Nelle Marche, e non solo, capita sempre più di frequente avvistare branchi di lupi che scorrazzano nelle vicinanze delle abitazioni o nei campi e boschi in prossimità delle strade interpoderali dove spesso le persone si recano per passeggiare o dedicarsi a una corsa.
Molteplici sono stati gli avvistamenti nell'ultimo periodo nelle campagne di Treia e l'ultimo risale a qualche giorno fa, in zona Schito, quando un giovane lavoratore ha visto spuntare dal grano ancora verde quattro lupi che si aggiravano indisturbati sotto un tiepido sole primaverile, in pieno giorno.
La presenza di questi affascinanti predatori che popolano le nostre campagne, arrivando anche in prossimità dei centri urbani e persino delle spiagge, apre una questione più generale sulla necessità di una convivenza informata e rispettosa che tuteli l’essere umano da una parte e una specie protetta, come quella del lupo, dall’altra.
Ma come sono arrivati a popolare habitat diversi da quello più prettamente appenninico e ad avvicinarsi sempre di più all’uomo? E come bisogna comportarsi nel caso in cui s’incontra un lupo? Lo abbiamo chiesto al comandante del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale, Agro- Alimentare e Forestale di Macerata, Simone Di Donato: “Come Arma Forestale stiamo formando il personale perché ci sarà sempre una maggiore interazione tra l’uomo e i lupi. Innanzitutto, come prima cosa, occorre individuare, attraverso la certificazione degli esperti zoologi, le caratteristiche che distinguono il ‘canis lupus familiaris’ dal lupo puro; potrebbero esserci anche degli ibridi dati dall’incrocio con i cani”.
Per quanto concerne la storia della diffusione di questa specie animale, gli anni Settanta hanno segnato una fase d’importante cambiamento: “Dall’inizio degli anni '70- prosegue Di Donato-, quando i lupi erano circa 300 esemplari, si è assistito a un importante incremento riproduttivo: oggi sono circa 3000 i lupi che popolano tutta la zona appenninica. Questo è il risultato diretto di una maggiore tutela ambientale.
Un tempo, la caccia al lupo era incentivata economicamente; fino agli anni Settanta, i cacciatori ricevevano 150.000 lire per ogni lupo abbattuto. Inoltre, va ricordato che il lupo, con il suo ruolo di super predatore e bioregolatore, è una figura chiave nell’equilibrio ecologico.
La presenza di questo animale influisce profondamente sull’ambiente circostante, fino a modificare addirittura il corso dei fiumi. Predando specie animali, come i caprioli, che si nutrono degli apparati radicali delle piante lungo i fiumi, il lupo favorisce un più ampio e variegato sviluppo della vegetazione, che a sua volta, incide sul tracciato dei fiumi. Deve esserci”.
Tuttavia, l’espansione demografica umana, con il conseguente aumento di quelli che vengono definiti gli “attrattivi” per le specie selvatiche, ha fatto sì che quest’ultime si sono ritrovate a consumare fonti di cibo alternative e più facilitate, a portata “di fauci”, come i rifiuti prodotti degli uomini. Questa vicinanza ha dato vita a nuove sfide nella gestione della convivenza tra uomo e lupo.
A tal riguardo, “l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA)- spiega il Comandante Di Donato- sta attualmente elaborando un protocollo per la gestione dei cosiddetti “lupi confidenti”, tipologia che, non temendo più l’uomo, si avvicina alle abitazioni di quest’ultimo. Nello specifico, Il ‘Lupo confidente’ è un termine utilizzato per descrivere un lupo solitamente giovane in fase di dispersione, che ha lasciato il proprio branco originario per cercare nuovi territori dove stabilirsi e, eventualmente, formare un nuovo gruppo. Questi lupi sono esemplari che, avendo acquisito una certa autonomia, si avventurano anche in zone abitate dall’uomo, attratto da fonti di cibo facilmente accessibili come rifiuti, animali domestici, colonie feline o pollai.
Per rendersi conto della loro forza, basti pensare che un lupo può sbranare un cane in pochi secondi; ha una potenzialità cinque volte il peso del cane e un apparato muscolare molto più forte. Va detto anche che avvengono più morti a causa di cani come Pitbull o Rottweiler ma non si può affatto parlare di ‘rischio zero’ con i lupi”.
A proposito di rischio, la valutazione di quest’ultimo legata ai lupi e alla loro interazione con gli esseri umani coinvolge diversi parametri e protocolli. Quando un lupo diventa potenzialmente pericoloso per l’uomo, ci sono alcune situazioni da considerare: la prossimità alle abitazioni a meno di 30 metri per diversi giorni, il comportamento dell’animale nel caso in cui questo consente ripetutamente agli esseri umani di avvicinarsi a una distanza inferiore a 30 metri; potrebbe essere spia di un interesse o mancanza di timore verso l’uomo. Se è il lupo stesso ad avvicinarsi più volte sempre alla stessa distanza di qualche decina di metri, allora è un ulteriore segnale di allerta.
“In caso di pericolosità accertata- conclude Simone Di Donato- è possibile intraprendere diverse azioni; ad esempio, si ricorre a un collare gps per monitorarne gli spostamenti. Tuttavia, se il lupo diventa troppo pericoloso, potrebbero essere necessarie misure come l’allontanamento. A tal proposito l’Arma Forestale sta mettendo in campo alcune iniziative tra cui quella della creazione di squadre di dissuasione con proiettili di gomma. Queste squadre sono ancora in fase embrionale e richiedono un vaglio attento delle azioni da intraprendere nei confronti di una situazione che in futuro sarà da gestire perché il lupo c’è e occorre imparare a conviverci”.
Pertanto, a livello preventivo, le indicazioni sono quelle di evitare di “addomesticare” un lupo dandogli da mangiare, di tenere l’immondizia in appositi contenitori e di mettere al sicuro i propri animali domestici e da cortile. Nella rara situazione in cui avvenga un incontro ravvicinato, la prima raccomandazione è quella di fermarsi e iniziare a far rumore il più possibile, anche battendo le mani. Occorre evitare gli eccessivi allarmismi ma non si può nemmeno sottovalutare il rischio d’interazione con il lupo, rispettando quel discrimine naturale tra essere umano e essere predatore selvatico.
La tragica vicenda consumatasi il giorno di Pasqua nelle campagne di Corridonia, dove un anziano ha messo fine alla vita della moglie affetta da Alzheimer per non vederla più soffrire, impone la necessità di aprire un focus sulla realtà complessa di questa malattia e sulle conseguenze che essa comporta per i familiari. Una patologia la quale, nonostante l’indiscutibile difficoltà e sofferenza che genera, molto spesso è resa ulteriormente più ostacolata a causa di una mancanza di informazione e formazione.
In questo contesto, emerge, più che mai, il bisogno di una rete di supporto capillare e costante che, a Macerata, trova la sua realizzazione nella sede di ‘CircolaMente’.
Quest’ultima è il luogo d’incontro della comunità vicina alle persone con demenza, situato in via dei Velini, dove l’innovativo e pionieristico progetto della ‘Città Amica’ prende vita. A introdurlo è la stessa presidentessa dell’Associazione Nazionale Alzheimer Uniti Italia, Manuela Berardinelli: “da diversi anni stiamo portando avanti, a livello nazionale, il progetto della ‘Città Amica’ che amiamo definire con la P maiuscola perché più che un progetto è proprio un cambio di mentalità, è un modo di porsi verso la persona fragile. Teniamo presente che in Gran Bretagna ci sono circa 350 Dementia Friendly Community e noi l’abbiamo iniziato, a livello sperimentale come Alzheimer Uniti Italia, a Macerata: ad oggi in Italia ci sono quattordici città che seguono il nostro modello”.
Come per tutte le ‘Città’, il cuore pulsante è rappresentato dalla piazza, dal luogo di incontro, di scambio, dove le storie personali trovano rispondenza in quelle collettive; è in questo contesto che: “ è fondamentale- afferma Berardinelli- avere quella che noi chiamiamo la ‘piazza col tetto’; ossia il luogo in cui ci si incontra per il gusto di stare insieme perché la ‘Città Amica’ altro non è che la riscoperta di una comunità. Una comunità vera dovrebbe sempre avere un atteggiamento di comprensione e aiuto verso la persona fragile e, come dico sempre, il Covid ci ha fatto scoprire che ognuno di noi può essere tale”.
Grazie a questo progetto ogni individuo è riconosciuto, valorizzato e sostenuto. È un approccio che non solo aiuta chi è affetto da demenza, che per molti anni può continuare a vivere la socialità seppur con un’attenzione alla malattia, ma che rinnova e arricchisce anche l’intero tessuto sociale: “Molto spesso- prosegue Manuela Berardinelli- quando avviene la diagnosi, per ignoranza o per protezione, questa non viene accolta per cui avere intorno una società che sa riconoscere il bisogno, lo sa intercettare nelle strade e sa come intervenire è fondamentale. Non solo per la persona con demenza ma per ciascuno di noi: se è vero, come è vero, che la salvaguardia della persona in quanto tale deve essere una condizione di qualsiasi società che voglia essere una comunità”.
A tal riguardo, particolarmente evocativo è il logo, rappresentato da un abbraccio, da un’intera comunità che abbraccia la persona fragile la quale, in questo caso, è quella affetta da demenza, ma può essere chiunque; ognuno è mosso dalla necessità di riscoprirsi parte di un insieme.
Al centro dell'azione di CircolaMente vi è un impegno tangibile e costante verso la sensibilizzazione e la formazione della comunità attraverso molteplici programmi educativi rivolti a varie categorie professionali e alla cittadinanza in generale.
A entrare nel dettaglio della formazione è la dottoressa Susanna Cipollari, neuropsicologa e coordinatrice nazionale del Progetto ‘La Città Amica’: “a Macerata abbiamo iniziato questo percorso ormai da 5 anni, formando le categorie esposte al pubblico e che possono essere utili al momento del bisogno. Il progetto coinvolge un ampio spettro di professionisti: dalle forze dell’ordine ai commercianti, dai ristoratori agli addetti comunali e delle poste. La formazione dovrebbe riguardare tutti”.
La persona affetta da demenza o Alzheimer, dall’oggi al domani non può più fare delle cose che, se da una parte sono indubbiamente rese più complicate dalla malattia, dall’altra sono ostacolate da una mancanza di informazione e di sensibilizzazione verso l’esterno.
A dimostrarlo sono i questionari che vengono sottoposti a CircolaMente prima di cominciare il percorso di formazione. Quest’ultimi sono stati studiati e realizzati da tutta un’equipe altamente specializzata per fare il punto zero e capire che cosa effettivamente si conosce della malattia.
Per comprendere come una visione comune e generalizzata possa costituire dei limiti sia per la persona malata sia per coloro che le stanno accanto, basti analizzare le risposte di un’intervista finalizzata a conoscere il grado di socialità che hanno le persone con demenza.
Ciò che viene fuori è che al massimo vanno in chiesa. Vengono impedite loro tutte le attività che fino al giorno prima facevano, per un senso di protezione ma anche e soprattutto per disinformazione: “La formazione a 360 gradi - prosegue Susanna Cipollari-diventa quindi essenziale per creare una comunità più accogliente e inclusiva, dove la persona con demenza torna a essere protagonista della propria vita; per esempio può fare ancora degli acquisti, se trova un addetto o una cassiera che è un po’ più attenta, più disponibile”.
Pertanto, se si cambia approccio verso la persona affetta da demenza, ci si rende conto che, nonostante la malattia, si apre una prospettiva diversa che oltrepassa i più stretti confini domestici e va in direzione di uno spazio inaspettatamente più esteso; è il caso dell’iniziativa, senza precedenti, che ha riguardato la ‘Vacanza al mare delle persone con demenza’.
Un’iniziativa in un primo momento per nulla presa in considerazione e che è sorta sul desiderio espresso da una persona che, nonostante i suoi novantuno anni, desiderava ardentemente vedere il mare per la prima volta: “sembrava quasi impossibile-dichiara Susanna Cipollari- ma dopo aver verificato con i familiari, abbiamo scoperto che era un desiderio autentico. Questa è la dimostrazione che, come scrive Battiato, ‘ I desideri non invecchiano mai, nemmeno con l’età’”.
Il progetto ha preso vita nel 2021, in piena pandemia, a Cesenatico, località romagnola nota per la sua ospitalità, in concomitanza con l’Alzheimer Fest. Per l’occasione è stata organizzata un’equipe, composta da psicologi, infermieri, educatori e operatori socio-sanitari, pianificando nel minimo particolare una routine quotidiana con momenti al mare e laboratori pomeridiani.
“È stata impegnativa- spiega la dottoressa Cipollari- ma con la giusta organizzazione pensata sulle persone e sulle loro storie di vita, al millimetro, abbiamo visto che la vacanza è possibile e abbiamo riscontrato anche dei grandi benefici; persone che erano totalmente apatiche e depresse, dopo la vacanza, si sono riattivate e questa riattivazione è durata più settimane. Non ci sono stati disturbi comportamentali e soprattutto abbiamo riscontrato un altro aspetto: che i ricordi emozionali rimangono”.
A tal riguardo, anche senza ricordare il nome del luogo della vacanza, i partecipanti hanno chiesto, a distanza di tempo, di poter tornare nella stessa località dove erano stati, dimostrando di conservare, dal punto di vista delle emozioni, dei ricordi vividi dell’esperienza vissuta.
La fondatrice e presidentessa Manuela Berardinelli, in merito all’iniziativa della vacanza, ha tenuto a ricordare con particolare orgoglio che il presidente Mattarella in persona, chiamandola al suo numero, le ha espresso tutta la sua ammirazione e il suo plauso, riconoscendo l’importanza di un approccio inedito in Italia che valorizza la continuità e l’attenzione alle storie di vita individuali.
Tornando alla formazione, l’aula centrale all’interno della sede di CircolaMente in cui vengono svolti i corsi, è intitolata a Girolamo Colonna, per la Fondazione omonima con sede a Macerata, che, fin dagli albori dell’associazione, ha costantemente sostenuto e finanziato importanti iniziative come ‘Caffè Alzheimer’, rendendo così possibile una rete di sostegno che pone al centro, integrandola nel tessuto comunitario, la persona più fragile: “non è solo il discorso di sostegno economico-precisa Berardinelli-è stata una Fondazione che ci ha sempre accompagnato”.
Un altro progetto che la Fondazione, da subito, si è detta pronta a sostenere, ma che ancora non ha trovato realizzazione, è quello dei ‘Percorsi della Città Amica’; con l’aiuto dell’architetto Darvo di Firenze sono stati identificati e proposti miglioramenti per le vie cittadine di Macerata, rendendole più fruibili non solo per chi soffre di demenza, ma anche per ipovedenti e altre situazioni di difficoltà.
“Siamo un esempio da seguire per tante città”, prosegue Berardinelli, “se riusciamo ad attuarlo noi poi gli altri ci seguono. Credo senza ombra di dubbio che potremmo essere i primi in Europa a realizzare il progetto dei Percorsi della Città Amica”.
Tra gli altri progetti in cantiere il ‘Pronto Soccorso della Città Amica’, la ‘Cassa della Città Amica’ ecc., progetti che si scontrano, a volte, con la burocrazia ma, conclude la presidente, “confidiamo nel fatto che le progettualità, quando sono a servizio della persona, poi vengono condivise da tutti”.
In quest’ambito della formazione CircolaMente porta avanti anche il discorso della prevenzione rivolto a tutti gli over 65, facendo uno screening della memoria e organizzando dei laboratori che si dettagliano in quattro ambiti: la nutrizione, l’attività fisica, la socialità e l’attività cognitiva.
