"Per il nostro team è un nuovo inizio, ma l'obbiettivo è sempre lo stesso: promuovere il turismo nella nostra terra come motore di rinascita e sviluppo per tutti". Con queste parole Giacomo Andreani, founder della start up 'Expirit', ha voluto dare il via al secondo atto di un'avventura iniziata cinque anni fa. È stata ufficialmente inaugurata, infatti, la nuova sede che occuperà gli spazi dell'edificio del Gruppo Andreani, sito in via del Lavoro 139, a Corridonia.
Una vocazione sociale, quella che dal 2017 si è messa in moto per restituire un futuro consapevole e sostenibile a tutte le realtà marchigiane rimaste ferite dal terremoto, e non solo. Un nuovo inizio, con un motto che vale come un invito: "La vita è un viaggio, e chi viaggia vive due volte".
E da allora, Giacomo - insieme al suo dream team, fra cui il co founder Marco Cocciarini, il professore in Economia e Marketing Agroalimentare Alessio Cavicchi, la experiencer designer Elena Santilli, la copywriter Sara Schiarizza e la new entry alla comunicazione Simona Angeletti - ha scelto di lavorare fianco a fianco con enti locali, operatori turistici, piccole realtà artigianali, fornitori di esperienze e strutture ricettive per promuovere l’identità, le tradizioni e le bellezze dei territori italiani.
"Il ringraziamento più caldo va a tutti coloro che hanno reso possibile questo progetto, in primis la mia famigllia - ha esordito Giacomo - e avere da oggi in poi un luogo fisico ufficiale per noi è importante: sopratutto perché sarà condiviso con tutti coloro che vorranno collaborare con noi".
Ripercorrendo le tappe più importanti della storia di 'Expirit' - dalle stanze di casa da cui tutto è partito, fino alla realizzazione di iniziative importanti come il MaMa, l'Homo Faber, l'Experience Deruta e altre ancora - amici e collaboratori (anche di vecchia data) sono intervenuti nel corso dell'inaugurazione per supportare Andreani e la sua giovane squadra in questo nuovo inizio.
In ultima battuta, è stata presentata la nuovissima iniziativa "Un albero per i nostri borghi", che prenderà il via da Monte San Martino: solo per il numero di partecipanti all'inaugurazione verranno infatti subito regalati alla comunità del sindaco Matteo Pompei circa 60 alberi per contrastare il cambiamento climatico.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, gli italiani sono tornati a parlare di democrazia. Un po’ per le decisioni governative fin qui prese – adesione alle sanzioni, all’approvvigionamento di armi e beni di prima necessità, in conformità con la linea dell’Unione Europea – e un po’ per il sacrificio umano che si sta consumando giorno per giorno nel comparto civile ucraino, i diritti umani sono tornati ad essere i protagonisti dell’agenda setting.
Ma come sono cambiate dopo un mese di guerra le reazioni degli italiani? Se a ridosso del 25 febbraio 2022 le emozioni prevalenti circa l’inizio dell’invasione russa erano tristezza (55%) e incertezza (54%), ad oggi si sono fatti spazio nel cuore dei cittadini sentimenti come la rabbia (54%), la paura (50%) e il disgusto (38%), sintomo di un sostanziale rifiuto di quanto sta accadendo nelle zone dell’ex URSS.
I mancati progressi diplomatici hanno portato a un aumento dell’incertezza sul futuro delle mire espansionistiche russe e l’impiego di armi nucleari. Solo il 23% degli intervistati nel sondaggio IPSOS ritiene che il conflitto resterà circoscritto all’Europa Orientale, accompagnato da un 35% di no comment. Il 34% considera poco probabile un’evoluzione nucleare della guerra, mentre il 24% preferisce non esprimersi. Appena il 21% pensa che l’Italia debba opporsi alla Russia, insieme a un 43% che inviterebbe l’Ucraina ad arrendersi.
C'è quindi una maggiore preoccupazione da parte degli italiani sugli sviluppi futuri della crisi ucraina rispetto alle ripercussioni economiche della stessa. I timori legati, per esempio, al caro-bollette e dell’energia si assestano oggi a un 47%, cifra confermata anche da una maggioranza di intervistati favorevole alle sanzioni promosse dall’Ue (1 italiano su 4). A costo di dover sopportare l’aumento graduale dei prezzi e la futura inflazione.
Nel frattempo, aumentano le spese militari. Con il benestare del presidente Mattarella. L’ultimo paradosso “draghiano” si può riassumere così: “corsa agli armamenti per assicurare la pace”. Nelle ultime ore, il premier italiano ha invitato i partiti alla compattezza rispetto alla conversione in legge dell’ultimo Decreto Ucraina. Il premier ha fatto leva sulla necessità di “difendere i valori della democrazia e dell’Europa Unita”; il richiamo all’unità e all’affidabilità è stato promosso soprattutto dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, al fine di onorare gli accordi Nato sottoscritti nel 2014. Il che significa, per il nostro Paese, aumentare le spesa militari e della Difesa per raggiungere la percentuale del 2% del Pil entro il 2024.
Se il voto di fiducia del Senato atteso entro questa settimana avrà successo – senza spaccature interne ai partiti e voltagabbana dell’ultimo minuto – il Governo darà il via libera all’invio di aiuti umanitari economici e militari all’Ucraina. Confermando così quelle che saranno le future revisioni in materia di Pnnr e sue priorità, poiché definitivamente influenzato dai mutamenti del quadro geopolitico europeo.
Una grande festa dello sport quella celebrata oggi dalla comunità di Montelupone. Alla presenza del sindaco Rolando Pecora, del presidente di Sport e Salute S.p.a. Vito Cozzoli e dei campioni olimpici Valentina Vezzali (Sottosegretario allo Sport) e Juri Chechi (testimonial dell’iniziativa) è stata inaugurata ufficialmente la prima isola sportiva d’Italia, presso il parco Eleuteri.
Realizzata grazie al finanziamento ottenuto nell’ambito del progetto ‘Sport nei parchi’, ideato da Sport e Salute S.p.a. in collaborazione con Anci, la palestra a cielo aperto mette a disposizione di tutti – bambini e adulti – attrezzature all’avanguardia per la ginnastica a corpo libero, compresi alcuni schermi touch screen per il monitoraggio dell’attività fisica. Per ciascuna installazione è presente un QR Code dal quale si potrà accedere ai video tutorial per la corretta esecuzione degli esercizi, illustrati per l'occasione dallo stesso Juri Chechi e dalla campionessa Angelica Savrayuk.
“Lo sport, oltre ad essere già un valore, deve diventare un diritto gratuito e accessibile a tutti – ha dichiarato l’ex Signore degli Anelli italiano – Il progetto ‘Sport nei parchi’ rappresenta in questo senso una preziosa opportunità anche per le associazioni sportive del territorio che potranno sfruttare, insieme alle strutture coperte, anche una palestra all’aperto come questa”.
“La nostra comunità è forte delle proprie radici – ha affermato il sindaco Pecora - associazioni come Avis hanno risposto alla chiamata e insieme abbiamo potuto intercettare il bando, piazzandoci ai primi posti fra i comuni italiani per la realizzazione dell'isola sportiva”.
“L’idea è nata durante la pandemia – ha spiegato il presidente Cozzoli. L’amministrazione di Sport e salute S.p.a. ha creduto nel progetto e grazie al sostegno dell’Anci sono stati stanziati 6mln di euro provenienti dal Decreto Sostegni-Bis. Oggi abbiamo 479 installazioni pronte a partire in tutta Italia: Montelupone è la prima in assoluto su 1681 Comuni aderenti all’iniziativa. L’obbiettivo è continuare a promuovere lo sport e un corretto stile di vita, anche nelle scuole e nei quartieri disagiati di tutto il Paese”.
“C’è ancora tanto lavoro da fare – ha sottolineato Valentina Vezzali – soprattutto perché noi italiani siamo nella top ten del medagliere olimpico, ma allo stesso tempo ultimi per numero di praticanti sportivi. Grazie ai fondi che arriveranno dal Pnrr, destineremo 700mln di euro a favore dell’impiantistica e 300mln per le palestre scolastiche. Abbiamo progetti importanti da realizzare insieme a Sport e salute S.p.a. e il Ministro all’Istruzione Patrizio Bianchi”.
