Crisi del lavoro nelle Marche, Confartigianato: “Le sanzioni alla Russia peggioreranno la nostra economia”
La pandemia, la crisi russo-ucraina. E prima ancora quella economica 2008-2014. Non ultime, le scelte politiche degli ultimi 20 anni. Le piccole e medie imprese delle Marche si preparano a vivere il loro momento più buio dall’inizio del nuovo millennio, testimoniato soprattutto da una ripartenza post Covid inattuabile. Le ragioni principali? Mancanza di lavoro e di manodopera.
Sebbene rispetto al 2021 la Regione abbia segnato una crescita dell’occupazione (+0,8% rispetto al 2021), i livelli pre-pandemia sono ancora lontani (-2,5%). E gli effetti già tangibili della guerra nell’Est Europa non faranno che ripercuotersi negativamente sulle aziende e – di conseguenza – sulla forza lavoro, che si orienterà sempre più fuori dai confini nazionali.
A dichiararlo è il segretario generale di Confartigianato Macerata-Ascoli-Fermo Giorgio Menichelli, che fa notare anche come la popolazione marchigiana sia scesa sotto gli 1,5 mln di residenti. A marzo 2022, il tasso occupazionale nella regione era di 4 lavoratori su 10, cui va aggiunta la mancanza degli oltre due terzi con specializzazioni specifiche. Soprattutto nell’edilizia, nella manutenzione e in tutte le attività di pubblico esercizio, come la ristorazione.
A cosa è dovuta la situazione attuale del mercato del lavoro? Un mismatch, o disequilibrio, fra domanda e offerta. Prima ancora dell’emergenza sanitaria, c’era già uno scontro fra le aspettative dei giovani appena subentrati nel mercato e quelle delle aziende.
Colpa di un corto circuito nella comunicazione? Non solo: i problemi strutturali e congiunturali dell’intera filiera hanno inciso sulla mancata progettazione di qualifiche professionali. Manca la volontà di formare le persone.
Un problema anche culturale, quindi? Certamente, le aziende oggi puntano esclusivamente all’attitudine di chi vuole essere assunto e se coincide con i propri obbiettivi di crescita. Dall’altra parte, però, chi si propone non è in cerca solo di un merito economico, ma anche di un ambiente sociale e di una possibilità di carriera in grado di soddisfarlo.
Negli ultimi 20 anni le imprese hanno guardato unicamente al profitto e non alla crescita socio-culturale? Sebbene il profitto sia un presupposto primordiale, una buona impresa deve anche dare risposta attiva sul territorio, finanziando eventi e contribuendo a 360° alla crescita del Paese. I giovani oggi cercano aziende dinamiche e innovative: e per sapere come agire al meglio bisogna ascoltare le loro esigenze.
Nell’immediato, quali interventi dovrebbero essere effettuati per la ripartenza della Regione Marche? Avere una conoscenza profonda del tessuto economico e sburocratizzare quanti più passaggi possibili. Ad esempio, velocizzare i tempi per formare i lavoratori, altrimenti la carenza di manodopera non verrà mai compensata e le aziende continueranno a contendersi tra di loro le poche eccellenze presenti.
Vanno riviste anche determinate scelte politiche? Una politica forte, presente sul territorio, può solo portare benefici. Ad oggi sono previsti 350 mln di euro da parte del Fondo Sociale Europeo, ma se non cambia l’attuale cultura del lavoro queste risorse rischiano di perpetrare lo stesso vecchio meccanismo. Senza margini di autentica crescita.
Abbiamo di fronte anche le conseguenze di crisi energetica e dei materiali. Conseguenze che avranno impatto prettamente sulle piccole e medie imprese. Le sanzioni messe in atto oggi nei confronti della Russia non risolveranno la guerra, ma faranno solo male alla nostra economia. Basti considerare i tremendi effetti nelle Marche anche sul settore calzaturiero, rimasto completamente bloccato.
Perché allora il governo italiano le appoggia? La politica guarda unicamente agli accordi internazionali, non ai bisogni dei cittadini. Lo scenario peggiore è che la guerra – come dicono già gli esperti – possa durare ancora a lungo: ripartire sarà ancora più difficile, visto che il Pnrr verrà revisionato. I giovani continueranno ad emigrare, e l’Italia diventerà l’ospizio del mondo.
Lei cosa direbbe oggi a suo figlio per convincerlo a non lasciare il Paese? Di portare avanti studio e lavoro, insieme. Di contribuire alla crescita culturale delle Marche e dell’Italia, tenere duro il più possibile. Certo, le aspirazioni crescono e i genitori devono lasciare liberi i propri figli di andare via, se vogliono. I ragazzi oggi fanno più sacrifici di quanto non si immagini.
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