“La prevenzione- afferma la dottoressa Cipollari- gioca un ruolo cruciale, poiché un intervento tempestivo può fare la differenza: a disposizione c’è un ampio ventaglio di terapie, sia farmacologiche che non. Tra queste, la socializzazione emerge come strumento prezioso, insieme alla stimolazione cognitiva e a interventi psicosociali mirati, che mostrano significativi benefici, specialmente quando sono personalizzati. Agire in tempo è fondamentale; così facendo, l’evoluzione della malattia rallenta sensibilmente, consentendo molti anni in cui è possibile avere una buona qualità di vita”.
Nella villa tardo liberty che per sessant’anni è stata la sede della Nazareno Gabrielli e di Poltrona Frau sta per aprire Interno Marche, il "design experience hotel" pensato e voluto dal Cavalier Franco Moschini, legato a doppio filo con l’edificio di viale Cesare Battisti.
Rinasce così l’edificio che dai primi del ‘900 ha reso Tolentino un punto di riferimento per la pelletteria dopo quattro anni di cantiere e un intervento di recupero e trasformazione degli spazi che ne ha restaurato gli affreschi, modulato i grandi spazi di opificio novecentesco, integrato le antiche vasche di concia e li ha messi in dialogo con i lavori dei più grandi designer italiani e internazionali.
Le 30 camere dell’hotel sono difatti dedicate alla storia del design internazionale e ai suoi protagonisti con 25 camere e 5 suite long stay. Le camere sono tutte diverse una dall'altra e ispirate, ciascuna, allo stile del progettista a cui sono intitolate oltre che a 5 movimenti stilistici che hanno attraversato l’ultimo secolo: Arts & Crafts, Secessione Viennese, il Movimento Moderno, il Pop e il Radical.
Michele De Lucchi, Marc Newson, Gae Aulenti, Vico Magistretti, Giò Ponti e Achille Castiglioni sono solo alcuni dei designer rappresentati attraverso ambientazioni, linee e pezzi iconici. A essere raccontati sono i principali interpreti del design che hanno collaborato e contribuito al successo delle aziende presiedute da Franco Moschini nel corso della sua lunga vita imprenditoriale.
Stanza dopo stanza, oggetto dopo oggetto – sono oltre 400 i pezzi iconici che trovano spazio in Interno Marche – l'hotel trasmette le atmosfere di autori dagli anni '40 del secolo scorso fino ai giorni nostri.
Interno Marche si sviluppa su due piani più la torretta di Villa Gabrielli a cui si aggiungono un giardino da oltre 1.500 m2 e una dependance di nuova costruzione in cui si trovano le 5 suite per i soggiorni più lunghi (alcune di esse dotate anche di cucina).
Lobby, sala colazione e lounge bar trovano spazio nella grande sala a 3 campate che fu il cuore pulsante della produzione mentre il bistrot restaurant, – materie e sapori del territorio rivisitati in chiave contemporanea dallo chef Marco Faiella – la SPA e la palestra si trovano al piano terra.
L’opificio Bistrot e lounge bar, sarà aperto – a pranzo e a cena – anche ad ospiti dall'esterno mentre SPA e palestra saranno ad esclusivo uso degli ospiti dell'hotel.
Interno Marche è un luogo legato a doppio filo alla storia e alla comunità di Tolentino, a partire dalla sua vocazione manifatturiera. Per questo, dal 15 al 20 aprile, la comunità locale potrà visitare l’hotel in anteprima e prenotare un tavolo al bistrot. L’intento è quello di mantenere saldo il legame con la città, che potrà così iniziare da subito a vivere questo spazio sotto una nuova luce.
Il nome dell'hotel vuole essere un richiamo alla collocazione geografica in cui la struttura sorge – l'interno della regione Marche, appunto – e all’interior design di cui l’hotel è essenza. Ma fa anche riferimento al genius loci dell’industrioso territorio di Tolentino, caratterizzato da sempre da un grande fermento ideologico e culturale.
Dichiara Carlo De Mattia, CDO della Moschini Spa: “Interno Marche nasce innanzitutto per dare l’opportunità a questo territorio di essere conosciuto e riconosciuto da un vasto pubblico, nazionale e internazionale, grazie anche al supporto della Fondazione Design Terrae, che ha curato il progetto di comunicazione e coordinato gli allestimenti artistici della struttura. Questo luogo è pensato come espressione del bello, buono e ben fatto di questa comunità e che pertanto, a cui si sente profondamente legato”.
La Moschini ha deciso, ormai da tempo, di affidare un compito così delicato nella cura di un progetto come questo a uno studio architettonico giovane dei dintorni, nella fatti specie l'ORAstudio. Non a caso la maggior parte delle maestranze che hanno lavorato a questo progetto appartengono al territorio. Alla base c’è una precisa volontà: quella di dare spazio a giovani professionisti che si sono trovati a confrontarsi con nomi importanti.
A tal riguardo, Cristiana Antonini e Claudio Tombolini di ORAstudio, responsabili del progetto architettonico e di interior design, affermano: “Essere stati scelti per questo incarico è stato per noi un orgoglio e una responsabilità e ci ha dato l'opportunità di valorizzare un edificio simbolo della nostra città e di trasformarlo in qualcosa di unico. Siamo intervenuti in quello che è stato un contenitore di storia del nostro territorio perché – con Interno Marche – divenga un contenitore di storie legate al mondo del design. Abbiamo adottato un modello di ‘ricostruzione sostenibile’ che rende Interno Marche il primo hotel al mondo a beneficiare della doppia certificazione di sostenibilità Gbc Historic Building e Leed V4 for Hospitality. Questo dimostra che si può fare un intervento di architettura contemporanea in un edificio storico, coniugando il lato estetico e poetico con quello tecnico come testimoniato da certificazioni di valore internazionale”.
Conclude Franco Moschini: “Paesaggio, patrimonio storico e artistico e capacità manifatturiera sono stati fattori che, in vari modi, hanno indirizzato, supportato e guidato il mio “fare”. L’ultimo progetto in ordine di tempo, quello che più raccoglierà l’eredità di una storia, è proprio questo hotel: sarà un luogo unico, da cui partire per il racconto vivo di un territorio a cui è ancorato. Un luogo in grado di conservare i ricordi ma allo stesso tempo di guardare al futuro usando il design di prodotto come fil rouge”.
Nella cornice della sala riunioni delle associazioni di categoria, si è svolta questa mattina una conferenza stampa cruciale organizzata da Confindustria, che ha visto la partecipazione di figure chiave nel settore dell’edilizia e dell’architettura. Tra i presenti, Enrico Crucianelli, presidente Ance, Paola Passeri, presidente Collegio Geometri Macerata, Giovanni Salvucci, Anaepa Confartigianato Loredana Camacci Menichelli, vicepresidente dell’Ordine degli Architetti e Matteo Petracci del Cna settore edilizia, che hanno affrontato un tema di bruciante attualità: la “34esima modifica del Superbonus e il rischio che corre la ricostruzione”.
Prima di entrare nel vivo dei vari interventi tecnici, dove verranno evidenziate le conseguenze e gli effetti collaterali di questa modifica che vede la scadenza del Superbonus alla fine del 2024 e una mancanza di parametri e somme certe, questa, in estrema sintesi è la premessa: in un processo edilizio, la certezza del budget è un elemento imprescindibile. Senza questa, non è possibile strutturare alcun intervento. Per quanto concerne la ricostruzione post-sisma, fin dall’inizio, ha mostrato che il contributo massimo, calcolato su una somma per metro quadro in base al tipo di danno, non è mai stato adeguato.
L’esplosione dei prezzi, seguita alla pandemia e al conseguente Superbonus, ha reso necessario l’aumento dei contributi. Tuttavia, anche questo incremento non è riuscito a soddisfare le necessità a causa di una situazione diversificata: per edifici con danni minori si sono potute fare scelte diverse, ma per i danni gravi il contributo non è mai stato sufficiente, seppur fondamentale.
Di fronte a questa incertezza, il settore ha dovuto adattarsi, cercando di conciliare due meccanismi con dinamiche e regole profondamente diverse: il ‘Contributo parametrico’ iniziale e il ‘Superbonus’, subentrato in un secondo momento. Una soluzione sembrava essere stata trovata, ma ora, con la modifica del Superbonus valido, al momento, fino alla fine del 2024, sorge la domanda: come si procederà?
A prendere per primo la parola durante la conferenza, moderata da Manuela Berardinelli,è stato il presidente Ance Enrico Crucianelli: "Voglio innanzitutto riconoscere e ringraziare l’operato del commissario Castelli perché ha dimostrato la volontà di portare avanti la ricostruzione con determinazione. Tuttavia bisogna dire che questo provvedimento sconta una scarsa chiarezza sulle nuove pratiche e su quelle già presentate. In particolare, in merito a quest’ultime, va chiarito se vanno a concorrere o meno dentro questo plafond di 400 milioni che è stato dedicato al cratere per il 2024.Proprio sulla questione del plafond dell’anno corrente non vi è alcuna nota su quello che succederà nel 2025: se sarà necessario e se ci sarà un altro plafond dedicato al Superbonus. Tutto questo non può che determinare una totale incertezza e quest’ultima si va a ripercuotere sulle aziende che si trovano a dover prendere delle decisioni in merito alla contrattualizzazione di interventi che vanno oltre l’anno in corso. Conseguenza di tutto questo è il blocco delle progettazioni”.
“Riteniamo- prosegue Crucianelli- che questo intervento sia negativo e per certi versi immotivato per la ricostruzione: se, come appare chiaro, la volontà dei legislatori è quella di mettere in sicurezza i conti pubblici non possiamo non rilevare che l’entità del super bonus relativa agli ormai ambiti residuali non può incidere in maniera importante sui conti dello Stato. L’auspicio principale è quello che venga stracciato l’articolo 1 e riteniamo fondamentale un aumento del contributo adeguato, una misura tale da garantire la non necessità di accollo da parte dei committenti: questa deve essere la via maestra”.
Poi, il turno di Paola Passeri: “ L’ennesimo stop, dal 2016, è caduto come un fulmine a ciel sereno in un momento in cui i progetti erano decollati e la ricostruzione era nel pieno. Il Commissario Castelli ha fatto molto nell’ultimo periodo però è vero che, di nuovo, ci ritroviamo a dover capire quello che dobbiamo fare sia per quanto riguarda le pratiche che sono già state presentate, perché non abbiamo certezze se riusciamo a portarle a termine nel 2025, sia per quanto riguarda quelle che devono partire e per le progettazioni in corso che non sono ancora state presentate”
“Oggi- dichiara Passeri-non si sa se questo plafond messo a disposizione potrà essere esaustivo. Occorre un’ulteriore proroga: non possiamo parlare di un Superbonus se ci sarà fino al 2024 perché le pratiche che iniziano oggi, per la ricostruzione pesante, richiedono tempi più lunghi. La richiesta che viene fatta è di avere certezze; occorre riportare le persone nelle abitazioni, nell’entroterra e per questa finalità dobbiamo avere una situazione chiara, definita. Oltre a chiedere il mantenimento del superbonus chiediamo che ci debba essere l’aumento del costo parametrico adeguato. Oggi la committenza deve sapere qual è il costo dell’opera e quello dell’accollo. La grande precarietà che ha creato in questo momento l’uscita di questo decreto è data dall’incertezza di una scelta di progettazione unitamente alla committenza”.
Giovanni Salvucci è intervenuto a dare una visione dal punto di vista delle piccole e medie imprese del settore artigiano: “si sconta ancora di più, rispetto alle grandi aziende, l’incertezza normativa e la difficoltà a trovare cessionari per il credito d’imposta che impedisce alle imprese di firmare contratti di appalto.
Le difficoltà che abbiamo è la cessione da parte dell'impresa al sistema bancario; c'è una lotta quotidiana per accaparrarsi qualche piccolo plafond che manifestano problemi di natura fiscale da parte delle banche. La chiusura di quest’ultime comporta per le imprese di dover cercare alternative al sistema bancario quindi a enti gestionali non bancari di scarsa affidabilità e di costi enormi che costringono così l’impresa a doverli ribaltare sul committente”.
“Il limite dei 400 milioni- conclude Salvucci- potrebbe non essere sufficiente; oggi tutti i progettisti, tutti i committenti accelerano i tempi per accaparrarsi un parte dei 400 milioni creando una lotta intestina fra imprese, committenti, progettisti per riuscire ad arrivare prima. E’ un limite che crea ulteriore incertezza alle imprese. Il nostro problema è quello di poter proseguire nella stipula dei contratti in una situazione in cui il sistema si era adeguato a livello di progettazione, di ufficio ricostruzione, di lavoro intenso e produttivo; oggi questo decreto ha creato e sta creando incertezze enormi”.
Loredana Camacci Menichelli ha fatto leva sulla necessità di un contributo unico: “ è chiarissimo che serve adeguare il contributo della ricostruzione; è vero che nei progetti già avviati è importante il mantenimento del Superbonus ma, di sicuro, è fondamentale poter avere un contributo unico perché la gestione di due sistemi paralleli e con normative differenti (il contributo parametrico e quello del superbonunus), crea un aggravio e complicazioni inutili e in alcuni casi ingiustificate. La segnalazione che abbiamo fatto come ordine per poter dare continuità ai colleghi di lavorare al meglio, ai committenti di arrivare al completamento della ricostruzione e alle imprese di garantire la certezza di tutta la procedura, è che serve una costanza nel mantenimento delle norme che siamo chiamati a rispettare”.
Infine a chiudere il ciclo della conferenza Matteo Petracci il quale, oltre ad associarsi alle preoccupazioni esposte dagli precedenti partecipanti, ha aggiunto una nota sulla Legge di Bilancio: “La Legge di Bilancio del 2024 ha aumentato dall’8 all11 % la ritenuta d’acconto sui corrispettivi che arrivano alle aziende in relazione agli interventi che beneficiano di bonus fiscali; anche questo incide pesantemente”.
Tornando sul tema ricostruzione Petracci ha messo in luce la necessità di una tempistica più lunga in rapporto all’entità dei lavori: “ La ricostruzione è un investimento di lungo periodo e quindi ha bisogno di chiarezza e certezza che sono elementi necessari; se noi parliamo di 2025, rispetto ai tempi di intervento edilizio, è una prospettiva corta, una ricostruzione col fiato corto, nonostante l’impegno che il commissario Castelli ha profuso in questo periodo per perfezionare quello che Legnini aveva precedentemente avviato Dopo il 2025 che cosa succederà? Chi fa un progetto di vita in queste condizioni? Le regioni direttamente coinvolte nel cratere si devono far sentire; ricordo che le Marche sono la regione più colpita dal sisma per cui, in questo caso, ci si aspetta che quest’ultima prenda posizione rispetto a un intervento del governo che penalizza pesantemente i tempi della ricostruzione. Il silenzio della Regione Marche è incomprensibile. Auspichiamo che Palazzo Raffaello si faccia sentire”.
Con l’arrivo dell'equinozio di primavera, si assiste al rinascere della natura, a un risveglio che si manifesta nel tripudio variopinto e profumato dei fiori che sbocciano. Ovunque, lungo i bordi dei campi, tra i fili d’erba dei giardini fino alle altezze dei balconi, spunta un incendio cromatico che celebra con garbo la vita e la rinascita.
I petali si schiudono in un’esplosione di sfumature; dal tenue rosa dei ciliegi in fiore al giallo intenso dei narcisi che ‘fluttuano’ e ‘danzano’ nella brezza, come scriveva il poeta inglese Wordsworth nella celebre ballata.
In questo articolo racconteremo la primavera attraverso due scenari differenti e complementari: i fiorai e i vivai. Entrambi questi spazi raccontano la storia di esistenze floreali che, ogni anno, non smettono di sorprendere, generando così improvvisi spunti di riflessione sullo scorrere della vita e sulle sue piccole illuminazioni di rinascita.
