Com’era ampiamente prevedibile, il referendum indetto dalle sinistre padronali è naufragato miseramente. Vince indubbiamente la destra neoliberale, che da subito aveva "tifato" per l'astensione. Ma vince egualmente anche la sinistra neoliberale, la quale non ha alcun interesse reale per il tema del lavoro e ha indetto questo referendum soltanto per guadagnare consensi, senza impegnarsi realmente: d'altro canto, quando era al governo e poteva realmente tutelare il lavoro non solo non l'ha fatto, ma ha spietatamente colpito lavoratori e diritti sociali, superando per certi versi in questo anche la destra stessa (jobs act, abolizione dell’articolo 18, precarizzazione, ecc.).
Semplicemente, il referendum è stato indotto dalla sinistra per provare maldestramente a far vacillare il giullaresco governo della destra (un governo vergognosamente allineato a Washington, Israele, Bruxelles e al sistema bancario, non dimentichiamolo). Si sono mobilitate le argomentazioni più disparate e a volte anche più disperate per rendere conto dell'esito peraltro prevedibile del referendum, che non ha appunto raggiunto il quorum.
Vi è stato chi ha parlato della naturale apoliticità degli italiani, ma è un argomento che non convince, considerato il fatto che in altre occasioni gli italiani si sono mobilitati in massa, come ad esempio per il referendum del 2016 sulla nefanda proposta di modifica della nostra costituzione. Vi è, poi, chi ha mobilitato la categoria dell'egemonia politica esercitata dal giullaresco governo della destra bluette neoliberale di Giorgia Meloni. Ma anche questo argomento non risulta persuasivo fino in fondo.
La verità, almeno a mio giudizio, sta altrove: il fallimento su tutta la linea di questo referendum si spiega in ragione del fatto che chi lo ha proposto è stato in passato responsabile delle più infauste riforme del lavoro e delle più radicali aggressioni al mondo dei lavoratori. Non è un mistero: gli stessi che hanno abolito l'articolo 18 e introdotto l'infame Jobs Act, celebrando quell'Unione Europea che rappresenta di fatto un massacro di classe sotto ogni profilo, sono gli stessi che ora hanno indetto il referendum in difesa del lavoro!
E che oltretutto hanno inserito nei quesiti anche il "cavallo di Troia" della cittadinanza. Perché, se tengono tanto al lavoro, lo difendono ora che concretamente non possono fare nulla e lo distruggono quando sono al governo e possono fare? Diciamolo apertamente, azzardando un'ipotesi che non ci pare affatto remota: se anche si fosse raggiunto il quorum e avesse prevalso il sì su tutta la linea, nulla si sarebbe poi fatto in difesa del lavoro, come peraltro nulla si fece in difesa dell’acqua pubblica quando, nel 2011, vinse il sì al referendum contro le privatizzazioni.
Il capitale si sarebbe naturalmente opposto. Sarebbe invece sicuramente passato il piano dell'allargamento della cittadinanza, questo sì graditissimo al capitale, che non vede l'ora di estendere il più possibile la cittadinanza fino a farla saltare, diluendo ancora più i già risicati diritti sociali superstiti, secondo la logica del todos caballeros.
Il referendum, dunque, è fallito. Non dimenticatelo però: non appena la sinistrash andrà a governare, prendendo il posto della destrash, sicuramente porrà in essere un pacchetto formidabile di riforme in difesa del lavoro, eliminando il jobs act e ripristinando l'articolo 18: è certo, come è certo che il triangolo è quadrato.
Commenti