“Siamo di fronte a uno scenario fragile e molto incerto”, sono le parole del direttore di Confindustria Macerata Gianni Niccolò, espresse durante la conferenza stampa tenutasi presso la Sala Assemblee in via Weiden 95. Insieme a lui, sono intervenuti anche il Presidente Sezione Accessoristi Alessio Castricini, il Pres. Sezione Calzature Matteo Piervincenzi, il Pres. Sezione Tessile Michele Paoloni e il Pres. Sezione Pellettieri Sergio Sciamanna.
Dopo l’emergenza Covid 19 – che ha costretto allo stop produzione ed esportazioni – il settore manifatturiero marchigiano affronta anche le prime conseguenze della crisi russo-ucraina. L’aumento dei costi energetici, insieme alla difficoltà di reperimento delle materie prime e il caro carburanti, hanno infatti costretto molte aziende - fuori e dentro il Maceratese - a rivedere il futuro dell’intero comparto dell’abbigliamento.
L’export verso la Russia valeva, fino a ieri, 380mln di euro, legati a una serie di accordi commerciali che i grandi investitori dell’Est Europa già nel mese di gennaio avevano deciso di ‘congelare’ a tempo indeterminato. Risultato: calzaturieri, pellettieri e altri imprenditori del vestiario si sono trovati in difficoltà a smaltire la merce e, di conseguenza, con i bilanci in default. In questo scenario, nemmeno il Pnrr – che sarà revisionato nei prossimi mesi – rappresenta una soluzione certa, dato che i tempi tecnici per accedere ai fondi non vedranno la luce prima di gennaio 2023.
Quali sono oggi le soluzioni nel breve e lungo termine per evitare il collasso totale e rilanciare il comparto della moda?
“Servono strumenti emergenziali – risponde il direttore Niccolò – come la deroga della cassa integrazione, i ristori e sostegni alle aziende, estendere la decontribuzione Sud. Inoltre, stiamo già confrontandoci con la Regione per abbattere o diversificare la nostra dipendenza energetica. Se non interveniamo adesso, questa sorta di convergenza astrale di fattori negativi peserà nel futuro, sia sulle aziende sia sui consumatori”.
“Dobbiamo considerare anche il progressivo aumento dell’inflazione – aggiunge Castricini – che porterà i consumatori risparmiare sempre di più sugli acquisti. E il settore dell’abbigliamento ne pagherà le conseguenze più di tutti”
“La digitalizzazione ad oggi è la soluzione più concreta – dichiara Sciamanna – In questa maniera le imprese possono tornare ad essere competitive anche sul mercato estero. Ma occorrono tempo e, soprattutto, finanziamenti da parte dei vertici nazionali”.
“Le fiere Mipel e Micam di febbraio a Milano sembravano segnare finalmente una ripartenza – ha commentato Piervincenzi – visto anche il buon rapporto che le Marche hanno con i mercati russo e ucraino: l’export per il calzaturiero da solo vale circa 217mln di euro. Oggi per restare in piedi proviamo a puntare sul progetto Welcome Valley, rivolta ai settori della moda e dell’agroalimentare”.
Di seguito, il servizio:
Il 2022 sembrava l’anno d’oro della transizione ecologica in Italia: sviluppo della mobilità sostenibile, delle aree marine protette e interventi diretti per un minore e migliore sfruttamento delle risorse energetiche estratte dal suolo. Ma la guerra ha fermato tutto. E adesso Legambiente Marche pensa a soluzioni alternative anche per Macerata.
Solo nel primo trimestre – anche in virtù della crisi ucraina - si è registrato un aumento del 131% sulle bollette della luce e del 94% su quelle del gas. Per correre ai ripari rispetto alla dipendenza energetica dalla Russia, il presidente del Consiglio Draghi ha dato il via libera per far ripartire trivelle e impianti a carbone. Che però, insieme, riuscirebbero a coprire a malapena l’8% del fabbisogno nazionale.
Secondo Wwf, Greenpeace e Legambiente, l'attuale sconvolgimento geopolitco potrebbe fornire un nuovo slancio agli obbiettivi 'green' prefissati per il 2025. Ma occorre considerare la futura revisione del Pnrr. "Bisogna intervenire sul piano locale” - afferma il gruppo Legambiente Marche attraverso le parole del suo presidente Marco Ciarulli, che già nelle ultime settimane si è detta contraria alla riattivazione delle trivelle nell’Adriatico – corrispondenti a circa 1300 giacimenti attivi, di questi appena 500 utilizzati con continuità. Direttamente dal mare arriva il 54,6% del gas autoprodotto, interessando le coste di Veneto, Emilia Romagna e Marche.
È ancora possibile pensare a una transizione ecologica in breve tempo? Abbiamo presentato negli ultimi giorni con un comunicato congiunto (Legambiente, Wwf e Greenpeace) quelle che sono le nostre proposte per riuscire a produrre energia rinnovabile al 100% entro il 2036. La transizione non sarà immediata, ma è necessaria per uscire dal ricatto del gas fossile.
E sono proposte concrete? Valgono a livello nazionale. Per ogni regione poi bisognerà indagare sulle caratteristiche territoriali. Gli interventi vanno contestualizzati. Da sempre ci battiamo per le energie rinnovabili e la riduzione dei consumi.
Qual è la situazione nelle Marche? Qui abbiamo il fotovoltaico a terra, e copre un quinto del nostro fabbisogno energetico. Ma se non lo avessimo, dipenderemmo completamente dai combustibili fossili.
Una soluzione quindi sarebbe incrementare questo esercizio? Dobbiamo massimizzare gli impianti a terra, ma senza esagerare. E poi ne vanno contestualizzati di nuovi in prossimità dei centri abitati, dove ci sono scuole, edifici pubblici. Inoltre, occorre impegnare le comunità energetiche e puntare anche sull’eolico.
Quali sono le difficoltà di attuazione? Ad oggi sono sempre state legate alla strumentalizzazione politica del tema e all’eccessiva burocrazia. Basti pensare che il primo impianto offshore è nato in Puglia dopo un iter autorizzativo di 14 anni.
Sul piano provinciale invece avete individuato possibilità concrete? Certo, per esempio a Macerata e in altre province potrebbe essere sfruttato il biometano. Ma dal 2018 – anno in cui il decreto ministeriale ne incentivò l’utilizzo – nelle Marche siamo rimasti a zero impianti di biometano. Nonostante potremmo produrne tanto, visto il numero delle nostre imprese agricole sul territorio.
Come mai? La politica malvagia costruita intorno, sulla linea delle cosiddette sindromi Nimby e Nimto. Si promuove una narrazione completamente sbagliata, visto che il biometano riduce sensibilmente anche l’impatto ambientale. Della serie “va bene tutto, ma non durante il mio mandato elettorale”.
Con la crisi energetica in atto, si vogliono riattivare anche le trivelle in mare. Voi continuate ad opporvi? Assolutamente sì. Non solo hanno un grave impatto sull’ambiente, ma richiedono un investimento oneroso. Che tra l’altro ci darebbe modo di autoprodurre una percentuale di energia irrisoria e per poco tempo per sostenere l’economia.
Perché il Paese è così in ritardo sulle rinnovabili? Si è sempre ricercata la soluzione più confortevole, che però ci ha portato alla situazione di dipendenza attuale. E dire che con compostaggio e biostabilizzazione copriremmo quasi ad occhi chiusi il 10% del fabbisogno nazionale di gas. Occorre lo sforzo di sbloccare gli iter autorizzativi e velocizzare il sistema.
Nel frattempo, anche gli investimenti nella transizione ecologica con i fondi del Pnrr rischiano di bloccarsi. Questo dipenderà dalle scelte politiche che verranno messe in campo. Noi con le nostre dieci proposte presentate al governo vogliamo dettare una road map per approdare alle rinnovabili il prima possibile. Diversamente, potremo anche arrivarci un giorno. Ma con tempi sicuramente più lunghi e con conseguenze pesanti per l’uomo e l’ambiente.