Questo servizio non sarà solo un viaggio sensoriale attraverso le bellezze primaverili, ma anche un’indagine su come, nel corso degli anni, siano cambiate le mode e i gusti delle persone, su quali sono le piante e i fiori più ricercati e quali quelli spuntati da poco sul mercato fino agli effetti del cambiamento climatico.
Nel cuore di Macerata, il fiorista Il Tramite Fiorito accoglie questo risveglio con una selezione di fiori da interno che incarnano la delicatezza e la raffinatezza della stagione. Un’esplosione di colori attende gli amanti dei fiori al chiuso, con specie accuratamente selezionate per portare un tocco d’intimità in ogni angolo della casa.
“Con l’arrivo del sole, le persone sentono subito il bisogno di fiori e di colori. È il sole che risveglia nell’essere umano il desiderio di riscoprire” esordisce Clara, titolare de ‘Il Tramite Fiorito’. “La gente viene da me per i bouquet, per i mazzolini pieni di colore. Se trent’anni fa si optava per composizioni grandi e di impatto, oggi il bouquet valorizza i dettagli, le sfumature; invita a osservare, perché vedere non è lo stesso che guardare. I fiori semplici - fresie, ranuncoli, anemoni, rose di varie tipologie, garofanini, tulipani - sono i fiori della primavera e della Pasqua. Un tempo questi venivano trascurati alla ricerca del fiore ‘importante’, ma l’importanza è soggettiva, dettata dai nostri schemi”.
Oggi per quanto riguarda le novità floreali più in voga del mercato, manipolate dall’uomo con il ricorso a ormoni e concimi, c’è il Green Trick, un peculiare garofano verde. Clara, dunque, ogni giorno, con sapienza, originalità e singolare garbo, compone mazzi e bouquet, lasciandosi guidare dalla fantasia e cercando di cogliere il bisogno di chi viene nel suo negozio: “mi faccio guidare dall’istinto, intrecciando magari un po’ di edera, unendo in armonia colori e forme”.
Mentre all’esterno, nel vivaio Serini di Piediripa, si dispiegano varietà resistenti, pronte a radicare la loro bellezza nel tessuto vivente dei giardini, dei parchi e nei vasi dei balconi. All’aperto, sotto il cielo che si fa più limpido, le piante da esterno si distendono al sole, mostrando petali robusti e vivaci che sfidano l’ultima brezza fredda. Qui, la primavera è un trionfo di vitalità, un’esibizione di colori che copre un’intera tavolozza.
“Inizia il periodo delle piante stagionali” esordisce Stefania con entusiasmo. “Begonie, Gerani, Magnolie, Rose… la primavera è l’esplosione di colore per eccellenza. Abbiamo tutte le varietà di stagione per adornare balconi fioriti e giardini rigogliosi.”
Poi, riflettendo sull’impatto del clima, aggiunge: “Il cambiamento climatico ha influenzato notevolmente la produzione vivaistica, negli ultimi anni, le temperature si sono notevolmente alzate. Piante come i limoni e le Bougainvillea, che prima soffrivano a zero gradi, ora prosperano; è da quattro anni che il limone rimane all’aperto senza problemi”.
“Anche le piante mediterranee si stanno adattando” continua. “Un tempo il clima era più rigido, ma quest’anno, per esempio, non abbiamo perso un solo geranio durante l’inverno. Anche per quanto riguarda le api; quest’inverno non si sono mai fermate, hanno continuato a volare sui fiori”.
Stefania, poi, ci ha parlato dell’evoluzione del mercato: “Il mercato è in continua evoluzione, con l’introduzione di specie nuove. Il Pomelo, la Grevillea, sono solo alcuni esempi di piante che si stanno diffondendo ora”. Concludendo la preziosa e piacevolissima chiacchierata, la titolare, guidandoci attraverso le molteplici e incantevoli varietà di piante e fiori, ci ha mostrato quelle più richieste: “Tra i fiori più amati abbiamo il Convolvolo, la Poligala, le Nemesie, la viola del pensiero. Le Camelie sono in piena fioritura, così come le Calle colorate e la Gerbera, simboli pasquali per eccellenza. E poi le Rose, sempre un classico. C’è stato un vero boom delle piante aromatiche - la Lavanda, il Timo, la Maggiorana, l’Origano. E non dimentichiamo le meravigliose Magnolie da fiore e il Viburno”.
A proposito di quest’ultimo, a testimonianza di come il magico mondo dei fiori pervada ogni sfera dell’essere umano, affiora e rifiorisce nella memoria un breve quanto suggestivo verso di Pascoli: “Sono apparse in mezzo ai viburni/le farfalle crepuscolari”.
Nella conferenza stampa tenutasi questa mattina presso la sala giunta del comune di Civitanova e moderata da Martino Martellini, è stato presentato un progetto educativo che si propone come una novità assoluta nel panorama scolastico locale e regionale: la Marche International School. Questa iniziativa, nata da un’ambiziosa idea di Iginio Straffi, fondatore del gruppo Rainbow, noto come il padre delle Winx, e di sua moglie Joanne Lee, consiste nella prima scuola privata non paritaria di stampo internazionale riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione.
La scuola, in un primo momento, sarà caratterizzata da tre classi di scuola dell’infanzia, cinque di primaria e tre di scuola media con l’obiettivo, nei prossimi anni, di ampliare l’offerta didattica alla scuola superiore di secondo grado.
La struttura, che aprirà le sue porte nell’anno scolastico 2024/2025, sarà situata nei locali precedentemente occupati dal ristorante 'Orso', e si estenderà su una superficie di oltre 4mila metri quadrati. Una location, dunque, unica che permetterà agli studenti una continua interazione visiva con l’esterno, dove l’azzurro del mare si unisce alle varie sfumature dei campi.
Il piano prevede un’espansione significativa che comprende la creazione di vasti spazi verdi, l’istituzione di laboratori all’avanguardia, la costruzione di un campo da tennis, palestre,una piscina al coperto e la realizzazione di un residence. Questo alloggio sarà dedicato agli studenti provenienti da altre città, regioni o da paesi esteri, con l’obiettivo di trasformare l’area in un autentico campus, volto a stimolare un prolifico scambio culturale.
A entrare nel vivo della Marche International School, spiegando la genesi di questo progetto e le sue finalità, è stato Straffi stesso: “Dall’esperienza della Liberi Reggiomonte International School a Loreto, basata su un tipo di insegnamento multidisciplinare e innovativo, unito a un’importante offerta di attività sportive, abbiamo pensato di estendere questa esperienza di successo dando vita a una scuola internazionale che dalla materna arriva fino alle scuole superiori con un percorso bilingue. A contraddistinguere quest’offerta didattica un particolare focus sulle discipline sportive e sull’importanza dei libri volto a favorire una crescita sana dei nostri ragazzi, troppo spesso appassionati prevalentemente di videogiochi e App”.
Il fondatore della Rainbow ha poi sottolineato come questo progetto didattico non è una mera espressione del business ma un investimento sociale per il futuro dei giovani.
A seguire la coordinatrice della MIS, Roberta Palanca che ha illustrato nel dettaglio la struttura della scuola, e i suoi valori su cui si edifica: “l’edificio prevede una reception, che è quasi ultimata, la mensa dove i bambini avranno la possibilità di attingere a un self service per valorizzare la loro autonomia. Importante sarà la zona dell’atrio dove gli studenti potranno fare attività di dibattito e socializzazione, come nelle grandi scuole internazionali. La prima fase prevede la ristrutturazione del piano terra raddoppiando la metratura; un piano di 5mila meri quadri. In seguito, verrà realizzata anche la scuola superiore che seguirà il curriculum Cambridge e lo studentato per i ragazzi stranieri o di fuori regione che vogliono abbracciare questo modello”.
“I valori su cui si basa questa realtà - prosegue Palanca - sono l’internazionalità dove l’inglese non viene vissuto come una seconda lingua ma come una forma di comunicazione al pari dell’italiano. Un altro valore è lo sviluppo dei talenti mettendo a disposizione il know-hw della nostra azienda per aiutarli ad esprimere al massimo la loro creatività. Quest’ultima significa sviluppare il pensiero creativo del bambino alla risoluzione di problemi e far vivere al bambino l’arte a 360 gradi, senza limiti. L’approccio di base quello dell’inquiry-based, che coinvolge tutte le materie ed è un approccio dove il bambino viene messo al centro ed è parte attiva dell’apprendimento; viene spronato a farsi domandi, a fare un’analisi a cercare le risposte. L’insegnante non ha mai la risposta prima di aver analizzato quello che è il contenuto e il concetto”.
Il preside James Heanley ha messo in luce la natura avanguardistica della Marche International School caratterizzata da un'ottica globale e da una pedagogia basata sulla ricerca: "La MIS aspira a creare un ambiente in cui ogni bambino sia valorizzato, ispirato e celebrato per il suo potenziale unico".
Ospite illustre e ambasciatrice d'eccezione di questo nuovo progetto scolastico, Elisabetta Dami, autrice di narrativa per ragazzi, nonché la 'mamma di Geronimo Stilton', che da anni promuove attivamente, attraverso il suo operato, i valori universali che accompagnano la crescita e l'educazione dei più piccoli.
"Sono scrittrice di libri per ragazzi ma loro mi conoscono anche come la 'mammma di Geronimo Stilton' - afferma Dami -. Joanne Lee e Iginio Straffi sono due grandi amici con cui condivido una missione iportante: quella di educare le future generazioni ai valori etici e sono onorata di essere con loro oggi e di diventare ambasciatrice di questa scuola straordinaria". A conclusione un annuncio-sorpresa proprio da parte di Elisabetta Dami la cui Fondazione Geronimo Stilton stanzierà delle borse di studio da 6mila euro ciascuna.
Per quanto riguarda la parte istituzionale, a prendere la parola il sindaco Fabrizio Ciarapica il quale ha sottolineato che l'apertura di questa scuola costituità per Civitanova un notevole salto culturale: "Civitanova sta diventando una città sempre più attrattiva e l’apertura di questa scuola come quella di altre attività molto importanti ne sono una conferma. Ringrazio l’imprenditore Iginio Straffi per questa grande opportunità che ci consentirà di fare un salto culturale notevole, ma anche per aver scelto di investire nel futuro dei giovani attraverso l’eccellenza educativa e professionale”.
Roberta Balletti, assessore all'Urbanistica, ha poi specificato come questo progetto,da assessore e da mamma, ha suscitato un forte interesse per il fermento culturale che sta portando alla città, con un aumento di nuovi posti di formazione per i più giovani e meno giovani. L'assessore regionale Chiara Biondi, in collegamento da remoto, ha sottolineato come l'offerta proposta da Straffi vada sotto il segno dell'innovazione, che è il pilastro su cui si deve fondare la la didattica rivolta ai giovani studenti.
Il primo open day è previsto per sabato 13 aprile e ne seguiranno altri nel corso dello stesso mese e di maggio.
Domani, 20 marzo, alle ore 11, la sala convegni del Campus dell'Università di Camerino si trasformerà in un palcoscenico d'inedita divulgazione scientifica e narrazione storica. Gabriella Greison, fisica, scrittrice e attrice, a cui si accompagna ormai l'epiteto di "Rockstar della fisica", presenterà il suo spettacolo “La donna della bomba atomica”, tratto dal suo omonimo libro, edito da Mondadori.
Il libro di Greison è un viaggio interiore nella vita di Leona Woods, la fisica più giovane del Progetto Manhattan, la quale, nonostante il suo ruolo chiave, in tutti questi decenni, è stata eclissata a causa di una predominanza maschile che ha segnato l'universo e la storia delle scienze fino a oggi. Attraverso un flusso di coscienza, Greison ci porta a rivivere gli eventi che hanno portato alla creazione della bomba atomica, offrendo una prospettiva nuova e profondamente femminile su uno dei momenti più controversi della storia moderna.
Lo spettacolo promette di essere un’esperienza immersiva, che non solo racconta la storia di Leona Woods, ma apre anche a una complessa e stratificata serie di riflessioni, a partire dalle implicazioni morali ed etiche della scienza quando viene applicata alla guerra.
Inoltre, sempre presso il polo dell'Università di Camerino, alle 16,30, sarà possibile assistere al seminario tenuto da Greison dal titolo 'La fisica nucleare e i cambiamenti climatici'.
Com’è nata l’idea di scrivere “La donna della bomba atomica” e di portarla poi in scena nei vari teatri d’Italia?
Ho deciso di raccontare la storia di Leona Woods perché è una storia inedita, ho scoperto io questa storia, e come ne sono rimasta innamorata io, penso che ne rimarranno innamorati in tantissimi. Ho iniziato a pensare a Leona nel 2019, poco prima della pandemia. Leggendo tra le righe di un libro in inglese, in cui si parlava di Arthur Compton, uno dei fisici creatori della fisica quantistica, che sta in posa nella fotografia del 1927 che è la mia ossessione, quella a margine del V Congresso Solvay e che è diventata poi il mio cavallo di battaglia nel primo libro ‘L'incredibile cena dei fisici quantistici’ (2015, Salani). Siccome volevo occuparmi di lui, perche lo sto facendo per ogni personaggio in posa in quella foto, mi sono imbattuta in Leona Woods. In pratica, il nesso è stato che Arthur Compton leggeva la Bibbia a Leona, ogni sera dopo il lavoro al Progetto Manhattan.
Fantastico, ho detto! Leggo meglio di Leona e scopro che è fisica nucleare, come me, e che è stato un prodigio, come me, e che la sua battaglia più grande è stata essere riconosciuta per quello che faceva nella sua professione, in un mondo totalmente maschile, come quello della fisica nucleare e quantistica. Quindi mi sono detta: perfetto, è lei il mio nuovo obiettivo. Poi è scoppiata la pandemia e non ho potuto viaggiare, perche per scrivere di lei e raccogliere informazioni avrei dovuto fare un viaggione nell'America più dura, quella del New Mexico, e allora ho rimandato.
Nel frattempo ho scritto di altri due fisici presenti in quella foto: sono usciti i libri ‘Ucciderò il gatto di Schroedigner’ (Mondadori) su Erwin Schroedinger, e ‘Ogni cosa è collegata’ (Mondadori) su Wolfgang Pauli. Contemporaneamente ho letto tutto su di lei, in qualsiasi lingua. E l'estate scorsa sono partita per l'America. Ed eccomi qui con un audiolibro su Audible, il libro e lo spettacolo teatrale che ho appena fatto debuttare nei teatri e che girerà il mondo, le date sono sul mio sito www.GreisonAnatomy.com.
A livello più tecnico, come avviene nella tua scrittura la trasformazione di una storia scientifica in un’opera narrativa?
A livello più tecnico, la risposta va cercata nei miei 20 anni di questo lavoro di scrittura. E da 10 anni in cui pubblico libri1. Questo su Leona è il mio dodicesimo libro. Tutto per me è nato dalle ricerche su una fotografa. Una splendida foto in bianco e nero, scattata nel 1927, 29 personaggi in posa, 17 erano o sarebbero diventati premi Nobel. Una foto da cui sono ossessionata da una vita. Fin da piccola la vedevo in giro, e nessuno sapeva raccontarmela.
Poi mi sono laureata in Fisica, con la specializzazione sulla fsica quantistica, e questa foto era sempre negli uffici dei professori più illuminati. Ma non sapevano dirmi cosa pensavano questi uomini in posa, cosa avevano fatto un attimo prima dello scatto o dove avevano cenato subito dopo. Dopo la laurea sono andata a lavorare a Parigi, all’Ecole Polytechnique, il mio capo era Francois Amiranof. All’ingresso dell’Ecole Polytechnique c’era questa fotografa in BN come gigantografa.
