Fra ‘strumenti eccezionali’ per rallentare l’inflazione, manovre contro il carovita, tagli sulle accise dei carburanti, via libera per centrali a carbone e rigassificatori per scostarsi dal gas russo (con buona pace delle energie rinnovabili), il governo Draghi ha messo ulteriormente il punto nelle ultime ore anche su ciò che riguarda il sostegno bellico all’Ucraina.
Se nell’ultimo ‘Decreto Aiuti’ annunciato in conferenza stampa dal Cdm lunedì 2 maggio si evince la cifra complessiva legata all’accoglienza profughi – 58,5 mln di euro ai Comuni più altri 40 mln per i servizi sociali degli stessi, 112,7 mln per creare e gestire nuovi centri di accoglienza, altri 192,2 mln alla Protezione Civile – a passare nel sottobosco dell'informazione pubblica è l’exploit rispetto all’invio di nuove armi. Con una particolarità: la lista di questo ulteriore materiale bellico ("Allegato al decreto interministeriale del 22 aprile 2022") risulta secretata.
Ad oggi sappiamo che l’Italia si è adeguata alla linea decisa da USA e Ue, mettendo a disposizione degli ucraini missili terra-aria in grado di intercettare aerei a 2-3 mila metri (Stinger e Milan), mortai anti-carro, mitragliatrici, munizioni. Non per rispondere a una guerra, ma per favorire la resistenza del popolo di Kiev, che ora punta a rinforzare le difese del Donbass.
E per farlo serviranno nuovi mezzi pesanti: la Germania ha già inviato 50 carri armati Panzer, l’Italia presto farà altrettanto con i blindati Lince e Ariete parcheggiati nelle varie caserme. “La nostra appartenenza alla sicurezza atlantica è scontata” – aveva dichiarato il premier Mario Draghi durante la conferenza del 2 maggio – e ora c’è un decreto interministeriale che prevede l’invio di altre armi. Nessuno di noi vuole la guerra, un’escalation, ma neppure abbandonare l’Ucraina che altrimenti cadrebbe in uno stato di sottomissione”.
A sorprendere, però, è la notifica da parte del Codacons circa il ricorso di fronte al Ministero della Difesa, al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e al Ministero dell’Economia e delle Finanze per l'annullamento del decreto attraverso il quale è stata autorizzata la cessione alle autorità governative dell'Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari. Tale cessione sarebbe avvenuta, infatti, in assenza del previo atto di indirizzo alla Camere, violando di fatto l’art 2 bis del DL n. 14/2022, e insieme anche gli artt. 97, 70 e 77 della Costituzione che riservano la funzione legislativa, rispettivamente, alle Camere e - in casi di necessità ed urgenza - al Governo.
C’è poi il discorso relativo alla secretazione della nuova lista di armi di cui sopra - o meglio del decreto governativo che ne ha disposto la cessione –, fin qui giustificate ‘a scopo meramente difensivo’. Ma non essendoci di base alcuna deliberazione dello stato di guerra ai sensi dell’art. 78 della Costituzione, la suddetta secretazione risulta illegittima, violando anche il principio di trasparenza ed esponendo l’Italia stessa a concrete rappresaglie da parte del Cremlino.
“Il fine giustifica i mezzi”, si dice. Oggi, però, sembra difficile riconscerlo: la tutela della pace o il 2% del PIL per le spese militari entro il 2028?
Che esistesse una grave crisi di rappresentanza, era fatto noto da tempo. Nel corso degli ultimi 30 anni i sindacati dei lavoratori hanno lentamente deposto le loro bandiere – un tempo alzate al vento insieme a chi scendeva in piazza a gridare di “rivendicazioni, tutele e dignità” – tendendo sempre più alla ricerca di una conciliazione nei confronti del potere politico.
Per i primi – i lavoratori – l’urgenza oggi verte fra l’inaccettabilità delle condizioni di contratto e la ricerca di un impiego stabile. Per i secondi – il governo e i partiti politici – le priorità si sono facilmente ridimensionate negli ultimi due anni, filtrandole con giustificazioni relative alla pandemia da Covid 19 (ieri) e allo scoppio della guerra in Ucraina (oggi) con tutte le conseguenze del caso: in primis, caro energia e dei materiali.
Ragioni da vendere da entrambe le parti, che però incontrano il loro comun denominatore nelle scelte del passato. Quelle legate agli accordi nati dopo la costituzione nel secolo scorso del Mercato europeo comune , e alle successive svalutazione della Lira, crescita dell’inflazione, e alle inevitabili manovre d’emergenza messe in campo. Nel frattempo, la moneta di scambio era ufficialmente diventato il debito pubblico.
Dalla fine degli anni ’80, la crisi economico finanziaria italiana – determinata anche dai significativi dissesti sociali e politici – diventa fatto conclamato: i prezzi al consumo aumentano, la Lira ha perso la sua forza, l’Euro diventa “l’unica soluzione”. Almeno per ritardare gli effetti più drammattici della suddetta crisi: dal 2002 il PIL italiano subisce una delle sue massime crescite nella storia (+109%), anche se drogata dal credito facile e dall’indebitamento perenne assunto come nuovo stile di vita.
Con la crisi "esogena" del 2008 – ovvero imputabile agli errori americani, con conseguenze che hanno coinvolto il resto del mondo -, l’Italia paga a caro prezzo le sue carenze strutturali, subendo nel giro di 4 anni un drastico calo del Prodotto Interno Lordo (-12,8%). Gli effetti sull’economia e, soprattutto, sul mercato del lavoro sono inevitabili: le risorse originariamente destinate, fra gli altri, a sollecitare l’occupazione – con agevolazioni, riforme, regolarizzazione dei contratti, revisioni dell’impianto normativo riguardo garazie e tutele - vengono ricollocate per fronteggiare lo stato di apnea delle imprese e quindi mantenere il nostro Paese competitivo sul mercato europeo.
Il tasso d’impiego, per capirci, in 10 anni scende del 60%.
L’evoluzione delle lotte sindacali, a questo punto, vengono rielaborate, anzitutto in virtù di quel diritto inalienabile proprio di ogni singolo individuo ad ambire a un’aspettativa di vita dingitosa, che passa in necessariamente per il lavoro. Questo vale in un Paese che si reputi socialmente sano (si rimanda qui all’art. 4 della Costituzione).
Ma arrivando ai giorni nostri, il dato che risalta maggiormente oggi è quello relativo al tasso di povertà: + 15% negli ultimi 5 anni, pari a 11 mln di persone a rischio. Fanno capo a questo bacino, secondo gli ultimi dati INPS e ISTAT del 2022, circa 3 mln di precari. E non basta una crescita delle assunzioni del 46% a fare da tampone, se contemporaneamente le cessazioni dei rapporti di lavoro superano il 50%. Questo perché a mancare sono, acnora una volta, le dovute garanzie.
Nelle Marche, questi dati nazionali si traducono con un 17° posto in classifica per l’incidenza di assunzioni stabili sul totale, e con un primo posto per quel che riguarda i contratti intermittenti (il cosidetto “lavoro su chiamata”). Inoltre, il 90% dei nuovi rapporti di lavoro è oggi a vario titolo precario – le formule contrattuali preferite sono quelle “a termine” – accompagnato da un +11% solo nel primo bimestre del 2022 degli infortuni sul lavoro (dove rientrano anche le cosidette “morti bianche”). A impressionare, su quest’ultimo dato, è l’aumento di un +49% relativo ai giovani under 19: difficile non riflettere sulle profonde mancanze relative alla modalità “alternanza scuola-lavoro”.
In ultimo, va considerata la nuova Legge di bilancio, rispetto alla quale i sindacati sembrano aver trovato terreno comune con le priorità di governo per quanto riguarda “le misure pensionistiche” (dove però pesano i contributi versati in almeno 38 anni di lavoro), “gli ammortizzatori sociali” (che dovrebbero sopperire all’aumento della disoccupazione), “gli sgravi contributivi” (che favoriscono i pochi contratti a tempo indeterminato) e “il rifinanziamento del reddito di cittadinanza” (punto sul quale il dibattito politico si infuoca maggiormente). Ancora una volta misure tampone, più che vere e proprie riforme.