Crollo della produzione industriale e consumi condizionati dall’aumento dei prezzi. In Italia, una famiglia mediamente spende 33mila euro l'anno. Di questi, oggi, 1220 se ne vanno per gli aumenti di luce e gas (valori evidenziati già prima della fine del 2021), 320 per il rialzo dei carburanti e circa 300 per la spesa alimentare.
L’inflazione che si prospetta quest’anno – in costante aggiornamento con gli sviluppi della guerra in Ucraina – potrebbe toccare il 7,2% e costringere gli italiani, come del resto sta già accadendo, a spendere meno nell’immediato futuro. Basti pensare che solo nel mese di febbraio la spesa per gli alimenti ha segnato un dato negativo pari al 6%. Risultato: le famiglie rischiano di spendere 2mila euro in più rispetto al 2021.
Le stime di Confcommercio, poi, ipotizzano un incremento del Pil nazionale per il 2022 che non andrà oltre il 3%. Meno di quanto auspicato il 12 febbraio scorso dall’attuale Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco. Dato confermato il 14 marzo – durante la riunione dei ministri delle Finanze della Ue - dal commissario all’Economia Paolo Gentiloni che ha definito “irrealistica” la possibilità di raggiungere il sospirato 4%.
Tutto questo vale naturalmente in previsione di un conflitto bellico a lungo termine, che avrebbe ripercussioni anche sul 'carovita' del 2023. Nel caso di una guerra breve, invece, il tasso arriverebbe al 6% per il 2022 per poi scendere al 5,5% l’anno successivo. Una lieve variazione delle proiezioni.
Ma non sono solo rincaro dell’energia, delle materie prime e dei carburanti a pesare sullo scenario presente (e futuro) di famiglie e imprese italiane. Ci sono anche le spese di guerra, inevitabili per mantenere salda l’alleanza fra gli Stati membri dell’Ue.
L’Italia, ad oggi, si attesta al 5° posto nella classifica europea e all’11° in quella mondiale. Con l'intervento nella crisi ucraina, si passa dagli attuali 25mld di euro annui (68mln al giorno) ai 38mld prospettati per tutto il 2022 (104mln al giorno). Per rendere meglio l’idea, i dati SIPRI di Stoccolma hanno evidenziato come oggi l’Ue spenda per la guerra in totale ben 233mld: più del triplo rispetto alla Russia (67mld dichiarati dal 2020).
Detto altrimenti – in virtù anche del ‘Decreto Ucraina’ approvato il 18 marzo dal Consiglio dei ministri e accolto con larghissima maggioranza dalla Camera dei deputati – l’Italia destinerà fino al 2% del proprio Pil alle spese militari.
Riassumendo: ‘strozzature e ricerca di mercati alternativi’ per liberarsi dalla dipendenza energetica legata alla Russia, aumento dell’inflazione, crisi dell’import e dell’export, calo progressivo della domanda interna. Il costo della guerra avrà nel lungo termine per l’Italia effetti sempre più tangibili, e che per forza di cose porteranno a una revisione degli obbiettivi prefissati del Pnrr.
Le cifre destinate a talune 'missioni' del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (circa 222 mld di euro) saranno convogliate per permettere alla produzione nostrana di sopravvivere, spostando di conseguenza in secondo piano tutte le altre priorità (in primis, transizione ecologica, sanità e cultura).
Del resto, lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco ha voluto ‘rassicurare’: «Guerra e costi non possono mettere in discussione il piano. Ma in virtù delle criticità presenti e future bisognerà considerare un aggiornamento dei suoi obbiettivi”.
Quando sfumerà l’interesse verso gli accadimenti nell’Est Europa, si tornerà a pensare alla politica nostrana. Alla propaganda dei partiti e, di conseguenza, a uno degli argomenti da sempre di maggior presa sull’opinione pubblica: l’accoglienza profughi nel nostro Paese.
Con la guerra in atto, sono circa 2,5 milioni i profughi che finora si sono mossi dall’Ucraina. Questo perché altri 2,5 milioni hanno al momento trovato rifugio da parenti e amici nelle regioni dell’ovest Ucraina ancora non toccate dalla guerra.
Ma cosa succederà quando i bombardamenti coinvolgeranno l’intero Paese? Che avremo un flusso di IDPs (Internally displaced person) stimato in circa 10 milionindi di persone. In Italia, in particolare, le stime vanno ora oltre gli 800mila arrivi previsti. Mentre istituzioni e operatori del terzo settore proseguono nella costruzione di percorsi – o corridoi umanitari - che favoriscano l'ingresso e l'accoglienza.
Cosa comportano 10 milioni di rifugiati in Europa? Se la redistribuzione sarà su base proporzionale della popolazione locale, all’Italia spetterà ospitare 1,5 milioni di rifugiati. Ad oggi sono quasi 60mila gli accolti. Il profugo - finché non si integra con la società ospite, il che richiede spesso una tempistica di anni - costa mediamente al governo 30 euro al giorno. I conti sono presto fatti: 45 milioni di euro al giorno, 1,3 miliardi al mese, circa 15 miliardi l’anno. Il costo di una finanziaria.
Come se non bastasse, la guerra provocata dalla Russia costringerà gli italiani a pagare l'energia a costi molto più elevati. Quindi? Il doppio obbiettivo di Vladimir Putin è servito: assumere il controllo strategico della regione ucraina e dividere l’alleanza Ue, che finora si è fatta unita con sanzioni e invio di armi a sostegno della resistenza Zelensky.
Una resistenza destinata a cedere nel lungo termine, soprattutto in virtù delle spese militari finora sostenute dai Paesi Occidentali – e che prima o poi si bloccheranno per evitare ricadute sui rispettivi bilanci – e dei futuri dibattiti riferiti all’accoglienza migranti. Senza dimenticare che nel frattempo ogni testimonianza di civilizzazione andrà scomparendo dall’Ucraina: e chi sborserà a quel punto per ricostruire?
Chi non potrà rifugiarsi in altre aree limitrofe dell’est Europa punterà inevitabilmente sui Paesi dell’Unione, dove comunque negli ultimi anni i partiti populisti hanno sempre più preso piede sfruttando un certo tipo di malcontento: quello più antico, legato allo “straniero in casa nostra”.
Questa seconda fase della tattica putiniana – la prima è l’invasione militare - è praticamente la riedizione dello scenario siriano, ma questa volta senza la Turchia. L’Ue di fatto appare priva di obbiettivi precisi: finora si è mossa inviando armi leggere e pronunciando sanzioni che di fatto non incideranno sui bilanci della Russia, visto che direttamente da noi incassa il triplo rispetto al periodo pre guerra.
Nelle prossime settimane, quando il flusso di IDPs sarà maggiore, inizieranno le tensioni interne (già cominciate e ampiamente visibili) e i partiti populisti ricominceranno la propaganda anti immigrati. E, nel peggiore dei casi, invitando l’opinione pubblica a schierarsi apertamente con Putin per “salvare” la nostra società. Gli Ucraini diventeranno i nuovi “colpevoli”: di aver voluto resistere allo Zar portatore di giustizia, invece di capitolare. Con buona pace dei diritti umani, superati anche stavolta dall'assurda liceità dei crimini di guerra.
(dati ISTAT e DEF)
La sottovariante 'Omicron II' torna a preoccupare, con un incremento generale dei casi di positività intorno al 40% solo nel corso dell'ultima settimana. Da tenere in considerazione non solo la curva dei contagi, ma anche i dati relativi alla campagna vaccinale. E le strutture ospedaliere che al momento resistono, con i ricoveri – sia in area medica (13%) sia in intensiva (5,3%) – sotto la soglia di emergenza.
Sono dati nazionali che, però, si riflettono anche sul palpabile aumento in tutta la Regione Marche dei positivi – oggi registrati 1055 nuovi casi – e di una percentuale di ospedalizzazioni (a.m. 15%, t.i. 4,7%) che sembra comunque avallare il ritorno in zona bianca. Macerata, dopo Fermo e Ascoli Piceno, si attesta al terzo posto fra le province con il più sensibile impatto della nuova curva epidemiologica.
