Un vento di scirocco spira forte dal mar Adriatico. I pescatori abbandonano gli ormeggi a largo delle coste croate, tirano su le reti e fanno ritorno al porto di Civitanova Marche. L’intera flotta di pescherecci è attraccata nel molo sud, con stormi di gabbiani stagliati quasi a proteggere il pesce in attesa dello sbarco definitivo. Noi saliamo a bordo della Gladiatore I, una delle imbarcazioni di fiducia di Carmine, il ristoratore conosciuto nel corso della prima puntata di “Storie”, la nuova rubrica di Picchio News online ogni sabato mattina alle 10.
Al capitano Luca non manca il sorriso nell’accogliere le nostre telecamere per documentare la vita a bordo. “Di solito usciamo la domenica sera e restiamo fuori tre giorni, rientrando sempre in piena notte”, racconta Luca, in mare da 35 anni e da 3 capitano della Gladiatore I. Tre i componenti dell’equipaggio più un’armatrice, Arianna, moglie di Luca, sempre pronta ad accoglierlo al ritorno in porto. E' piena notte ma per loro è tutto in pieno fermento: le casse di pesce vengono tirate fuori dalla stiva, uno spazio angusto e gelido. E sembra incredibile pensare come siano costretti a trascorrere ore delle loro giornate proprio lì dentro. Il freddo non è l’unico nemico a bordo: le turbine del motore continuano a girare: si fa quasi fatica nel riuscire a sentire il suono delle nostre voci. “Per noi questa è la normalità “, spiega il capitano mentre ci mostra la cabina di comando dove traccia le rotte da seguire e dove riposa quando il lavoro lo consente. I ritmi a bordo sono frenetici e i giorni a largo devono essere sfruttati al massimo. “Questa notte sono circa 300 i kg di pescato, ma in questa occasione non siamo andati oltre le 8 miglia dalla costa”, racconta l'armatrice Arianna. Ha seguito il marito in questa nuova avventura, “ma lavoro anche in uno studio commerciale. Vengo qui per dare una mano e portare tutto al mercato del pesce prima di andare in ufficio al mattino”.
Una vita complicata, come quella di Michael e Roberto, anche loro sorridenti e felici nel sapere che i loro sacrifici “saranno mostrati a chi spesso non comprende come davvero viviamo noi pescatori”. Una cuccetta ancor più piccola di quelle dei treni la loro camera da letto. Un tavolino con una piccola cucina a gas il loro bar. “Noi, però, noi siamo felici così”.
Questa è la storia di uomini orgoliosi del proprio lavoro. Questa è la storia di Gladiatore I:
E' notte fonda, i clienti hanno appena lasciato il locale e la giornata è da poco terminata. Ci si riposa forse per un'oretta, poi è tempo di scendere di nuovo in campo e pensare a cosa mettere in tavola il giorno dopo. "E' così che funziona per noi ristoratori, almeno per tre notti a settimana. Se pretendi qualità, devi andare incontro ai sacrifici", racconta Carmine, proprietario insieme a sua moglie Valentina del ristorante Capriccio di Mare di Civitanova Marche.Non ci sono pause, non c'è mai un momento giusto per riposare. "Ho vissuto le due facce della medaglia e so anche cosa significa ammazzarsi di lavoro e arrivare a stento a fine mese, quindi adesso sono contento così", spiega il giovane ristoratore mentre sorseggia il primo caffè della giornata: è l'una e mezza di una notte di pioggia e vento freddo che spira verso la riviera adriatica.
Lasciamo il ristorante, ci dirigiamo verso il molo sud dove ad attenderci ci sono decine di pescherecci appena rientrati per il sopraggiungere del mare in burrasca. Nel silenzio della notte, qui si respira la vita che tra qualche ora avvolgerà negozi, supermercati e locali di tutta la città. Interi stormi di gabbiani volano sulle imbarcazioni in attesa del mollusco o del pesce lanciato generosamente da qualche pescatore. Carmine però è più veloce dei gabbiani: "Le cassette migliori preferisco selezionarle qui sulla banchina: durante l'asta non sai mai cosa può accadere".
Circa 300kg il bottino della Gladiatore I, diverse le casse che termineranno sulle tavole del ristorante di Carmine. "Ho fatto la loro stessa vita per tanti anni, una vita piena di fascino e difficoltà ma che ti regala grandi soddisfazioni", prosegue ancora Carmine sulla via che a poche centinaia di metri ci conduce verso il Mercato Ittico comunale.Una costante alternaza di furgoni e motoapi che montano interi bancali di pesce dalle motonavi e scaricano all'esterno del mercato. Sono le tre del mattino: qui, tra circa mezz'ora, avrà inizio l'asta del pesce. A noi di Picchio News non è stato consentito l'accesso con le telecamere all'interno della struttura: "E' un ambiente molto particolare e talvolta ostile", spiegano tanti pescatori e ristoratori pronti a partecipare all'acquisto dai banchi del mercato. Bisogna avere le spalle larghe per stare qui. E questa è la notte di Carmine. Questa è la sua storia:
Fernando Maurizi ha 84 anni e dagli anni ’40 produce carbone nella zona di Cessapalombo. La professione del carbonaio sta per scomparire quasi del tutto.
Cessapalombo era un comune famoso per la produzione di carbone, una tradizione che si tramandava da padre in figlio da generazioni.
“A Cessapalombo prima erano tutti carbonai, c’erano poche persone che facevano altri mestieri” ci racconta. “Poi poco a poco i vecchi muoiono ed i giovani non imparano il lavoro. Prima eravamo in trenta o in quaranta a fare questo mestiere, ora siamo rimasti in due e un altro che sta imparando”.
Fernando ha iniziato all’età di 8 anni aiutando suo padre quando tornava da scuola.
“Al mattino portavo le pecore al pascolo, poi andavo a scuola e al ritorno riprendevo le pecore dalla cima della montagna e quando avevo finito andavo da mio padre sulla macchia ad aiutarlo come c'era bisogno. A volte era necessario rimanere tutta la notte vicino la carbonaia e a 15 anni ho dormito sulla macchia la prima volta”
La produzione del carbone richiede dai 7 ai 10 giorni. Si parte dalla macchia, uno spiazzo in mezzo al bosco dove gli alberi sono stati tagliati in modo uniforme e si taglia il legno in pezzi non più lunghi di 80 cm. Oggi il legno viene trasportato con trattori ed altri mezzi, mentre in passato la lavorazione avveniva tutta in loco perché un pezzo di carbone pesa 5 volte di meno rispetto a quando era legno, quindi era più facile da trasportare in sacchi a dorso di mulo.
Il legno viene ammassato in una struttura chiamata “castello” che servirà come supporto per gli altri pezzi di legno. Una volta sistemato si dispongono delle pietre alla base e con delle frasche sempreverdi (oggi si usa la paglia perché facilmente reperibile) si ricopre la struttura di legno, che viene poi ricoperta di terra. La carbonaia così diventa “la ‘ncotta”.
La legna si accende mettendo dei tizzoni ardenti nel camino (o “vuscia”) della ‘ncotta. Ad intervalli regolari la ‘ncotta si rimbocca, aggiungendo altri tizzoni per evitare si spenga.
La produzione del carbone è un processo che richiede un ambiente anaerobico, ma per gestire la combustione del legno ed evitare che si spenga vengono fatti dei fori detti “tarulitti” da dove esce il fumo, che se è di color turchino significa che la cottura è finita ed il carbone è pronto.
