Chiedilo all'avvocato

Lavoratrice in dolce attesa: linee guida per la tutela della maternità

Lavoratrice in dolce attesa: linee guida per la tutela della maternità

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avvocato Oberdan Pantana,“Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla tutela della lavoratrice dipendente in stato di gravidanza, con particolare riferimento al divieto di licenziamento ed alle agevolazioni alle stesse legislativamente garantite. Ecco la risposta dell’avvocato Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Camerino che chiede: “È legittimo il licenziamento della lavoratrice in dolce attesa a fronte della chiusura del reparto in cui la stessa prestava servizio? E quali sono le tutele alla stessa riservate?”. Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente delicata, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14515/2018, affermando testualmente quanto segue: “In tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui all'art. 54, comma 3, lett. b), d.lg. n. 151 del 2001, dall'inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, opera solo in caso di cessazione dell'intera attività aziendale, sicché, trattandosi di fattispecie normativa di stretta interpretazione, essa non può essere applicata in via estensiva od analogica alle ipotesi di cessazione dell'attività di un singolo reparto dell'azienda, ancorché dotato di autonomia funzionale.” (Cass. Civ., Sez. Lav., Sent. n. 14515/2018). Difatti, l’art. 54, D. Lgs. n. 151/2001, Testo Unico a tutela della maternità e della paternità, citato nella menzionata sentenza, prevedendo espressamente che: “Le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro previsti dal Capo III, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino”, se non in caso di cessazione dell’attività dell’intera azienda, colpa grave e scadenza naturale del termine contrattuale, tanto da assicurare una tutela assoluta da ipotesi di discriminazione collegate all’attuale stato della dipendente, alla quale è altresì garantita tutta una serie di misure preventive e protettive per la salute e la sicurezza in gravidanza, così come dopo il parto, a partire dal divieto di adibire la lavoratrice al lavoro, dai due mesi che precedono la data presunta del parto, fino ai tre mesi successivi al parto, c.d. congedo di maternità, cui si aggiunge il divieto di lavoro notturno, riposo settimanale, astensione da lavori che comportino rischi alla salute perché pericolosi, faticosi ed insalubri perché esposte a materiali, agenti chimici, fisici e biologici, o polveri dannose, che comportino una posizione in piedi per più di metà dell’orario o che obblighino ad una posizione particolarmente affaticante e scomoda, o ancora lavori su scale e impalcature mobili e fisse con pericolo di cadute, sollevare o trasportare pesi. Inoltre, il Testo Unico di cui all’oggetto, oltre ad estendere tali specifiche tutele anche al caso di adozione o affidamento, prevede espressamente il diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici, ovvero visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere eseguiti durante l’orario di lavoro, nonché il diritto all’indennità giornaliera pari all’80 per cento della retribuzione, per tutto il periodo del congedo di maternità, il quale deve essere fruito separatamente da eventuali ferie o assenze che spettano alla lavoratrice che quindi non vengono computate a tal fine, e al quale si aggiunge il rateo giornaliero relativo alla gratifica natalizia o alla tredicesima mensilità e agli altri premi o mensilità o trattamenti accessori eventualmente erogati alla lavoratrice, oltre alla previsione di due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata, della durata di un’ora ciascuno, da concedere alla neomamma per il primo anno di vita del figlio e che sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro, pur comportando il diritto della donna ad uscire dall'azienda. Infine, allo scopo di prestare tutela anche a quegli aspetti più strettamente legati alla carriera e di garanzia della professione, è previsto che al termine dei periodi di divieto di lavoro in virtù del congedo di maternità, le lavoratrici conservino il posto di lavoro e rientrino nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza; principio questo, ulteriormente consolidato dall’unanime orientamento della Suprema Corte che a tal proposito, ha espressamente sancito quanto segue: “È illegittimo il licenziamento intimato alla dipendente la quale – al termine del periodo di assenza obbligatoria per gravidanza previsto dall'art. 56, commi 1 e 3, d.lg. 26 marzo 2001 n. 151 – si rifiuti di prendere servizio presso una sede di lavoro diversa da quella occupata al momento dell'inizio della gravidanza in quanto, stante la normativa sulla tutela della maternità e della paternità, la lavoratrice ha diritto a conservare il posto di lavoro e la medesima sede (salvo rinuncia scritta) così che non possa configurarsi assenza ingiustificata – quindi giusta causa di recesso – il rifiuto al mutamento di sede” (Cass. Civ.; Sez. Lav., Sent. n.13455/2016). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