“Si tratta del colpo di coda di Omicron che coincide con la fine dell’inverno – spiega il presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri, Sandro Di Tuccio – e che oggi nuoce solo ai non vaccinati o a chi non ha ancora manifestato i sintomi dell’infezione”. A preoccupare maggiormente è l’ipotesi che il Covid 19 possa nelle prossime settimane segnare nuovi e significativi picchi di trasmissibilità. Andando a colpire, di conseguenza, la gestione sanitaria messa negli ultimi due anni già a dura prova.
“Ad oggi non possiamo prevedere cosa succederà – continua Di Tuccio – ma nel corso del tempo i sanitari hanno imparato a far fronte nel migliore dei modi all’iper-afflusso di gente nelle strutture ospedaliere. Siamo fisicamente stanchi: oggi dipendiamo dal buon senso delle persone e da quel 10% di italiani (circa 6 milioni) che ancora non si è vaccinato. Le future problematiche si legano a questi ultimi, principalmente”.
La convivenza, dunque, è l’unica arma certa rimasta per lasciarci alle spalle l’incubo pandemico. Se è vero che la sottovariante di Omicron risulta oggi la più contagiosa, allo stesso tempo è anche la meno significativa a livello sintomatologico. E se l’impatto ospedaliero, contemporaneamente, tenderà a diminuire con la bella stagione, bisognerà comunque prepararsi al prossimo inverno.
“Emergeranno nuove varianti – conclude Di Tuccio – quindi bisognerà farci trovare preparati. La vaccinazione va portata a termine, così come l’educazione sanitaria del cittadino. Il Covid ormai è diventato endemico, quindi la convivenza risulta necessaria per un reale ritorno alla normalità. Come il raffreddore o l’influenza, dovrà essere gestita con periodico richiamo vaccinale e nuove regole governative mirate per la gestione territoriale. Il soggetto fragile, in particolare, andrà gestito a livello domiciliare, sia per motivi etici sia pratici. Le restrizioni al cittadino, per il resto, hanno ormai fatto il loro tempo".
Non sono mancate le prime reazioni all'ultima conferenza stampa tenuta dal Consiglio dei Ministri, legata agli ultimi aggiornamenti sulla pandemia da Covid 19. Dopo la consueta cabina di regia, il presidente Mario Draghi e il Ministro della salute Roberto Speranza hanno voluto ufficialmente confermare all'Italia la fine dello stato di emergenza: il 31 marzo 2022.
Contemporaneamente, è stata comunicata quella che sarà la 'road map' per l'allentamento progressivo delle misure restrittive: dalle mascherine alla capienza nei locali pubblici, dall'accesso ai trasporti al decadimento dell'obbligo del super green pass per gli over 50 (ma restano le multe).
Anche a Macerata i dubbi sono ancora molti, soprattutto per quel che riguarda le categorie del lavoro più sensibili, come ad esempio il comparto scolastico.
Inoltre, non si può non considerare la nuova -seppur lenta - ascesa della curva dei contagi legata alla sottovariante virale di Omicron. E che nelle ultime settimane sta interessando particolarmente anche la Regione Marche.
"Non sono sicuro che sia un ritorno alla normalità - ammette un cittadino maceratese - perché comunque dovremo conviverci con questo virus".
"Bisogna vedere cosa succederà quando verranno allentate queste misure restrittive - dichiara una giovane studentessa -. Ormai non siamo più sicuri di niente".
"Ho ancora molti dubbi per quello che riguarda il mio lavoro - confessa una maestra di scuola - soprattutto sulle modalità di accesso per chi è vaccinato e chi non lo è. E anche su come dovremo comportarci noi docenti per il futuro. La comunicazione istituzionale non è chiara".
Di seguito, il servizio:
"Attenzione, responsabilità e trasparenza sono i tre assiomi sui quali si è mossa negli ultimi 5 anni la nostra amministrazione comunale". A parlare, nel corso di un meeting svoltosi ieri sera in un hotel di Civitanova Marche, Fabrizio Ciarapica (centrodestra). L'attuale sindaco, in attesa della presentazione del suo programma elettorale, è in lizza per le prossime elezioni comunali insieme ai candidati Mirella Paglialunga (centrosinistra), Silvia Squadroni (Siamo Civitanova), Vinicio Morgoni (La nostra città) e Tonino Quattrini (Ecologisti Confederati).
“Bisogna dare continuità al lavoro che fin qui abbiamo svolto – ha esordito Ciarapica -. È stata determinante la nostra capacità di dialogare su più livelli con l’intera filiera delle istituzioni: dalla Provincia alla Regione, fino ai rappresentanti più autorevoli del Governo. Nonostante le difficoltà, abbiamo restituito ai cittadini una Civitanova migliore di come l’abbiamo trovata”.
Fra gli obbiettivi centrati in questi 5 anni: gli interventi sui campi rom, sul commercio abusivo, la pulizia delle strade e la raccolta rifiuti, i lavori di riqualificazione del territorio. E, non ultimo, il Covid Center nato nella struttura dell’Ex Fiera. “Il Covid ci ha rallentato molto, e non vogliamo nasconderlo – ha aggiunto Ciarapica – ma abbiamo continuato a lavorare per sostenere famiglie e aziende".
Le nuove incertezze del domani guardano soprattutto alla crisi energetica, al caro materiali – legati a doppio filo con il conflitto ucraino – e, non ultimo, al futuro della direttiva Bolkestein. “Il momento è delicato – confessa Ciarapica – ma dobbiamo pensare che davanti a noi ci sono anche molte opportunità. Fra tutte, le risorse del Pnrr che verranno messe in campo".
"La nostra amministrazione è stata in grado negli ultimi mesi di intercettare alcuni bandi importanti: 5mln e mezzo di euro per Palazzo Sforza-Cesarini, 6mln e mezzo dalla Regione per tre progetti di edilizia popolare, altri 800mila euro per i lavori alla palestra nei pressi del Covid Center. E sono pronti a partire gli interventi per asili nido, comparto Trieste e rigenerazione urbana".
"Sulla Bolkestein ho voluto coinvolgere direttamente rappresentati politici come Gasparri, a dimostrazione della vicinanza estrema alle 30mila famiglie coinvolte nella questione delle balneari. La mia Civitanova – ha concluso Ciarapica - è una città sicura, senza più scontri sociali e in totale armonia. Per questo dobbiamo continuare a crescere insieme alla comunità. Un percorso si è chiuso, ma oggi è nuovo inizio”.
“La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. È carta di libertà e giustizia per ciascuno di noi”. Sono le parole che l’avv. Piero Calamandrei rivolse ai giovani studenti di Milano il 26 gennaio 1955.
Parole che hanno risuonato oggi nella sala del Teatro Lauro Rossi di Macerata in occasione della 'Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera' - divenuta ricorrenza ufficiale con la legge n.222 del 23/11/2012 (art.1 comma 3) –, celebrata dalla Prefettura e l’Amministrazione Comunale in collaborazione con UniMc e i Licei Classico e Scientifico dell’ITC Gentili.
E proprio gli studenti di scuola e università hanno animato l’iniziativa attraverso contributi audiovisivi, rievocazioni storiche legate 1861 - anno dell’Unità d’Italia – e letture che hanno reso omaggio - tra gli altri - anche al giovane reporter Antonio Megalizzi, scomparso in seguito alla strage dell’11 dicembre 2018 a Strasburgo.
Suo, infatti, il racconto “Cielo d’acciaio” che i ragazzi hanno scelto per sensibilizzare vecchie e nuove generazioni all’art. 11 della Costituzione: “L'Italia ripudia la guerra…”
E ancora: l’art. 32 (“… tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività…”) e l’art 9 (“..lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica…”).