La mia ossessione per questa foto stava andando alle stelle. E così mi sono messa a fare ricerche, sono andata a Bruxelles dove è stata scattata la foto; per anni mi sono documentata, e fnalmente ho trovato la storia. Ho trovato le parole per raccontarla. E da questa foto ho fatto nascere il mio percorso professionale. Dopo anni di ricerche, dopo tante porte chiuse in faccia, dopo tanti no, fnalmente ho trovato la mia strada. Creandomela, da zero, io stessa. Ci ho messo anni, ma ne è valsa la pena.
Il mio primo libro che la raccontava era “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, da cui ho fatto nascere il mio primo spettacolo teatrale “Monologo Quantistico” (sempre nel 2014). Questo spettacolo ha girato e gira tantissimo (in 10 anni ha superato 800 repliche), non solo nei nostri confini, ma anche fuori, da Vienna a Zurigo a San Francisco. Il libro ha avuto un boom di ristampe ed è stato a lungo un caso editoriale. Poi sono seguiti altri 11 libri e altri 10 monologhi teatrali.
Dunque, per “L’incredibile cena dei fsici quantistici” (è stato il mio libro d’esordio), sono stata un anno a Bruxelles a fare ricerche nell’archivio Solvay, e poi ci ho messo 3 anni per scriverlo. Racconto della cena avvenuta dopo lo scatto di quella fotografa, un lavorone ricostruire tutto! Per “Hotel Copenaghen”, sono stata un anno a Copenaghen, facendo avanti e indietro con l’italia, per fare ricerche. E racconto della grande Scuola di Copenaghen di Niels Bohr.
Per “La leggendaria storia di Heisenberg e dei fsici di Farm Hall”, ho fatto ricerche e viaggi in Germania, e poi anche a Farm Hall stessa, vicino a Cambridge. Racconto di Werner Heisenberg, e del suo mondo. Per “Einstein forever” sono stata a Princeton, in America, e in Svizzera, a Zurigo e a Berna. Racconto di Albert Einstein, e della sua eredità. Da ognuno di questi libri ho creato uno spettacolo teatrale, sotto forma di monologo di un’ora e mezza.
Per “Ucciderò il gatto di Schrodigner”, il protagonista è Erwin Schrodinger, e le ricerche le ho fatte tra Vienna, America e Tirolo. Per “Ogni cosa è collegata”, il protagonista è Wolfgang Pauli, e le ricerche le ho fatte tra Zurigo, America e Berlino.
I miei spettacoli teatrali sulla fsica quantistica sono nati da questi testi.
Insomma, ho trovato il mio modo per raccontare la fsica quantistica. Ho trovato una nuova narrativa da dare alla fisica. Racconto la fisica quantistica sotto forma di storie, dopo le ricerche sul posto, i viaggi, gli incontri con le persone chiave, e le ricerche negli archivi (questo è ‘il Metodo Greison’). Con la fotografa scattata nel 1927 con il più grande ritrovo di cervelli della storia che è il mio faro, e da cui ho fatto nascere tutto.
Noi stiamo vivendo la Seconda Rivoluzione Quantistica, e quello che stiamo vivendo è un altro grande sconvolgimento delle nostre vite. Così come quando la fsica quantistica è nata, che ha sconvolto le nostre vite portando i telefonini, i chip al silicio e quindi i computer, le tac, i lettori cd e dvd, alla stessa maniera vivremo qualcosa di grandioso, che non immaginiamo neanche.
Nel film ‘Oppeneheimer’ di Nolan la fisica Leona Woods, che ha avuto un ruolo chiave nel progetto Manhattan, viene completamente esclusa. Questa mancanza è spia di quanto ancora oggi, ci sia un’ideologia dominata da un punto di vista maschile?
Il fatto veramente eclatante è che Oppenheimer non è diverso dalla maggior parte dei film, dei libri, dei racconti che sono basati su ricostruzioni storiche di fette di scienza (di fisica, in particolare). Perche la maggior parte dei film, dei libri, degli scienziati, dei fisici che raccontano la fisica quantistica, il nucleare, le bombe atomiche, e addirittura la Seconda Guerra Mondiale in generale, sono contro le donne, e sono fatti da uomini che raccontano esclusivamente le gesta di altri uomini.
Siamo abituati, siamo desensibilizzati, e quindi nessuno ha detto quello che sto dicendo io, perche per decenni abbiamo visto solo donne al cinema che esistono solo per dare agli importanti protagonisti maschili qualcosa con cui svagarsi. Dopo decenni di film realizzati cosi, ne arriva un altro cosi, quindi nessuno se ne accorge. Anzi, ottiene 13 candidature agli Oscar. Ma mentre Barbie ha oscurato e messo da parte personaggi maschili di gomma, Ken su tutti, un film anti-donne come Oppenheimer, ha messo da parte e cancellato completamente donne molto reali, in carne e ossa, che hanno vissuto vite intere e hanno dato un contributo significativo alla fisica e al nostro mondo.
Quel povero Ken messo da parte dal film su Barbie, non è Leona Woods, che a 23 anni ha gia ottenuto il dottorato in fisica ed è stata assunta a lavorare al progetto Manhattan, perchè ritenuta un asso nella rilevazione delle particelle nel vuoto con il trifluoruro di boro. Ken, a differenza di Leona, non era presente alla prima reazione nucleare a catena, e Ken non fece quello che fece Leona, ovvero passare anni interi della sua vita sulla costruzione della pila atomica, divisa tra Hanford, Chicago, l’Argonna Foresta e appunto Los Alamos.
Leona Woods non compare in Oppenheimer, ma il film, come tanti film anti-donne, riesce ad assumere una tale aria di autorità a farci supporre che la sua sorprendente mancanza di rappresentanza femminile sia dovuta al suo ammirevole impegno per l'accuratezza storica.
Al contrario, sia nell’ambito del cinema che in quello della narrativa, pensi che, in alcuni casi, un’accentuata focalizzazione su certe tematiche femminili, rischia di cadere in un occasionalismo e femminismo stereotipizzante?
No, non credo. Ogni conquista va difesa, altrimenti è un attimo tornare indietro.
Dallo studio dell’atomo alla bomba atomica. Secondo te oggi la coscienza collettiva ha rielaborato i motivi di questo passaggio che dalla ricerca scientifica giunge alla progettazione di un ordigno auto-distruttivo? Elsa Morante, in ‘Pro o contro la bomba atomica’, scriveva che riguardo a quest’ultima ci si preoccupa più delle conseguenze che delle motivazioni.
Infatti il mio libro è la risposta a Elsa Morante.
Dalla luna che fa da fil rouge attraversando le tre opere della 60esima edizione del Macerata Opera Festival a quella crescente che ha rischiarato la serata di ieri dove, mecenati, sponsor e sostenitori si sono ritrovati come da immancabile tradizione presso la suggestiva cornice del teatro della Società Filarmonico Drammatica.
“…E qui la Luna l’abbiamo vicina…” è il verso dalla Bohème di Puccini che traccia proprio la linea programmatica scelta dal sovrintendente Flavio Cavalli e dal nuovo direttore artistico Paolo Gavazzeni per il Macerata Opera Festival, il quale andrà in scena dal 19 luglio all’11 agosto 2024 allo Sferisterio.
A entrare nel merito delle dinamiche del Mof, Cavalli, il quale ha sottolineato la rilevanza e l’impatto economico sul tessuto sociale “Il Mof è anche un’entità economica per la città e la provincia; questa manifestazione attira fondi da parte di privati, dello stato, della regione e altri enti pubblici per un importo consistente. Molte di queste risorse vengono devolute a tutto il personale che, con il oro lavoro, rendono grande questa manifestazione. Non solo produce ricchezza il Mof ma spende 760 mila euro per cori e l’orchestra dietro ai quali ci sono delle famiglie”. Infine, una notizia di buon auspicio, che fa ben sperare: “Le nostre biglietterie hanno già incassato 450 mila euro. Questo lo dico perché è frutto di un lavoro di un team; siamo ritornati agli incassi del 2018/2019”.
A salire sul palco, dopo l’intervento del sovraintendente, Giorgio Piergiacomi il quale, otto anni fa, ha dato vita al progetto ‘Cento Mecenati’: “Otto anni fa era una scommessa, oggi è una delle iniziative più longeve che abbiamo a Macerata; è stata una scommessa che ha saputo mutuare la storia e il modello dei Cento Consorti coniugandolo con la scelta del governo di inserire un pacchetto di aiuti a favore della cultura, dei beni culturali e artistici. Non è altro che una forma di spesa pubblica filtrata dall’intervento del mecenate; lo stato premia quei progetti che sono in grado sul proprio territorio di attirare la voglia di mecenatismo”.
Poi, il turno del direttore artistico Paolo Gavazzeni che, dopo aver raccontato dell’emozionante esperienza di vedere, per la prima volta, l’arena dello Sferisterio vuota, è passato a raccontare delle sue scelte organizzative: “Con l’aiuto di tuti i collaboratori che lavorano all’Associazione Sferisterio abbiamo pensato a una programmazione più compatta rispetto agli ultimi anni e che andasse incontro anche alle esigenze di vendita. Quello che un sovraintendente o un direttore artistico deve cercare di fare è portare, con la propria sensibilità e percorso artistico, qualche cosa da lasciare nel luogo in cui si trova a lavorare, interpretando la vocazione di quest’ultimo che va pari passo con l’idea di un grande mecenatismo, da cui lo Sferisterio è nato”. Ha poi concluso: “Se ci sarà qualcosa che non andrà in questo festival, la colpa è mia perché mi hanno fatto fare tutto quello che avevo in mente; in questi mesi non ho sentito il compromesso delle scelte e questo non succede spesso”.
A sancire l’intermezzo tra la portata del secondo e quella del dolce, un’interessante intervista in forma di conversazione fra Gavazzeni e il noto soprano marchigiano Marta Torbidoni, dove non sono mancati momenti di risate collettive. Quest’ultima ha ripercorso la sua carriera, che l’ha portata nei teatri e nelle arene più prestigiosi del mondo, fino a oggi, alla stagione lirica del Macerata Opera Festiva in cui, per la prima volta, interpreterà il ruolo di Norma di Bellini.
Il sindaco Sandro Parcaroli che, da mecenate fin dagli albori, ha ricordato la bellezza e l’importanza di sostenere concretamente le arti e la cultura che si genera intorno a quest’ultime, con particolare riferimento alla realtà dello Sferisterio. Quest’ultimo, come ha rammentato il primo cittadino, ha ottenuto il titolo di monumento nazionale e ora si candida per entrare a far parte del patrimonio Unesco.
“Io sono mecenate di lungo corso- ha affermato Parcaroli- è qualcosa di emozionante perché quando si arriva allo spettacolo, alla prima opera, quando si spengono le luci, stando dentro la nostra magnifica arena, allora lì ti senti orgoglioso di essere un mecenate; perché hai contribuito a quello spettacolo per il quale giungono da ogni parte d’Italia e non solo”.
"Di sopra, la selva da cui spuntano topi e pantecane e che, in alcuni casi, oscura la luce del sole fino a giugno. Di sotto, una strada in condizioni pietose con un manto stradale dissestato, lungo il quale, ogni giorno, è estremamente difficile trovare parcheggio".
Questo lo scenario, dalle tinte dantesche, descritto da un residente in un palazzo all’altezza dell’ex distributore di metano, in via Ghino Valenti, a Macerata. Un grido di allarme a nome di gran parte degli abitanti di questa zona che, da molti anni, sono costretti a confrontarsi con una serie di disagi quotidiani, tra lo sconforto dell’abitudine e lo slancio indignato di una volontà di cambiamento.
Se si volesse raggiungere a piedi, da via Valenti, la Bocciofila maceratese, c’è una scalinata tanto strategica quanto inagibile, sprofondata nel terreno in alcuni tratti e ricoperta da un manto di vegetazione verde e scivoloso, che costringe a cercare un appoggio alla staccionata, se non fosse che quest’ultima è pericolante e cedevole.
Tra salti, slanci e una costante accortezza nel percorrere queste scale diroccate, si arriva finalmente al piazzale della Bocciofila, dove, oltre alle attività diurne dei più anziani, di sera, molti giovani maceratesi si riuniscono tra bevute e dj set. Qui, il suolo è scavato da buche più o meno profonde da cui, in alcuni tratti, spuntano delle pericolose barre di ferro della rete elettrosaldata. Anche in quest’area la staccionata in legno sotto gli alberi è consumata e instabile: “Se uno ci si appoggia potrebbe cadere dalla scarpata” dice un abitante in prossimità della via.
Dirigendosi più in là, lungo via Nicolò Piccinino, la bretella che si trova sopra via Valenti e che, da qualche tempo, è stata aperta al transito dei veicoli in ambo i sensi, ci si rende conto di essere letteralmente nella cosiddetta ‘ Terra di nessuno’ nella sua doppia accezione: quella di una lottizzazione privata andata all’asta per fallimento e quella originaria di una 'discarica per rifiuti posizionati tra due feudi'.
In quest’ultimo senso, di fronte al complesso di palazzine rimaste incompiute e all’abbandono per il fallimento dell’impresa di Alici Biondi, lo stesso che ha coinvolto la zona dell'ex Foro Boario in piazza Pizzarello, si venuta a creare una discarica a cielo aperto: frigoriferi, taniche con liquidi al loro interno, bombole, un trampolino elastico, mobili logorati, lamiere. Un accumulo di rifiuti che costituisce una condizione di insalubrità, di scarsa igiene e che scaturisce dalla pratica, ancora diffusa, da parte di cittadini terzi, di abbandonare materiale di vario genere. In quest’area adiacente alla strada, chiunque può accedervi e aggirarsi fra il degrado (e ogni tanto fra qualche topo).
Contattati il Comandante della Polizia Locale, Danilo Doria, e l’assessore al Decoro Urbano, Paolo Renna, entrambi, con delle pattuglie, sono prontamente intervenuti sul posto per perlustrare la zona e prendere provvedimenti al fine di una risoluzione e messa in sicurezza. A tal riguardo, Renna ha segnalato la situazione al curatore fallimentare il quale si è detto pronto a intervenire a stretto giro.
Questo scenario, fatto di rifiuti, vegetazione incolta, ferri arrugginiti, di edifici incompiuti all’asta e in cerca di acquirenti che non si trovano, apre un’ulteriore questione: è possibile che normativamente, in prossimità o nel cuore della città, da decenni, continuino a esserci questi scheletri in cemento, con tutto ciò che comportano a più livelli? Inoltre, nell’ipotesi che non si faccia avanti nessuno per l’acquisto, quale sarà la loro fine, saranno da considerare parte identitaria di una fisionomia urbana?
Seguendo il filo rosso della Giornata Internazionale della Donna e inoltrandoci nella città di Tolentino, nei pressi di galleria Europa, c’è un luogo, che racchiude una storia unica, da cui risuonano racconti di vita, frammenti di storia, di musica, di passione. Un luogo che è nato da una donna, Oriana Forconi, nel 1975; anno peraltro focale: finisce la guerra in Vietnam, viene fondata la Microsoft, per la prima volta i giochi elettronici entrano nel quotidiano di ogni ragazzo e ragazza ed esce il capolavoro di Monicelli “Amici miei”.
Tutto questo, s’impreziosisce se si guarda all’oggi, dove la passione e la professionalità di Oriana sono state vissute, raccolte e portate avanti, con profonda determinazione e lungimiranza da sua figlia: Giusi Minnozzi, la cui risata effervescente e contagiosa, diventata quasi un’imprescindibile cifra stilistica, ogni mattina, dà il buongiorno agli ascoltatori. Questo spazio speciale è Multiradio.