“Emerge un sistema economico fragile e inadeguato ad affrontare le sfide che abbiamo di fronte – aveva dichiarato a inizio anno Rossella Marinucci, segretaria di CGIL Marche - a partire dagli investimenti del PNRR e dalla nuova programmazione europea. Un sistema incapace di affrontare le trasformazioni tecnologiche, ambientali ed energetiche investendo innanzitutto sul lavoro, la sua qualità e le competenze da valorizzare. Una ripresa che, per lavoratrici e lavoratori delle Marche, si traduce in contratti non stabili, part-time e frammentati, in lavoro polverizzato e precario. La ripresa in atto sarà effimera e lo sviluppo apparente se non incardinati nella qualità del lavoro e dell’occupazione: su questo terreno le Marche si giocano il futuro”.
Medici e infermieri si sono ritrovati oggi presso l’Aula Biblioteca dell’Ospedale di Macerata per salutare, fra applausi e ringraziamenti – e un rinfresco finale – il primario del reparto Malattie Infettive Alessandro Chiodera, giunto al proprio pensionamento. Fra i presenti, la direttrice di Area Vasta 3 Daniela Corsi, il direttore sanitario Carlo Di Falco e l’assessore alla Sanità regionale Filippo Saltamartini.
“Un grande esempio di impegno, professionalità e riservatezza – ha dichiarato in apertura della conferenza Corsi – decisivo soprattutto in questi ultimi due anni per la gestione della pandemia e, in particolare del Covid Hospital di Civitanova che fra le varie difficoltà ha saputo contenere l’ondata dei contagi”
Un rigraziamento sentito, al quale si voluto associare anche Di Falco, sottolineando come unità di reparto come quelle destinate alle malattie infettive siano tornate ad essere una necessità, insieme alla guida generosa e discreta come l’uscente primario dell’Opedale di Macerata.
Non ultimo, anche Saltamartini ha voluto esprimere il proprio riconoscimento, sfruttando l’occasione per fare il punto – insieme ai sanitari presenti – sul presente e il futuro della sanità marchigiana. “L’organizzazione che il dottor Chiodera ha saputo mettere in piedi per fronteggiare i due anni di emergenza pandemica è lodevole – ha dichiarato l’assessore – e fa di lui un Garibaldi della nostra professione. Per affrontare le sfide del futuro, spero in una collaborazione informale che ci aiuti a risollevare le sorti della nostra Sanità."
"Il nostro Paese vive una situazione pesante, aggravata già dalla spending review del 2012 – ha proseguito Saltamartini – e oggi segnata dal Covid e dalla guerra in corso. Il debito pubblico nel frattempo è aumentato, il che mette a rischio l’impiego delle risorse come il Pnrr, che comunque non vedremo prima del 2025. Stiamo ancora pagando lo scotto di non avere sufficienti medici a disposizione – alcuni nemmeno specializzati - e un tetto per la spesa pubblica che ci impedisce di procedere con le nuove assunzioni: basti pensare che la Sanità nazionale oggi spende 124 mld di euro, 80 dei quali servono a colmare il disavanzo. Nel frattempo, l’ASUR rimane l’ultima realtà unica aziendale esistente in Italia, ma mancano le figure professionali in grado di raccogliere le esigenze delle varie Aree Vaste presenti nelle Marche.
Non possiamo illuderci – ha concluso l’assessore – di poter contare al più presto su nuove risorse, anche se stiamo rifinendo il testo della Riforma da presentare alle istituzioni entro giugno. Piuttosto, dovremo imparare ad ottimizzare quelle che già abbiamo oggi. Ci attende un futuro complicato, stando a quando si apprende dalla Cina sull’evoluzione del coronavirus, per cui dovremo prepararci alla somministrazione di almeno un milione e duecentomila nuove dosi, e in più capire come riuscire a smaltire le liste d’attesa rimaste finora congelate.
La cerimonia si è poi conclusa con la consegna a nome di colleghi e collaboratori di una targa al merito per il dottor Chiodera, che si è detto “fiero di essere approdato quel 4 settembre del 2001 all’Ospedale di Macerata. La mia speranza è che il reparto di Malattie Infettive rinasca e torni ai livelli di 20 anni fa: aiuterò il più possibile le mie dottoresse, in attesa dell’arrivo del prossimo primario”.
Il 25 aprile ricorre l’anniversario della Liberazione d’Italia dal nazifascismo. Istituita ufficialmente come “festa nazionale” nel 1949 – tramite la legge 260 – la giornata porta con sé da allora non solo la memoria storica della Resistenza partigiana e di quanti altri morirono per la causa, ma dichiarava apertamente il pensiero collettivo di tutti gli italiani: rifiutare la guerra come strumento di offesa alla libertà di ogni popolo. Quello che poi viene rimandato all’art. 11 della Costituzione.
Eppure, dopo più di 70 anni, il nostro Paese si ritrova ancora a dibattere su guerre, apologie e nuove forme di nazionalismo, oggi forti di nuovi linguaggi, slogan e, soprattutto, alibi. Non è un caso, allora, se sempre più spesso ci si domandi: “Gli italiani hanno davvero la memoria corta? Perché non abbiamo imparato la lezione dagli errori del passato?”
“La memoria è un fatto collettivo. La storia, invece, è studio critico del passato” – ci spiega con una piccola video-lectio esclusiva il professore di Storia Contemporanea presso Unimc, Angelo Ventrone. Insieme a lui abbiamo cercato di comprendere quale sia il rapporto che oggi abbiamo con le ricorrenze storiche, le ragioni che spingono alcune persone a celebrare i nuovi nazionalismi, a distorcere la memoria di certi eventi e, non ultimo, cosa si debba fare per preservarla al meglio.
Di seguito, il video dell’intervista:
“Esiste una leggenda nella tradizione ebraica: nel mondo, in ogni epoca, ci sono 36 giusti, uomini normali. Nessuno sa che esistono, nemmeno loro sanno chi sono. Ma quando ci sarà bisogno di loro,usciranno allo scoperto e si adopereranno per il bene di tutti. Dopodiché torneranno alla loro vita, senza dire nulla o volere qualcosa in cambio. Questa è la differenza fra un giusto e un eroe”.
Il ricordo di Gino Bartali passa per questa ‘favola’, ci spiega la nipote Gioia. Lei – 52 anni, residente a Montegranaro – si impegna ancora oggi nel portare in giro la storia di suo nonno. Quella del Ginettaccio campione negli anni ’30-‘50 di Giri d’Italia, Tour de France e altro ancora. Quella del rivale-amico di Fausto Coppi. Non ultimo, quella dell’uomo pieno di valori come la famiglia, il rispetto, la riservatezza e la fede. Valori che lo hanno portato ad essere durante la Seconda Guerra Mondiale, “Gino il Giusto”: il ciclista che grazie alle sue gambe è riuscito a salvare circa 800 ebrei perseguitati dai nazisti-fascisti. Oggi Gioia Bartali porta avanti con orgoglio la storia di suo nonno. Perché “è una storia che al mondo piace, soprattutto ai ragazzi. Per questo vale ancora la pena raccontarla”.
Immagino che in occasione di ricorrenze come il 25 aprile molte persone la cerchino. Di solito cosa racconta? Sottolineo come quella di Gino sia stata una Resistenza “non armata”, al contrario di quella partigiana. O meglio, lui aveva il suo modo di fare la differenza: non avrebbe mai preso in mano un fucile. Si è messo a disposizione degli altri affidandosi unicamente alle sue capacità sportive: percorreva anche 360 km (Firenze-Assisi per capirci) in un giorno per trasportare i documenti falsificati nella canna della sua bicicletta.
Il fatto di essere un 'campione italiano' lo ha favorito? È molto probabile. Venne contattato direttamente dal vescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, che insieme al capo rabbino Nathan Cassuto avevano già messo intessuto la rete clandestina per salvare le persone dai nazifascisti. Dalla Costa aveva già sposato nonno nel ’40, battezzato il figlio – mio padre – nel ’41: c’era un ottimo rapporto fra di loro.
Sembra una storia di altri tempi quella di Gino Bartali. Sfiderei chiunque oggi a fare quello che ha fatto lui, come lo ha fatto lui. Se provassi ad immaginare un idolo sportivo come Cristiano Ronaldo impegnarsi così, di nascosto persino alla famiglia, sarebbe quantomeno bizzarro. Del resto, anche oggi c’è chi fa la differenza: basti pensare a chi si sta prodigando per aiutare i profughi ucraini. Tante storie di solidarietà di cui, però, sentiremo parlare solo tra qualche anno.