Tre articoli fondamentali della Carta, corrispondenti a tre degli argomenti più sentiti in questo momento storico – la guerra, l’emergenza sanitaria, lo sviluppo ecosostenibile - e ai colori stessi della bandiera, sfilati dall’entrée della sala fino al palco per tutta la durata della manifestazione.
Nella chiusura evocativa – cha dalle musiche di Pink Floyd e Jonh Lennon arrivano all’Inno di Novaro/Mameli, grazie anche al coro di UniMc – non sono mancati gli interventi di alcune delle autorità presenti, fra cui il Prefetto Flavio Ferdani, il Rettore di UniMc Francesco Adornato e il sindaco Sandro Parcaroli.
“Aprite il cuore alla bellezza, la mente alla luminosità del pensiero – le parole di Adornato ai giovani presenti in sala -. Siate sempre pronti a dialogo e al confronto. E ricordate che differenze aiutano a crescere, a costruire percorsi di pace”.
Dal palco Ferdani cita Giuseppe Mazzini per ringraziare i giovani e invitarli all’attivismo sociale: “La mia voce fu spesso voce di molti, eco di pensiero collettivo dei nostri giovani che iniziavano l'avvenire”.
“Oggi abbiamo celebrato i valori di coesione nazionale, libertà e democrazia – il pensiero in chiusura Parcaroli -. Il pensiero oggi va chi vede quei valori lesi. Dialogo e pace tornino laddove in questo momento regnano le barbarie e la distruzione. Le istituzioni devono impegnarsi sensibilizzare i giovani, nel rispetto dell'altro”.
Ci è voluta una fitta rete di contatti – tra messaggi e chiamate - da Morrovalle all’Ucraina. Ci sono voluti tutta la speranza e il coraggio possibili per evitare i bombardamenti, proteggere i propri cari, portarli in salvo. E ci sono volute ancora 48 ore di viaggio, dopo tre settimane di bunker e traversate intorno ai grossi centri abitati.
Ma alla fine, Marco Frusca – finanziere di Ravenna di cui abbiamo raccontato e seguito la vicenda personale – ce l’ha fatta: è riuscito, insieme alla compagna Viktoriia, sua sorella e le nipotine, a salire sull’ultimo pullmino della Croce Rossa in transito per la città di Rivne. Questo prima che chiudessero anche lì ogni altra possibilità di fuga dalla guerra in maniera definitiva.
In attesa di poter riabbracciare gli zii, la cugina (Paolo, Rosita ed Elena, residenti nel Maceratese) e l’amica Tetyana (ucraina che dal ‘ 96 vive a Trodica) che lo hanno aiutato e sostenuto a distanza per farlo tornare a casa sano e salvo, Marco ci ha raccontato come ha vissuto le ultime ore di questo suo personale ‘viaggio della speranza’.
Marco, come sono state le tue prime ore di nuovo in Italia? Il viaggio è andato bene, per fortuna. Siamo partiti dalla città di Rivne giovedì scorso e abbiamo attraversato i confini di Slovenia, Ungheria e Romania per quasi due giorni interi. La sera di venerdì 11 marzo eravamo di nuovo a casa. Ora stiamo affrontando le pratiche burocratiche per l’accoglienza della mia compagna, della sorella e le bambine che sono tornate con me.
La tua vicenda ha attirato molti commenti. Alcuni, però, dubitano del fatto che tu ti sia mosso da Chernihiv, a nord dell’Ucraina, e ti sia spostato verso sud ovest prima di risalire e arrivare a Rivne. Chi non ha vissuto una simile esperienza non può capire, ed è un peccato che alcune persone cerchino una logica nelle dinamiche della guerra o nella fuga da essa. La paura di finire sotto le bombe l’ho vissuta sulla mia pelle: semplicemente ci si muove evitandole, battendo strade secondarie e lontane dalle grandi città.
Qual era la situazione quando sei partito? Nei tre giorni prima della partenza sembrava di trovarsi in un Paese tranquillo. Poi nel giro di poche ore, la guerra ha cominciato a raggiungere l’ovest dell’Ucraina: sono stati attaccati piccoli aeroporti, vicino a Leopoli e al confine Polacco.
Quindi è vero che l’invasione sta procedendo con una sorta di strategia di accerchiamento della capitale? Sì, i russi sono partiti dal nord est e sono arrivati al sud, bombardando negli ultimi giorni Odessa e Mariupol. Ora lanciano missili anche dal mare, per capirci.
Che idea ti sei fatto degli sviluppi futuri di questa guerra? Noi ci siamo semplicemente svegliati un giorno che era scoppiata una guerra: nessuno ci credeva. E nessuno ad oggi crede nemmeno che i negoziati risolveranno davvero la questione. Almeno finché Kiev non cadrà del tutto.
Si è discusso molto in questi ultimi giorni anche del ruolo dei nazionalisti ucraini. L’intero popolo ha scelto di seguire Zelensky: molti ucraini sono persino rientrati dall’Italia per andare a combattere. Avrebbero potuto rimanere al sicuro, e invece hanno risposto alla chiamata per difendere il loro Paese. Non si sottometteranno mai. L’Ucraina oggi è il Vietnam dell’Europa: la Russia se vuole conquistarla dovrà raderla al suolo.
Si potrà evitare secondo te? Credo che la Russia non vincerà questa guerra: Putin sta subendo duri colpi. Basti pensare che ha già perso quattro dei suoi generali più importanti.
E se dovesse ricorrere ad attacchi ancora più pesanti, come il nucleare? Sarebbe un suicidio. L’Occidente può rispondere in qualsiasi momento, ma significherebbe la fine del mondo.
Qual è stato il tuo ultimo pensiero prima di lasciare l’Ucraina? È stato per le povere donne e i bambini, costretti a rimanere lì nonostante i corridoi umanitari. I bombardamenti non si fermano mai, e loro non possono fuggire.
E il primo appena hai rimesso piede in Italia? Che ce l’avevo fatta davvero! Avrei voluto portare via da quell’inferno anche altre persone. Fortunatamente, sono riuscito a mettere in salvo le mie preziose compagne di viaggio.
Dal 25 marzo al 2 aprile torna ‘La settimana dell’inclusione’, organizzata per la sua quinta edizione dall’Università di Macerata e dall’Anffas, in collaborazione con la Provincia e il Comune. Tante le iniziative che animeranno la manifestazione, dagli spettacoli alle letture condivise, dai laboratori alle mostre, che avranno come comun denominatore non solo il ritorno in presenza – dopo due anni di pandemia – ma anche la sperimentazione delle nuove tecnologie e servizi volti a favorire l’inclusione di genere a trecentosessanta gradi.
Previsti convegni e incontri a tema, come quelli presieduti dalla Società italiana di pedagogia speciale (25 marzo) e legati più direttamente alla ricerca scientifica volta a produrre maggiori competenze a sostegno dei più fragili. La prospettiva internazionale vedrà anche in questa occasione la partecipazione di studiosi provenienti da Spagna, Inghilterra, California, Arizona, Brasile, Michigan, Colorado, Norvegia e Stati Uniti.
Nella conferenza stampa di presentazione del programma, sono intervenuti il Rettore di UniMc Francesco Adornato accompagnato dal direttore generale Mauro Giustozzi, il sindaco Sandro Parcaroli, gli assessori Riccardo Sacchi, Katiuscia Cassetta e Francesca D’Alessandro, il presidente Anffas Marco Scarponi e – in collegamento telematico – l’attore Cesare Bocci (che sarà presente a Macerata nel weekend del 26 e 27 marzo), la delegata al progetto 'Inclusione 3.0' Catia Giaconi, il presidenre Sipes Luigi D’Alonzo e il direttore di Grafò Comunicazione Visiva Fabio Fondi.
“Con la pandemia le differenze di genere si sono allargate – ha dichiarato Adornato – e così anche lo spettro delle fragilità. Inoltre, la situazione ucraina ci spinge a un maggiore impegno, per garantire inclusione e parità. Ai giovani studenti dico: la cultura è un ponte che attraversa gli oceani, quindi siatene i nuovi promotori e favorite sempre il dialogo. La globalizzazione oggi prevede che ci si sostenga a vicenda, anziché continuare a scontrarci”.