Per raggiungere la redazione bisogna salire al sesto piano del palazzo. Una volta aperta la porta, spicca, fin da subito, una stampa con David Bowie la quale, per l'atmosfera del posto, fa riecheggiare alla mente il refrain: “We can be heroes, just for one day”. Una citazione che ben si adatta alla filosofia di questa radio, che da sempre valorizza le persone, le loro storie, le loro sofferenze, i loro sogni.
Proseguendo lungo il corridoio, si possono ammirare le foto testimonianti la vita di Multiradio, tra feste, innumerevoli ospiti, eventi speciali. Una galleria di volti e di momenti che hanno segnato l'esistenza di questa radio, diventata una famiglia, una comunità, la quale non smette mai di essere tale.
Una delle stanze più suggestive di Multiradio è una stanza-scrigno dove è custodito un tesoro inestimabile: una collezione di circa 8 mila vinili, che hanno inciso la storia della musica. Qui, si può viaggiare nel tempo e nello spazio, ascoltando le melodie e le parole che hanno fatto e fanno tuttora emozionare, riflettere, ballare, cantare generazioni di ascoltatori.
Una scelta lavorativa, quella di Giusy, scaturita dalla passione che l’ha portata a inoltrarsi sempre di più nei vari ambiti della radio, da quelli informativi a quelli più tecnici. La stessa passione che, negli anni Settanta, ha dato vita alla radio:
“Questo lavoro nasce in primis dalla passione che si è poi tramutata in una scelta lavorativa e di vita; da qui poi ho avuto modo di accedere e approfondire il mondo dell’informazione, la parte più tecnica, le cose in esterna”.
Tornando all’origine, a come Multiradio è nata: “nel 1975, prosegue Giusi, a mia madre, che faceva tutt’altro lavoro, è stata fatta la proposta di acquistare una radio privata, che era sempre una radio libera in quegli anni; ad animare la redazione, infatti, erano dei ragazzi che, appena avevano il tempo libero, venivano qui e facevano la loro trasmissione, di giorno e di notte, con la gioia negli occhi, portandosi persino i 33 giri da casa. Da qui, sempre mia madre, ha riorganizzato la redazione in una vera e propria azienda. Successivamente, c’è stata una fusione con le altre due radio della città e da qui è nata Multiradio”.
L’ambito radiofonico nel corso degli anni, ha saputo integrare le nuove tecnologie, come il digitale, lo streaming, i podcast, senza mai perdere il suo fascino e la sua forza, senza mai cristallizzarsi. Così è stato per l'emittente di Tolentino.
“Molti- afferma la speaker giornalista- dicevano che la radio fosse morta, che fosse diventata televisione; invece è costantemente rimasta al passo con i tempi. Il mondo cambia, la tecnologia subentra sempre di più, ma l’importante è captare, prendere quel famoso treno; dalle semplici frequenze si è passati, con l’arrivo di internet, allo streaming, al sito, all’applicazione sul cellulare. Così la radio è diventa globale; un giovane dal proprio paesino riesce a lavorare in tutto il mondo. Un anno fa, nonostante i tanti sacrifici, siamo riusciti ad entrare nel Dab, nella radio digitale”.
Una radio che, fin dagli inizi, si è distinta per il suo essere particolarmente presente sul territorio: “Noi siamo sempre andati avanti mossi da questa grande passione, con umiltà e professionalità; abbiamo sempre cercato, semplicemente, di comunicare con il territorio, essere radicati in quest’ultimo, e, sicuramente, una particolarità è che abbiamo sempre puntato, nel corso degli anni, all’informazione locale; chi ascolta la radio trova anche una radio commerciale, per adulti, per giovanissimi, per gli amanti di tutti i generi musicali, però, con in più il sapere, gli appuntamenti flash, i focus sul nostro territorio. Credo che questa sia una particolarità che non tutti hanno. Portare avanti una redazione non è così semplice”.
Si può indubbiamente dire che Multiradio è una radio che fa la storia, perché la racconta, dando la possibilità a chiunque si mette all’ascolto, di conoscerla, di comprenderla, a partire dalle innumerevevoli e sparse realtà locali, dai frammenti più intimi del quotidiano. È la radio che "Vive Con Te", come recita il claim.
Questa mattina, presso l’IIS Matteo Ricci di Macerata, si è tenuta la rappresentazione teatrale di “Cristo di periferia”, un testo scritto e diretto da Davide Sacco, con protagonista Francesco Montanari, attore teatrale e cinematografico noto per molteplici ruoli, tra cui quello del “libanese” in Romanzo Criminale. Lo spettacolo ha coinvolto gli studenti dell’istituto, che hanno assistito a una ‘favola’ contemporanea, tramata di suggestioni, interrogativi e spunti di riflessioni.
“Cristo di periferia”, infatti, narra la storia di un giornalista che viene mandato dal suo direttore in un circo di periferia per scrivere un articolo su un “povero cristo” il quale, nella sua roulotte, in un'atmosfera a tinte quasi surreali tra il magico e il miracoloso, trasforma l’acqua in vino e moltiplica i pani e i pesci. Quando il giornalista conosce quest’uomo dei miracoli, la storia, nel suo ritmo inesorabile, disvelerà i toni reali di una narrativa del quotidiano tra luci e paure, sofferenze e risate.
Francesco Montanari, con la sua voce, dà vita a questo monologo, un racconto moderno che racconta di fragilità e umanità, che si pone domande sul significato dei miracoli nel nostro tempo, guardando costantemente all’orizzonte di bellezza del mondo tra le sue ombre, senza rinunciare ai sogni. Un racconto di fede, la stessa che sfida il vuoto e crea una continuità tra se stessi e la prospettiva luminosa del futuro.
A tal riguardo, è lo stesso regista, Davide Sacco, a parlarcene: “È un testo di speranza e di fede, non una fede divina, ma una fede umana, quella che va in profondità, verso sé stessi e il futuro; quest’ultima è più difficile da avere e più facile da perdere. Per questo motivo, riteniamo che sia particolarmente importante intessere un rapporto diretto reale con tutte le figure generazionali, a partire da quelle più giovani. È un messaggio di incitamento a un grande lasciarsi andare, passo dopo passo, con la propria forza, senza arrendersi”.
A restituire una visione intima e allo stesso tempo critica del “Cristo di periferia” nella società contemporanea è Montanari, che pone l’accento sull’esigenza di ripartire da una componente umana, ancora prima che trascendentale:
"Quella del ‘povero cristo’ è una religione umana, prima che trascendentale; siamo in una società che ti spinge e ti allena al solipsismo. Credo che il messaggio pragmatico di cui si fa portatore un povero cristo, di qualsiasi appartenenza e bandiera, sia la solidarietà e l’empatia verso l’altro, la capacità di ascolto. Occorrerebbe mettere da parte, per un secondo, il nostro individualismo, e cercare di entrare nell’altro e permettere a quest’ultimo di entrare in te.
Poi il riferimento alla rete generata dai social media: “I social network, verso cui sono tutt’altro che contrario, fanno sì che su una pagina hai tanti argomenti e tematiche, che si alternano sullo stesso livello: hai il tuo influencer, il tuo idolo, il cantante, il tuo brand preferito e poi, nello stesso scrollo, c’è la sofferenza umana. Questo conduce al distacco; in questo modo non si ha mai il tempo speculativo reale per assorbire una precisa immagine, un preciso contenuto”. Da qui: “il mio consiglio è che chi è nato nel mondo dei monitor dovrebbe concedersi un tempo matematico dedicato all’umanità perché poi questa cosa si ripercuote nelle relazioni sociali; basta ascoltare ed è lì si dischiude il miracolo”.
A suggello dell'evento, le parole della dirigente Rita Emiliozzi, di chi ha permesso che tutta questa rappresentazione venisse messa in scena e fruita, come preziosa occasione di crescita speculativa e formativa, dai ragazzi e ragazze dell’istituto, proprio all’interno dell’auditorium della scuola: “Questo monologo teatrale mi ha emozionata profondamente, ma non avevo dubbi perché conoscevo sia la compagnia, sia il regista e ho avuto modo di sperimentare la loro bravura e la loro capacità di cogliere e raggiungere direttamente i ragazzi e il pubblico in genere”.
La dirigente ha poi proseguito ponendo l’accento sull’importanza del teatro e sulla sua imperitura facoltà di veicolare messaggi che parlano d’umanità, tra lacerazioni e unità: “Desideravo con tutta me stessa far vivere l’esperienza del teatro agli studenti, i quali sono pochissimo o per nulla avvezzi a quest’arte. È la forma più sublime di arte per il rapporto che instaura con il pubblico. Oggi, il teatro è stato trasportato all’interno della nostra scuola e i ragazzi hanno così avuto l'opportunità, tramite un dialogo diretto e biunivoco, della disponibilità del regista e dell’attore”.
Negli ultimi anni, in maniera alternata, stiamo assistendo a uno scenario invernale di montagna con sempre meno neve; quest’ultimo, oltre ad allontanarsi da quello tradizionale che ammanta di copiosi fiocchi la memoria e i detti popolari, si sta connotando per una predominanza di colori che va dal marrone della terra, passando per il verde degli umidi prati fino a qualche bianco e sparso residuo di neve. Questo l’attuale paesaggio invernale dalle Alpi agli Appennini, in particolar modo.
Il cosiddetto cambiamento climatico, che spesso assume quasi le caratteristiche di un ammonimento ripetuto a memoria e automatizzato nella coscienza collettiva (responsabile l’uso massiccio di formule standard dell’informazione), è una realtà effettiva che sta mettendo a dura prova il settore del turismo invernale.
Per avere una visuale più approfondita su questa situazione, abbiamo intervistato, presso l’impianto di risalita di Frontignano, Francesco Cangiotti, gestore, insieme a Giacomo Zanchetti, di Bolognola Ski, il comprensorio sciistico dei Monti Sibillini.
“Quest’anno- afferma Cangiotti- è stata una stagione invernale nettamente molto negativa perché abbiamo avuto una quasi totale assenza di precipitazioni nevose che non hanno permesso l’apertura delle piste da sci. Infatti, qui a Frontignano abbiamo aperto solo un paio di domeniche il campo scuola e sul versante Bolognola abbiamo potuto fare qualche giornata in più, favorita dall’innevamento programmato; al netto una stagione che presenta un bilancio decisamente negativo”.
Dunque, per ovviare a questa mancanza o scarsità di neve naturale e per garantire l’apertura delle piste, attualmente la soluzione a cui gli impianti sciistici fanno sempre più ricorso è l’innevamento programmato, ossia la cosiddetta neve artificiale.
La situazione non è isolata: secondo il rapporto “Nevediversa 2023” di Legambiente, l’Italia è tra i paesi più dipendenti dalla neve artificiale, con il 90% di piste innevate artificialmente.
A tal riguardo, prosegue Francesco Cangiotti: “Sicuramente la neve programmata dà una garanzia in futuro in termini di apertura; tuttavia un aspetto particolarmente importante è avere una riserva, uno stoccaggio idrico sufficiente per poter sfruttare i periodi di freddo che non sono molti. È un duplice intervento: sull’innevamento e sul realizzare bacini, delle vasche per lo stoccaggio idrico, che non sono solo a servizio dell’innevamento ma, in altri periodi, possono essere utilizzati come una riserva idrica per il bestiame, per l’antincendio e per molte altre funzioni”.
(Video e montaggio: Alessandro Vallese Foto: Guido Picchio)
A sua volta, si apre un’ulteriore questione, che potrebbe essere vista come una sfida tecnologicamente e gestionalmente propositiva (oltreché indispensabile) in una prospettiva che scavalca il futuro prossimo e guarda all’orizzonte di un sistema a lungo termine: l’integrazione di pratiche alternative più sostenibili nell’ambito dell’industria sciistica dal momento che, per produrre neve artificiale, sono necessarie ingenti quantità d’acqua, alti consumi di energia e importanti costi privati e pubblici.
Nell’ottica di una riformulazione e adattamento a un nuovo modello di turismo montano, la diversificazione delle attività rimane una soluzione sicuramente funzionale: “La nostra gestione- prosegue il gestore di Bolognola Ski- ha cercato di destagionalizzare al massimo i servizi e quindi puntare non solo alla stagione invernale, ma anche a quella estiva con molteplici attività, come nel caso di Frontignano, legate al bike park, al mondo delle biciclette, all’escursionismo”.
E per quanto concerne il periodo invernale “stiamo lavorando in particolar modo con i rifugi, dove abbiamo creato alcuni eventi, come le cene; per esempio il sabato sera facciamo questa cena in quota al Rifugio Saliere dove la seggiovia viene utilizzata in notturna per salire e scendere. Quindi cerchiamo di creare delle soluzioni alternative al turismo invernale legato prettamente alla neve, che, tuttora, rappresenta comunque la più grande fetta di mercato, quest’anno, purtroppo, andato perso”.
Senza chiudere la porta a quell’intramontabile quanto lenitiva speranza che la neve torni a cadere abbondante e, allo stesso tempo, con la coscienza di un presente che cambia, occorre pertanto una rielaborazione mentale, organizzativa e pragmatica del vivere l’inverno e la montagna.
Una rielaborazione che passa attraverso l’interesse di una gestione privata ma che riguarda, in maniera più estesa e più profonda, quello di un’intera comunità e del suo territorio su cui, in questa zona, da otto anni, gravano anche le macerie e lo spopolamento del terremoto.
A tal riguardo, dopo aver passeggiato nei pressi sottostanti l’impianto, tra case inagibili, inizi di sentieri e un panorama ammantato da una suggestiva nebbia, abbiamo fatto sosta al ristorante temporaneo “Cotto e Mangiato” di Gianfranco Tombini, proprietario dello storico ‘Hotel Felycita’. Quest’ultimo, dopo anni di chiusura per inagibilità post sisma, sta per tornare a nuova luce: “stiamo iniziando i lavori per ripartire a gonfie vele”, ha annunciato Gianfranco col sorriso e il garbo dei suoi ottant’anni.
Angelo Mondello è il noto pizzaiolo cilentano che ha portato la sua arte bianca a Civitanova Marche, dove, insieme a Mauro Aliberti, ha aperto la pizzeria Alto Bordo, rientrata, nel 2023, tra le dieci pizzerie migliori d’Italia. La sua pizza contemporanea, friabile e gustosa, ha conquistato il palato e il cuore di chiunque abbia avuto l’occasione di assaporala; non è un caso che il suo motto, da sempre, è "la pizza regala emozioni".
Ha iniziato la sua carriera a Napoli, nella scuola di Luciano Sorbillo, dove ha imparato le basi della pizza napoletana e ha poi proseguito e approfondito il suo percorso presso Fradiavolo . Da qui, ha cominciato a viaggiare e a fare consulenza in tutto il mondo arrivando a cambiare cinque passaporti e portando con sé i segreti dell’arte della pizza in ogni loro sfaccettatura.
Da circa una settimana è tornato da Napoli dove ha ricevuto il prestigioso premio Arcimboldo d’oro 2024, un riconoscimento che premia gli artisti del gusto i quali sanno valorizzare i prodotti del territorio, guardando al futuro e restando al passo con i tempi e le tendenze. Il premio è stato consegnato nella Sala Carlo III del Grand Hotel Capodimonte di Napoli, dove si sono riuniti i migliori chef, pizzaioli, pasticcieri e panificatori d’Italia e del mondo.
Un altro successo per Angelo Mondello è stato quello di partecipare a Casa Sanremo, l’evento che si svolge al Palafiori di corso Garibaldi durante la settimana del Festival della Canzone Italiana. Qui, negli ultimi anni, si è sviluppata enormemente la zona dedicata alla pizza, gestita dal duo siciliano di Enzo Piedimonte e Carmelo Pistritto, che hanno coinvolto ben 44 pizzaioli provenienti da tutta Italia e dal mondo.
