Guerra e psicosi nucleare: FOFI e Federfarma bocciano le pillole di iodio. Ecco perché
La guerra russo-ucraina con il rischio di una nuova Chernobyl e la paura delle radiazioni nucleari. Nell’ultima settimana, gli sviluppi della crisi in Europa Orientale hanno avuto fra i suoi effetti più significativi quello di lasciar temere agli italiani la possibilità di un nuovo disastro come quello del 1986.
All’epoca, fra le minimizzazioni delle autorità italiane e il reale impatto della nube radioattiva, il tutto si risolse con il divieto di consumo di latte e verdura (considerati gli alimenti più a rischio contaminazione), nonché con le prime importanti mobilitazioni di massa che nel giro di un anno portarono al referendum abrogativo rispetto all’abbandono del nucleare da parte dell’Italia.
Trentasei anni dopo, lo scenario è ancora una volta localizzato nel territorio ucraino, seppure in un altro contesto storico-politico. Ad oggi, sotto il tiro delle bombe di Putin rischiano di finirci ben 4 centrali nucleari in funzione, per un numero complessivo di 15 reattori operativi e 2 ancora in costruzione. Fra questi, anche il sarcofago blindato di Chernobyl che – a distanza di poche ore in cui sembrava esserne stata ripristinata l’attività di controllo – si trova nuovamente con la rete elettrica danneggiata e, di conseguenza, a rischio instabilità.
Quanto basta per far scattare nel nostro Paese – sul filo sottile delle notizie vere e quelle “fake” – una nuova psicosi di massa che ha portato molte persone a fare scorta di pillole di iodio solo nel weekend appena trascorso. Ma si tratta davvero di una soluzione reale contro l’esposizione da radiazioni?
“Questa frenesia non ha alcun senso – ha dichiarato il presidente della Federazione degli ordini dei farmacisti italiani (FOFI) Andrea Mandelli -. Al momento non c’è alcuna emergenza riguardante le radiazioni e l'assunzione delle compresse di iodio come forma di prevenzione non ha alcun fondamento scientifico. Inoltre, l’abuso alimentato dal fai da te delle pillole può comportare danni gravi alla salute, in particolare alla tiroide”.
“In Italia non esiste alcuna indicazione terapeutica per l'uso pillole allo iodio – ha aggiunto il segretario nazionale di Federfarma e presidente del Pgeu, Roberto Tobia -. Potrebbero fare eccezione quei Paesi Europei dove sono presenti centrali nucleari: in quei casi un sistema di alert collegato ai telefoni cellulari delle persone avvisa dove poter ritirare gratuitamente le compresse di iodio e come assumerle. Ma non è il nostro caso, visto che in Italia non abbiamo né centrali nucleari né eventi catastrofici in corso”.
La corsa alla iodioprofilassi è stata sicuramente incentivata negli ultimi giorni dall’aggiornamento del “Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari” (4 marzo 2022): una revisione sbrigativa richiesta soprattutto in occasione dell’ultima Conferenza delle Regioni.
L’allarmismo generatosi ha evidenziato come in molti casi sfugga il reale scopo farmacologico dello “iodio stabile” – diffuso soprattutto nel trattamento della tiroide e in casi di condizioni fisiologiche specifiche (donne in gravidanza o allattamento). Quest’ultimo, infatti, è stato progettato per contrastare gli effetti di quello radioattivo (iodio 131) nei casi in cui venga assimilato “incidentalmente” in dosi massicce.
Il rischio maggiore – a questo punto - è quello di contrarre il cosiddetto carcinoma tiroideo, che aumenta nella fascia di età 0-18 anni e tende a ridursi sensibilmente negli adulti – fino ad annullarsi dopo i 40 anni. Gli effetti biologici di una potenziale fuoriuscita di materiale radioattivo dipendono poi da diversi fattori, come la quota, il tipo stesso di materiale radioattivo disperso, la distanza a cui un individuo si trova rispetto alla sorgente radioattiva e l’andamento della nube tossica che potrebbe colpire alcuni territori più di altri.
Commenti