Perché è ancora importante raccontare le geste sportive e umane di Gino Bartali? Se lui avesse voluto delle onorificenze, avrebbe dovuto semplicemente raccontare di ciò che aveva fatto durante la guerra, mettendo a repentaglio la sua vita e quella della sua famiglia. Invece no: lui era riservato e rispettoso, in pubblico come nel privato. Oggi, al contrario si va in cerca del riconoscimento a tutti i costi.
Non ha mai parlato male di nessuno? Vi racconto questo: negli anni ’90 fu invitato dal Comune di Montegranaro per un convegno. In quell’occasione gli chiesero di parlare di Fausto Coppi e Giulia Occhini ‘la Dama Bianca’, tanto per mettere pepe allla loro storica rivalità. Nonno rispose: “Non sono qui per parlare dei fatti privati degli altri, sono qui per parlare di sport”.
Domanda di rito: chi passò la borraccia a chi sulla salita del Col du Télégraphe al Tour de France del ’52? È un simpatico trauma che mi porto dietro sin dall’infanzia. Dopo la scomparsa di Coppi, nonno usava fare una controdomanda ai curiosi: “Tu tieni per me o per Fausto?”, e se gli rispondevi “sono Coppiano” allora ti confessava che la borraccia gliel’aveva passata lui. E viceversa. Anche io oggi mi diverto con Faustino e Marina Coppi a tramandare questa rivalità-amicizia così bella.
Qual era secondo lei il loro segreto? Se ne sono date tante a pedali, ma rappresentavano insieme l’Italia post bellica, quella popolare che seguiva assiduamente il ciclismo e celebrava i suoi campioni. Ma nel famoso scatto fotografico io ci vedo soprattutto la solidarietà, un valore da trasmette più che mai oggi ai ragazzi. Gino diceva sempre: “Se lo sport non è solidarietà e scuola di vita, allora non serve a niente”.
Cos'altro ha spinto suo nonno ad agire come ha fatto, durante la guerra? C’era anche la fede fra i suoi valori. Rimase molto scosso dalla morte del fratello Giulio nel ’36, a causa di un incidente. Nonno aveva vinto da pochi giorni il suo primo Giro d’Italia, quando entrò in una profonda crisi a causa di quel tragico evento. Si risollevò grazie al suo amore per famiglia e amici, e addirittura decise di prendere i voti come Terziario Carmelitano.
Quale è stata la prima volta che le ha raccontato la sua storia? Non lo ha mai fatto. Anzi, si arrabbiò persino quando le sue vicende furono riportate nel film “Assisi Underground” attraverso il personaggio interpretato da Alfredo Pea. Fu a mio padre Andrea che raccontò per la prima volta tutto, durante un viaggio, facendogli promettere di tenerlo per sé. “Racconterai questa storia quando sarà il momento giusto”, gli disse.
E lei non è mai stata curiosa? Io e mia sorella abbiamo ricevuto un’educazione ferrea: avevamo imparato anche noi ad essere riservate. Nonno Gino sapeva che di lui ne avrebbero parlato molto di più dopo la sua morte. E fino all’ultimo ha preferito tacere: “certe medaglie si attaccano all’anima, non alla giacca”.
Qual è stata l’ultima cosa che vi siete detti? Non me lo hanno mai chiesto. Il nonno, fra le altre cose, era anche poco espansivo fisicamente. Ma aveva due occhi celesti e buoni che parlavano al posto suo. L’ultima volta che lo vidi, ero andata a trovarlo con mia sorella: lui ormai era in carrozzina, non stava più tanto bene. Gli parlavo, e lui mi rispondeva con i suoi occhi buoni. Poi gli diedi un bacio prima di andare via e una lacrima gli rigò il volto: fu un momento emozionante per me che non lo avevo mai visto piangere.
Classe 1929, Nunzia nasce a Testaccio – il quartiere “rosso” di Roma – il 23 febbraio, figlia di Giovanni ed Elena, entrambi maceratesi. Il fascismo a quel tempo ha già consolidato in Italia il proprio potere – detenuto e rappresentato nella forma più autorervole da Benito Mussolini. Eppure, la ribellione al regime è già in corso: nella capitale i primi gruppi di azione patriottica (di 5-6 persone al massimo) si stanno già formando, e il papà di Nunzia fa la sua parte, da buon antifascista della prima ora.
Le conseguenze non tardano ad arrivare: la famiglia Cavarischia-Tiburzi è costretta a fuggire nelle Marche per non incorrere nelle “punizioni” del regime. Giunti nel maceratese, nella frazione di Acquacanina (Fiastra), Giovanni si unisce al gruppo partigiano “201 Volante”, guidato dal tenente Emanuele Lena detto “Acciaio”.
È il 1943: Nunzia ha 14 anni e segue ovunque il suo “babbo” – come a lei piace chiamarlo – fino a ricevere una richiesta inaspettata: “Te la senti di portare una lettera importante al gruppo di partigiani di Bolzano?”. Inizia così la storia della giovane “Stella Rossa”, come fu poi soprannominata, a bordo della sua bicicletta. Mentre lentamente prende posto anche lei in quello che dall’8 settembre 1943 verrà riconosciuto come “il movimento della Resistenza”.
Cominciamo con una domanda sciocca: non aveva paura quando si spostava per portare i messaggi agli altri gruppi? Quando vedevo da lontano un gruppo di fascisti, li salutavo e gli sorridevo. In questo modo ho sempre evitato che mi controllassero. Essere la più giovane di un gruppo partigiano era piuttosto insolito: qualcuno deve aver pensato che i miei genitori fossero matti.
E lei cosa pensava a quell’età, così giovane? Io seguivo ‘babbo’ in tutto quello che faceva. E quando mi chiese di cominciare a fare la staffetta, non mi sono fatta problemi. Si potrebbe pensare che al tempo fossi un’incosciente, ma invece vi dico questo: sono stati proprio i fascisti e i nazisti, con tutto l’orrore che commettevano, a farmi diventare davvero consapevole.
Quindi lo rifarebbe ancora? Certamente, per almeno un milione di volte. Soprattutto in tempi come quelli che stiamo vivendo oggi.
A tal proposito, che idea si è fatta di quanto sta accadendo negli ultimi mesi in Italia e su chi paragona la Resistenza partigiana a quella ucraina? Mi viene da domandarmi: “Per quale motivo sono morti tanti compagni? Per avere un’Italia così? Questo Paese oggi fa schifo, è in mano a governanti pazzi da legare. Gli ucraini stanno difendendo la loro patria, e fanno bene. Forse, bisognerebbe aiutarli di piu.
Di lei si è raccontato tanto, si è addirittura cantato, e nel 2011 ha pubblicato il suo libro “Ricordi di una staffetta”. Quale episodio custodisce più di altri? Ce ne sono molti, e uno di questi è senz’altro la volta in cui disarmai un giovane segente altoatesino di 21 anni che combatteva nelle file tedesche. Il gruppo di Erivo Ferri aveva assalito un camion nazista vicino il comando di Muccia, ma uno dei soldati era fuggito. Chiesero a mio padre di aiutarli nelle ricerche, e anche io diedi una mano. Finché un giorno, passando da Valcimarra, scoprii che il tedesco si trovava nella casa di una coppia di contadini che conoscevo.
E quando lo ha visto cosa ha provato? Lui era nella stanza da letto disteso, stremato, ferito a una gamba: non si preoccupò certo di una ragazzina. Sulla sedia accanto a lui c’erano un mitra, due bombe a mano e una rivoltella. Non so cosa mi passò per la testa: mandai la sedia all’aria, presi la pistola e gliela puntai contro. Ricordo quel sergente che disse “Anche i bambini ora sono contro di noi”.
Come andò a finire? Lo facemmo prigioniero per una decina di giorni: lui dormiva con mio padre, anche lui ferito. Un giorno questo ragazzo venne da me e mi disse “Tuo papà mi ha fatto capire tante cose: voi difendete la vostra patria, noialtri invece no”. E poco prima che arrivassero gli alleati, scappò via. Non fece mai i nomi dei suoi carcerieri.
Lo ha più rivisto questo giovane sergente? Proprio il 25 aprile del 1997. Dopo essere entrata nell’ANPI di Tolentino, venni a sapere che Domenico Cerasani (tenente colonnello degli Alpini) aveva visto in una trasmissione l’intervista di questo ex soldato, che raccontava – a modo suo – di come era stato fatto prigioniero dai partigiani. Visto che aveva la mia di voler far ricongiungere tedeschi e italiani, Cerasani si mosse fra Roma e le Marche, e così lo rividi.