Fernando ha una figlia, Paola, che lo aiuta a fare il carbone. “Lui è un artista nel suo mestiere. Sa esattamente come mettere la legna senza farla cadere, dove e quando fare i fori per non far spegnere o bruciare il legno. Sa riconoscere quando il carbone è pronto dall’odore del fumo”.
Paola poi ci racconta come i clienti arrivino da tutte le Marche per comprare i sacchi del suo carbone. “Abbiamo molti clienti privati, ma anche ristoratori che arrivano e comprano i sacchi come ne hanno bisogno. Alcuni lo rivendono, altre volte ne vendiamo molto quando ci sono delle feste. Vengono anche da Ancona per comprare il carbone da noi”.
“Tanti giovani non apprezzano questo mestiere perché comporta molti sacrifici” ci dice Paola. In questo lavoro non ci sono giorni di festa o vacanze, il carbone ha bisogno di costanti attenzioni”.
“Fare il carbonaio non è un mestiere, è un’arte” - conclude Fernando - . Un’arte che rischia di scomparire dimenticata nel tempo.
(Foto di Lucia Montecchiari)
La vita di tutti i paesi è ed è stata scandita dal rintocco delle campane che segna il tempo dell’intera comunità. Le campane chiamano i fedeli alla messa, annunciano le ricorrenze gioiose suonando “a festa”, sono la voce del sentimento di tristezza della popolazione nei momenti di dolore.
La storia del gruppo De Santis Corinaldi è legata a questa “voce” della tradizione, a cui giovani e meno giovani sono particolarmente legati, perchè il rintocco delle campane diviene identità comune della cittadinanza intera. Una volta esisteva la figura del campanaro, incaricato a suonare le campane e addetto alla cura e alla carica manuale degli antichi orologi delle chiese.
Negli anni ‘60 c’ è stato il boom dell’automazione delle campane, ed è proprio in questo periodo, nel 1969 che nasce a Fermo la ditta Adriano de Santis, incrociandosi con il lavoro della 'Premiata Fonderia Pontificia Giuseppe Pasqualini e figli' anch'essa di Fermo.
Da oltre 50 anni la ditta si occupa di fornitura e installazione di impianti campanari e orologi da torre.
“Le campane sono sempre quelle di un tempo”, spiega Sauro Corinaldi, “la maggior parte delle campane è del ‘700 o dell’800, qualcuna più nuova anche del 900 però i sistemi per farle suonare sono dei dispositivi elettronici che vanno controllati come va controllata la meccanica delle campane. Una campana che oscilla a 30 mt di altezza significa quintali e quintali che oscillano: la manutenzione, il controllo di bulloni e battaglio è imprescindibile. Ed è proprio questo il lavoro della De Santis Corinaldi snc, che monta centinaia di impianti di automazione campane e orologi da torre in tutta Italia (e anche all'estero), producendo nelle sue officine motori, elettrobattenti, battagli, ceppi, incastellature, quadri elettrici e orologi programmatori.
Il lavoro richiede molta attenzione per il rispetto delle tradizioni che riguardano il tipo di suono: ogni paese ha il suo suono, il campanile ha i suoi rintocchi. Le persone , soprattutto quelle più anziane, sono nate con quel suono e vogliono mantenere proprio quel suono, che rievoca il ritmo di un paese intero”.
Adriano De Santis, il fondatore del gruppo, assemblava personalmente i vecchi programmatori 'a piroli' in base alle esigenze di ogni singolo cliente.
Oggi è stato sostituito il quarzo con i moderni orologi programmatori elettronici, muniti di correzione satellitare dell'ora. Con i programmatori della De Santis Corinaldi, oggi è possibile suonare le campane con una semplice telefonata o programmarle con uno smart phone, tablet o pc.
Una vera particolarità ideata e creata dall’ abilità e dalla maestria di Sauro Rossi Corinaldi e da Riccardo Serrani è l’orologio “Carosello dell’ultimo sole” di Cingoli, dedicata al momento dell’ultimo raggio di sole della giornata, che per convenzione è quaranta minuti prima del tramonto, variabile nel corso delle stagioni.
Ogni giorno all’ultimo sole l’orologio si anima, come per magia, sulle note de "il pescatore" di Fabrizio de André e compare in scena l’assassino che si avvicina al Pescatore, come nel testo della canzone.
Una meravigliosa opera d’arte che rende ancora più prezioso il “Balcone delle Marche”.
(Galleria fotografica curata da Lucia Montecchiari)
Almeno 30.000 gli organetti nel mondo con il marchio della famiglia Castagnari.
“Il musicista è una persona speciale è una persona con una sensibilità sua, vive con lo strumento tutti i giorni in mano, è uno di famiglia se non di più". È con questa attenzione e cura per l’anima delle persone che la famiglia Castagnari, dal 1914, è entrata nella storia di migliaia di musicisti, che nel laboratorio bottega di Recanati hanno trovato e trovano oltre che strumenti di altissima qualità, un’ aria di semplice familiarità che trasforma il rapporto di lavoro in un rapporto di amicizia durevole nel tempo.
La ditta Castagnari deve le sue origini a Giacomo che, divenuto “padrone di bottega” sin da giovanissimo, ha avviato la produzione di organetti con sua moglie Ida. Insieme hanno trasmesso la loro passione ai figli Mario e Bruno, che a loro volta l’hanno tramandata alle generazioni odierne.
Verso la fine degli anni '70 la ditta partecipa attivamente al ritorno in auge dell’organetto diatonico, dopo un periodo di oblio dovuto all’avvento della fisarmonica cromatica. Ripartendo dallo stato evolutivo in cui l’organetto si era fermato, i Castagnari hanno riavviato lo sviluppo di questo strumento esplorando nuove soluzioni in sinergia con i desideri dei musicisti e trovando il giusto equilibrio tra i ritmi lavorativi e quelli affettivi.
Gli strumenti vengono prodotti a mano, con metodi artigianali ricercatissimi ed accurati, sin dalla ricerca di materiale.
“Il legno è fondamentale per questo strumento” - ci spiega Massimo Castagnari, uno degli attuali titolari della ditta-“utilizziamo il legno da frutto: i pregiatissimi ciliegio e noce, l’acero.
Ciliegio americano e noce americana, nascono anche in Italia, ma noi li prendiamo in una segheria di Dakota, perchè lì fanno ancora il lavoro di taglio avviene in montagna o in collina ed il trasporto avviene via fiume: ciò è molto importante perchè i tronchi in acqua ricevono un lavaggio delle resine delle linfe dei tannini e lasciano microcanalizzazioni che conferiscono al legno un’ acustica superiore”.
Anche la lavorazione di questi strumenti è molto ricercata: “nostro padre ci ha insegnato che il legno è un materiale vivente e che come un materiale vivente reagisce. Con un lavoro troppo aggressivo, la struttura nervosa del legno ha una contrazione , perde una parte del suono. Il legno sa essere generoso e darti un suono se tu lo tratti bene; come un essere vivente che se tu lo accogli con un sorriso ti risponde con un altro sorriso e sarà gentile con te". Per questo, spiega il signor Massimo, “abbiamo messo a punto dei sistemi lavorazione soft. Per farvi capire, lavorando con la piallatrice, per togliere 1 mm legno, utilizziamo 4 passaggi”.
Il modello di organetto più semplice prodotto dalla famiglia Castagnari è composto da1756 pezzi: un’opera ingegneristica totalmente manuale.