17/11/2019 08:45
Seggiolino antiabbandono: scattata l’obbligatorietà

Seggiolino antiabbandono: scattata l’obbligatorietà

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all’avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato la questione inerente all’avvenuta obbligatorietà per l’automobilista in caso di trasporto di un bambino di essere dotato del seggiolino cosiddetto “antiabbandono”. In particolare, ecco la risposta dell’avvocato Pantana alla domanda posta da un lettore di Tolentino, che chiede “A quale sanzione si va incontro in caso di trasporto di un bambino con un seggiolino senza tale specifico dispositivo?" Il caso di specie ci offre la possibilità di fare chiarezza riguardo all’obbligatorietà scattata il 7 novembre dell’automobilista che trasporta un bambino di essere dotato del dispositivo c.d. antiabbandono al fine di evitare una sanzione. Nel dettaglio, la Legge n. 117/2018 specifica che l’obbligo dei dispositivi antiabbandono sarebbe entrato in vigore decorsi 120 giorni dall’adozione del decreto ministeriale attuativo della norma che è stato pubblicato in gazzetta il 23 ottobre scorso; in pratica il 7 novembre, decorsi 15 giorni dalla pubblicazione del d.m. 2 ottobre 2019, avrebbero dovuto entrare in vigore solo le norme tecniche per consentire al mercato e agli utenti di adeguarsi. Purtroppo però la legge n. 117/2018 oltre ai 120 giorni di franchigia fissava anche la scadenza massima del 1° luglio 2019 per adeguarsi, quindi il Ministero dell’Interno non ha potuto fare altro che adeguarsi al dettato normativo ed a parere del Viminale, dal 7 novembre 2019, data di entrata in vigore del decreto, ai sensi dell’art. 172 C.d.S. per chi circola con bambini di età inferiore ai 4 anni a bordo di un veicolo chiuso senza dispositivi antiabbandono scatterà la sanzione da € 81,00 a € 326,00 ai quali si aggiunge la decurtazione di 5 punti dalla patente; in caso di recidiva nel biennio scatterà anche la sospensione della patente da 15 giorni a 2 mesi. Il tema principale ora è la dichiarazione di conformità dei dispositivi, ovvero l’autocertificazione che deve essere rilasciata al momento dell’acquisto e che attesta la rispondenza del dispositivo alle caratteristiche tecniche evidenziate dal decreto appena pubblicato in gazzetta. Saranno sicuramente pochi i rivenditori di dispositivi già muniti di questo certificato, ma senza questa documentazione a bordo il seggiolino antiabbandono non salverà dalle sanzioni. Sembra, infine, che sia in arrivo una “moratoria” fino a marzo 2020, così come anche indicato sul sito del Ministero delle Infrastrutture, ma per ora sono solo indicazioni informali, senza alcuna valenza giuridica. Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

10/11/2019 10:00
Accordo di separazione dei coniugi: effetti dell’atto di trasferimento immobiliare

Accordo di separazione dei coniugi: effetti dell’atto di trasferimento immobiliare