Mondello è stato invitato da Casa Sanremo per essere presente sia come pizzaiolo che come giudice, portando la sua famosa pizza ‘Donna Sofia’, che ha mandato in visibilio gli ospiti e i vip presenti e grazie alla quale nel 2022 ha vinto il Trofeo Pulcinella. Come accennato, ha preso parte alla giuria del Trofeo della Pizza, un concorso che ha premiato le migliori pizze realizzate dai partecipanti, valutando la qualità degli impasti, delle farciture e della cottura. Angelo Mondello ha dimostrato ancora una volta la sua maestria e la sua passione per la pizza, facendosi apprezzare da tutti per il suo stile, la sua simpatia e gentilezza.
Ma non è tutto. Non ha fatto in tempo a posare l’Arcimboldo d’oro nella sua pizzeria che, in qualità di uno dei dieci pizzaioli migliori al mondo, volerà in direzione della capitale francese per un prestigioso evento di fama internazionale, nonché fiera di riferimento della gastronomia italiana a Parigi: il Parizza.
La pizza di ‘Alto Bordo, come dice il nome da Mondello stesso coniato, è unica nel suo genere, partendo dagli impasti, passando per le farciture e finendo con la cottura. Angelo propone sette pizze classiche e dieci speciali e sei gourmet. Un altro capolavoro è la 3 cotture, una pizza che viene cotta prima al vapore, poi fritta in olio e infine finita in forno a legna o a gas, ottenendo una scioglievolezza e una croccantezza uniche.
I fortunati che in questi giorni si recheranno presso la pizzeria civitanovese avranno la possibilità di sperimentare gli speciali sapori del nuovo menù, di cui basta citare una sola delle molteplici pizze: capocollo silano, crema di fave e un formaggio feta. Una rosa di pizze gourmet che nasce da lunghe e appassionate conversazioni in famiglia, in particolar modo con il fratello Mario, noto chef in Svizzera.
Angelo Mondello è un pizzaiolo che ha saputo trasformare la sua passione in una professione, portando con sé le sue radici cilentane e il suo spirito innovativo. La sua pizza è semplicemente un’esperienza da provare, un viaggio in cui lasciarsi guidare dai profumi e dai sapori in un’amabile sinestesia dei sensi.
Negli ultimi mesi alcuni cittadini si sono lamentati del fatto che hanno trovato difficoltà ad accedere al canile comunale di Macerata nella misura in cui non è stato consentito loro di varcare il cancello durante l’orario di apertura al pubblico perché i cani mangiavano o dormivano, dunque invitati a tornare un’altra volta su appuntamento, in un momento più opportuno. Una inclinazione alla premura e alla tutela del cane che, tuttavia, ha portato una parte di queste persone a desistere e recarsi altrove, adottando un cane in altre strutture analoghe.
È il caso della signora Gianna, che ha trascorso una vita a prendersi amorevolmente cura dei cani, arrivando ad adottarne molti da molteplici canili (incluso quello di Macerata) nel lungo corso degli anni. Qualche mese fa, sempre presso il canile in questione, ha accompagnato una sua amica la quale, addolorata per la morte del cane, era desiderosa di accoglierne un altro con lei; nella fattispecie, era alla ricerca di un esemplare anziano dal momento che il dispendio di energie verso un cucciolo non si confaceva alla sua età.
Le due donne si sono recate sul posto due volte: "In un primo momento non abbiamo trovato nessuno perché erano cambiati gli orari di visita mentre, la seconda volta, siamo andate nell’orario di apertura al pubblico ma non siamo potute comunque entrare in quanto gli animali erano alle prese con il momento del pasto". Alla fine le stesse sono tornate a casa con un cane anziano ma preso in un altro canile della provincia".
Alcuni mesi dopo l’accaduto, sulla pagina Facebook della struttura maceratese, è stato pubblicato un post dove si annunciava la triste morte di un cane anziano, con problemi di salute, che non ha mai trovato chi lo accogliesse con sé. Questa notizia ha catturato l’attenzione e la reazione di Gianna la quale, prontamente, in un commento sotto il post, ha raccontato la sua vicenda sollevando le sue perplessità ed evidenziando l’incongruenza tra il contenuto del post e l'esperienza avuta.
A queste parole, ci spiega Gianna, “Il profilo della pagina ‘Canile Enpa Macerata 'Gli amici del cane' ha risposto adducendo la motivazione per cui l’orario di apertura al pubblico non per forza deve coincidere con la possibilità di vedere i cani perché se questi mangiano o riposano potrebbero agitarsi facendo abbaiare l’intero canile o indurre persino una torsione dello stomaco".
"Per questo motivo, ci hanno detto che sarebbe stato preferibile prendere un appuntamento". Nel voler replicare, l'utente, ci ha riferito che si è vista negata la possibilità di rispondere ulteriormente nei commenti perché bloccata dalla pagina in questione. Inoltre, si è accorta che, poco dopo, la risposta del canile era stata rimossa.
Col fine di far chiarezza e portare la questione su un piano di dialogo e di confronto, date le nobili finalità di tutte le parti, gestori e cittadini, ci siamo recati nello scenario bucolico e verdeggiante del canile in contrada Acquesalate, dove le operatrici e gli operatori si dedicano con passione e professionalità al loro mestiere.
La risposta su una questione di natura locale, risolvibile con un semplice chiarimento, è stata quella di un rimbalzo a un paio di indirizzi email dell’ente Enpa nazionale. Alla richiesta di poter conversare con un referente, un responsabile, dal vivo o telefonicamente, non ci è stato risposto nulla aprendo così un interrogativo sull'esistenza o meno di referenti Enpa comunali, provinciali o regionali. Dubbio sciolto successivamente, quando abbiamo appreso che il responsabile di struttura è la stessa persona con cui abbiamo parlato al canile e che ci ha rimandato all'indirizzo dell'ufficio stampa.
Premesso che anche la non risposta è una libera e lecita scelta, tuttavia, un interrogativo rimane accesso negli animi di quelle persone che hanno trovato più accidentato l’accesso alla struttura: se l’orario, come indica la finalità della parola, è destinato al pubblico, in che misura un ente può decidere se un visitatore 'può "o non può", in quell’arco di tempo, accedere a una struttura comunale?
Si è tenuta oggi nell’auditorium Benedetto XIII l’inaugurazione del 688esimo anno accademico dell’università di Camerino, alla presenza, da remoto, del ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. Il tema scelto per l’occasione è stato “Persona, Valore, Scienza: il futuro ha solide radici”
Simbolicamente, il primo a prendere la parola, a dare il via alla cerimonia è stato Nicolò Palombi, in rappresentanza delle studentesse e studenti, il quale da subito ha ripreso il tema portante scelto per l’anno accademico: “ ’Persona, Valore, Scienza: il futuro ha solide radici’: queste parole permeanti le strutture del nostro ateneo simboleggiano ciò che più intrinsecamente è UniCam, un’università che pone la persona al centro, fermamente rivolta alle persone che la costituiscono e ne fanno parte. Un’università che, come gli alberi, ha radici profonde che affondano nel tessuto sociale da 688 anni, che toccano le vite di tutti coloro che entrano in contatto con questo ateneo, perché, come suggerisce la parola, UniCam, è unica nel suo genere. Un essere vivente in un unico ecosistema di più università che è in grado di respirare, evolversi, sognare e intimamente capace di guardare al futuro”.
Palombi è poi passato a parlare della formazione degli studenti a partire da un aspetto sostanziale, quello della cura delle persone, delle relazioni sociali e dei rapporti, siano essi di amicizia o di amore: “Di amore nel 2024 non si può parlare, si deve parlare perché solo parlandone, riusciamo a discernere ciò che è davvero e ciò che si propaganda per presunto tale. Quel mix letale che porta frustrazione e rancore che a novembre ha strappato la vita a una studentessa come noi”.
Successivamente, è intervenuta Simona De Simone, rappresentante del personale tecnico amministrativo: “Le radici del nostro Ateneo affondano nella storia fino al secolo che fu di Petrarca e anche di Dante, siamo al 688esimo anno della nostra storia. Ora più che mai le sfide cui sono chiamate le università valicano i confini nazionali e tutte le anime dell’Ateneo sono impegnate nel superarle. Quest’ultimo consente ai propri dipendenti la possibilità di aggiornamento continuo per la corretta conoscenza degli strumenti necessari alle proprie attività. La nostra UniCam ha inoltre anche un altro grande punto di forza; negli uffici che compongono la struttura amministrativa e gestionale, come nelle strutture di ricerca e didattica, si è creato e vive un forte sentimento di appartenenza che nasce dal confronto quotidiano, sempre sincero. Al valore professionale si aggiunge valore umano, tutto ciò costituisce le nostre radici e forti radici significano ali vigorose”.
In rappresentanza del personale docenti e ricercatori, Roberta Censi, la quale ha messo in evidenza quello che è il ruolo dei docenti, la cui didattica deve andare oltre le pareti di un’aula ed essere organica e in costante dialogo con la storia attuale, a partire dalle sue profonde lacerazioni: “Come docente UniCam ho l’onore di lavorare presso la Scuola del Farmaco e dei prodotti della salute, dove cooperiamo nell’affrontare le sfide sanitarie globali, ancora irrisolte con cui le società ancora si confrontano. E lo facciamo con picchi di eccellenza che posizionano la nostra università in contesti nazionali e internazionali di rilievo. Come ricercatori dobbiamo guardare oltre i confini delle aule e dei laboratori; viviamo in un’epoca di profonde contraddizioni in cui il progresso scientifico si scontra con le ombre della storia attuale e la tecnologia avanzata coesiste con tragedie umane senza precedenti, generate da guerre, disparità sociali e di genere, mancanza di accessibilità alle cure mediche Come corpo docente, è nostro dovere non solo trasmettere conoscenze e promuovere il progresso ma anche ispirare, guidare e catalizzare il cambiamento verso la creazione di società più eque”.
Infine, Censi si è soffermata sul concetto di talento e del suo potenziale che deve avere una possibilità di espressione socialmente trasversale: “Ogni talento che non riesce ad emergere perché seppellito da macerie o impedito da povertà e bocchi sociali e di genere rappresenta la privazione di una risorsa per la nostra comunità globale e come tale una sconfitta per tutti noi”.
Poi, ad avvicendarsi sul palco per prendere la parola, il direttore generale Andrea Braschi che, per la ristrettezza delle tempistiche, è entrato nel vivo del discorso intessendo tre slogan da cui partire al fine di ottenere dei risultati incoraggianti: “il primo è ‘La bottega del sarto’; per alimentare questa comunità è utile mantenere brevi le distanze fra le persone e fra i ruoli e per farlo, è indispensabile uno sforzo continuo per adottare un approccio ‘sartoriale’ verso le persone. In un contesto di regole e prassi consolidate occorre trovare il tempo per affrontare assieme i problemi individuando soluzioni possibili e specifiche. Un altro slogan è ‘ Capitani coraggiosi’: è mai esistito un periodo dove le cose scorrevano lineari e prevedibili? Dubito fortemente, soprattutto nell’università. Questo senso di insicurezza è dovuto a una caratteristica peculiare del nostro sistema; la complessità. Quest’ultima, al contrario della complicazione è una caratteristica positiva. Dobbiamo abbandonaci pienamente alla complessità. Abbiamo bisogno di persone che sappiano prendere decisioni in situazioni incerte e instabili, che sappiano reagire agli imprevisti e alle delusioni e che soprattutto agiscano sempre e comunque per il bene comune”.
Ha poi spiegato il terzo appunto che prende il nome di ‘Delitto perfetto’: “Nel lavoro abbiamo sempre l’obiettivo di lasciare la nostra impronta come risultato tangibile del nostro operato. Conoscendo le mie inclinazioni e le mie abilità, ho fatto di tutto per non lasciare alcuna traccia perché nessuno risalga a me; questo modo di relazionarsi non vuol dire fuggire dalle proprie responsabilità o esimersi dal prendere posizioni nette, al contrario, vuol dire un paziente lavoro di semina silenziosa e accompagnamento delle persone per esaltare il loro potenziale”.
Simbolicamente a conclusione dei vari interventi, a prendere la parola finale e allo stesso inaugurale, è stato il rettore Graziano Leoni. Quest’ultimo ha ringraziato il precedente rettore, Claudio Pettinari, per i risultati concreti che ha apportato all’Ateneo e che oggi mettono in condizioni di poter guardare al futuro con fiducia. Poi, è passato alle ragioni della tematica scelta per questo nuovo anno accademico: “Le radici lunghe, profonde, portatrici di altra linfa per rinnovare nella continuità; con tutta la squadra UniCam siamo pronti a far sì che quest’ultima consolidi e migliori i suoi risultati e persegua nuovi importanti obiettivi per far fronte alle distanze più attuali con costanza e determinazione. Per far questo abbiamo bisogno che tutti gli interventi di recupero delle nostre strutture siano portati a termine quanto prima. La riapertura dei luoghi simbolo restituirà dignità e splendore alla città di Camerino e renderà tangibili le radici storiche di un’università tra le più antiche d’Italia”.
Tuttavia, nonostante le persistenti condizioni di disagio, “Unicam- prosegue il rettore- conferma di essere attrattiva per un numero di matricole superiori a quelle che registravamo prima del sisma. Allo stesso temo, quest’anno è emersa, più del solito, la difficoltà di trovare alloggi; lo sviluppo della nostra università è anche legato a una disponibilità di alloggi per la comunità studentesca almeno pari a quella che la città offriva prima del sisma. A una aumento consistente di immatricolazioni è corrisposta una mancanza di oltre 1800 posti letto che costituivano la proposta privata. A oggi contiamo 1200 posti letto nelle residenze universitarie che aumenteranno di altre settantacinque unità con il completamento del campus di via del Corso gestito dall’Erdis”.
Da qui la necessità di accelerare la ricostruzione privata come priorità non più procrastinabile; a tal riguardo, l’Università di Camerino si sta impegnando in un progetto di studentato diffuso coerente con la realtà di Camerino. Tra gli obiettivi principali del mandato di c’è una prospettiva che guarda al consolidamento di una rete internazionale: “l’internazionalizzazione come leva di crescita e sviluppo perché possa permeare in modo trasversale tutte le attività; la nostra vocazione internazionale è solida, siamo in procinto di presentare due impegnativi progetti in ambito Erasmus; uno per consolidare collaborazioni già in essere e svilupparne di nuove in aree geografiche strategiche come USA, Canada, Giappone. Un altro ci vede consorziati con 11 Atenei nel progetto ‘KreativeEU’, dedicato al patrimonio culturale comune”.
Infine le parole conclusive di Graziano Leoni: “Ho cercato di spiegare come, in sintesi, persona, valore e scienza, necessaria per lo sviluppo che deve essere sostenibile, trovino solide radici in UniCam, capaci di trarre il meglio dalla storia e della cultura, farne linfa nutriente e destinarla principalmente a voi che centro di UniCam siete il futuro del mondo. Non abbiate paura di innovare, di sperimentare, di ricercare e costruire il futuro perché un albero con radici profonde non teme il vento. Siate protagonisti dei tempi che vivete, scegliete sempre di essere e mai di apparire perché ‘le radici non sono in un paesaggio, in un paese o in un popolo, ma sono dentro di voi’ come scrive Isabelle Allende. Sappiate apprezzare ciò che vi circonda guardandolo con meraviglia e praticando gentilezza, costruite quel mondo che desiderate, senza lasciare indietro nessuno”.