Un piacere per la famiglia che ama profondamente questo lavoro, se pur è certamente un grande onere mantenere gli standard qualitativi cui la clientela è da sempre abituata.
“Il lavoro per noi è un piacere. La maggior parte della nostra vita la viviamo nella nostra bottega con umanità e passione”.
Molti sono i giovani stranieri che si sono rivolti alla famiglia Castagnari per imparare mestiere nel loro laboratorio bottega. Con grande entusiasmo Massimo ci racconta che la musica con l’organetto “se musicalmente è di genere folk in realtà oggi è considerata world music, musica del mondo fatta da giovani”. Ciò dà la speranza che questa tradizione musicale continui ad essere apprezzata in Italia e nel mondo sempre più, con l’orgoglio tutto italiano degli strumenti Castagnari che molti dei più grandi musicisti apprezzano e suonano nei loro concerti.
(Foto di Lucia Montecchiari)
“La Ternana”, è un locale storico di Civitanova Marche. Nata nel 1969 da un’idea di Nicola Bruscantini, civitanovese ex giocatore della Ternana calcio, è stata la prima sala da tè diella città e della provincia di Macerata, con un vasto assortimento di tè, infusi e pasticceria di alta qualità.
Sin dalla sua apertura, ha sempre attirato la clientela più ricercata, proveniente non solo da Civitanova, ma anche dai paesi limitrofi. Non solo sala da tè, ma anche cocktail bar con aperitivi esclusivi, oltre che confortevole e rilassante location per incontrare gli amici dopo cena.
Tutto questo è stato possibile anche grazie alla elegante professionalità di Vinicio Vallorani, volto storico della Ternana, sempre pronto ad assecondare con il sorriso le richieste dei suoi clienti, anche di quelli più esigenti. Ha iniziato l’attività di barman da ragazzo, proprio alla Ternana di Civitanova, ed è diventato un professionista di altissimo livello del settore.
Oggi sono ormai 49 gli anni passati dietro lo stesso bancone. Vinicio, che di recente ha anche festeggiato i 70 anni (lo scorso 26 luglio), spiega: "Quando ho iniziato io, il vero barman lo trovavi solo negli hotel. Tra Marche e Abruzzo ne esistevano solo 32”.
Vinicio non si è mai risparmiato sul lavoro. Sin dall’inizio della sua esperienza faceva spesso turni dalle 13 alle 3 del mattino seguente, con molti sacrifici ma sempre con il desiderio di migliorarsi e migliorare la qualità del servizio e dei prodotti offerti. Così ha conquistato la più totale fiducia del titolare, sempre entusiasta, nel corso degli anni, dei risultati ottenuti, tanto da affidargli ben presto il ruolo di responsabile.
Si è appassionato sin da subito alla professione di barman, ha seguito numerosi corsi di formazione e ha perfezionato la sua arte sino a partecipare ogni anno ai concorsi, in cui mettere alla prova il suo talento e la sua arte nella creazione di twist e di ricette cocktail originali.
I drink che ancora oggi prepara con più soddisfazione, oltre alle sue numerose creazioni, tutte inserite nella lista, sono quelli che prediligono i suoi clienti, il Margarita, il Moscov Mule, il Cosmopolitan, e in generale tutti i cocktail sour, miscele di un distillato, succo di lime o limone e un dolcificante che può essere zucchero, sciroppo o un liquore molto dolce.
Oggi Vinicio è diventato il titolare della Ternana, e non nasconde la difficoltà di trovare un giovane che possa affiancarlo assumendo il ruolo di responsabile, come lo è stato lui per tanti anni: “perchè il responsabile”, spiega, “non conclude la sua attivià con le ore 8 ore giornaliere, ma è necessaria la sua disponibilità costante in base alle esigenze dell’azienda, è sempre il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via, e i giovani,” teme Vinicio, “forse non sono più cosi predisposti a questi sacrifici, nonostante i benefit economici previsti per chi assume questo ruolo”.
(Foto di Lucia Montecchiari)
Ci siamo incontrati nella sua bottega artistica ad Appignano, un piccolo borgo tra i centri più apprezzati in Italia per la ceramica, in cui la tradizionale lavorazione risale a prima del 1500.
Sono oltre 3000 gli oggetti artistici riposti con cura sugli scaffali del magazzino di “Ceramiche Bozzi”, che rendono caldo e colorato l’ambiente.
Ad ospitarci è il Sig. Luciano Bozzi, un maestro vasaio del posto molto conosciuto. Mentre inizia a raccontare della sua attività, con uno sguardo nostalgico osserva le sue creazioni che lo circondano; 89 anni il prossimo ottobre, una vita da tornitore, l’ultimo rimasto nella zona che presto chiuderà i battenti del suo negozio artigianale.
Tutto è iniziato nel 1941 quando grazie ai nonni e ad uno zio, il sig. Luciano ha imparato un mestiere che poi è diventato la passione di una vita: “Si andava a prendere la creta in una cava in campagna qui ad Appignano. Portavamo le zolle con un carretto sino alla bottega. Con l’ accetta si rompevano le zolle, si bagnavano e si lasciavano così per ammorbidirle sino alla mattina dopo, quando le riponevamo su banco di legno e con una verga di ferro le intagliavamo per renderle malleabili. L’argilla veniva riposta poi su di un laminatoio e poi si lavorarva con le mani e si passava al tornio. Quindi si metteva ad asciugare e poi in cottura nel forno a legna".
“All’inizio avevamo un piccolo laboratorio in paese per lavorare l’argilla, poi quando il lavoro è aumentato dopo tanti sacrifici, ci siamo ingranditi. Oggi, piano piano, stiamo vendendo gli ultimi oggetti, poi la bottega chiuderà. I miei figli hanno percorso altre strade, io e mia moglie non siamo più giovani come una volta, l’industrializzazione e la lavorazione in serie hanno dato un duro colpo alle botteghe di ceramiche artigianali della nostra zona".
Lo dice con enorme tristezza, Luciano, che racconta di aver vissuto come uno shock il progressivo calo della vista che non gli ha più consentito di portare avanti la sua passione. E’ ancora viva in lui l’emozione di sempre nel vedere un oggetto che dal nulla si forgia e prende forma tra le sue mani ammorbidite dall’argilla.
“Iniziavo il lavoro la mattina presto e terminavo la sera tardi, anche dopo cena. Non ho frequentato bar, circoli, ero sempre in bottega. Per tutta la vita. Ho incontrato mia moglie mi sono sposato ed anche lei ha iniziato a lavorare con me, con la mia stessa passione”.
Un’ arte antichissima quella della lavorazione dell’argilla, nata in età neolitica dall’esigenza di conservare e contenere i cibi, che poi si è evoluta con l’introduzione del tornio e di altre tecniche di lavorazione e cottura, sino alla creazione di manufatti artistici sempre più raffinati.
Un’arte che chissà, si chiede il signor Luciano, oramai i giovani forse non apprezzano più.
Eppure un servizio di piatti artistici, per quanto fragile e delicato da maneggiare, o un soprammobile unico, perchè forgiato a mano dalla creatività di un artigiano, sono oggetti che ancora oggi catturano anche lo sguardo più inesperto, per la loro stupenda unicità.
(FOTO DI LUCIA MONTECCHIARI)
Maria Giovanna Varagona è un’artigiana tessitrice. Artigianato artistico il suo: ogni opera è unica, ricercata e di grande qualità estetica ed ha anche un inestimabile valore culturale.