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avvocato Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla natura e agli effetti dell’atto di trasferimento della proprietà posto in essere in sede di separazione dei coniugi. Ecco la risposta dell’avvocato Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Civitanova Marche che chiede: “La proprietà di un immobile trasferito da un ex coniuge in favore dell’altro può essere soggetto ad aggressione da parte dei creditori del primo?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente delicata, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.27409/2019, affermando testualmente quanto segue: “Gli accordi di separazione personale, contenenti attribuzioni patrimoniali relative a beni mobili o immobili, rispondono ad uno specifico spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell’evento della separazione, il quale sfugge alle connotazioni classiche sia dell’atto di donazione sia dell’atto di vendita e svela una sua tipicità propria, la quale poi, di volta in volta, può colorarsi dei tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità. La necessità di accertare la natura onerosa o meno dell’atto rileva ai fini della disciplina di cui all’art. 2901 c.c.” (Cass. Civ.; Sez. II; Ord. n. 27409/2019 del 25.10.2019). Difatti, l’art. 2901 c.c. citato nella menzionata sentenza, prevendo espressamente che: “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio coi quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni […]”, disciplina l’istituto dell’azione revocatoria, la quale favorisce il creditore permettendogli di ottenere la dichiarazione di inefficacia, nei suoi confronti, degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore abbia arrecato pregiudizio alle sue ragioni, ad esempio ponendo in essere un atto di trasferimento di proprietà a titolo gratuito e perciò, diminuendo in modo consistente il proprio patrimonio, a discapito del suddetto creditore. A tal proposito occorre rilevare, che il problema principale sotteso a tale questione, attiene al profilo solutorio o meno dell'atto traslativo, dal momento che, essendo l'atto di adempimento di un'obbligazione notoriamente sottratto a siffatta azione revocatoria, la qualificazione dei negozi traslativi in esame, come negozi a carattere solutorio, fornirebbe un ostacolo insuperabile avverso le pretese dei creditori in sede di azione individuale ex art. 2901 c.c.; per tali ragioni la giurisprudenza di legittimità si è dovuta occupare più volte della questione di come qualificare sotto il profilo causale le attribuzioni patrimoniali traslative che accompagnano la sistemazione dei rapporti economici tra ex marito e moglie, affermando al riguardo come non sia possibile una definizione aprioristica circa la natura di tali trasferimenti, dovendosi valutare caso per caso, a che titolo essi vengano disposti. Pertanto, in risposta alla domanda della nostra lettrice ed in linea con l’unanime orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, si può affermare che: "Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell'uno nei confronti dell'altro e concernenti beni mobili o immobili, non risultano collegati necessariamente alla presenza di uno specifico corrispettivo o di uno specifico riferimento ai tratti propri della donazione (dato il contesto come quello della separazione personale, caratterizzato proprio dalla dissoluzione delle ragioni dell'affettività), tanto più, che per quanto può interessare ai fini di una eventuale loro assoggettabilità all'actio revocatoria di cui all'art. 2901 c.c. rispondono, di norma, ad un più specifico e proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione dell'evento di separazione consensuale, il quale, sfuggendo, in quanto tale, anche dalle connotazioni classiche dell'atto di vendita (attesa oltretutto l'assenza di un prezzo corrisposto), svela, di norma, una sua "tipicità" propria la quale poi, volta a volta, può, ai fini della disciplina di cui all'art. 2901 c.c., colorarsi dei tratti dell'obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della gratuità, in ragione dell'eventuale ricorrenza o meno, nel concreto, dei connotati di una sistemazione "solutorio-compensativa" più ampia e complessiva, di tutta quell'ampia serie di possibili rapporti patrimoniali maturati nel corso della quotidiana convivenza matrimoniale” (Cass. Civ.; Sez.III; Sent. n. 10443 dep. 15.04.2019). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

03/11/2019 09:44
Approvato il D.L. per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma: ecco tutte le novità

Approvato il D.L. per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma: ecco tutte le novità

