Ercoli (Eurosuole–Goldenplast): “Dazi USA al 15%, ma il calzaturiero è stato dimenticato”
Germano Ercoli, imprenditore simbolo della manifattura marchigiana e presidente di Eurosuole e Goldenplast, interviene sull’accordo siglato in Scozia tra il presidente americano Donald Trump e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che ha fissato al 15% l’aliquota sui dazi tra USA e UE, con l’esclusione temporanea di acciaio e alluminio.
“Era un dato ormai scontato – afferma Ercoli – Trump ha un modo di trattare più da uomo d’affari che da politico. Aveva sparato inizialmente al 30%, per poi chiudere a un’aliquota inferiore. Si poteva pensare al 15%, e così è stato. Ma ora bisogna capire quanto inciderà davvero sull’export europeo verso gli Stati Uniti”.
Per Ercoli la criticità più seria è l’effetto combinato tra dazio e svalutazione della moneta americana: “Il dollaro, dall’inizio dell’anno, ha perso circa il 15% di valore. Sommato al 15% del dazio, parliamo di un 30% in meno di competitività per le nostre imprese. È difficile da digerire. Anche per questo si parla sempre più spesso della necessità di svalutare l’euro o di rivalutare il dollaro”.
Il presidente di Eurosuole non nasconde la propria delusione per la scarsa attenzione al comparto moda e calzature nell’intesa transatlantica: “Mi dispiace che di scarpe e abbigliamento si sia parlato poco. Forse anche per colpa delle nostre associazioni, che non hanno mai spinto gli organi d’informazione come avrebbero dovuto. Se ne fossero stati più evidenti i benefici, magari avremmo potuto ottenere un’esenzione. In America non producono calzature come le nostre: avrebbero potuto passarle senza dazio”.
Eurosuole non esporta direttamente verso gli Stati Uniti, ma fornisce suole a clienti che lo fanno. “Un nostro cliente italiano con sede a Miami è convinto che riuscirà a superare le difficoltà legate all’aliquota. Anche lui si aspettava il 15%. È fiducioso e speriamo davvero che abbia ragione”.
Secondo le stime, il settore calzaturiero marchigiano genera circa 200 milioni di euro l’anno in export verso gli USA. “All’inizio potremmo accusare un contraccolpo – aggiunge Ercoli – ma non si andrà a zero. Resta però l’impressione che a livello associativo si sia fatto poco per far emergere il peso reale del nostro settore”.
L’imprenditore marchigiano allarga lo sguardo agli effetti macroeconomici dell’intesa: “Il cliente americano pagherà i prodotti europei più cari, e questo genererà inflazione. Non a caso la Federal Reserve ha deciso di non abbassare i tassi d’interesse. È chiaro che si temono effetti a catena. A quel punto non escludo un possibile dietrofront, se la pressione interna aumenterà”.
Ma è soprattutto il tema energetico a preoccupare Ercoli: “L’Unione Europea ha firmato un impegno per acquistare 750 miliardi di dollari in energia e armamenti dagli Stati Uniti. È un segnale di forte dipendenza strategica, che ricade direttamente sui costi delle imprese. In Italia, già penalizzata dai prezzi energetici più alti d’Europa, questo significa dover rigassificare il gas americano a Piombino, Ravenna e in altri porti, pagandolo molto di più. Forse – conclude – sarebbe il caso di rimettere sul tavolo anche la questione del metano dalla Russia, se si riuscisse a trovare una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina”.
Ercoli conclude con realismo e una richiesta chiara al sistema Paese: “Questo passo con gli Stati Uniti andava fatto: l’incertezza era insostenibile. Ma ora serve uno sforzo politico e industriale per ridurre i dazi nel tempo e per dare finalmente voce a settori – come quello calzaturiero – che rappresentano il meglio del Made in Italy nel mondo”.
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