Grande plauso da parte del sindaco e degli assessori per il lavoro sinergico offerto sia dal Comune che dalle varie realtà associative coinvolte nell’iniziativa. “Macerata mostra il suo lato inclusivo, solidale e aperto al mondo e alla conoscenza. – ha affermato Parcaroli.
“Valorizzare e sensibilizzare la cittadinanza all’inclusione è il nostro obbiettivo principale – hanno aggiunto gli assessori Sacchi, Cassetta e D’Alessandro – e per farlo coinvolgeremo anche le scuole: dobbiamo formare le giovani menti e i cittadini di domani. Sport e cultura sono il volano dell’accoglienza senza più distinzioni di genere e disparità sociali, che rischiano di continuare a tagliare fuori i soggetti diversamente abili e fragili”.
Il taglio del traguardo di questa intensa settimana sarà il 2 aprile, in occasione della ‘Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo’. Come ricordato anche dal presidente Scarponi – “Dobbiamo continuare a riempire la cornice del nostro lavoro di attività inclusive. Il programma prevede quest'anno momenti importanti, come lo spettacolo teatrale ‘E Fuori Nevica’ di Vincenzo Salemme al Teatro Lauro Rossi (26 marzo), la maratona Stramacerata, la Convenzione Onu e disabilità, il Villaggio Anffas e tanto altro ancora. I cittadini sono chiamati a partecipare il più possibile".
Il comparto dell’edilizia è allo stremo, in tutta Italia. Nelle Marche – la regione maggiormente colpita dal sisma del 2016 – le imprese e l’intera filiera delle costruzioni si ritrovano tutt’oggi a tener conto del ritardo dell’approvvigionamento dei materiali, il loro rincaro, la progressiva mancanza di manodopera e le difficoltà nel rispettare le tempistiche contrattuali.
Queste sono solo alcune delle criticità discusse dall’ANCE Marche nel corso di un incontro ospitato da Confindustria Ancona e rispetto alle quali la pandemia e la guerra russo-ucraina ne hanno evidenziato il punto di non ritorno. A tal punto da arrivare a proclamare, a partire da ieri, il blocco totale dei cantieri in tutta la regione – oltre 200 – nella speranza, secondo i membri del Comitato di Presidenza ANCE intervenuti (Stefano Violoni, Carlo Resparambia, Massimo Ubaldi, Massimiliano Celi, Fabio Fiori e Rodolfo Brandi), di essere finalmente ascoltati dopo 20 anni di silenzio da parte dei governi italiani.
Nel frattempo le aziende chiudono, si fermano le acciaierie e altre attività similari, il rincaro dei prezzi continua a salire per ogni tipo di materia prima (negli ultimi giorni: +150% per il costo dell’energia, +20% per il cemento, + 150% per ferro e acciaio). “La crisi del settore edile – ha dichiarato il presidente di ANCE Macerata e vicepresidente regionale con delega sul sisma, Carlo Resparambia – ha ripercussioni anche sul piano umano e sociale".
"Non riusciamo più a onorare il termine dei lavori più importanti. Il commissario Giovanni Legnini aveva promesso il 6 maggio 2021 una revisione del prezziario dei materiali, ma stiamo ancora aspettando - spiega Resparambia: dalle opere pubbliche alle agevolazioni fiscali, fino alla gestione del piano ricostruzioni, le proroghe dei termini contrattuali, e l’attivazione di adeguati ammortizzatori sociali”.
“Quelle adottate dai Governi in questi ultimi vent’anni – commenta il presidente di ANCE Marche, Stefano Violoni – sono state solo misure emergenziali: oggi servono interventi strutturali che garantiscano lo svolgimento dei lavori in maniera seria e con la giusta tutela per l’intero settore, che comprende non solo gli imprenditori, ma anche falegnami, elettricisti, cottimisti e altri ancora. Non possiamo nemmeno affidarci al Pnrr, perché è una prospettiva ancora lontana".
“Le agevolazioni messe in atto nell'ultimo anno, come il 'bonus facciate' – ha aggiunto il presidente ANCE di Pesaro Urbino, Rodolfo Brandi – possono aver messo una pezza sulle problematiche, ma hanno portato alla nascita di 11.600 nuove imprese e contribuito alla crescita del fenomeno della criminalità organizzata”.
Di seguito, i video delle interviste:
La guerra russo-ucraina con il rischio di una nuova Chernobyl e la paura delle radiazioni nucleari. Nell’ultima settimana, gli sviluppi della crisi in Europa Orientale hanno avuto fra i suoi effetti più significativi quello di lasciar temere agli italiani la possibilità di un nuovo disastro come quello del 1986.
All’epoca, fra le minimizzazioni delle autorità italiane e il reale impatto della nube radioattiva, il tutto si risolse con il divieto di consumo di latte e verdura (considerati gli alimenti più a rischio contaminazione), nonché con le prime importanti mobilitazioni di massa che nel giro di un anno portarono al referendum abrogativo rispetto all’abbandono del nucleare da parte dell’Italia.
Trentasei anni dopo, lo scenario è ancora una volta localizzato nel territorio ucraino, seppure in un altro contesto storico-politico. Ad oggi, sotto il tiro delle bombe di Putin rischiano di finirci ben 4 centrali nucleari in funzione, per un numero complessivo di 15 reattori operativi e 2 ancora in costruzione. Fra questi, anche il sarcofago blindato di Chernobyl che – a distanza di poche ore in cui sembrava esserne stata ripristinata l’attività di controllo – si trova nuovamente con la rete elettrica danneggiata e, di conseguenza, a rischio instabilità.
Quanto basta per far scattare nel nostro Paese – sul filo sottile delle notizie vere e quelle “fake” – una nuova psicosi di massa che ha portato molte persone a fare scorta di pillole di iodio solo nel weekend appena trascorso. Ma si tratta davvero di una soluzione reale contro l’esposizione da radiazioni?
“Questa frenesia non ha alcun senso – ha dichiarato il presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (FOFI) Andrea Mandelli -. Al momento non c’è alcuna emergenza riguardante le radiazioni e l'assunzione delle compresse di iodio come forma di prevenzione non ha alcun fondamento scientifico. Inoltre, l’abuso alimentato dal fai da te delle pillole può comportare danni gravi alla salute, in particolare alla tiroide”.
“In Italia non esiste alcuna indicazione terapeutica per l'uso pillole allo iodio – ha aggiunto il segretario nazionale di Federfarma e presidente del Pgeu, Roberto Tobia -. Potrebbero fare eccezione quei Paesi Europei dove sono presenti centrali nucleari: in quei casi un sistema di alert collegato ai telefoni cellulari delle persone avvisa dove poter ritirare gratuitamente le compresse di iodio e come assumerle. Ma non è il nostro caso, visto che in Italia non abbiamo né centrali nucleari né eventi catastrofici in corso”.
La corsa alla iodioprofilassi è stata sicuramente incentivata negli ultimi giorni dall’aggiornamento del “Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari” (4 marzo 2022): una revisione sbrigativa richiesta soprattutto in occasione dell’ultima Conferenza delle Regioni.
L’allarmismo generatosi ha evidenziato come in molti casi sfugga il reale scopo farmacologico dello “iodio stabile” – diffuso soprattutto nel trattamento della tiroide e in casi di condizioni fisiologiche specifiche (donne in gravidanza o allattamento). Quest’ultimo, infatti, è stato progettato per contrastare gli effetti di quello radioattivo (iodio 131) nei casi in cui venga assimilato “incidentalmente” in dosi massicce.
Il rischio maggiore – a questo punto - è quello di contrarre il cosiddetto carcinoma tiroideo, che aumenta nella fascia di età 0-18 anni e tende a ridursi sensibilmente negli adulti – fino ad annullarsi dopo i 40 anni. Gli effetti biologici di una potenziale fuoriuscita di materiale radioattivo dipendono poi da diversi fattori, come la quota, il tipo stesso di materiale radioattivo disperso, la distanza a cui un individuo si trova rispetto alla sorgente radioattiva e l’andamento della nube tossica che potrebbe colpire alcuni territori più di altri.