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avvocato Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’approvazione del decreto-legge recante disposizioni per l’accelerazione e il completamento della ricostruzione nei territori colpiti da sisma del 2016. Ecco l’analisi svolta dell’avvocato Oberdan Pantana su ciò che è stato introdotto. La recente approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri, ci offre la possibilità di illustrare le effettive modifiche apportate al precedente Decreto –legge n. 189/2016, a fronte della comprovata necessità ed urgenza di disporre interventi per il superamento della situazione emergenziale e la conseguente adozione di misure straordinarie e derogatorie per l’accelerazione delle procedure di realizzazione di siffatti interventi, in ordine alla ricostruzione materiale delle zone colpite dal sisma del 2016 e all’assistenza alla popolazione interessata, al fine di garantire condizioni socio-abitative più adeguate ed una efficace ripresa economica. In particolare, i punti principali del provvedimento composto da 11 articoli, riguardano innanzitutto la proroga fino al 31 dicembre 2020 dello stato d’emergenza, dichiarato in conseguenza del sisma che ha colpito i territori delle regioni Lazio, Marche, Umbria e Abruzzo, oltre all’erogazione di 380 milioni per il 2019, provenienti dal Fondo per le emergenze nazionali previsto nel codice della Protezione Civile, e di altri 345 milioni per il 2020, mediante l’utilizzo delle risorse disponibili sulla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario. Inoltre, vengono introdotte importanti novità anche sul fronte dei pagamenti delle ritenute fiscali, contributi previdenziali e assistenziali, oltre ai premi dell’assicurazione, i quali dovranno essere adempiuti dalla popolazioni colpite a partire dal 15 gennaio 2020, nel limite del 50% degli importi totali dovuti; in aggiunta, accogliendo le richieste manifestate dagli esponenti dei territori interessati, è stata prevista la riduzione del 60% degli importi da restituire in relazione alla c.d. “busta paga pesante”, ovvero il taglio degli oneri fiscali, previdenziali e assistenziali che erano stati sospesi dall'agosto del 2016 a tutto il 2017, i quali dovranno essere restituiti nella misura ridotta del 40%. Tema centrale del nuovo decreto-legge, è costituito, parimenti, dai nuovi incentivi economici per i professionisti e le imprese che decidono di investire nelle zone colpite dal sisma, per i quali è prevista l’anticipazione del 50% delle spese, oltre all’estensione del pacchetto di agevolazioni Resto al Sud 2019, con un aumento delle risorse di 20 milioni di euro rispetto a quelle già assegnate dal Cipe, al fine di favorire la rinascita dell’imprenditoria locale e stimolare le imprese di altre Regioni ad estendersi nelle zone terremotate. Infine, il nuovo testo normativo interviene sulla ricostruzione degli edifici pubblici attribuendo la priorità agli edifici scolastici i quali, se inizialmente ubicati nei centri storici, dovranno essere ripristinati nel luogo d’origine per favorirne il ripopolamento, oltre alla tematica dello smaltimento delle macerie, per la quale il Governo fissa il nuovo termine al 31 dicembre 2019 per l’aggiornamento dei siti di stoccaggio di ogni Regione e, in mancanza di una intesa, autorizza comunque il Commissario straordinario a realizzare tale aggiornamento, superando un’eventuale situazione di stallo. Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

27/10/2019 10:00
Illegittima iscrizione al CRIF: condanna dell’istituto al risarcimento danni e sua cancellazione

Illegittima iscrizione al CRIF: condanna dell’istituto al risarcimento danni e sua cancellazione

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’illegittima iscrizione di un soggetto nel registro “cattivi pagatori” del Sistema Informazioni Creditizie di Crif. Ecco la risposta dell’avvocato Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di Pollenza che chiede: “Quali sono i presupposti per l’iscrizione al Crif e quali i rimedi in caso di illegittima segnalazione?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo più volte di pronunciarsi la Corte di Cassazione, non da ultimo con Sentenza n. 15609/2014, affermando testualmente quanto segue: “La segnalazione di una posizione in sofferenza non può mai scaturire dal mero ritardo nel pagamento del debito o dal volontario inadempimento, ma deve essere determinata dal riscontro, e dalla prodromica verifica da parte dell’ente creditizio, di una situazione patrimoniale deficitaria, caratterizzata da una grave e non transitoria difficoltà economica equiparabile, anche se non coincidente, con la condizione d’insolvenza quale grave difficoltà economica. Tale segnalazione deve inoltre essere preceduta dalla comunicazione dell’intermediario del credito nei confronti del soggetto finanziato circa l’imminente registrazione dei dati in uno o più sistemi di informazioni creditizie quali Crif e/o Centrale Rischi a norma del quale al verificarsi di ritardi nei pagamenti, l’Istituto creditizio avverte l’interessato” (Cass. Civ., Sez. I, Sent. n. 15609/2014). Difatti, le norme relative ai principi deontologici richiamati nella menzionata sentenza, hanno l’obiettivo di limitare il margine di discrezionalità che contrassegna suddetta iscrizione nel registro Crif da parte degli intermediari finanziari segnalanti, nonché quello di tutelare il presunto debitore, dai danni derivanti da tale registrazione, in ordine al rischio di preclusione alla concessione di futuri finanziamenti e di impossibilità di accesso a crediti bancari, richiedendosi per tali ragioni, una verifica particolarmente scrupolosa della situazione economica dello stesso, contemperando l’esigenza di contenimento del rischio creditizio, con la tutela dell’interesse privato del soggetto segnalato. A tal proposito, è la stessa giurisprudenza maggioritaria a rilevare come la condotta infondata dell’ente creditizio segnalante, costituisca una grave ed ingiustificata lesione dell’immagine del soggetto passivo rispetto ai rapporti commerciali e civili del medesimo, tenuto conto della stigmatizzazione derivante dall’identificazione del soggetto quale cattivo pagatore, nonché dell’evidente difficoltà derivante dalla stessa, nella concessione di future concessioni creditizie, condizioni che, in una situazione di crisi economica quale quella attuale, possono arrecare un serio pregiudizio al normale svolgimento delle attività economico-relazionali del soggetto indebitamente gravato dalla iscrizione, riconoscendogli a tutti gli effetti, idonea copertura giuridica in ordine al risarcimento del danno. Pertanto in risposta alla domanda del nostro lettore ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità, con riferimento ai presupposti come sopra riportati, si può affermare che: “In caso di illegittima segnalazione di una posizione in sofferenza, da parte di un istituto di credito, sussiste il danno da lesione dell'immagine sociale della persona che si vede ingiustamente indicata come insolvente, idoneo a determinare l’accoglimento del ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., scaturendone il diritto al risarcimento di tale pregiudizio senza necessità per il danneggiato di fornire la prova della sua esistenza, oltre all’immediata cancellazione del nominativo dello stesso” (Cass. Civ.; Sez. I; Sent. n.12626/2010). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