Nel 1986 Maria Giovanna ha fondato con una sua collega e amica, Patrizia Ginesi, il laboratorio la Tela di Macerata, oggi Museo della tessitura a rischio chiusura poichè le istituzioni non sembrano interessate ad investire in questo settore, nonostante l’affluenza degli studenti anche dall’estero abbia fatto registrare numeri importanti ogni anno.
La Tela è uno dei pochi laboratori al mondo in grado di produrre trame seguendo tecniche millenarie.
Il laboratorio ha il grande pregio di aver recuperato e mantenuto una tecnica di tessitura antichissima: un particolare tipo di tessitura chiamata “ a liccetti”. L’esistenza in Italia di questo procedimento tessile è documentato ampiamente nei dipinti degli artisti del ‘300-’400 (Giotto, Leonardo, Perugino, Ghirlandaio, Antonio da Fabriano…), ma si è conservato fino ad oggi esclusivamente nel nostro territorio, grazie allo spirito delle donne marchigiane e alla loro passione.
Sviluppatasi nell’Appennino Umbro-Marchigiano, per secoli viene praticata all’interno dei conventi per la produzione di tovagliati la cui iconografia presenta elementi d’ispirazione naturalistica.
Un esempio molto significativo possiamo trovarlo, ai due lati della tovaglia raffigurata nel famosissimo affresco dell’Ultima cena di Leonardo Da Vinci esposta a Santa Maria delle Grazie a Milano.
Maria Giovanna ha assistito ed ha risposto sempre con passione arte ed opere di altissima qualità al cambiamento delle richieste del mercato: dal corredo per la sposa, quindi tovagliato, asciugamani tendaggi, al rivestimento delle copertine, agende quaderni e degli album dei matrimoni, per giungere intorno al 1999 all’alta moda: la collaborazione con aziende come Mila Schön, Valentino, Alberta Ferretti, Chanel, Calvin Klein, Gianni Versace, Bally, Alexander Mc Queen, hanno inserito “la Tela” nel mercato internazionale
Dal 1988 il laboratorio ha promosso progetti formativi per le scuole primarie e secondarie della Regione Marche: una “bottega scuola” la sua, riconosciuta dalla Regione, selezionata per la formazione nel settore artistico artigianale.È così che la tradizione della “tessitura a liccetti” viene tramandata agli allievi della “bottega scuola”:“da noi sono venuti dalla Cina, dal Giappone, dall’America Latina, dalla Svezia per apprendere questa arte. Purtroppo mentre all’estero ci ammirano, l’Italia resta il paese dalle grandi contraddittorietà :“abbiamo bellezze inestimabili che non sappiamo guardare e non sempre riusciamo a valorizzare".
Nel 2007 La Tela ha ricevuto da parte della Regione il riconoscimento “Marche Eccellenza Artigiana” e nel 2012 Patrizia Ginesi e Maria Varagona sono state insignite del titolo di Maestre Artigiane. Nel 2016 la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte ha attribuito loro il riconoscimento MAM – Maestro d’Arte e Mestiere.
(Galleria fotografica curata da Lucia Montecchiari)
Daniele Rango è un calzolaio di Treia, ha 57 anni e da venti fa questo lavoro.
"Anche mio padre e mia madre erano nel settore delle calzature e a me è sempre piaciuto particolarmente lavorare pelle e cuoio. Ho iniziato con piccole riparazioni, poi mi sono messo in proprio esercitando il mestiere come facevano i calzolai di una volta. Ho sempre trovato clienti con il passaparola, non sono neanche sui Social. Sono partito pian piano e ora mi impiega il 110% delle ore" ci dice "avere un'impresa per me significa prima di tutto realizzarsi nella vita e allo stesso tempo considerare il guadagno che ti serve per mantenere una famiglia. Fare la cosa che ti piace guardando anche il lato economico, questo è avere un'impresa per me".
Daniele non ha orari, lavora dalla mattina presto fino alla sera tardi, con la moglie a dargli una mano. Non si possono calcolare i tempi di una riparazione. Per un contrattempo, la procedura può dilatarsi dai 15 minuti sino all'ora di ritardo.
I lavori richiesti sono specialmente riparazioni di scarpe, borse e cinte. Gli strumenti utilizzati sono: la pressa per l'incollaggio, di cui si occupa Daniele; e la fresa per pulire e levigare gomma e cuoio una volta terminata l'opera, di cui si occupa sua moglie.
Come la sarta Edi Cruciani, protagonista di qualche edizione fa di questa rubrica, anche lui ha notato la differenza nei materiali usati per scarpe e borse: ora c'è molta più plastica e gomma rispetto al cuoio e alla pelle di qualche anno fa.
"La parte migliore del mio lavoro è costruire la calzatura dal nulla, e vedere i clienti soddisfatti. Mi sono messo anche a creare le palle da gioco che si utilizzano durante la Disfida del Bracciale, che si tiene tutti gli anni a Treia. Questo è un lavoro che dà parecchia soddisfazione, si impiegano circa 5-6 ore per farne una - spiega Daniele -. Le creo come un extra, perchè questo lavoro è la mia passione: altrimenti non lo farei. Se fai un lavoro che non ti piace non ti svegli tranquillo la mattina. Io ho imparato da autodidatta e penso che non riuscirò a trasmetterlo ad altri perchè ho due figlie femmine, che non ne vogliono sapere, e nessuno viene mai a chiedermi di imparare per continuarlo".
(Foto di Lucia Montecchiari)
Giuseppe è l'ultimo mattonaio artigianale rimasto nelle Marche e si trova a Villa Potenza, frazione del comune di Macerata.
La sua storia è iniziata nell'azienda Smorlesi a Montecassiano, una fornace storica di cui era dipendente e in cui ricopriva la mansione di addetto alla produzione di mattoni. Il responsabile precedente era andato in pensione da ormai 10 anni e nessuno voleva ricoprire quel posto perché considerato un lavoro sporco.
Un giorno l'azienda ha ricevuto un ordine importante, serviva una buona quantità di pezzi speciali che, nel caso in cui il committente fosse stato soddisfatto del lavoro, avrebbe comportato l'acquisto di milioni di pezzi.
Giuseppe curioso, si è buttato. Il primo mattone lo ha sfornato il 1° ottobre del 1998, quando era ancora un dipendente della fornace Smorlesi. All'inizio ha odiato la fatica ma provando e riprovando, e vedendo che qualcosa ne usciva fuori, è diventata una passione.
L'anno successivo ha deciso di dare una svolta alla sua carriera, mettendosi in proprio nel 1999.
"Ho iniziato tutto da solo, non mi potevo appoggiare a nessuno - ci confida Giuseppe -, specialmente nelle Marche, visto che un lavoro di questo tipo era scomparso a causa di alcuni magnati, grandi aziende, che prendevano tutte le commissioni. Nelle altre regioni del centro Italia come il Lazio, l'Umbria e la Toscana questi piccoli artigiani sono sopravvissuti. Mi sono messo in gioco creando un campionario prima di iniziare a guadagnare. Quando ho mostrato i miei campioni a dei potenziali clienti, sarà stata anche la fortuna, ma già c'era tanto lavoro, tutti investivano sul mattone all'inizio degli anni 2000. I miei prodotti sono piaciuti".