A seguire l’intervento della ministra Anna Maria Bernini: “È iniziata ieri la nostra settimana Stem, che valorizza la formazione non solamente scientifica, tecnologica, matematica, ingegneristica ma valorizza la fusione tra le scienze dure, le scienze umanistiche e umane. Il grande messaggio di questa settimana vuole essere quello di non favorire le materie scientifiche rispetto alle vocazioni umanistiche, che sono parte delle nostre radici e della nostra storia. La forza interpretativa innovativa ed evolutiva è proprio quella di saper essere transdisciplinari, avere sempre la necessità di interfacciarsi e di interagire con materie etiche, bioetiche umanistiche, filosofica; la dimensione antropocentrica della dimensione scientifica passa attraverso un impiego mirato e rinnovato delle scienze umanistiche. Più che mai abbiamo a disposizione un mondo di formazione che ci chiama a una sfida importante che è quella di indirizzare su percorsi nuovi studenti e studentesse che saranno chiamati a fare mestieri e professioni che per certi versi ancora non esistono o in parte”.
Sempre a riguardo, la ministra Bernini ha messo l’accento su come l’Università di Camerino abbia adattato i suoi cicli formativi esattamente a quella commistione che prima si diceva tra tecnologie scientifiche evolute ed evolutive (come l’intelligenza artificiale e la costruzione di algoritmi) con il tema dei beni culturali attraverso uno specifico corso di Tecnologia diagnostica sui beni culturali, che è molto in linea con l’orientamento attuale del Miur.
A chiusura della cerimonia alle 12,30 c’è stata l’inaugurazione della nuova sede del Rettorato in centro storico, inaugurazione che trasmette un profondo significato simbolico per la città di Camerino e non solo; qui rimarrà finché non si sarà compiuto il restauro dello splendido e storico Palazzo Ducale: “Torniamo in centro per continuare da dove tutto, sette anni fa, sembrava essere finito”.
A tagliare il nastro oltre al rettore Leoni, il sindaco Roberto Lucarelli, il commissario alla ricostruzione Guido Castelli, il prefetto Isabella Fusiello, l'assessore Andrea Maria Antonini, il vicepresidente del consiglio regionale Gianluca Pasqui, i consiglieri Romano Carancini e Renzo Marinelli.
Queste le parole del commissario Guido Castelli in merito alla ricostruzione: “Dalle norme ai collaudi. Con i piedi per terra , come s’impone quando è in corso una tragedia posso dire che il 2023 è andato bene, il 2024 può essere una svolta per Camerino”.
Si è svolta questo pomeriggio la cerimonia solenne di inaugurazione del 734° anno accademico dell'Università di Macerata, uno degli atenei più antichi d'Italia. Il fil rouge per l'occasione è stato "Conoscenze, creatività e crescita: il ruolo evolutivo dell'Università", a sottolineare l'impegno dell'istituzione a promuovere la formazione, la ricerca e il trasferimento scientifico, tecnologico e culturale nel territorio e nel mondo.
L'ospite d'onore della giornata è stato Riccardo Illy, imprenditore del settore alimentare superpremium, presidente del Polo del Gusto e già presidente della regione Friuli Venezia Giulia e sindaco di Trieste. Illy ha portato la sua testimonianza di successo imprenditoriale e di attenzione alla sostenibilità, alla qualità e alla cultura. Inoltre, durante un workshop tenutosi in mattinata, Illy ha anche dialogato con gli studenti, i docenti e gli imprenditori locali sulle sfide e le opportunità per il futuro dell'agroalimentare, della formazione e dell'innovazione.
La cerimonia, che si è tenuta al teatro Lauro Rossi di Macerata, è stata aperta dal corteo degli accademici in toga, che hanno sfilato da piazza Vittorio Veneto fino in piazza della Libertà per poi entrare nel teatro. Durante il tragitto, il corteo si è trovato di fronte a uno striscione in forma di fumetto del collettivo studentesco Depangher sul presunto "doppiogiochismo" dell'ateneo in merito al confronto su tematiche geopolitiche e lavorative.
A inaugurare ufficialmente l'evento l'inno nazionale suonato dal Quartetto UniMc e intonato dal Coro d’Ateneo sotto la direzione del maestro Adamo Angeletti. Dopo i saluti istituzionali del rettore John McCourt e del sindaco Sandro Parcaroli, è stato il turno del commissario europeo per l'economia Paolo Gentiloni Silveri, che ha lasciato un videomessaggio: "Il problema oggi non è solo la mancanza di lavoro ma sempre più la carenza di competenze specialistiche in un mercato lavorativo che sta cambiando sotto i nostri occhi con la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale e una transizione climatica. In questo contesto è necessario investire nello sviluppo del nostro capitale umano; a tal riguardo, una scommessa per l’Europa è quella di mettere al centro della propria azione politica l’attenzione al futuro e ai giovani".
A riprendere la parola di nuovo McCourt che è passato a illustrare la relazione inaugurale del nuovo anno accademico: "Oggi con orgoglio e ottimismo inauguriamo il settecentotrentaquattresimo anno accademico dell’Università degli studi di Macerata con la volontà di mettere al centro la creatività, l’imprenditorialità, l’internazionalizzazione e il ruolo dell’ateneo come aggregatore di forze per una crescita sostenibile del territorio. Abbiamo realizzato un lavoro di programmazione senza precedenti in termini di didattica, ricerca e Terza Missione del nostro Ateneo, ascoltando e dialogando con tutte le componenti della comunità UniMc".
"Oggi e ogni giorno siamo chiamati come comunità accademica a riflettere sui valori identitari del nostro Ateneo che è volto a promuovere conoscenza, cultura, creatività e innovazione - ha aggunto McCourt - . In questa prospettiva rimaniamo convinti che le discipline umanistiche devono costituire il nucleo di un'università moderna; eppure, da anni, in tutto il mondo, spesso vengono marginalizzate".
"Negli ultimissimi anni però si assiste a un’inversione con paesi che guardano sempre di più ai laureati umanistici per trovare nuovi lavoratori preparati e chiamati a risolvere problemi complessi. Abbiamo bisogno di giovani che vogliono cambiare il mondo e che credono, nonostante le tante difficoltà, di poterlo fare”. Infine, dopo aver segnalato un incremento del 7% di iscrizioni all’ateneo maceratese, ha lanciato una stoccata sulle università telematiche: "Siamo sotto attacco delle università telematiche, fabbriche depersonalizzanti di lauree”.
Dall’intervento del Rettore a quello di Dario D’Urso, rappresentante degli studenti e delle studentesse: "La sfida principale che le università che promuovono gli studi umanistici e le scienze sociali si trovano di fronte è quella del rapporto col mondo del lavoro che si aspetta laureati formati, pronti, con esperienza spesso in una visione distorta di ciò che viene insegnato nelle aule universitarie. La didattica ha una responsabilità fondamentale nel conciliare questi due orizzonti, colmando questa distanza attraverso l'abbandono di un’impostazione frontale e spostandosi verso uno scambio di conoscenze piuttosto che di nozioni. L’eccellenza va creata attraverso il dialogo e un continuo rinnovamento; soltanto col terreno fertile del dialogo può creare e far fiorire il pensiero critico”.
Subito dopo, è intervenuto Phuc Van Nguyen in rappresentanza delle studentesse e studenti internazionali, a testimonianza dell’indirizzo sempre più improntato agli scambi culturali, economici e dialogici su scala internazionale.
Sul palco, come rappresentate del personale tecnico amministrativo e bibliotecario, Domenico Panatta: "Con tutte le sfide che ci troviamo ad affrontare è essenziale ricordare che dietro a ogni risultato, a ogni successo, ci sono persone, studenti, docenti, personale tecnico amministrativo che formano il cuore pulsante di questa università. Dobbiamo coltivare un ambiente che metta le persone al centro, che valorizzi le loro capacità e il loro senso di appartenenza. Il sistema universitario è in continua evoluzione e dobbiamo essere pronti ad affrontare le sfide con determinazione opponendoci al timore di sbagliare, che spesso paralizza la nostra azione quotidiana e l’espressione delle nostre migliori capacità. Questa istituzione deve essere un luogo di innovazione e di audacia intellettuale chiamata a esplorare nuove frontiere, a essere pioniera del progresso, a partire da quello che è il nostro territorio. Affrontiamo dunque il futuro senza farci dominare da pressioni e diffidenze, diamo fiducia ai nostri compagni di viaggio, specialmente i giovani che entrano per la prima volta a far parte dei nostri teams”.
Infine, il momento clou della cerimonia è stata la lectio magistralis di Riccardo Illy, che ha condiviso le sue riflessioni sul ruolo dell'Università nella formazione degli imprenditori del futuro, sottolineando la necessità di una maggiore interazione tra il mondo accademico e quello produttivo, di una maggiore apertura all'Europa e al mondo, di una maggiore attenzione alle competenze trasversali.
Inoltre, si è soffermato su un'importante analisi socio- economica, individuando tre rivoluzioni: "Tre vere e proprie rivoluzioni si sono accavallate negli ultimi decenni e nessuna di queste può dirsi ancora del tutto compiuta. L’umanità aveva già attraversato delle rivoluzioni (l’ultima fu quella industriale) con il passaggio dalla forza animale a quella meccanica mai aveva affrontato tre rivoluzioni assieme: quella digitale e la globalizzazione dei mercati iniziarono quasi in contemporanea ormai una cinquantina di anni fa e a queste si è sovrapposta recentemente quella energetica".
Per quanto concerne la globalizzazione "ha portato negli ultimi decenni una crescita del Pil mondiale che mai si era vista prima con una forte riduzione delle ineguaglianze fra paesi più sviluppati e quelli in via di sviluppo. Tuttavia il rovescio della medaglia della riduzione della povertà e della fame nei paesi più arretrati è stato un aumento delle ineguaglianze nei paesi più sviluppati. Anche grazie allo sviluppo d’impresa nei settori digitali oggi vi è una concentrazione di ricchezza nelle mani di poche persone che ci hanno riportato al medioevo". In merito alla questione energetica, ha fatto riferimento al nucleare: "Oggi le mini centrali nucleari, sviluppate grazie agli studi di Carlo Rubbia e promosse dal suo ex collaboratore Stefano Buono, promettono di contribuire al compimento della rivoluzione energetica”.
Poi, è passato a una tematica estremamente nodale negli ultimi tempi, quella dell’intelligenza artificiale: “Il digitale - prosegue Illy - ha assestato un ultimo colpo con l’intelligenza artificiale che avrà senz’altro un grande impatto sul mondo della ricerca e dello sviluppo, simulando ricerche con lo sfruttare tutti i database disponibili nel mondo. Nel mondo del sociale e delle conoscenze non assoggettate a continue verifiche, l’intelligenza artificiale avrà verosimilmente un minore impatto. Gli scienziati che studiano la materia, si stanno rassegnando al fatto che l’intelligenza artificiale non è in grado di distinguere notizie vere da quelle. Questo potrebbe portare a una progressiva sfiducia verso le notizie digitali, veicolate dai social media e potrebbe riportare in auge la mediazione informativa dei giornalisti o addirittura la carta stampata. La carta è più difficile da alterare e chissà che non torneremo al detto carta canta".
Festa a sorpresa per i novant’anni del Maestro Sandro Trotti che, sabato scorso, ignaro di tutto, si è recato presso l’Hotel Garden di Porto San Giorgio, luogo caro all’artista, che ha avvinto la sua affezione per bontà culinaria e clima familiare. D’improvviso, il coup de théatre: un sussulto di meraviglia mista a incredulità nell’animo di Trotti, che è stato affettuosamente accolto e avvolto da una numerosa cerchia di persone. Quest’ultime, provenienti dagli ambiti più disparati, dal mondo della cultura, a quello dell’arte nelle sue molteplici declinazioni, fino a quello dell’imprenditoria, sono giunte da ogni parte della regione (e non solo), mosse da una comune sorgente carsica che parla di profonda amicizia. Una nota dovuta, per far comprendere il desiderio e la gioia alla base di questi festeggiamenti, riguarda la cornice dell’Hotel Garden i cui fuochi della cucina sono stati accessi ad hoc per questa occasione; anche qui, una cucina messa in funzione per amicizia, quella che lega il proprietario a Sandro.
La festa è stata anche un prezioso momento per ripercorrere la vita e le opere di Trotti, il pittore marchigiano che, raggiunta la soglia dei 90 anni, è tutt’oggi immerso in un turbinio d’inesauribile ispirazione, improntato costantemente alla riscoperta e alla sperimentazione. A tal riguardo, nel suo operato, la parola ‘cultura’ torna al suo etimo originario di ‘còlere’, ossia ‘coltivare’, e si fonde con l’altra parola chiave che è ‘creatività’.L’artista ha creato un nuovo modo di pensare e operare, attingendo dalle varie discipline dell’umano sapere e indirizzando la sua ricerca pittorica verso l’astrattismo e le sperimentazioni su diversi materiali, dal vetro alla plastica, passando per quelli che Emilio Villa definì i “crates”, ossia trame geometriche che si sovrappongono alla superficie pittorica, come una scrittura di luce, un’architettura di segni. Si è confrontato anche con la plasticità della terza dimensione tramite la scultura e successivamente tramite le diverse tipologie di installazioni. Trotti ha ridisegnato un intero sistema per rendere il paesaggio più chiaro, più attrattivo comunicando così un’attitudine poetica e meditativa, che si esprime in una specifica scelta dei colori e atmosfere.
Inoltre, è un artista che non ha trascorso la sua vita chiuso nel suo studio, ma ha sempre dimostrato una sensibilità, una volontà di creare una connessione con l’Altro, con tutto ciò che lo circonda, a partire dalla comunità del suo territorio natìo; per questo motivo ha donato molteplici sue opere a diversi comuni delle Marche, mettendo così a disposizione un archivio, una testimonianza aperta d’inestimabile valore.
Un pensiero, che prende i tratti di una sincera gratitudine, giunge da Pina Gentili, direttrice del Centro Studi Marche nonché amica di Sandro Trotti: “ho avuto l’opportunità di frequentarlo e ho compreso, fin da subito, che avevo incontrato un uomo proiettato verso nuove sfide. In virtù del suo percorso, abbiamo deciso di premiarlo nel 2016, in Senato, come ‘Marchigiano dell’anno’ ”.
Infine, conclude la Gentili “ha una passione sempre rinnovata per la conoscenza, che lo porta a confrontarsi con altre forme di linguaggio, con le pagine di opere letterarie e poetiche, in un continuo e prolifico dialogo. È una persona che a 90 riprende in mano i libri del Canaletto e si sofferma a osservare i suoi scorci sui canali di Venezia nei quali rivede l’acqua dell’Adriatico, il suo muoversi, tremare e riverberarsi. Ha una forza in più, non ha limiti, ha una cultura infinita”.
Il Carnevale è una festa che celebra la fantasia e la trasgressione. È il momento in cui si può indossare una maschera e diventare qualcun altro, per un giorno o per una notte. Ma da dove nascono le maschere e i costumi che animano le strade e i palcoscenici durante il carnevale? Qual è il segreto che si cela dietro la loro creazione?
Per scoprirlo, bisogna addentrarsi all'interno delle sartorie per abiti da scena e teatro; luoghi magici, che parlano d’un mondo antico, dove si intrecciano tradizione e incursioni contemporanee. Qui, abili sarte e sarti trasformano i tessuti in opere d'arte, dando vita a personaggi e storie di singolare fascino, provenienti dalla storia del teatro italiano e internazionale.
A tal riguardo, oggi, questa tipologia di attività continua a custodire, tramandare e alimentare un inestimabile patrimonio culturale, realizzando costumi per spettacoli teatrali, opere liriche, film e rievocazioni storiche. In queste speciali officine del ricamo e del cucito, attraverso specifiche tecniche e materiali di pregiatissima qualità (seta, velluto, broccato, pizzo, piume ecc.) si ricreano gli abiti e gli accessori di ogni epoca e stile, dal Medioevo al Rinascimento, dal Barocco al Liberty, dal Novecento alle incursioni Pop e persino Punk.