20/10/2019 10:00
Fine della convivenza: quali diritti per l’ex convivente che ha contribuito all’acquisto dell’immobile?

Fine della convivenza: quali diritti per l’ex convivente che ha contribuito all’acquisto dell’immobile?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al diritto riconosciuto all’ex convivente della ripetizione di specifiche somme corrisposte al partner durante il periodo di convivenza. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Camerino che chiede: “Terminata la convivenza si può ottenere la restituzione di quanto pagato per la costruzione di quella che sarebbe dovuta essere la casa familiare senza esserne il proprietario?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n.24721/2019, in accoglimento del ricorso posto in essere dall’ex convivente, affermando testualmente quanto segue: “L’accertamento in fatto che la dazione di denaro era rivolta al solo scopo di realizzare la casa familiare, destinata, nelle previsioni della ricorrente, a divenire comune, giustifica, ai sensi dell’art. 2033 c.c., il rimborso delle somme versate a titolo di concorso nelle spese di costruzione del manufatto rimasto in proprietà esclusiva dell’altro ex convivente, risultando tale contribuzione a tutti gli effetti, indebita” (Cass. Civ.; Sez. II; Sent. n. 2973/2016). Difatti, l’art. 2033 c.c. citato nella menzionata sentenza, prevendo espressamente che: “Chi ha eseguito un pagamento non dovuto, ha diritto di ripetere ciò che ha pagato […]”, disciplina l’istituto della ripetizione dell’indebito avente come suo fondamento, l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta da una parte, o perché il vincolo obbligatorio non è mai sorto, o perché venuto meno successivamente, a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa a una clausola risolutiva espressa. A tal proposito, occorre rilevare che, sebbene la convivenza di fatto rappresenti ormai a tutti gli effetti una formazione sociale riconosciuta e tutelata dal nostro ordinamento giuridico, con la quale sorgono doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell'altro, per cui eventuali contribuzioni e prestazioni economiche eseguite durante il periodo di convivenza vengono sussunte, dalla coscienza sociale, fra i doveri connessi ad un consolidato rapporto affettivo, essendo generalmente ricondotte nell'alveo delle obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., è tuttavia necessario che tali prestazioni rese, trovino giustificazione nella solidarietà e nella reciproca assistenza fra i conviventi, sussistendo al contrario, un'inconciliabilità logico-giuridica fra convivenza more uxorio e arricchimento ingiustificato, il quale necessariamente investe le circostanze relative all’effettuazione di prestazioni di tipo economico, derivanti da un presunto vincolo obbligatorio, ma che risultino a posteriori non dovute, così giustificando la tutela giuridica e patrimoniale del soggetto leso, in presenza di atti dispositivi posti in essere a vantaggio di uno dei conviventi esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalicanti i limiti di proporzionalità e adeguatezza. Pertanto, in risposta alla domanda dalla nostra lettrice e in linea con la più autorevole e consolidata giurisprudenza di legittimità, si può affermare che: “Le attribuzioni patrimoniali a favore del convivente 'more uxorio' effettuate nel corso del rapporto configurano l'adempimento di una obbligazione naturale ex art. 2034 cod. civ., a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza; in caso di attribuzioni economico patrimoniali eseguite in corso di convivenza, a titolo di concorso alle spese di costruzione della casa familiare, si ha diritto al rimborso delle somme date se, terminata la convivenza, il conferimento non si concretizza nell’acquisto della proprietà del bene, esulando tale prestazione, dal mero adempimento di suddette obbligazioni” (Cassazione civile sez. VI, 15/02/2019, n.4659). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

