La guerra ferma le rinnovabili, Macerata potrebbe andare a biometano. Legambiente: "Presentata road map"
Il 2022 sembrava l’anno d’oro della transizione ecologica in Italia: sviluppo della mobilità sostenibile, delle aree marine protette e interventi diretti per un minore e migliore sfruttamento delle risorse energetiche estratte dal suolo. Ma la guerra ha fermato tutto. E adesso Legambiente Marche pensa a soluzioni alternative anche per Macerata.
Solo nel primo trimestre – anche in virtù della crisi ucraina - si è registrato un aumento del 131% sulle bollette della luce e del 94% su quelle del gas. Per correre ai ripari rispetto alla dipendenza energetica dalla Russia, il presidente del Consiglio Draghi ha dato il via libera per far ripartire trivelle e impianti a carbone. Che però, insieme, riuscirebbero a coprire a malapena l’8% del fabbisogno nazionale.
Secondo Wwf, Greenpeace e Legambiente, l'attuale sconvolgimento geopolitco potrebbe fornire un nuovo slancio agli obbiettivi 'green' prefissati per il 2025. Ma occorre considerare la futura revisione del Pnrr. "Bisogna intervenire sul piano locale” - afferma il gruppo Legambiente Marche attraverso le parole del suo presidente Marco Ciarulli, che già nelle ultime settimane si è detta contraria alla riattivazione delle trivelle nell’Adriatico – corrispondenti a circa 1300 giacimenti attivi, di questi appena 500 utilizzati con continuità. Direttamente dal mare arriva il 54,6% del gas autoprodotto, interessando le coste di Veneto, Emilia Romagna e Marche.
È ancora possibile pensare a una transizione ecologica in breve tempo? Abbiamo presentato negli ultimi giorni con un comunicato congiunto (Legambiente, Wwf e Greenpeace) quelle che sono le nostre proposte per riuscire a produrre energia rinnovabile al 100% entro il 2036. La transizione non sarà immediata, ma è necessaria per uscire dal ricatto del gas fossile.
E sono proposte concrete? Valgono a livello nazionale. Per ogni regione poi bisognerà indagare sulle caratteristiche territoriali. Gli interventi vanno contestualizzati. Da sempre ci battiamo per le energie rinnovabili e la riduzione dei consumi.
Qual è la situazione nelle Marche? Qui abbiamo il fotovoltaico a terra, e copre un quinto del nostro fabbisogno energetico. Ma se non lo avessimo, dipenderemmo completamente dai combustibili fossili.
Una soluzione quindi sarebbe incrementare questo esercizio? Dobbiamo massimizzare gli impianti a terra, ma senza esagerare. E poi ne vanno contestualizzati di nuovi in prossimità dei centri abitati, dove ci sono scuole, edifici pubblici. Inoltre, occorre impegnare le comunità energetiche e puntare anche sull’eolico.
Quali sono le difficoltà di attuazione? Ad oggi sono sempre state legate alla strumentalizzazione politica del tema e all’eccessiva burocrazia. Basti pensare che il primo impianto offshore è nato in Puglia dopo un iter autorizzativo di 14 anni.
Sul piano provinciale invece avete individuato possibilità concrete? Certo, per esempio a Macerata e in altre province potrebbe essere sfruttato il biometano. Ma dal 2018 – anno in cui il decreto ministeriale ne incentivò l’utilizzo – nelle Marche siamo rimasti a zero impianti di biometano. Nonostante potremmo produrne tanto, visto il numero delle nostre imprese agricole sul territorio.
Come mai? La politica malvagia costruita intorno, sulla linea delle cosiddette sindromi Nimby e Nimto. Si promuove una narrazione completamente sbagliata, visto che il biometano riduce sensibilmente anche l’impatto ambientale. Della serie “va bene tutto, ma non durante il mio mandato elettorale”.
Con la crisi energetica in atto, si vogliono riattivare anche le trivelle in mare. Voi continuate ad opporvi? Assolutamente sì. Non solo hanno un grave impatto sull’ambiente, ma richiedono un investimento oneroso. Che tra l’altro ci darebbe modo di autoprodurre una percentuale di energia irrisoria e per poco tempo per sostenere l’economia.
Perché il Paese è così in ritardo sulle rinnovabili? Si è sempre ricercata la soluzione più confortevole, che però ci ha portato alla situazione di dipendenza attuale. E dire che con compostaggio e biostabilizzazione copriremmo quasi ad occhi chiusi il 10% del fabbisogno nazionale di gas. Occorre lo sforzo di sbloccare gli iter autorizzativi e velocizzare il sistema.
Nel frattempo, anche gli investimenti nella transizione ecologica con i fondi del Pnrr rischiano di bloccarsi. Questo dipenderà dalle scelte politiche che verranno messe in campo. Noi con le nostre dieci proposte presentate al governo vogliamo dettare una road map per approdare alle rinnovabili il prima possibile. Diversamente, potremo anche arrivarci un giorno. Ma con tempi sicuramente più lunghi e con conseguenze pesanti per l’uomo e l’ambiente.
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