Come mai accettò di rivederlo? Si chiamava Erich Klemera, e mi raccontò di essere di Bolzano, che era stato obbligato a imparare l’italiano. E, soprattutto, che lui i fascisti li aveva sempre odiati. “Non mi ci pulisco nemmeno le scarpe con loro”, diceva. Aveva voglia di rivedere la ragazzina che lo aveva imprigionato, e da allora siamo diventati amici: ho conosciuto persino la sua famiglia e spesso siamo stati ospiti l’uno dell’altro. Purtroppo se n’è andato un paio di anni fa.
Oggi Nunzia Cavarischia ha 93 anni e vive vicino ad Alessandria, in Piemonte. Come si sente? Sono una bisnonna e vengo assistita da mia figlia Licia: purtroppo il fisico sta cedendo e ho bisogno d’aiuto. Ma mi mancano le mie montagne marchigiane, la mia gente. Sento la nostalgia dei compagni che se ne sono andati: ormai siamo rimasti davvero in pochi. La storia non va come dovrebbe.
Secondo lei la memoria di certi eventi e persone che hanno combattutto per la Resistenza non viene preservata abbastanza? Non viene fatto nella giusta maniera: ogni cosa oggi si realizza in funzione del “dio denaro”. Quello che ci vorrebbe è una vera rivoluzione.
A poche ore dal termine dell'incontro tenutosi ieri in quel di Camerino e promosso dalla Regione Marche per parlare di Pnrr - e in particolare del Fondo complementare aree sisma 2009-2016 - l'assessore alla Ricostruzione Guido Castelli torna a parlare degli interventi che nel breve termine interesseranno il comune camerte. Sono in arrivo, infatti, due bandi - in pubblicazione fra circa un mese, una volta esaminati dalla Corte dei Conti - del valore rispettivo di 1 mln e mezzo (fino a 20 mln) e di oltre 20 mln di euro.
"Si tratta di bandi sportello riferiti ai cosiddetti contratti di sviluppo - spiega Castelli - e rispetto ai quali le imprese possono già cominciare a muoversi per presentare i loro contratti, purché risultino un mix di investimento, ricerca e innovazione. Questa manovra vuole sfruttare il più possibile il Temporary Framework, nato a sostegno dell'economia colpita dal Covid e in scadenza il 31 dicembre 2022, 'salvo proroghe'.
Uno sportello, dunque, della durata di almeno tre mesi dalla pubblicazione dei bandi, la cui struttura però risulta già nota a Regione e imprese. Il che dovrebbe accellerare i tempi delle stesse nel presentare i propri piani d'investimento. "Sappiamo che ci saranno altri interventi in questo senso per tutti gli 85 comuni del cratere - prosegue Castelli - soprattutto perché risulta essere anche il modo più efficace per contrastare la deriva demografica cui stiammo assistendo. Garantire un lavoro oggi è fondamentale, perché le persone si spostano dove sanno di poter vivere meglio. Nel frattempo, però, lo spopolamento in altre zone aumenta".
“I primi dati che abbiamo determinato in seguito all'incendio della Cosmari Srl, e confrontabili con quelli rilevati dalla stazione di qualità dell'aria di Macerata Collevario, sono quelli delle polveri sottili PM10: le concentrazioni medie giornaliere sono inferiori ai 20 microgrammi/m3 (il valore limite è 50). Attendiamo nei prossimi giorni informazioni per quanto riguarda le diossine”.
Così la responsabile del servizio territoriale dell’Arpam di Macerata Paola Ranzuglia ha voluto rassicurare la popolazione sugli effetti del rogo esploso la notte del 15 aprile scorso intorno alle ore 23 presso il capannone del trattamento biologico meccanico della raccolta indifferenziata dell’impianto del Cosmari di contrada Piane di Chienti, tra Tolentino e Urbisaglia. I risultati sinora ottenuti fanno riferimento ai tre giorni circa di monitoraggio, partiti alle ore 7 del giorno 16 aprile.La causa resta imputabile nel malfunzionamento del nastro trasportatore - come confermato anche dal presidente della Cosmari Srl e sindaco di Tolentino, Giuseppe Pezzanesi. Ad oggi, il rischio di danni all’ambiente e alla salute dei cittadini della provincia sembrano scongiurati, ma per avere certezza assoluta bisognerà attendere il risultato dei prossimi rilevamenti.
A fare la differenza, secondo gli accertamenti preliminari condotti in loco da Arpam 24 ore dopo l’accaduto, sarebbero stati non solo il tempestivo intervento dei Vigili del fuoco giunti da Tolentino, Macerata e Civitanova – che hanno domato le fiamme nel giro di un’ora – ma anche le buone condizioni atmosferiche, contribuendo a circoscrivere le fiamme e impedendo di fatto che la nube nera prodotta si disperdesse verso altre zone della provincia.
"La frazione del particolato fine PM10 è importante - prosegue Ranzuglia - perché può essere inalato insieme ai metalli pesanti, gli IPA e le diossine. Il benzoapirene è il tracciante degli idrocarburi e, in quest'occasione, i livelli sono 10 volte inferiori alla soglia di sicurezza per la contaminazione dell'aria; per i metalli si guarda al piombo, all'arsenico, al cadmio e al nikel, dove anche qui i valori di riferimento, in base al D.Lgs. 155/2010, sono al di sotto di 20-100 punti"
"Ma per dare certezza assoluta di scampato pericolo - conclude la direttrice di Arpam - serviranno gli ultimi dati di laboratorio in arrivo la prossima settimana. Le diossine sono un contaminante decisivo nella combustione di materiale plastico, e i risultati ci diranno se sarà opportuno o meno fare ulteriori accertamenti".
Secondo gli ultimi dati diffusi dal Mef riferiti al reddito medio nazionale 2020, le Marche si sono posizionate a metà della classifica (13° posto), confermando una stima di 20.390 euro (20.530 nel 2019) e 1.115.892 contribuenti dichiarati. Andando ad esaminare i singoli capoluoghi di provincia, Macerata (20.866) si attesta al secondo posto subito dopo Ancona (21.920), seguita da Pesaro (20.645), Ascoli Piceno (19.919) e Urbino (19.672).
In generale, il reddito italiano ammontava alla fine dell’anno della pandemia a 865,1 mld di euro, ovvero -19,4 rispetto all’anno precedente. Una contrazione prevedibile, e che al tempo costrinse l’economia ad uno stop traumatico, attutito in parte da alcuni degli interventi messi in campo dal governo, come ad esempio i famosi “ristori”.
Ciononostante, la flessione percentuale ha interessato tutti gli aspetti maggiormente rilevanti: oltre ai contribuenti (-0,8%), a calare sono sati anche imprese (-11%), autonomi (-8,6%), e Irpef (-3,5%). Senza tenere conto, naturalmente, dei 3.546 evasori fiscali contati nel 2020, e che sono costati allo Stato (e quindi agli italiani) circa 80 mld di euro.
Ma se gli effetti più devastanti della pandemia sono stati in qualche modo scongiurati, a preoccupare nell’imminente futuro sono quelli relativi alla crisi energetica, al rincaro dei materiali e alla guerra russo-ucraina. Consapevoli del fatto che il vero motore dell’economia marchigiana è rappresentato dal settore delle piccole e medie imprese e del commercio, l’ipotesi di un drastico calo del Pil regionale appare sempre più realistico. Con conseguenze inevitabili per il reddito medio annuale.
Nel 2020 il prodotto interno lordo si era già ridotto dell’8,8% nelle Marche, registrando una maggiore contrazione nel comparto degli investimenti (-10,6% a fronte del -9,1%) e delle le esportazioni (-11,2%). Contemporaneamente, l’attività produttiva aveva registrato una flessione del 13,5% rispetto al 2019, risultato peggiore di quello rilevato a livello nazionale (-11,6%).
Con le sanzioni messe in campo nelle ultime settimane dall’UE nei confronti della Russia, il quadro generale è destinato a peggiorare: a testimoniarlo sono i dati del primo trimestre diffusi da Confartigianato “Macerata-Ascoli Piceno- Fermo”. L’ultimo questionario, in particolare, ha interessato un campione di imprese, provenienti per il 65,4% dal Maceratese, per il 20,5% dal Fermano, per il 14,1% dall’Ascolano. Il settore più rappresentato è quello della moda (22,2%), seguito da edilizia, impiantisti, ristorazione, trasporti, autoriparazione.