Prima la pandemia, poi il caro carburanti, adesso la crisi ucraina che ha fatto esplodere le speculazioni in atto sui mercati internazionali e fatto salire alle stelle il prezzo delle materie prime. Per protestare contro i rincari lunedì 14 marzo è stato indetto lo sciopero nazionale degli autotrasportatori.
L'intero comparto – che in Italia conta 99.500 aziende con 335mila lavoratori, e un giro di affari pari al 7% del Pil nazionale – si prepara a uno stop che rischia di avere ripercussioni ancora più significative per tutta l'economia nazionale.
Le motivazioni – secondo l’associazione “Trasporto Unito” che ha promosso l’iniziativa - non riguardano solamente l’aumento vertiginoso del prezzo del gasolio, ma anche quello dei costi per i trasporti marittimi, per la manutenzione dei mezzi e la sostituzione degli pneumatici.
La protesta – alla quale associazioni di categoria e sindacati non hanno voluto aderire – minaccia uno stop di almeno due settimane, che inevitabilmente andrà a ripercuotersi soprattutto sulla consegna dei beni di prima necessità (cibo, medicinali e altro ancora).
Anche per le Marche l’effetto sciopero rischia di pesare in maniera sensibile, nonostante il recente stanziamento da parte del governo Draghi di 80 mln di euro (“Decreto Energia”): un provvedimento solo momentaneo e che sa più di propaganda politica che di reale soluzione, secondo i manifestanti.
Sul tema è intervenuta anche Confcooperative Marche. «Servono prospettive strutturali – ha dichiarato il presidente dell’Associazione Autotrasportatori Massimo Stronati -. Non è solo una questione rincaro energetico e dei carburanti, ma di una vera e propria crisi senza precedenti. Temiamo gli effetti della prossima inflazione, e per questo chiediamo al governo l’accesso al credito facilitato e l’abbassamento del cuneo fiscale».
Nel frattempo, molta merce comincia a non arrivare più sugli scaffali dei negozi. Rispetto alla filiera agroalimentare – l’85% delle merci viaggia proprio su strada, secondo i dati di Coldiretti – frutta e verdura sono i prodotti maggiormente a rischio essendo non solo quelli destinati a deperirsi più in fretta, ma anche quelli per cui la distribuzione è già rimasta bloccata. Questo potrebbe indurre supermercati e piccoli negozi a cercare una temporanea àncora di salvezza nei produttori locali.
I partiti politici sono in cerca di una nuova identità. Una versione migliore di sé che nelle elezioni 2022, nella sola provincia di Macerata, testerà in modo importante il termometro dell'attuale situazione politica italiana. Baluardi importanti quelli nei quali gli elettori saranno chiamati alle urne nel Maceratese.
Il comune più popoloso - e anche il piuttosto atteso - di tutta la provincia resta quello di Civitanova Marche (sindaco uscente Fabrizio Ciarapica). A seguire anche Camerino (commissariato dopo la sfiducia a Sandro Sborgia), Corridonia (uscente Paolo Cartechini), Tolentino (uscente Giuseppe Pezzanesi) e Valfornace (uscente Massimo Citracca).
La presentazione dei candidati prosegue a rilento in tutti i comuni, segnale chiaro di un pessimo stato di salute proprio della politica stessa. Le ultimi elezioni nel Maceratese hanno condotto i cittadini a una assioma ben definito: votare "il meno peggio” è una soluzione che ormai non vale più.
L’idea a questo punto è quella di prepararsi ad una defluenza alle urne ancora più importante e significativa. I maceratesi – come gli italiani tutti – non riescono più a fidarsi della politica e dei suoi leader. Una analisi più dettagliata a livello nazionale rende un quadro ancora più limpido sullo stato di salute dei partiti.
Nel periodo compreso fra le “elezioni” del Presidente della Repubblica e l’inizio del conflitto russo-ucraino, le intenzioni di voto degli italiani hanno testimoniato un netto crollo della fiducia rispetto ai maggiori gruppi parlamentari, soprattutto per quanto riguarda la Lega (scesa al 16%) e il Movimento 5 Stelle (12,6%). Fratelli d’Italia e Partito Democratico gli unici a reggere la disaffezione (21,5%).
Come si ripercuote questo quadro politico generale sulle Regioni? Basti pensare alle prossime Amministrative 2022. Attese in un periodo compreso fra il 15 aprile e il 15 giugno, queste elezioni rischiano di restituire - come sul piano nazionale - un clima di totale incertezza politica, rispetto alla quale anche i cittadini delle Marche sembrano essersi rassegnati.
(dati Tecne - Termometro Politico)
Mentre proseguono i tentativi da parte dell’Unione Europea di sanzionare Mosca e i suoi oligarchi – ben protetti dalla strategia dei conti offshore – l’Italia di Draghi prova a tenere il passo, tra il benestare generale di tutte le forze politiche parlamentari e qualche uscita a vuoto come il "caso Salvini in Polonia".
Nell’arco di due settimane di conflitto, decenni di sforzo per costruire l’Europa unita – attraverso l'integrazione economica, politica e dei valori di libertà e democrazia – hanno dovuto scontrarsi contro i carri armati di Putin, riportando l’intero ordine internazionale indietro di 80 anni e rimettendo in discussione quegli obiettivi di pace, sicurezza e benessere che sembravano essere stati conquistati.
La crisi energetica e l'incertezza sulla durata della guerra, spingono Draghi a discutere – dopo ogni formale condanna alle azioni del Cremlino – degli effetti economici che il conflitto avrà sull’economia italiana e su come il Governo intenda porvi rimedio. Tutto questo, mentre si concorda con gli altri Stati dell’Unione l’invio di sostegni bellici alla resistenza ucraina (che comunque partiva già preparata al conflitto grazie a USA e UK).
“Sui rincari dobbiamo muoverci con rapidità e decisione, difendendo il potere di acquisto delle nostre famiglie e la sopravvivenza delle nostre imprese" – ha dichiarato Draghi nel suo ultimo intervento alla Camera, aggiornando il Paese sugli sviluppi del conflitto orientale. "Siamo al lavoro per ridurre la dipendenza dal gas russo e in tempi rapidi", ha aggiunto ribadendo l’intenzione di ripristinare le centrali a carbone. E su gli effetti che la crisi energetica avrà sul Pnrr ha detto: "È ancora prematuro prospettare ora una revisione. Ma molte regole Ue andranno sicuramente rilette".
Contemporaneamente, il colosso Eni ha deciso di sospendere i nuovi contratti d’acquisto del petrolio di Mosca, dimenticando che una simile manovra non andrà certo a beneficio degli italiani – che stanno facendo i conti con il caro carburanti – né tantomeno penalizzeranno Putin. In tal senso, la figura dell’ex Confindustria Ernesto Ferlenghi ha già messo al riparo gli interessi di tutti quanti, facendo a suo tempo da anfitrione per politici e imprenditori di berlusconiana memoria.
Il Governo ha parlato anche di riforma del catasto: “La riforma non porta ad alcun incremento delle imposizioni fiscali sugli immobili regolarmente accatastati - ha assicurato l'ex governatore di Banca d'Italia -. Nessuno pagherà più tasse: serve per eliminare abusi e le irregolarità, per una maggiore trasparenza”.
Il principio, dunque, sarebbe quello di riequilibrare il carico fiscale del Paese, per evitare disparità sociali anche nei pagamenti dovuti allo Stato. Come però il Governo intenda reperire le informazioni utili per evitare di gravare sulle finanze dei più deboli, non è dato ancora saperlo.
Un viaggio disperato e non ancora concluso. Marco Frusca, 49enne finanziere di Ravenna, si trovava nella città di Chernihiv, a 150 km dal confine biellorusso, quando il 24 febbraio scorso le truppe russe hanno cominciato a bombardare. Con lui la compagna Viktoriia. Da allora, è cominciata una corsa contro il tempo per riuscire a fuggire e tornare in Italia.