"Anche se ho un sito, più di tutti ha funzionato il passaparola, chi è interessato veramente viene qui o chiama - aggiunge -. Quando tu crei una cosa su misura e la gente rimane soddisfatta, torna e fa arrivare anche gli altri. Ad oggi ho una clientela fidelizzata ma anche tanti stranieri che hanno casa nelle Marche" spiega Giuseppe.
"Prima mio nipote era mio dipendente, è stato con me per 15 anni. Abbiamo lavorato bene fino al 2008, anno in cui si è iniziata a sentire la crisi e forse il mio settore ha faticato di più ad andare avanti rispetto ad altri. Con il Covid ne sono successe di tutte e di più, e lui ha fatto una scelta un po' drastica, si è sentito perso e se ne è andato un anno fa. Speravo potesse rilevare l'azienda".
"Se tra qualche anno non trovassi nessuno a cui insegnare l'attività in modo da continuarla dovrò chiudere - ci dice amareggiato -. L'ho creata io e mi dispiacerebbe doverla abbandonare. Dunque prenderei solo un ragazzo che abbia voglia di avere delle responsabilità, non uno che vuole solo essere dipendente, stare sotto di me e non pensare. Essere artigiano significa anche saper gestire un'impresa in proprio: fare le scelte giuste, farsi conoscere, assumersi dei rischi e delle responsabilità e non scoraggiarsi lungo il cammino quando capita di trovarsi soli".
Giuseppe 'sforna' circa 350 mattoni al giorno. L'argilla si frantuma e si mischia con acqua e sabbia per creare l'impasto. Con gli stampi in legno si fanno le forme, classiche o speciali. Poi c'è la fase dell'essiccazione che è la più lunga, d'inverno può durare fino a 20 giorni. Infine la cottura. Può capitare che il prodotto non venga perfetto, se è fatto male si vede solo dopo la cottura e, in quel caso, bisogna ricominciare da capo.
"Questo è un mestiere storico ed eterno, lo facevano anche i romani. Allo stesso tempo il lavoro artigianale è sempre in evoluzione e non si smette mai di imparare" conclude Giuseppe.
(Foto di Lucia Montecchiari)
Questa settimana la nostra rubrica non prende in considerazione un mestiere in particolare ma descrive la situazione commerciale di un paese come Porto Potenza Picena, un piccolo borgo che potrebbe essere il simbolo di quello che succede nel resto del mondo.
La discussione è nata da un post sul gruppo Facebook Potenza Picena e Porto Potenza Speakers' Corner di un cittadino che lamentava:
"[...]Il paese offre sempre meno. Parlo ovviamente di Porto Potenza ma sono certo che Potenza Picena non sia meglio. Ed allora sono andato a ricercare i dati della Camera di Commercio relativi al nostro Comune: un pianto. Dal 2009 ad oggi abbiamo perso il 30% delle imprese agricole, il 37% delle imprese manifatturiere, il 21% delle imprese di costruzione e il 10/11% del commercio che però ha mutato enormemente dai negozi alle case".
Cristina del negozio di fiori Mamanonmama e Anna di Grandinetti Sport hanno le loro botteghe a Porto Potenza da tanti anni e non vedono la situazione tanto tragica: "Di Porto Potenza si dice sempre che sia morta ma non è vero, è un diamante grezzo che va tirato fuori e scoperto. Non c'è stata una moria ma una selezione naturale, quel che c'è è di qualità. Resiste chi mantiene alta la qualità e dà il massimo: i negozi che sono rimasti ci mettono l'anima per essere al passo con i tempi".
"Io, a distanza di 10 anni che ho l'attività qui e 23 che vivo nel Comune, non lo cambierei per nulla al mondo" dice Cristina.
Porto Potenza è cambiata tantissimo negli anni, prima c'erano sopratutto piccole attività familiari. Oggi quelle intorno a Piazza Stazione sono tutte storiche, in quanto si trovano lì da più di 50 anni: le gelaterie Giorgetti e Paoletti, il negozio di elettronica Giampaoli.
Al contempo alcuni esercizi commerciali presenti 50 anni fa non ci sono più. L'evoluzione ha tagliato sotto certi aspetti i lavori e, sopratutto a Potenza, non ci sono più le botteghe della sarta e del falegname. E' mancato il ricambio generazionale, non ci sono più figli che hanno continuato le attività. Per esempio il fornaio: quanti ragazzi hanno voglia di alzarsi alle 2 di mattina e mettersi a fare il pane?
Più recentemente al porto hanno chiuso due librerie, un'erboristeria e Imago, celebre fotografo del posto che ha rinunciato allo studio visto che non si sviluppano più rullini fotografici ma si richiedono servizi di shooting e matrimoni. Allo stesso tempo hanno aperto altre imprese come quella di fiori di Cristina e la Bluma Viaggi.
"C'è stata un evoluzione del commercio a cui non tutti sono stati capaci di andare incontro - spiega Anna -. Non esistono più il parrucchiere e la parrucchiera ma un salone dove si cura il lato estetico a 360°; non esiste il tabaccaio ma Enrico Giorgetti dove puoi fare le fotocopie, mandare i fax, prendere le marche da bollo e prendere le sigarette, chi ha voglia di andare avanti è andato in questa direzione. Giampaoli è partito con il nonno che riparava le macchine da cucire, cambiava le lampadine e ora vendono elettronica e fanno di tutto".
"C'è stato anche un cambio delle aziende che vendono, ora sono multinazionali e devi andare negli showroom a Milano, Roma o Ancona per vedere marchi come Lacoste, Adidas, Nike; una volta avevi la società che produceva, lavorava e vendeva in Italia e veniva il 'viaggiatore', così lo chiamava mio padre, che arrivava in negozio a mostrarti la merce" aggiunge Anna, ripescando nei suoi ricordi.
"Una parte dei miei clienti è fidelizzata e si fa guidare dal mio consiglio, ma l'altra fa richieste specifiche che ha trovato facendo ricerche su Internet. Ci si aspetta che io abbia il pezzo che si trova sul sito ufficiale. E' l'evoluzione e non puoi rimanere indietro. In alcuni casi il cliente è fin troppo preparato. Noi commercianti dobbiamo stare al passo con i tempi, non tutti ci riescono. Il commercio è cambiato negli spostamenti, prima non c'era il centro commerciale e per certi articoli c'è una sofferenza. E poi c'è Internet. Il mio negozio è su tutti i social grazie al supporto dei miei nipoti, abbiamo anche l'e-commerce. Ma il passaparola è sempre la pubblicità più grande e di effetto".
"Se vieni da Grandinetti trovi un grande assortimento di prodotti, grazie a una scoperta costante e continua dei fornitori, cura delle vetrine, la cordialità e il servizio" conclude Anna.
"La clientela è esigente e su Internet vede tutto - dice Cristina -. Gli sposi ti portano ad esempio le foto di Pinterest, non si rendono conto di quanto possa costare un determinato tipo di allestimento. Sta a te fioraio far capire che cosa vuol dire fare quel lavoro. Se il cliente vuole una cosa devi avere la possibilità di dargliela. Il mercato è aperto a tutti e ognuno ha il suo modo di lavorare ma quando mi guardo alle spalle e mi rendo conto che 10 anni fa sono partita da zero, non ero nessuno e non mi conosceva nessuno. Ora invece ho un negozio più grande, una collaboratrice nell'organico, investo nei social e la gente apprezza."
Porto Potenza Picena ha tante possibilità e camminando, di vetrine buie, non se ne vedono molte. Si tratta di un piccolo centro su cui si può continuare a investire, in maniera diversa rispetto agli estremi di Civitanova Marche e Porto Recanati, puntando sull'aspetto più intimo e familiare.