Per il 93,8% degli intervistati la crisi generata dalla guerra Russia-Ucraina e le conseguenti sanzioni UE stanno avendo un impatto diretto o indiretto sulla propria azienda, comportando per l’85,2% degli imprenditori l’aumento dei costi di energia e gas, per il 44,4% mancati incassi e per un 35,8% un calo del fatturato in termini d’export. A questo va ad aggiungersi l’aumento del costo delle materie prime e bloccando la produttività.
Proiettando questi dati sull’intera regione, le conseguenze future saranno: calo dell’occupazione, licenziamenti, investimenti congelati, calo della produttività, crisi ulteriore del binomio domanda-offerta (sia per le assunzioni, sia per il commercio), difficoltà sostanziali per le aziende (sempre più incerte sul futuro, compresi gli investimenti del Pnrr) e, dunque, per le famiglie che saranno sempre più portate a risparmiare sui consumi energetici e sui beni di prima necessità.
Secondo gli ultimi dati Istat, ad oggi sono circa 3800 i deceduti nelle Marche a causa del Covid. L’attuale fase di circolazione del virus, nella nuova sottovariante Xe (+10% contagiosa), deve essere letta anche in rapporto alla ridotta pressione sugli ospedali. La diminuzione dei casi del 6,4% cui stiamo assistendo in Italia è dovuta anche ai sempre meno tamponi eseguiti (-6,5%), dato che rende più complesso il monitoraggio su base nazionale.
Da qui il recente annuncio di Aifa nel voler estendere la quarta dose – più il richiamo annuale – oltre che ai soggetti cosiddetti fragili, anche agli over 50. A questo si aggiunge il via libera ufficiale anche per i medici di base alla somministrazione dei nuovi antivirali. “L’obbiettivo rimane quello di raggiungere al più presto l’immunità di gregge”, afferma il direttore di Malattie Infettive dell’Ospedale di Macerata, Alessandro Chiodera, invitando alla cautela rispetto all’allentamento delle restrizioni.
Stiamo effettivamente andando incontro alla fase endemica del coronavirus? Dobbiamo capire che questo virus non se ne andrà mai via: bisogna prenderne atto e imparare a conviverci il prima possibile. Soprattutto perché ancora non sappiamo se avrà le medesime caratteristiche di un’influenza stagionale.
Come dovremo comportarci rispetto alla nuova sottovariante? Questo virus sta semplicemente continuando a fare quello che gli riesce più naturale, ovvero replicarsi. Se finora la nuova Xe non ha avuto un impatto maligno è perché abbiamo una buona percentuale di popolazione vaccinata. Ma bisogna stare attenti: le persone continuano a morire di Covid. I soggetti fragili sono i più esposti, ma è bene che anche i soggetti più forti a livello immunitario non abbassino la guardia.
Per raggiungere l’immunità di gregge basterà il vaccino? Continueremo anche con la somministrazione di antivirali e monoclonali. Di queste ultime siamo arrivati a quota 200, e la loro copertura arriva fino all’80%. Ma non abbiamo ancora dati certi sull’efficacia a lungo termine: sappiamo solo che in pochi vanno incontro alla fase più grave della malattia. Ciononostante, ho assistito personalmente alla morte di una paziente lo stesso giorno che aveva iniziato al terapia, forse troppo tardi. Il 100% di successo non può essere mai garantito.
Per quanto riguarda la quarta dose, sarà necessario estenderla a tutta la popolazione? Per ora sembra di no, ma se vogliamo raggiungere al più presto l’immunità di gregge è probabile che si debba fare in autunno. Mi rendo conto però che in giro ci sia molta stanchezza riguardo la vaccinazione: per ora pensiamo a concentrarci unicamente sui più fragili.
È saggio secondo lei procedere con l’allentamento delle restrizioni? Bisogna comunicare un messaggio chiaro a tutti i cittadini, che è quello di “non liberalizzarsi troppo”. Credo che mantenere ancora le mascherine al chiuso sia un’ottima scelta.
In questi due anni e mezzo di pandemia i marchigiani come hanno risposto alle misure anti Covid? Le statistiche hanno comunque reso testimonianza di un comportamento non proprio brillante da parte della Regione e i suoi abitanti, rispetto alla vaccinazione. Diciamo che si è agito meglio più per quanto riguarda le mascherine, il distanziamento ecc.
Cosa non ha funzionato secondo lei nella comunicazione scientifica? Si è creata troppa confusione. Se è vero che le conoscenze del virus sono venute fuori un poco alla volta con conseguente variabilità di opinioni, è stato allo stesso tempo un errore confondere le varie figure professionali: epidemiologi con infettivologi, semplici medici con luminari ecc. Le informazioni sono state chieste alle persone sbagliate con conseguente esasperazione da parte delle persone.
Durante la pandemia avete ricevuto adeguata assistenza anche da parte della Regione? Per i farmaci siamo stati in linea col resto del mondo: monoclonali e antivirali sono arrivati da noi quasi subito. Il supporto al personale all’inizio c’è stato con la somministrazione di incentivi, come le borse di studio. Poi però questi incentivi si sono fermati.
La Sanità poteva essere più preparata? Se avessimo mantenuto aperti almeno i reparti di malattie infettive nati negli anni ’80 – per via dell’AIDS – avremmo potuto isolare molti più casi e contenere contagi e ricoveri. Ma si tratta di un discorso generale tutto italiano: invece di mantenerla, si è scelto di rinunciare a un’ottima rete infettivologica non appena è cessato l’allarme HIV.
Il 30 giungo 2022 è la data simbolo per i circa 66 mila operatori sanitari in tutta Italia, reclutati in piena pandemia per contrastare l’emergenza Covid. Anche nella Regione Marche ci si prepara ad uno spartiacque che di fatto deciderà il futuro di oltre 1400 "eroi in camice", reduci dalle criticità conclamate del proprio sistema sanitario: carenza di personale, malagestione da parte dei vertici, strutture ospedaliere inidonee, e - non ultima - una comunicazione scientifica confusa e spesso influenzata da talk show e fake news.
Ad oggi, i precari nelle Marche ammontano a 1246: tra questi, 292 sono medici, 601 infermieri e 353 oss e altri professionisti. Nella provincia di Macerata i rappresentanti del settore si preparano ad affrontare l’annosa questione del rinnovo dei contratti. Soprattutto per quanto concerne il comparto infermieristico, quello messo più a dura prova dall'emergenza.
Si dice fiducioso, in questo senso, il presidente dell’Ordine provinciale degli infermieri, Sandro Di Tuccio, per il quale “sarebbe assurdo oggi non garantire le assunzioni. Con il piano ferie di questa estate, molti operatori provati dal duro lavoro di questi due anni e mezzo potranno finalmente riposarsi. E quindi avremo bisogno di personale che possa sostituirli: i servizi erogati al cittadino non devono fermarsi”.
Oltretutto, c’è da fare i conti anche lo smaltimento delle liste d’attesa per trapianti, tumori e altro, rimaste congelate per dare precedenza alla gestione di contagi e terapie. “Dobbiamo ricordarci - prosegue Di Tuccio - che la pandemia non è finita: dopo l’estate dovremo fare attenzione a non subire nuove ricadute. Se poi consideriamo che l’obbligo vaccinale scadrà il prossimo 31 dicembre, le assunzioni vanno necessariamente garantite. Per ora noi addetti ai lavori possiamo appellarci al decreto 34, legge 77/2020. Il resto sta al buon senso di governanti e direttori delle aziende ospedaliere”.
Ad oggi, come questi ultimi intendano reperire i fondi necessari a garantire le “stabilizzazioni” non è ancora dato saperlo. Un po’ per il destino incerto del Pnrr – prossimo alla revisione – e un po’ per scelte politiche che la Regione Marche dovrà in qualche modo riuscire a bypassare.
“Abbiamo avuto in questi giorni un primo confronto con l’assessore Saltamartini – spiega il segretario provinciale del Nursind Matteo Rignanese – al quale abbiamo presentato le nostre proposte per far ripartire al meglio il servizio sanitario. Le assunzioni sono la priorità, e purtroppo riguarderanno solo una piccola fetta dei precari. Di mezzo ci sono i requisiti minimi per poter accedere al rinnovo del contratto, come l’aver maturato almeno 18 mesi di servizio, di cui 6 durante l’emergenza. Per adesso la formula ha funzionato per Area Vasta e Marche Nord, ora attendiamo il bando per Ospedali Riuniti”.