È il caso di ‘Arianna Sartoria’, uno scrigno di maestria artigianale incastonato nella zona industriale di Piediripa. A riavvolgere il filo della storia, fino all’origine di quest’attività, è il titolare Jonny Giancamilli: “L’inizio della nostra sartoria affonda le sue radici in un piccolo negozio di Corridonia, dove vendevamo articoli da regalo. La passione per quest’ambito era già presente nella nostra famiglia, grazie a mia madre, Elvia Mengoni, e mia nonna. Così abbiamo iniziato a realizzare vestiti di carnevale per bambini, che hanno avuto un grande successo. Da quel momento, abbiamo deciso di dedicarci completamente alla sartoria, trasformando il nostro negozio in un laboratorio sartoriale e creativo”.
Poi, arrivano gli anni Ottanta e, con questi, la fortunata collaborazione con alcuni costumisti teatrali e cinematografici famosi, in particolare con Giancarlo Colis, docente all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Nel frattempo, sempre in quegli anni: “Mia madre- continua Giancamilli-, ha ottenuto l’abilitazione di sarta professionista, indirizzando così l’attività verso una specializzazione nel settore del teatro e dello spettacolo. Da allora, realizziamo costumi per opere teatrali, film, rievocazioni storiche e molto altro”.
Oggi, grazie alla presenza di uno staff altamente qualificato, che è rappresentato da Arianna, Martina, Patrizia e Cheirck, l’attività si distingue a livello nazionale per collaborazioni importanti nel mondo dello spettacolo, a partire dalla lirica, e in quello delle rievocazioni storiche. In virtù di questo motivo, può vantare un repertorio di oltre 10.000 costumi che coprono tutti i periodi e che vengono utilizzati in numerose manifestazioni.
Tornando alle atmosfere variopinte e danzanti del Carnevale, a raccontare la parabola di questi festeggiamenti e del loro cambiamento nel corso degli anni è Arianna, sarta professionista che lavora da quasi vent’anni nell’omonima sartoria maceratese: “Il modo di vivere il Carnevale è cambiato di generazione in generazione; con internet molte persone che desiderano mascherarsi approfittano di siti cinesi o Amazon per acquistare degli abiti. Una gran parte si indirizza solo sugli accessori tipo parrucche, occhiali grandi ecc”.
A essere cambiata, prosegue Arianna “è soprattutto la clientela; prima in negozio venivano tanti giovani di vent’anni adesso dai trent’anni in su. Per quanto riguarda i costumi più in voga, c’è molta richiesta di abiti storici per i quali un tipo di clientela adulta è disposta volentieri a spendere di più, puntando sull’originalità. Soprattutto va di moda lo Steampunk; si tratta della rivisitazione di un abito storico in stile punk, con ingranaggi e accessori vari. Ora, dal Carnevale ci stiamo spostando in particolar modo agli abiti per lo spettacolo, che comunque sono richiesti per questa festa”.
Infine, il passeggiare e perdersi tra i molteplici abiti da scena, tra le affascinanti stoffe adagiate sugli scaffali, tra le costellazioni di accessori sparse in giro, qui, diventa un’occasione alternativa di attraversamento e riscoperta del passato che, dialogando con il tempo presente, va a intessere l’intreccio di una storia unica.
Alla base di quest’ultima, c’è una costante che permette di gettare luce sul futuro, anche quando su questo si proiettano delle ombre velate d’incertezza: “Lo sviluppo futuro può essere enorme ma può essere che fra tre mesi non ho più nulla: ci sono grosse prospettive per quanto riguarda l’organizzazione di eventi attraverso la cooperazione di reti e mestieri. Alla base ci deve sempre stare il saper fare”. È proprio attraverso il ‘saper fare’, e il suo tramandarsi di generazione in generazione, che la parola ‘filo’, essenza indispensabile per la tessitura, il cucito, il ricamo, va a coincidere con l’antico significato greco di “-filia”, ossia “amore per..”.
Il festival “I giorni della Merla” è un omaggio alla meraviglia della narrazione, che si rinnova e si trasmette di generazione in generazione, come il colore nero delle merle, secondo la leggenda. A Macerata, il festival in questione è anche un’occasione per incontrare autori e autrici che hanno saputo raccontare storie di fuoco, di passione, di resistenza, di trasformazione.
Storie che bruciano sotto le braci, come quelle del Medio Oriente, una regione martoriata da conflitti senza fine, ma anche ricca di cultura, di storia, di umanità. Paola Caridi, giornalista e saggista, domenica 28 gennaio alle ore 17.30, presso il teatro Filarmonica di Macerata, ci porterà nel cuore di questo mondo complesso, con il suo libro “Hamas. Dalla resistenza al regime” (Feltrinelli), in cui ripercorre la storia di uno dei movimenti islamisti più controversi e influenti della scena politica palestinese. Un’opera che si basa su una rigorosa ricerca documentaria, ma anche su una profonda conoscenza diretta del territorio e delle sue dinamiche. Caridi ha vissuto a lungo in Medio Oriente, prima al Cairo e poi a Gerusalemme, dove ha fondato e diretto Lettera22, un’agenzia di stampa specializzata in politica estera.
Ha seguito da vicino gli eventi che hanno segnato la storia di Hamas, dalla sua nascita nel 1987 come ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, alla sua ascesa al potere nel 2006: “ è proprio dopo la vittoria alle elezioni politiche del 2006- afferma la Caridi- che inizia la slavina che conduce a oggi: l’embargo internazionale al governo di Hamas, la presa del controllo di Gaza da parte del movimento islamista, la completa e totale chiusura di Gaza per 16 anni da parte di Israele e, con alterne vicende, dell’Egitto sul confine meridionale della Striscia. Il consenso bisogna inserirlo in questa storia complessa e, soprattutto, inserirlo nella realtà di un territorio occupato da Israele dal 1967 (Gaza, Gerusalemme est e Cisgiordania). Le dinamiche politiche non sono quelle che si vivono in un territorio indipendente, in uno Stato indipendente”.
Circa il ruolo della cosiddetta “comunità internazionale”, l’autrice fornisce una prospettiva che getta luce su una serie di attori e fattori che spesso vengono trascurati: “è un termine vago che usiamo per definire spesso la sua parte occidentale. In gioco, invece, sono entrati attori internazionali che, spesso, non abbiamo considerato di peso. Quello che ha chiesto e ottenuto il Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia, di porre la sua attenzione su un possibile intento genocidiario a Gaza da parte di Israele, indica che le dinamiche nella comunità internazionale stanno cambiando profondamente. In questo contesto, l’Unione Europea si è dimostrata finora debole e senza compattezza: il suo ruolo, invece, poteva essere importante come facilitatore”.
Quando si parla di un contesto di guerra inevitabilmente si genera una riflessione sostanziale tra il concetto di 'umano' e quello di 'disumano'. A tal riguardo Paola Caridi conduce il pensiero a una terza dimensione, quella della ‘de-umanizzazione’: “ la questione centrale è la de-umanizzazione, ciò considerare l’Altro, l’Altra come non-umano. Più della disumanità la questione di fondo è non considerare umano chi ritieni il tuo nemico. Se non lo si considera umano, diventa ‘semplice’ ucciderlo. O, come si dice nel linguaggio deumanizzante della sicurezza, neutralizzarlo”.
A dialogare con Paola Caridi ci sarà Helena Janeczek, scrittrice e amica, che ha affrontato il tema della guerra e della memoria in due libri di grande successo: “La ragazza con la Leica” (Guanda), vincitore del premio Strega 2018, in cui ha raccontato la vita e le fotografie di Gerda Taro, la prima fotoreporter di guerra, morta durante la guerra civile spagnola; e “Lezioni di tenebra” (Guanda), in cui ha narrato la sua storia di figlia di genitori ebrei polacchi, sopravvissuti alla Shoah e rifugiati in Germania. Due libri che sono anche due viaggi nel tempo e nello spazio, alla ricerca di una verità storica e personale, tra le ombre del passato e le luci del presente.
L’incontro tra Paola Caridi e Helena Janeczek sarà moderato dalle curatrici del festival, Loredana Lipperini e Lucia Tancredi, che hanno scelto di muovere le braci della narrazione per liberare il racconto di fuochi che furono e fuochi che bruciano ancora.
Non tutti sanno che in provincia di Macerata, nel territorio del Comune di Pollenza, esiste un vivaio singolare, diverso da quelli comunemente noti; un luogo il quale, una volta varcata la soglia, non può che attrarre il passo e l’attenzione dei visitatori che scopriranno un universo di micro e macrocosmi.
Si tratta del vivaio forestale regionale “San Giovanni Gualberto” gestito dall’Amap (Agenzia per l'Innovazione nel Settore Agroalimentare e della Pesca Marche, ex Assam). E’ solo uno dei quattro vivai forestali dislocati nella nostra regione, gli altri sono a Senigallia, Sant’Angelo in Vado e Amandola.
Chi arriva al cancello, dalla didascalia che campeggia sull’insegna d’ingresso, riceve immediatamente un’informazione contenente un’importante chiave di lettura: “Centro di tutela della biodiversità”.
Dunque, da subito, ci si rende conto che si sta per accedere a una realtà molto più vasta e stratificata di quel che apparentemente sembra; qui, infatti, non si trovano piante ornamentali coltivate ad hoc per scopi estetici ma viene custodito e moltiplicato il patrimonio genetico di tutte le piante autoctone di origine forestale. Queste rappresentano la memoria e la diversità del nostro territorio e sono elencate nel “Libro regionale dei Boschi da seme”.
Per questo motivo l’Amap fornisce gratuitamente il materiale vivaistico agli Enti Pubblici interessati alla realizzazione di aree verdi fruibili dalla collettività per fini ricreativi, ambientali e didattici. A essere agevolati sono anche i privati che possono acquistarle, contribuendo così a diffondere la biodiversità.
Solo a titolo di esempio, negli otto ettari di spazio è reperibile una vasta gamma, un tripudio di varietà forestali, fra queste: Pino, Tiglio, Corbezzolo, Leccio, Olmo, Acero, Frassino, diverse tipologie di piante arbustive e di rose, dai colori e screziature unici. Numerose varietà di Melo autoctono sconosciute ai più (basti pensare alla sola Mela Limoncella, Mela rosa Marchigiana, Cerina e tante altre), Ciliegio, Pero ecc.
Con una serie di tecniche specifiche e particolarmente affascinanti per tutti i processi che comportano, per tornare alle essenze forestali, i semi di queste piante vengono raccolti all’interno delle aree iscritte al “Libro regionale dei boschi da seme”, successivamente sono portati presso i vivai, puliti, selezionati, seminati e infine rinvasati per poi essere venduti o ceduti. Per comprendere l’importanza e le implicazioni di tutto questo sistema che ne permette la conservazione genetica, di cui il vivaio forestale è il laboratorio a cielo aperto, il “tavolo da lavoro”, basti pensare che un paesaggio senza più queste tipologie arboree non solo sarebbe paragonabile a un’umanità senza più storia (e dunque privata dal senso dell’essere al mondo) ma avrebbe anche ripercussioni concrete sulla stessa vita umana poiché sono fra gli attori principali.
Queste specie e varietà infatti, nella loro selvatica bellezza, contribuiscono alla protezione del suolo, alla regolazione del clima, alla fornitura di legname, frutti, resine, funghi e più in generale contribuiscono al mantenimento della biodiversità; un vocabolo che, soprattutto negli ultimi tempi, è molto diffuso e in cui l’essere umano è coinvolto appieno. Ma che cosa significa nello specifico? A spiegarlo è il Dr. Lorenzo Moretti, Agronomo, e responsabile della Progettazione e sviluppo della biodiversità forestale di AMAP, ma incaricato anche di creare networking fra gli Enti, le istituzioni e il tessuto produttivo per la valorizzazione e promozione proprio del patrimonio silvicolo e forestale.
“Strettamente connessa al concetto di biodiversità è una dinamicità naturale, che è necessaria per l’evoluzione; mantenere un ecosistema non significa far rimanere tutto com’è, anzi, occorre che sia il più dinamico possibile. Il cambiamento climatico ci impone di adattarci, ma per farlo non possiamo permetterci di ridurre la biodiversità; è la nostra risorsa più preziosa, perché ci offre una molteplicità di opzioni e soluzioni. In alcuni contesti o paesaggi, come ad esempio quello agricolo, nei tempi passati, la tendenza è stata quella di semplificare gli ecosistemi sacrificandone la complessità e la capacità di adattamento agli stress per la massimizzazione della produzione.
Non è tutto, prosegue Moretti, con la riduzione della varietà s’incorrerebbe in uno scenario tutt’altro che rasserenante e dagli impatti di enorme portata; ad esempio, quando una patologia vegetale si abbatte su una vasta area coltivata con un’unica specie o in un’area boscata caratterizzata appunto da una unica specie arborea. In questi casi, è molto difficile contenere il patogeno e comunque gli strumenti impiegati non saranno mai risolutivi in tempi brevi. Queste condizioni potrebbero quindi cambiare per sempre l’aspetto e,più alla radice, le interazioni ecologiche di quell’area.”
La natura offre molti benefici, spesso invisibili ma indispensabili per il nostro benessere e la nostra sopravvivenza. Questi benefici derivano dai servizi ecosistemici; in base alla tipologia e alla quantità di questi ultimi, alcune aree verdi, sia pubbliche che private, possono essere certificate per la qualità del loro sistema di gestione. Come esempio, si possono riportare le aree boscate dei parchi e delle riserve, o più semplicemente il riferimento di un parco pubblico nel cuore di una città. Esso è un polmone verde che contribuisce a mitigare l’inquinamento atmosferico, a rinfrescare l’ambiente urbano ed è un luogo di svago per i cittadini.
Inoltre, i servizi ecosistemici, pur essendo quasi intangibili, hanno un valore economico che può essere stimato e monetizzato. Per esempio, se un filare di alberi sopra una strada impedisce il crollo di una scarpata, il suo valore è sicuramente riferibile a quello che si dovrebbe sostenere per ricreare la stessa condizione. Pertanto, è facilmente comprensibile che il mantenimento di tali strutture, non solo evita il costo del ripristino ma anche quello della perdita di funzionalità della strada e dei disagi per gli utenti.
Da qui il fine dell’AMAP attraverso i vivai forestali: “vogliamo preservare le differenze, perché tutelarle significherebbe proteggere il territorio e, di conseguenza, la vita umana”, conclude Lorenzo Moretti.
Infine, all’interno dei vivai forestali si ha l’inestimabile occasione di procurarsi “l’attrezzatura”, non solo teorica ma anche pragmatica, necessaria a inoltrarsi in un viaggio esplorativo in giro per il territorio alla scoperta delle realtà forestali. E non solo, indagando a fondo il concetto di biodiversità si può scoprire quanto essa riguarda e subentra nella vita quotidiana di tutti i giorni, dagli aspetti più peculiari a quelli più affascinanti e inaspettati. Un concetto non solamente intellettuale ma una vera e propria concretezza che ogni giorno si può toccare con mano senza rendersene conto. Le piante forestali infatti possono fornire principi attivi e materiali utili a vari settori, da quello della sanità, a quello dell’abbigliamento, al cosmetico passando per quello dele costruzioni e moltissimo altro.
Una volta usciti dal cancello, lasciandoselo alle spalle, già il paesaggio che si apre davanti agli occhi apparirà diverso, rinnovato: non più macchie di alberi e arbusti ma sistemi di esistenze che informano di scambi, di messaggi e ri-soluzioni.
(Foto: Girolamo Filippo Colonna)