Il destino o la "fortuna" hanno voluto affidare la vita di Marco, di Vika e di sua sorella (insieme a due nipotine di 12 e 14 anni) alle mani di Paolo, Rosita ed Elena - rispettivamente, gli zii e la cugina di Marco, residenti nel Maceratese - e soprattutto alla loro amica ucraina Tetyana, che dal 1996 vive a Trodica di Morrovalle.
Nell’arco di dieci giorni dall'inizio del conflitto, una fitta rete di contatti si è attivata per cercare di riportare a casa Marco e le sue "compagne di viaggio”, impegnati nel frattempo a spostarsi per evitare di finire in mezzo agli scontri.
Ora Marco si trova a Rivne, una delle pochissime città dove la guerra ancora non è arrivata: e anche ultimo spiraglio di speranza verso la fine di questa drammatica avventura. Nell’attesa di salire sull’ultimo pulmino della Croce Rossa e attraversare il confine polacco, Marco ha voluto raccontare la sua personale battaglia per la sopravvivenza.
Dopo due settimane di guerra, come ti senti? Al momento più sereno, anche se la paura rimane. Le sirene suonano tutto il giorno anche qui a Rivne: i russi stanno arrivando, a 50 km di distanza sentiamo i bombardamenti.
Come definiresti questa tua vicenda? Drammatica e surreale: chi avrebbe mai pensato di finire in mezzo a una guerra? Il 24 febbraio scorso avevo il volo per tornare in Italia, e invece sono rimasto bloccato a Chernihiv, la prima città attaccata. Confesso che nessuno qui si aspettava scoppiasse una guerra.
Come sei finito da quelle parti? Io e la mia compagna stiamo insieme da tre anni, e da maggio scorso – quando la situazione Covid si è un po’ allentata – ho ripreso a viaggiare ogni due settimane dall’Italia all’Ucraina.
Quanto tempo sei rimasto bloccato a Chernihiv? Per due giorni, poi mi sono spostato in un villaggio poco distante, dai genitori di Viktoriia. Con noi, anche la sorella e le sue bambine.
Poi sono cominciati i primi tentativi per tornare in Italia. Grazie ai miei parenti nelle Marche e a Tetyana che li conosceva, siamo potuti entrare in contatto con alcune persone del posto. La situazione stava rapidamente peggiorando, e stavamo sempre rinchiusi dentro i bunker con almeno altre 40 persone.
Come siete riusciti a muovervi e ad evitare gli scontri? Da giovedì 3 marzo i nostri contatti hanno iniziato ad inviarci le informazioni che ci servivano attraverso le chat: non potevamo percorrere le strade principali, quindi attraversavamo la campagna pregando di non incontrare i carri armati russi.
Ci sono state altre tappe prima di arrivare a Rivne? Il 5 marzo siamo arrivati a Kiev, ma è stato un 'viaggio della speranza'. La nostra fortuna è stata che dal lato Ovest l’esercito di Putin non avesse ancora sfondato, grazie alla resistenza della città di Kharkiv. A Kiev siamo stati ospiti per una notte degli amici di Tetyana, e il giorno dopo abbiamo fatto tappa a Vinnytsia. Che nel frattempo, però, era stata bombardata.
E poi? Siamo arrivati a Rivne dopo tre giorni di viaggio senza sosta, e passando in mezzo agli scontri delle città di Zaporizhzhya – dove peraltro c’è una delle centrali nucleari - e Mariupol. Ora dobbiamo solo attendere che la Croce Rossa ci aiuti ad attraversare il confine polacco e, da lì, a tornare in Italia. Non avremo altre possibilità per fuggire da qui.
Come mai? La guerra sta arrivando dappertutto, e presto sarà il turno di Rivne e Leopoli. Persino portare gli aiuti è diventato pericoloso: Putin dice di aprire i corridoi umanitari, ma nel frattempo continua a bombardare senza sosta. Vuole prendersi tutta l’Ucraina, non solo le regioni di Donetsk e Luhansk.
C’è stato un momento in cui hai pensato di non farcela? Nel viaggio da Kiev a Rivne. Il rischio di finire in mezzo agli scontri era molto alto, e io avevo paura per la vita della mia compagna, di sua sorella e delle bambine. Non eravamo mai al sicuro, ma volevo fare tutto il possibile per portarle in salvo. Ora voglio essere ottimista e spero di tornare a casa.
Sono oltre due milioni secondo l'Onu i profughi ucraini fuggiti nel corso di questi primi tredici giorni di guerra. Una marea umana in marcia verso Occidente per quella che si prefigura come una delle più grandi emergenze umanitarie nella storia dell'Europa. Non solo Polonia e Romania come frontiere di passaggio ma anche la Moldavia, paese che teme una avanzata in direzione Transnistria da parte delle truppe russe.
Negli obiettivi di Putin c’è anche Odessa, principale porto ucraino sul Mar Nero. Se dovesse cadere in mano russa, il corridoio verso la regione filo-russa e separatista della Transnistria sarebbe la riproposizione di un copione già visto per le repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk. "Una situazione annunciata", secondo i maggiori analisti, tanto da spingere Moldavia e Georgia a richiedere l’adesione immediata all’Unione Europea.
Gli aggiornamenti dalla capitale Chișinău arrivano direttamente da Stefano Mercuri, originario di Tolentino e residente da oltre vent'anni proprio in Moldavia.
Che aria si respira in queste ore? Cerchiamo di rimanere sereni il più possibile. Al momento non abbiamo neppure problemi di cibo, valuta o carburanti. Ma i prossimi sviluppi della guerra si fanno sempre più incerti.
Per quale motivo? Io vivo a circa 30 km dalla Transnistria, regione indipendente dal 1991 – non riconosciuta - e tutt’ora protetta da oltre 2mila russi appartenenti all’ex 14esima Armata Sovietica. Gli animi per ora sono distesi, anche se negli ultimi giorni la regione ha chiesto ufficialmente di essere riconosciuta come Stato a sé stante.
E se ciò accadesse, quali sarebbero le conseguenze? Partiamo dal presupposto che la Moldavia si è opposta alla richiesta della Transnistria. Ma se questa dovesse venire accolta, Putin avrebbe campo libero per una nuova invasione. E la giustificherebbe con le stesse motivazioni legate alle regioni di Donetsk e Luhansk.
Sembra essere una possibilità molto concreta. Infatti la tensione qui sta salendo molto anche per questo motivo. Tutto dipende dal destino della città di Odessa: se verrà attaccata nei prossimi giorni allora poi toccherà a noi. E non potremo nemmeno difenderci: l’esercito moldavo conta a malapena 10mila soldati.
E ciononostante, lei ha deciso di rimanere in Moldavia. Da 22 anni ormai vivo qui, dopo aver passato buona parte della mia vita nel Maceratese. Sono stato direttore di Confindustria, e ora cerco solo di godermi la pensione. Di norma sono un ottimista, e non penso che Putin abbia interesse ad invaderci. Ma con lui abbiamo capito che non si può mai essere sicuri di niente.
C'è qualcosa che non sappiamo? Il giorno prima dell’attacco all’Ucraina ho parlato direttamente con un amico che lavora all’Ambasciata Russa, e lui era sicuro che Putin non avrebbe mai attaccato. E invece, ventiquattro ore dopo lo ha fatto. Le sue sono azioni senza scrupoli.
Nel frattempo, come state gestendo la crisi umanitaria? Le frontiere sono piene da giorni: arrivano più di 250mila profughi che hanno fretta di andarsene perché nemmeno da noi si sentono al riparo dalla guerra: hanno troppa paura di finire sotto le bombe. Quindi - se non si fanno sei ore di coda alla dogana - scelgono di trattenersi al massimo per tre giorni in uno dei centri di accoglienza allestiti dalla Caritas, dalla Fondazione Regina Pacis o dal governo stesso.
Sono arrivati da voi gli aiuti umanitari della Comunità Europea? Stiamo aspettando circa 15 mln di euro. Serviranno a sostenere lo sforzo di sanitari e doganieri. Anche io nel frattempo, mi sto attrezzando con alcuni amici dall’Italia per far arrivare qui i beni di prima necessità.