Il rischio di nuovi tagli, però, è dietro l’angolo. Cosa che finirebbe col mettere definitivamente in ginocchio l’intero insieme delle dotazioni organiche. “Se non verranno accolte le nostre richieste, useremo ancora i nostri mezzi di protesta – spiega Rignanese –. Le problematiche legate al Covid sono figlie di quelle decisioni scriteriate del passato che hanno provocato la forte carenza di personale sanitario, come ad esempio l’aver abbassato il tetto massimo di spesa per le assunzioni. Ora basta con le scelte politiche”.
Nel comune di Muccia, come nelle altre località colpite dal sisma del 2016, la ricostruzione si è di nuovo fermata. Ma non le persone. Se la crisi energetica e dei materiali hanno obbligato all’ennesimo stop dei lavori, a mantenere acceso il cuore dei residenti è stata l’emegenza umanitaria che da quasi due mesi vede protagoniste le famiglie ucraine in fuga dalla guerra.
Al progetto di accoglienza messo in atto dall’Andrea Bocellli Foundation già nel mese di marzo, il sindaco Mario Baroni e i muccesi hanno aderito forti dei valori di solidarietà e inclusione che solo chi ha vissuto il dramma del terremoto può davvero comprendere.“Ci troviamo di fronte a due situazioni diverse, ma che in qualche modo ci accomunano – spiega Baroni – Contro gli eventi naturali non puoi fare nulla, mentre una guerra viene provocata per scelta. Per noi è stato naturale metterci subito a disposizione per accogliere e sostenere chi sta fuggendo dall’Ucraina. Insieme alla Croce Rossa siamo andati a Cracovia a prendere le prime famiglie e le abbiamo portate qui da noi”.
Sono circa 20 le persone – fra donne e bambini – finora ospitate in altrettanti container (una volta abitati dagli operai), nell’attesa che si liberino alcune delle 164 strutture SAE. Ipotesi, quest’ultima, sempre più probabile, considerando il graduale abbandono della zona da parte dei residenti. Soprattutto dei più giovani, in cerca di una prospettiva di vita migliore.
“Nonostante le richieste avanzate e i bandi a cui abbiamo partecipato, Muccia non sembra rientrare abbastanza nei criteri dell’emergenza abitativa - prosegue Baroni - Il lavoro delle imprese è stato fatto convergere verso altri comuni, eppure anche noi ne abbiamo urgente bisogno. Di questo passo, ci vorranno almeno 15 anni per tornare un minimo alla normalità. Nel frattempo, però, le persone, continuano ad andarsene via”.
Oggi si lavora per garantire al meglio l’accoglienza per i rifugiati ucraini: un tetto sopra la testa, da mangiare, un’istruzione ai bambini, sostegno psicologico per affrontare il dramma di quei parenti e amici che hanno deciso di rimanere. "Mi sono commosso - aggiunge il sindaco di Muccia - quando ho visto i ragazzi delle elementari e i più piccoli dell'asilo salutare i bambini ucraini con uno striscione di benvenuto e regalando loro del materiale scolastico. Un gesto di pace meraviglioso".
“Anche io ho alcuni famigliari che sono rimasti in Russia e Ucraina – ci racconta Marina, di origine ucraina (Vinnitsa), 33 anni di cui 17 vissuti nelle Marche, e nell’ultimo mese mediatrice linguistica per conto della Bocelli Foundation – ma non ci sentiamo spesso per via del controllo esercitato dai russi sui mezzi di comunicazione. Mi rattrista il fatto che molte cose di questa guerrra non vengano raccontate: i cadaveri dei civili abbandonati o costretti nelle fosse comuni, altri usati per nascondere le mine anti-uomo, lo sciacallaggio dei militari che documentano via web le loro razzie nelle case abbandonate”.
C’è anche chi a Muccia cerca di cotinuare a condurre una vita per quanto possibile normale. Come il signor Pietro (83 anni), ex dirigente pubblico trasferitosi nel piccolo borgo dal 2010 insieme alla moglie per godersi la pensione. E che dopo il dramma del sisma per il quale è stato costretto a lasciare la propria casa si ritrova oggi a tirare le somme sull'inefficenza della politica italiana e sulla consapevolezza che “chi fugge dalla guerra deve essere aiutato senza alcuna scusa”.
La pandemia, la crisi russo-ucraina. E prima ancora quella economica 2008-2014. Non ultime, le scelte politiche degli ultimi 20 anni. Le piccole e medie imprese delle Marche si preparano a vivere il loro momento più buio dall’inizio del nuovo millennio, testimoniato soprattutto da una ripartenza post Covid inattuabile. Le ragioni principali? Mancanza di lavoro e di manodopera.
Sebbene rispetto al 2021 la Regione abbia segnato una crescita dell’occupazione (+0,8% rispetto al 2021), i livelli pre-pandemia sono ancora lontani (-2,5%). E gli effetti già tangibili della guerra nell’Est Europa non faranno che ripercuotersi negativamente sulle aziende e – di conseguenza – sulla forza lavoro, che si orienterà sempre più fuori dai confini nazionali.
A dichiararlo è il segretario generale di Confartigianato Macerata-Ascoli-Fermo Giorgio Menichelli, che fa notare anche come la popolazione marchigiana sia scesa sotto gli 1,5 mln di residenti. A marzo 2022, il tasso occupazionale nella regione era di 4 lavoratori su 10, cui va aggiunta la mancanza degli oltre due terzi con specializzazioni specifiche. Soprattutto nell’edilizia, nella manutenzione e in tutte le attività di pubblico esercizio, come la ristorazione.
A cosa è dovuta la situazione attuale del mercato del lavoro? Un mismatch, o disequilibrio, fra domanda e offerta. Prima ancora dell’emergenza sanitaria, c’era già uno scontro fra le aspettative dei giovani appena subentrati nel mercato e quelle delle aziende.
Colpa di un corto circuito nella comunicazione? Non solo: i problemi strutturali e congiunturali dell’intera filiera hanno inciso sulla mancata progettazione di qualifiche professionali. Manca la volontà di formare le persone.
Un problema anche culturale, quindi? Certamente, le aziende oggi puntano esclusivamente all’attitudine di chi vuole essere assunto e se coincide con i propri obbiettivi di crescita. Dall’altra parte, però, chi si propone non è in cerca solo di un merito economico, ma anche di un ambiente sociale e di una possibilità di carriera in grado di soddisfarlo.
Negli ultimi 20 anni le imprese hanno guardato unicamente al profitto e non alla crescita socio-culturale? Sebbene il profitto sia un presupposto primordiale, una buona impresa deve anche dare risposta attiva sul territorio, finanziando eventi e contribuendo a 360° alla crescita del Paese. I giovani oggi cercano aziende dinamiche e innovative: e per sapere come agire al meglio bisogna ascoltare le loro esigenze.
Nell’immediato, quali interventi dovrebbero essere effettuati per la ripartenza della Regione Marche? Avere una conoscenza profonda del tessuto economico e sburocratizzare quanti più passaggi possibili. Ad esempio, velocizzare i tempi per formare i lavoratori, altrimenti la carenza di manodopera non verrà mai compensata e le aziende continueranno a contendersi tra di loro le poche eccellenze presenti.
Vanno riviste anche determinate scelte politiche? Una politica forte, presente sul territorio, può solo portare benefici. Ad oggi sono previsti 350 mln di euro da parte del Fondo Sociale Europeo, ma se non cambia l’attuale cultura del lavoro queste risorse rischiano di perpetrare lo stesso vecchio meccanismo. Senza margini di autentica crescita.
Abbiamo di fronte anche le conseguenze di crisi energetica e dei materiali. Conseguenze che avranno impatto prettamente sulle piccole e medie imprese. Le sanzioni messe in atto oggi nei confronti della Russia non risolveranno la guerra, ma faranno solo male alla nostra economia. Basti considerare i tremendi effetti nelle Marche anche sul settore calzaturiero, rimasto completamente bloccato.
Perché allora il governo italiano le appoggia? La politica guarda unicamente agli accordi internazionali, non ai bisogni dei cittadini. Lo scenario peggiore è che la guerra – come dicono già gli esperti – possa durare ancora a lungo: ripartire sarà ancora più difficile, visto che il Pnrr verrà revisionato. I giovani continueranno ad emigrare, e l’Italia diventerà l’ospizio del mondo.
Lei cosa direbbe oggi a suo figlio per convincerlo a non lasciare il Paese? Di portare avanti studio e lavoro, insieme. Di contribuire alla crescita culturale delle Marche e dell’Italia, tenere duro il più possibile. Certo, le aspirazioni crescono e i genitori devono lasciare liberi i propri figli di andare via, se vogliono. I ragazzi oggi fanno più sacrifici di quanto non si immagini.
