questa asimmetria valutativa è, del resto, tragicamente noto. In quanto male necessario, il bombardamento legalizzato contro i nuovi Hitler può nuovamente essere praticato, dall’Iraq del 1991 e del 2003 alla Jugoslavia del 1999, dall’Afghanistan del 2001 alla Libia del 2011.

Per questo, l’uccisione di mezzo milione di bambini nella guerra in Iraq del 1991 - proprio come la strage degli innocenti di Hiroshima - può essere rivendicata dalla monarchia universale come male necessario: con le parole del segretario di Stato Madeleine Albright, risalenti al maggio 1996, "this is a very hard choice, but the price… we think the price is worth it".

La reductio ad Hitlerum si accompagna pressoché sempre all’impiego ideologico del concetto di umanità come titolo volto a giustificare l’ampliamento imperialistico. La guerra che si autoproclama umanitaria serve non solo a glorificare se stessa, ma anche a delegittimare il nemico, a cui è negata in principio la qualità stessa di uomo.

Contro un nemico ridotto a Hitler e a essere non umano, il conflitto può allora essere spinto fino al massimo grado di disumanità, in una completa neutralizzazione di ogni dispositivo inibitorio di una violenza chiamata a esercitarsi in forma illimitata. È quella che Schmitt chiamava la "forza discriminatrice e di spaccatura propria dell’ideologia umanitaria". Là dove vi è un nuovo Hitler, deve esservi anche sempre una nuova Hiroshima: è questo il presupposto dell’inimicizia assoluta e della sua logica ideologica.

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