A livello di proposte e iniziative, risponde sempre presente: la città è morta solo se tu vuoi vederla così.
Esattamente come per i mestieri di una volta, dobbiamo ritrovare ciò che ci appartiene.
La "società agricola Staffolani Pierino" è un'azienda familiare di 12 ettari che si trova nelle campagne della frazione di Trodica, a Morrovalle.
I gestori hanno iniziato la loro attività come mezzadri in località Asola, poi si sono trasferiti a Trodica nel '63, sempre come mezzadri, sino a quando nel '71 la proprietaria dei terreni non ha deciso di venderli proprio a loro. Hanno iniziato in quattro: due fratelli con le loro mogli. Tutti di origini marchigiane e contadine.
Uno dei due fratelli è morto nel 2013: "Ho adorato questa esperienza a contatto con la natura, circondata dalla mia famiglia. Fino a poco tempo fa io cucinavo per tutti, ancora oggi capita. Ma sono stanca di lavorare. Sono nata in campagna e voglio morirci, non mi sarebbe piaciuto andare fuori. Siamo sempre stati nella stalla o giù al campo" dice la vedova dell'uomo, Maria.
"Ma qui sono rimasto 'da per me' (da solo ndr), siamo invecchiati e in queste condizioni duriamo poco - ci dice Pierino -: ho iniziato che avevo 5 anni e ora ne ho 80. Ringraziando il signore mi sento ancora discretamente, i compagni miei sono tutti al cimitero, può essere che stasera vai a dormire e domattina non ti alzi. E' un lavoro che se ti piace lo fai, potevo anche scegliere di andare a lavorare per qualcun altro in fabbrica ma ho sempre voluto essere indipendente, se voglio fermarmi a 'discorrere' con te, lo faccio. Un lavoro fisso con sempre gli stessi movimenti automatici avrebbe reso la vita stressante, veder crescere un vitello è tutta un'altra soddisfazione".
"Quello dell'agricoltore è il miglior mestiere, a parer mio il lavoro della campagna è l'unico vero lavoro. Per esempio ho la comunione di un nipote domenica, ma c'è una mucca che sta per partorire, non so se mi lascia libero."
La sveglia è alle 7, si va a dormire a mezzanotte. Si pulisce la stalla per prima cosa, poi nei campi, i cui prodotti vengono successivamente portati al Consorzio Agricolo Sagretto di Corridonia. "Piantiamo di tutto: grano, orzo, mais, radicchio, spinaci, e in più abbiamo l'allevamento di animali: mucche e tori, oche, galline, conigli, gatti, cani" spiega Pierino.
La società agricola conta 21 capi di mucche: la maggior parte sono di razza marchigiana.
Ma le spese sono tante: c'è da pagare l'IMU e le attrezzature costano caro. "Se le aziende sono piccole non ti salvi, devono misurare almeno 50 ettari" dice Pierino.
La sua di azienda, invece, può vantare oltre 300 coppe ottenute quando portavano gli animali alle mostre di Macerata. Ogni volta se ne vincevano 3 o 4: "Non mi ricordo quanti anni sono che ci vado. Siamo molto orgogliosi. La fiera più grande è stata quella di Parigi nell'89, ho portato un toro di nome Aceto e una manza. Sono stato lì 15 giorni, una delle soddisfazioni più grandi della mia vita. Era pieno di tori, belle bestie. L'esperienza è stata eccezionale."
"Ai giovani ricordo che si devono mettere in testa che qualcuno deve anche zappare la terra, non possono fare tutti lo stesso mestiere, tutti giornalisti o muratori. La scuola serve ed è bella, ma arrivato a 20 anni non puoi fare il contadino se non hai le abilità per trattare un animale. I miei nipoti non sono abituati a questo lavoro, bisogna nascerci. Uno di loro ha fatto Agraria ma ora lavora in una fabbrica di scarpe, non ha continuato su questa strada".
"Prima venivamo tutti i giorni qui per aiutare o a giocare - interviene la nipotina Sara -, ora veniamo di meno e soprattutto a prendere il latte. Io farò 14 anni a settembre e ho scelto la scuola per biotecnologie in modo da prendere in mano l'azienda un giorno, ma lavorereri solo nei campi, non con gli animali".
Il "Biocontadino" è un altro tipo di azienda agricola: il proprietario è Vittorio Giacomini, ha 29 anni e fa questo mestiere da otto.
"Ho lavorato per un anno come dipendente e mi piaceva quello che facevo, ho quindi continuato su questa strada mettendomi in proprio e aprendo la partita IVA. Ho fatto agraria ma non sapevo di arrivare fino a questo punto. La particolarità della mia azienda è che i prodotti sono biologici, la qualità che hanno e la passione che ci metto è ciò che li rende speciali. Il mio motto è: coltiviamo il futuro con le tecniche del passato, in passato non veniva usato niente di chimico, poi sono stati scoperti questi prodotti e la maggior parte delle persone li utilizzano".
Vittorio ha un orto di 1.6 ettari a Morrovalle e un frutteto di mezzo ettaro a Corridonia. Coltiva ortaggi e frutta biologici e li vende a negozi a km 0, ai GAS cioè gruppi di acquisto solidale, e a domicilio tramite l'e-commerce al sito www.biocontadino.com.
Coltiva ortaggi di stagione: adesso ci sono zucchine e pomodori, insalata, sedano, prezzemolo, basilico, cetrioli; d'inverno anche cavolfiori, spinaci, bieta, cicoria. Il frutteto è nuovo, due anni fa ha piantato 85 piante da frutto di tutti i tipi: 10 ciliegi, 10 peschi, 10 albicocchi, anche un nocciòlo, un melograno.
Tutto è certificato biologico. Per averlo bisogna possedere un terreno non trattato con prodotti chimici per 3 anni. Superati i 3 anni si sceglie l'ente certificatore che viene a fare i controlli prelevando campioni del prodotto o della terra stessa. Il sapore del biologico è nettamente migliore anche se la forma degli ortaggi è più piccola e crescono più lentamente.
"L'agricoltura è particolare e mutevole, ogni stagione è diversa, tante volte non ho un prodotto perchè nell'orto ancora non c'è, tendo sempre a rispettare le stagioni e quello che mi offre la terra. Ci sono dei problemi che sono all'ordine del giorno: una gelata d'inverno, o troppo caldo d'estate, la mancanza idrica può rovinare il raccolto. Ma anche le soddisfazioni sono tante: vedere il proprio prodotto piantato, fatto crescere e una volta assaggiato, avere un buonissimo sapore"
"Ci sono giovani che si approcciano a questo mestiere ma dopo poco lo abbandono perchè è molto faticoso: le iscrizioni all'istituto agrario sono aumentate ma di contadini effettivi non ce ne sono tanti. Se cerchi qualcuno difficilmente trovi chi sia disposto a fare sacrifici, specialmente nel periodo estivo - afferma Vittorio -. L'agricoltura avrà una brutta svolta nel futuro se continuiamo a usare prodotti chimici perchè vanno ad inquinare troppo, si arriverà a un punto in cui il prodotto piantato avrà sempre più bisogno di prodotti chimici. Bisogna trovare un equilibrio tra quello che serve e quello che non".
(Foto di Lucia Montecchiari)
Edi Cruciani ha 76 anni e da quaranta fa la sarta. All'inizio il suo titolare era il calzolaio in corso Cairoli a Macerata, poi si è messa in proprio come artigiana affittando una stanza sopra la bottega.