Dopo essere stato messo a dura prova durante gli ultimi due anni di pandemia, il Servizio sanitario nazionale deve tornare a fare i conti con la questione delle assunzioni. Oltre alla generale carenza di personale, si aggiungono oggi i circa 66 mila “eroi in camice” che il prossimo 30 giugno rischiano di rimanere per strada. Di questi, 20.064 medici, 23.233 infermieri e 22.732 fra operatori sociosanitari e altri professionisti. Tutti reclutati al tempo con contratti flessibili per fa fronte all’emergenza Covid.
Se si escludono gli specializzandi e i quiescenti, risultano 54 mila i candidati all’assunzione a tempo indeterminato. Di questi, a loro volta, solo 43 mila risponderebbero ai requisiti dell’ultima Legge Bilancio che prevede – fra le altre cose - la maturazione di almeno 18 mesi di servizio, di cui 6 durante l’emergenza. Il problema, a questo punto, viene girato direttamente alle aziende sanitarie, molte delle quali con i conti in rosso. Difficile dunque per “gli aspiranti camici” sperare nella futura assunzione.
Si tratta dell’effetto più pesante e a lungo termine della famigerata spending review operata fra il 2014 e il 2020, che portò a un risparmio complessivo di appena 40 mld di euro (a fronte di 870 mld di uscite statali). I tagli maggiori, purtroppo, furono proprio quelli operati alla Sanità, che in dieci anni ha potuto assumere solamente 46 mila operatori. Di questi, tre quarti senza specializzazione specifica.
Puntare oggi alle stabilizzazioni – per le quali da mesi medici e operatori discutono con il Governo – significherebbe un primo passo, seppure debole, verso una normalizzazione del lavoro. Ad oggi, la Legge di Bilancio avrebbe fissato il tetto della dotazione al fondo sanitario a 124 mld di euro, che nel 2024 diventerebbero 128. In più, ci sarebbero anche i circa 15 mld previsti dal Pnrr. Denaro che comunque non basterebbe a risolvere i problemi principali della Sanità nostrana.
Insieme ai 35 mila operatori prossimi alla pensione, si calcolano anche 58.339 infermieri in uscita. E le ipotetiche stabilizzazioni lascerebbero a spasso ancora 20 mila camici bianchi. A questo, si aggiungono l’emergenza legata al recupero delle liste d’attesa accumulate a causa della pandemia – fatto che ha favorito uno spostamento sempre più massiccio degli utenti verso la sanità privata – e gli oneri da 124 mld di spesa sanitaria (dati MEF) che le Regioni dovranno sostenere per non far chiudere i loro ospedali.
Un'inaugurazione solenne, nel segno dell'Europa e della ripartenza. Ma soprattutto, dei giovani. L'Università di Macerata è entrata ufficialmente nel suo 732° anno accademico, con una cerimonia che ha preso il via da piazza della Libertà con un corteo di circa 80 bandiere in rappresentanza dell'Europa e i suoi studenti.
Grande accoglienza per la Ministra dell'Università e della Ricerca Maria Cristina Messa che ha definito UniMc "struttura di alto profilo sociale e culturale, capace di essere davvero presente sul territorio. I professori devono andare incontro ai giovani, ascoltare le loro esigenze". E sul via libera dato nelle ultime ore alla doppia laurea: "Si tratta di un segnale importante di ripartenza: gli studenti sanno essere trasversali, e bisogna metterli in condizioni di condurre al meglio il loro percorso". Non sono mancate parole per l'Ucraina: "Continuiamo a muoverci per aiutare studenti russi e ucraini in fuga dalla guerra. L'obbiettivo è costruire con loro un forte legame di solidarietà".
Una cerimonia importante anche per il rettore Francesco Adorno, che quest'anno porterà a termine il suo mandato. "Abbiamo bisogno di un rinascimento Europeo. 150 mln di euro è il prezzo dei cantieri messi in piedi per risollevare l'università dopo il sisma del 2016. Oggi guardiamo al futuro dei giovani, ai quali va garantito uno spazio che sia simbolo di inclusione, partecipazione e solidarietà. Con la guerra in corso il messaggio da mandare è quello di un'Europa aperta, e di una cultura che non deve fermarsi"
All'interno della cornice del Teatro Lauro Rossi, il rettore ha infine invitato a sfruttare al meglio l'occasione offerta dai fondi del Pnrr. "Nell'Anno Europeo dei Giovani voglio dedicare agli studenti le parole del presidente Mattarella: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché solo così potrete restituirlo alla società".
Secondo gli ultimi report dell’Oms, anche in Italia avrebbe cominciato a circolare la terza mutazione di Omicron, denominata Xe. Il nuovo prodotto virale – scoperta in Gran Bretagna già nel mese di gennaio – è una ricombinazione delle varianti 1 e 2, con un tasso di contagiosità superiore del 10%. Dunque, sulla carta fuori dallo stato di emergenza, ma non dalla pandemia.
Sebbene si stia avvicinando la stagione più calda, prosegua la campagna vaccinale e le restrizioni più severe siano state allentate, il Bel Paese non dovrà comunque abbassare la guardia nei prossimi mesi. Nell’attesa di disporre di dati ufficiali circa la reale possibilità di contrarre la malattia e, di conseguenza, sull’efficacia del vaccino, scienziati ed esperti hanno già invitato alla prudenza, e a continuare nel rispetto delle norme più basilari - igienizzazione e mascherina -, oltre a sottoporsi al ciclo completo delle tre dosi.
Nel frattempo, l’Italia continua a registrare numeri tutt’altro che confortanti: gli ultimi bollettini del Ministero della Salute evidenziano una variazione della curva epidemiologica compresa fra i 50mila e i 70mila nuovi casi al giorno (oltre i livelli di guardia), con un tasso di positività stabile intorno al 15% e i ricoveri a quota 10mila. E se in questo senso le ospedalizzazioni sembrano rimanere stabili, a preoccupare maggiormente è la fascia degli anziani e degli immunodepressi, per i quali la nuova sottovariante Xe potrebbe risultare fatale.
Su una platea di 791.376 persone, solo il 10% (62mila) ad oggi si è sottoposto alla quarta dose, cui si aggiunge un milione e 200 mila over 70 che ancora non hanno completato il normale ciclo vaccinale. Dati che se accostati alla copertura raggiunta finora dalla fascia 5-12 anni (ferma al 34%) e all’esclusione totale dalla profilassi per i più piccoli, alimentano di fatto il rischio di contrarre la malattia da Covid 19 nei soggetti più fragili .
Inoltre, rimane l’incertezza sulla necessità della quarta dose per il resto della popolazione. Per le opportune valutazioni bisognerà attendere i prossimi dati del Ministero della Salute, tra circa dieci giorni. Naturalmente, previo monitoraggio anche da parte dell’Oms. Una cosa appare certa per gli esperti: il SARS-CoV-2 continua ad evolversi, lasciando aperta la possibilità di nuove ondate di contagio.
“Stiamo andando incontro alla fase di endemizzazione del virus – ha spiegato il direttore del Campus Bio-medico di Roma Massimo Ciccozzi – ma è opportuno ricordare che il rischio zero in epidemiologia non esiste: lo hanno dimostrato la prima variante ricombinata Deltracron e la più attuale Xe. Un ruolo importante lo gioca in questo senso la mancata osservanza delle cautele: per questo il virus continuerà ancora a circolare e le persone ad ammalarsi”.
Il 2022 sarà l'anno dei giovani, secondo la Commissione Europea. E anche l'Università di Macerata è pronta a raccogliere la sfida, mentre si prepara all'inaugurazione ufficiale del suo 732° anno accademico, che si terrà venerdì 8 aprile alle ore 11 presso il Teatro Lauro Rossi. Un'iniziativa che punta i rilfettori sul presente e il futuro della gioventù europea, come spiega il rettore Francesco Adornato (al suo ultimo anno in carica): "più verde, più inclusivo, più digitale. Dopo i fatti della pandemia e il Pnrr in arrivo, l'Ateneo deve cambiare passo e dare centralità alle esigenze dei giovani iscritti".
