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Dopo la Bce, Lagarde potrebbe passare al Forum di Davos: i plutocrati dell'ordine neoliberale

Dopo la Bce, Lagarde potrebbe passare al Forum di Davos: i plutocrati dell'ordine neoliberale

In questi giorni, leggiamo su tutti i più letti e soprattutto più venduti quotidiani nazionali ed europei che la signora Lagarde potrebbe presto lasciare la BCE per passare direttamente al World economic forum di Davos. Se ciò dovesse realmente accadere, sarebbe l'ennesima prova del fatto che presso il blocco oligarchico neoliberale vige il sistema delle porte girevoli, se così vogliamo definirlo. Un sistema tale per cui gli esponenti della classe capitalistica dominante transnazionale restano sempre all'interno del circuito fondamentale delle decisioni sovranazionali e del potere economico.

 Possiamo ben dire, a questo riguardo, che il sistema capitalistico ha scoperto il metodo alchemico per trasformare il vile metallo in oro: i banchieri diventano politici, i politici diventano banchieri. E così, per portare alcuni esempi concreti, Draghi, Prodi e Monti, dopo aver collaborato attivamente con Goldman Sachs, divennero esponenti di punta di quel costrutto tecnocratico e repressivo che è l'Unione Europea. Barroso, per parte sua, terminato il mandato presso l'Unione Europea non tornò a Lisbona ma passò direttamente in Goldman Sachs.

Qualcosa di simile sembra che ora potrebbe interessare la signora Lagarde, stando a quello che apprendiamo dai giornali prima menzionati. Insomma, chi esce dalla BCE passa al Forum di Davos, chi esce dall'Unione Europea passa a Goldman Sachs. Grazie ai processi di sovranazionalizzazione, che traslano il centro della decisione politica dai parlamenti nazionali a realtà sovranazionali strutturalmente non democratiche e sottratte a ogni controllo politico (emblematico è, ancora, il caso della UE), gli Stati vengono “scassinati” dai poliorceti del mondialismo finanziario e dagli architetti dell’autocrazia del capitale. Questi ultimi, mediante astuti accorgimenti all’insegna della deresponsabilizzazione (riforme con il “pilota automatico”, “emergenzialità della crisi”, “cessioni di sovranità”, ecc.), si peritano di non lasciare impronte digitali per le loro malefatte: lasciano che le loro manovre di classe appaiano come le impersonali necessità sistemiche richieste per affrontare le crisi che di volta in volta emergono nei tumultuosi spazi del vigente tecnofeudalesimo.

Il potere concentrato della finanza costringe lo Stato a svalorizzare la ricchezza sociale, di modo che, mediante saccheggi e rapine chiamate “privatizzazioni” e “liberalizzazioni” dall’ordine linguistico dominante, la massa pauperizzata sia privata di tutto e la ristretta cerchia dei signori apolidi del regno finanziario accresca sempre più il proprio patrimonio.

 La lotta di classe dall’alto, al tempo del turbocapitalismo finanziario, si estrinseca anche nella forma di un’ininterrotta sottrazione fraudolenta dei beni e dei prodotti del lavoro dei ceti medi e delle classi lavoratrici mediante rapine finanziarie e manovre truffaldine, rese possibili dal dominio autocratico del sistema bancario e finanziario e, insieme, dall’operare tutto fuorché neutro e innocente della politica soggiogata a detto sistema. Come è noto, del resto, nel quadro del turbocapitalismo sans frontières la decisione sovrana non è più radicata nei parlamenti nazionali, ma in istituzioni private sovranazionali che decidono autocraticamente e puntualmente scavalcando il volere delle nazioni e dei loro parlamenti. Non chiamatela democrazia: è una plutocrazia finanziaria neoliberale a base imperialistica.

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