"Ho iniziato che avevo 30 anni e 3 figli piccoli, lavoravo in casa ma volevo fare altro. Ho imparato tutto da sola, all'inizio un paio d'ore al giorno poi è venuto da sè, con gli anni impari sempre di più - ci dice Edi -. Mi sono sempre arrangiata, sono riuscita a tirare avanti ma non l'ho tramandato ai miei figli. Lavoro perchè mi piace e sono rimasta sola, mio marito non c'è più, a spasso non ci so andare: c'è sempre bisogno di qualcosa da fare. I miei clienti mi hanno conosciuta quando ero dal calzolaio, oggi vengono anche da Roma per i miei lavori".
Mentre attacca gli strap alle scarpe da ginnastica di un bambino, Edi ci racconta il suo mestiere. La sua giornata inizia alle nove e stacca a mezzogiorno, poi fa dalle quattro alle sette.
Le persone arrivano e portano di tutto: borse, cerniere, manici, jeans, valigie, giubbotti, accorciare, tagliare, stringere! Lasciano il lavoro e vengono richiamate una volta completato.
Nella stanza c'è molto disordine: metro, pinze, martello, forbici, stoffe, filo, macchina da cucire...ma lei trova tutto, nel disordine c'è un ordine.
"Il lato positivo di questo lavoro è che ti dà tanta soddisfazione e questo per me conta più dei soldi, i miei clienti non sono avari di complimenti. Parlando del risvolto negativo, non nego che tanti si dimenticano di venire a riprendere le cose, io le tengo un anno e poi le butto via".
Purtroppo, come gli altri di questa rubrica, è un mestiere che i giovani non vogliono più fare: "Ho cercato di chiamare qualcuno che mi venisse ad aiutare ma non ho trovato nessuno, l'età avanza e quando smetto io qui finisce tutto. Per mandare avanti l'attività basterebbe che qualcuno venisse qui una mezza giornata ad imparare. Ci vuole una guida, se non stai qui almeno un mese non ci riesci".
Ma i suoi sono servizi ancora molto richiesti, c'è molta differenza infatti nella qualità tra i vestiti di un tempo ed oggi: le stoffe di una volta erano vere stoffe, ora è tutto sintetico e si rovina subito.
Ogni lavoro è a sè, ha una sua importanza particolare e porta un certo tipo di esperienza. Se non raccoglieremo presto questo appello smetteremo di avere prodotti originali e di qualità come quelli fatti da un vero artigiano.
(Foto di Lucia Montecchiari)
Marco Caraceni è un pescatore, al momento comandante di vascello impegnato in una cozzara. Ha cominciato il suo lavoro a 17 anni, quando andava a dare una mano a un amico di famiglia.
All'inizio scaricava solo le cassette di pesce al porto, poi i "veterani" lo hanno fatto salire a bordo e gli hanno insegnato tutto quello che c'era da sapere a livello marittimo, crescendolo in ogni aspetto.
A 24 anni è andato a fare la stagione della pesca in Albania, percorrendo il vicino arcipelago e scendendo verso il Montenegro e la Grecia. In barca ha imparato a fare tutto da solo, anche cucinare. Infatti è un grande cuoco, ama la cucina marinara tradizionale ma non disdegna un prelibato gourmet in occasioni particolari.
Una notte fu decisiva per la sua formazione. La sua barca fu colta da una tempesta, con onde alte fino a tre metri. L'equipaggio di cui faceva parte ha rischiato di morire, ma nonostante tutto il giorno dopo il Capitano accolse tutti dicendo "chi non se la sente ha il biglietto pagato per tornare a casa".
"Nessuno di noi si è mosso, compatti e uniti siamo tornati in mare" ricorda Marco.
A Civitanova Marche i pescatori che più hanno viaggiato sono quelli anziani, che sulle spalle hanno anche pesche transatlantiche. Li si vede sempre nei paraggi del porto a passare la vecchiaia. Come dicono sempre loro: "na orta che te boca lo maro nelle vene, non esce più (una volta che il mare ti entra nelle vene, non se ne esce più ndr)".
"Il lavoro è parecchio ma quando torni hai un senso di soddisfazione che altri lavori non danno - ci spiega Marco -. Non è un lavoro per tutti, è umile ma molto gratificante e comporta sacrifici. Un tempo con un mese di fatica come marinaio ci pagavi un appartamento, oggi gli stipendi si sono abbassati e quel che guadagno così so che posso farlo anche in ufficio o in un ristorante. Se continuo lo faccio per amore. Il mare ti dà un senso di appartenenza ma anche disadattamento, che non ti fa riuscire a stare troppo tempo a terra. Il mare è libertà e non vedi l'ora di raggiungerlo."
Il lavoro del pescatore si articola in maniere diverse: "Gli scafi partono alle 00.00 di domenica, dopo 24 ore tornano per scaricare il pescato, per tre/quattro giorni consecutivi; le vongolare escono alle 5 e tornano vero le 9; le cozzare escono alle 4-5 e si torna verso le 11 o le 12; i battelli sono barche attrezzate per la pesca costiera e non vanno a largo, massimo 6 miglia dalla costa. Per precisare: un miglio è metà di un km, dunque 6 miglia sono 12 km" ci spiega Marco.
"La costa è come un'autostrada, il mare è diviso in fasce d in ognuna di queste fasce si trovano determinati tipi di pesce - aggiunge -. Nella nostra zona si trova di tutto: gli scampi sono a 30 miglia; le seppie dipende dalla stagione, di solito verso le 10 miglia; le pannocchie dalle 4 alle 6 miglia; i merluzzi piccoli 6 miglia, verso i 20 trovi quelli più grossi e i polipi".
Ma il mare non è solo libertà, ci sono degli imprevisti. Uno abbastanza frequente è quello di passare sopra un corpo morto, cioè un relitto non segnato sul radar, sia con il mare mosso che con quello calmo: puoi strappare le reti, e rompere le porte di acciaio che sono i pesi per far star ferma la rete. I danni possono ammontare sino a 10 mila euro.
Ma i momenti più pericolosi sono quando il mare è mosso, arriva a due metri d'onda e devi uscire comunque, si prendono scossoni ovunque e se non stai attento puoi farti veramente male: "Io sono cascato in mare una volta ma mi hanno ripreso subito dal colletto di forza, fortunatamente" ricorda Marco.
"Quando gli scafi tornano scaricano il pesce in pescheria, qui si svolge la maggior parte della vendita. Lì arrivano privati (solo quelli con la partita iva), ristoratori, venditori ambulanti per l'asta ittica, dove il migliore acquirente offre un prezzo e si aggiudica il pezzo; per le vongolare invece c'è un prezzo fisso, circa 4-5 euro al kg; per la cozzara devi avere l'impianto cioè un allevamento, in base agli ordini ricevuti si tirano su tot quintali di ostriche o cozze e si vendono a tutti" ci spiega ancora Marco.
Ad ogni capitaneria piace vantarsi di essere la migliore, infatti i marinai hanno un ego smisurato. C'è competizione tra la capitaneria di Civitanova Marchre e quella di San Benedetto del Tronto e Ancona, anche se non dovrebbe dato che sono gemellate. Ma quando c'è da dare una mano ci sono sempre, tra pescherecci ci si aiuta quando c'è ne uno in difficoltà o con qualche malfunzionamento: "Qualche anno fa mi è capitato alle sette di sera, con la tempesta, di vedere un barchetto a cui si era rotta la frizione e non poteva andare né avanti né indietro, gli abbiamo lanciato le cime e lo abbiamo trainato al porto. Siamo talmente pochi che non c'è competizione fra di noi, ma soltanto rispetto. Si crea una strana sinergia."