Nella conferenza tenutasi oggi e che aniticipa la cerimonia di venerdì - e che ospiterà anche la Ministra Maria Cristina Messa -, anche il presidente del Consiglio degli studenti Lorenzo Di Nello ha voluto sottolineare l'importanza di far tornare protagonisti del futuro i giovani studenti. "Ad oggi sono circa 10mila gli iscritti provenienti da tutta Europa, a dimostrazione che c'è voglia e consapevolezza da parte della nostra comunità. Spesso i docenti non intercettano quelli che sono i nostri bisogni, ma senza di noi l'università e la città di Macerata non possono crescere".
Parole accolte anche dal direttore generale Mauro Giustozzi, che ha rinnovato l'impegno di UniMc rispetto alle risorse offerte dal Pnrr nella missione 'Istruzione e ricerca'. In particolare, l'attezione si rivolge al bando per l'edilizia che scadrà a luglio 2022, e che permetterebbe all'Ateneo di usufruire di almeno 21mln di euro. "Un finanziamento importante per recuperare i nostri spazi accademici - ha spiegato Giustozzi - e renderli fruibili per gli studenti e i professori di oggi e di domani. Vogliamo valorizzare funzionalità e bellezza: al più presto presenteremo i nostri progetti"
La cerimonia di venerdì sarà anticipata alle ore 10.30 dal corteo in piazza degli accademici - con circa 80 bandiere in rappresentanza dell'Europa - cui seguirà il saluto delle autorità locali, fra cui il sindaco Sandro Parcaroli e il presidente del Consiglio Regionale Dino Latini. Fra le grandi novità del nuovo anno accademico spiccano la seconda edizione del Premio Antonio Megalizzi - presenti all'inaugurazione i genitori e amici in rappresentanza dell Fondazione dedicata allo studente vittima dell'attentato di Strasburgo nel 2018 - e la lezione introduttiva che sarà tenuta eccezionalmente da studenti e ricercatori freschi di nomina, proprio per onorare il protagonismo dei giovani.
A Macerata e provincia, tra il 2002 e il 2020, registrato un crollo demografico di oltre 16.000 abitanti. A riferirlo i dati ISTAT, che segnalano un calo del tasso di natalità pari al 21,2% (6,7 nati ogni mille abitanti). Molto peggio nelle altre province della regione. Tra le cause non solo pandemia e terremoti.
Il grave problema demografico nel Maceratese risulta evidente anche in base al rapporto fra nati e morti negli ultimi 5 anni: dal 2016 il numero dei deceduti è stato doppio rispetto a quello dei bebè. Nel biennio 2020-2021, soltanto i comuni di Bolognola e Montecosaro hanno registrato un saldo naturale positivo rispetto all’indice zero di tutti gli altri: i nati sono stati due in più rispetto ai morti.
A incidere ulteriormente sul quadro demografico di Macerata e provincia è stato il flusso di emigrati: nel triennio 2018/2020 sono state ben 22.425 persone a lasciare la provincia, 3.954 delle quali sono giovani che hanno deciso di trasferirsi all’estero.
Il 2021, influenzato dall’emergenza Covid, ha segnato un forte default – 6,5 nati ogni mille abitanti – e nel 2022 si prospetta una prosecuzione del trend. Numeri che si fanno più pesanti per le altre province: ad Ascoli il tasso di natalità segna oggi un -25%, seguita da Fermo (-25,9%), Ancona (-29,5%) e Pesaro – Urbino (-32,2%).
Nel 2020, a livello nazionale il crollo delle nascite è stato del 28%. Si tratta del dato peggiore fatto registrare dall’inizio del millennio: circa 125.550 i nuovi nati in meno. Un andamento che trova nel 2008 il suo spartiacque: all’epoca a impattare maggiormente furono la recessione economica e la crisi finanziaria.
Nel 2013 i nuovi nati per la prima volta sono scesi sotto il milione e mezzo, giustificando l’introduzione del bonus bebè (80 euro, Legge di Stabilità 194/2014) allo scopo di incentivare le nascite sostenendo le spese delle famiglie.
Il Consiglio d’Amministrazione della Banca di credito Cooperativo di Recanati e Colmurano ha salutato – dopo quattro anni - il direttore Fabio Di Crescenzo e accolto il suo successore Davide Celani. Presenti, il presidente Sandrino Bertini e i vice Paolo Maggini e Gerardo Pizzirusso che si sono detti “ambiziosi sui piani di crescita del Gruppo BCC, in linea con gli obbiettivi sinora raggiunti”.
Un’occasione anche per fare il punto sul Bilancio del 2021, chiuso con il risanamento di alcuni degli indici più importanti: fra questi, il 'Texas Ratio' (sceso al 20% rispetto al 2017), che misura il rapporto fra credito deteriorato e patrimonio netto. E l'annuncio della prossima apertura di una filiale nella zona di Civitanova Marche.
Il passaggio di testimone fra Di Crescenzo e Celani vuole mettere a confronto anche quelle che sono state da una parte le difficoltà durante la pandemia e dall’altra quelle che si affacciano oggi - per tutto il territorio marchigiano - in virtù degli sviluppi della guerra in Ucraina (fra caro energia e mancanza di materie prime).
“Quando mi insediai alla guida della BCC – ha dichiarato il direttore uscente Di Crescenzo – ho trovato una situazione critica. Molto è stato fatto per recuperare il rapporto con il territorio, e oggi possiamo vantare numeri eccellenti.
Anche durante il Covid non ci siamo risparmiati: a differenza delle altre banche, la nostra task force ha lavorato ininterrottamente, erogando crediti a cittadini e imprese in base al Decreto Liquidità del 2020. Nella difficoltà abbiamo colto le opportunità, e oggi siamo tornati in perfetta salute”.
“Nel solco della tradizione, ma con uno sguardo al futuro. È lo spirito con il quale mi appresto a raccogliere l’eredità del mio predecessore – ha spiegato il neo direttore Celani – e ad affrontare le novità che verranno.
I nostri dipendenti sono la spina dorsale delle relazioni con i clienti: per questo intendo conferire maggiore dinamicità al Gruppo BCC, investendo in corsi di formazione e processi di carriera per mantenere alta la motivazione. Vogliamo riuscire ad accogliere le esigenze di tutti i soci, le aziende e le eccellenze delle Marche”.
Di seguito, il servizio:
Un’apparecchiatura di ultima generazione, cardine della diagnostica pesante ad alta tecnologia, sistemata nei nuovissimi 126 mq del reparto di Radiologia. Una spesa complessiva di 736.357,84 euro. L’Ospedale di Macerata ha inaugurato ufficialmente la sua risonanza magnetica di ultima generazione, ottenuta grazie all’importante contributo finanziario da parte della Fondazione della Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata.
A presenziare al taglio del nastro presso l’Aula Biblioteca del nosocomio, la direttrice di AV3 Daniela Corsi e la presidente di Carima Rosaria Del Balzo Ruiti, insieme anche al sindaco Sandro Parcaroli, il vescovo Nazareno Marconi, la consigliera regionale Anna Menghi e la presidente della Commissione Sanità Elena Leonardi. Grande assente alla cerimonia, l’assessore Filippo Saltamartini.
Nell’ambito dell’intera Area Vasta 3, la nuova strumentazione top di gamma (tomografo modello Magnetom Sola di Siemens) affiancherà quella già presente per la TAC, fornendo di fatto una maggiore accuratezza nelle diagnosi – soprattutto per quel che riguarda il tumore mammario, quello alla prostata e nella zona addominale, le miocarditi, le cardiomiopatie e le displasie aritmogene, patologie legate al sistema nervoso – e consentendo quindi alle altre attività sanitarie (come quelle assistenziali e ospedaliere) di svolgere in maniera più efficace e rapida il proprio lavoro.
“Abbiamo dimostrato di saper rispondere alle esigenze di tutti – ha dichiarato Del Balzo Ruiti – con responsabilità ed efficienza. Il nostro è stato un contributo studiato e discusso, per evitare sprechi e avere parte attiva insieme a tutti gli addetti ai lavori in quello che è l’impegno di migliorare sempre di più i servizi alla cittadinanza maceratese”.
“Il nuovo tomografo e i nuovi locali per la radioterapia – ha commentato Corsi – ci permetteranno di predisporre prestazioni all’avanguardia, e a disposizione anche di tutte le altre Aree Vaste della regione”.
“La collaborazione e il lavoro di squadra dà i suoi frutti – ha aggiunto Menghi – e la Fondazione Carima si è dimostrata ancora una volta un grande punto di riferimento per tutta la provincia di Macerata, e non solo. Insieme possiamo superare anche tutte le altre criticità”.