Purtroppo è un mestiere che, come gli altri di questa rubrica, ha difficoltà a sopravvivere.
Prima di tutto, l'Unione Europea sta cercando di importare il pesce dall'estero anche nei paesi di pesca, senza specificare origine, qualità, nè tempo: "Ho letto che verso Settembre dovrebbe entrare in vigore questa legge dell'UE che ci dice quali cozze pescare, quali vongole, quale pesce: a Bruxelles che non hanno nè mare nè pesce! Hanno messo anche una legge che limita i giorni di pesca a seconda della metratura e del peso della barca: uno scafo di 28 metri spende 1200 euro di nafta, contando che resta in mare 3 giorni spende sui 3600 euro di nafta; se sta in mare un giorno e mezzo non solo non guadagna il peschereccio ma neanche chi vende la nafta; il ristorante che avrà la metà del pesce, lo metterà al doppio e se prima le persone si potevano permettere di andare 3 volte a cena fuori ce ne andranno una sola. E' una catena che si blocca".
Inoltre quello del pescatore è un mestiere che non viene tramandato. Al momento in tutti i circa 30 scafi che sono al porto di Civitanova Marche ci sono in totale 5 ragazzi italiani sotto i 30 anni che stanno continuando questo mestiere; 8 scafi cercano giovani collaboratori e non li trovano.
"E' un mestiere di cui si ricordano gli adulti e gli anziani, non viene tramandato ai giovani. Il mare porta una mole di lavoro che mette alla prova ma il mangiare a casa alla fine lo porti sempre. E' un mestiere di tutto rispetto ma loro non amano stare fuori, preferiscono altro - afferma Marco -. Andando avanti così nei prossimi 5 anni, quando chi lavora ora si sarà stufato, al ristorante si mangerà pesce importato non si sà da quale Paese. Non si pensa che se il pesce è buono è perchè è fresco e viene da qui vicino.".
"Tendiamo ad evitare tutto ciò che è più vecchio e faticoso, anche nella scelta dei lavori, ci sembra noioso.Ma le nostre radici sono importanti, i mestieri che facevano i nostri nonni portavano in tavola i cibi più succulenti e di prima necessità" conclude Marco.
Come al solito l'invito di riscoprire questo mondo a contatto con la natura, che è il più umile ma quello che regala i migliori frutti, va ai giovani!
(Foto di Lucia Montecchiari)
Inauguriamo oggi la nuova rubrica di Picchio News intitolata "I mestieri di una volta", in cui presenteremo quei lavori fondamentali che purtroppo, nella società contemporanea, stanno perdendo valore e riconoscimento. L'appuntamento cade una volta a settimana, il sabato.
In questo puntata inaugurale parleremo della figura dell'artigiano, attraverso i racconti di un protagonista d'eccezione come Giorgio Cacchiarelli, falegname e restauratore di mobili.
Quando lo andiamo a trovare nella sua bottega a Corridonia sta lavorando a due enormi zanzariere per una casa in campagna: "Questa falegnameria è sempre stata qui, prima era della famiglia Marcelletti, una famiglia importante che aveva negozi e ditte e per cui lavorarono tutti gli artigiani della zona, poi la comprò mio padre. Mi son congedato dal servizio militare nell'arma dei carabinieri il 27 luglio del 1978 e subito dopo morì mia madre, dunque in questo lavoro mi ci sono trovato dentro senza potermi guardare attorno, me lo son dovuto far piacere altrimenti avrei fatto un corso di 3 anni per essere programmatore elettronico".
"Dovrei andare in pensione a 65 anni (oggi ne ha 63, ndr), le articolazioni iniziano a cedere, fare le scale pesa ma finchè ho la forza continuo, non saprei che fare a casa. Nasciamo come restauro mobili ma per sopravvivere mi sono adattato a fare altro. Sopravvivere, non guadagnare. "
Mantenersi con questo lavoro infatti, è sempre più difficile: "Corridonia è un paese piccolo - sottolinea Giorgio -, vado avanti grazie ai clienti abituali e con il passaparola a volte ne arrivano di nuovi, ma l'artigianato sta morendo. Lo Stato non ha interesse nel tutelarci, in più non c'è una scuola che insegni ai giovani come fare. Una volta i genitori mandavano i loro figli in bottega per imparare ma oggi la prima cosa che chiedono è - quanto mi dai? -, cercano un posto fisso quando, così inesperti, sarebbero solo d'intralcio ad un professionista".
"I ragazzi non possono più permettersi di sporcarsi le mani. Io ho due figli ma non li voglio con me, preferisco che cambino mestiere e quando io me ne andrò appenderò fuori un cartello con scritto -l'artigianato è morto!-, venderò la bottega" aggiunge sconsolato Giorgio.
"A rendere ancora più complicata la situazione ci si mettono alcuni pensionati che fanno questi lavoretti senza pagare le tasse - puntualizza -, tirando così giù il prezzo, oltre alle regolamentazioni troppo severe".
"L'unica cosa bella è che faccio come voglio: se non ho da fare chiudo e vado a passeggio!" afferma con un sorriso.
Anche la domanda dei clienti è cambiata: "Sebbene il mercato dell'antiquariato resista, la maggior parte dei mobili antichi sono considerati semplicemente vecchi oggi. I mobili dell'800', che prima andavano a ruba, non si cercano più per l'arredamento, anche perchè gli appartamenti di oggi sono talmente piccoli che se metti un comò non c'è spazio per altro. Le persone preferiscono prendere mobili semplici a poco prezzo come quelli dell'Ikea, a me tirano sempre sul prezzo, vogliono risparmiare."
La bottega è composta da due grotte antiche, la dura roccia rende l'aria fredda: "Se avessi più spazio potrei fare lavori più grossi ma poi non saprei dove metterli. E' un mestiere che se non hai fantasia non puoi farlo ed è necessario anche avere ordine, devi trovare le cose subito. La cosa più pericolosa è lavorare con le macchine, se non stai attento ti porti via le dita, io sono fortunato che le ho ancora tutte! Ma una volta lavorando con il toupie (utensile a motore elettrico, ndr) la mano ha toccato il ferro ed è partito un pezzo di dito, fortunatamente pizzicava e me ne sono accorto subito. Ho provato a medicarlo da solo ma non smetteva di sanguinare così dopo due giorni sono andato all'ospedale.".
Le sue mani, ruvide e salde, portano i segni di 40 anni di duro lavoro.
Per la redazione di Picchio News a Civitanova Marche ha realizzato un'originale e simpatica sedia - cestino personalizzata che abbiamo apprezzato molto. Giorgio crede nel suo lavoro e si nota, ma lo sta vedendo scomparire. E' con gli occhi lucidi che dice: "Sono comunque molto fiero di essere fra gli ultimi".
Tocca ai cittadini valorizzare la manodopera locale ricercando pezzi di qualità, affinchè queste botteghe possano continuare ad esistere. I giovani invece potrebbero raccogliere la sfida e riscoprire questi lavori: fare quello che sembra un passo indietro è in realtà, al giorno d'oggi, un enorme passo avanti.
(Foto di Lucia Montecchiari)