13/10/2019 09:57
Auto in sosta fuori dalle strisce blu: nessuna legittimazione in capo all’ausiliario del traffico per contestare il mancato ticket

Auto in sosta fuori dalle strisce blu: nessuna legittimazione in capo all’ausiliario del traffico per contestare il mancato ticket

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’inidoneità dei verbali elevati dagli ausiliari del traffico, in circostanze che esulino dalla violazione delle disposizioni previste in tema di parcheggi a pagamento. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di Macerata che chiede: “Si può considerare legittima la multa per mancato pagamento del ticket al proprietario di un’automobile posteggiata al di fuori delle strisce blu?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la sentenza n.551/2009, affermando testualmente quanto segue: “Gli ausiliari del traffico sono legittimati ad accertare e contestare violazioni quando le stesse concernano disposizioni in materia strettamente connessa all'attività svolta dall'impresa di gestione dei posteggi pubblici o di trasporto pubblico delle persone dalla quale dipendono, secondo quanto previsto dai commi 132 e 133 dell'art. 17 legge n. 127 del 1997, ove l'ordinato e corretto esercizio di tale attività sia impedito o, in qualsiasi modo, ostacolato o limitato. Laddove, invece, le violazioni consistano in condotte diverse, l'accertamento può essere compiuto esclusivamente dagli agenti di cui all'art. 12 C.d.S.”(Cass. Civ.; Sez. II; Sent. n. 2973/2016). Difatti, i commi 132 e 133 dell’art. 17 della citata Legge. n. 127/1997, prevedono rispettivamente che: "I comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle società di gestione dei parcheggi, limitatamente alle aree oggetto di concessione” e che: “Le funzioni di cui al comma 132 sono conferite anche al personale ispettivo delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone […]. A tale personale sono inoltre conferite, con le stesse modalità di cui al primo periodo del comma 132, le funzioni di prevenzione e accertamento in materia di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico”. A tal proposito occorre infatti rilevare come in presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, quali sono la gestione delle aree da riservare a parcheggio e l'esercizio del trasporto pubblico di persone, il legislatore con le norme sopra richiamate, abbia disposto che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati, i quali abbiano una particolare investitura da parte della pubblica amministrazione, con ciò stabilendo che tali funzioni attribuite riguardino esclusivamente le violazioni in materia di sosta e limitatamente alle aree ad oggetto di concessione, essendo queste ultime strumentali rispetto allo scopo di garantire la funzionalità dei posteggi, oltre alle ipotesi di circolazione e sosta sulle corsie riservate al trasporto pubblico.  Pertanto, in risposta al nostro lettore ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità, si può affermare che: “In tema di circolazione stradale, i poteri di accertamento degli ausiliari del traffico, che siano dipendenti delle società di gestione dei pubblici posteggi e trasporti è limitata all'accertamento delle violazioni in materia di sosta dei veicoli commesse nelle aree comunali oggetto di concessione, contrassegnate con la segnaletica orizzontale blu e specificamente destinate al parcheggio, previo pagamento di ticket; ogni altra violazione è da intendersi di competenza degli agenti indicati dall’art. 12 co.3 C.d.S.”. (Corte di Cassazione; Sez. Un.; Sent. n. 5621/2009).  Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

06/10/2019 09:57
Divorzio e assegno di mantenimento: niente più raffronto al pregresso tenore di vita

Divorzio e assegno di mantenimento: niente più raffronto al pregresso tenore di vita

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’assegno di mantenimento destinato in fase di cessazione degli effetti civili del matrimonio, al coniuge economicamente più debole. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di San Severino Marche che chiede: “In quali circostanze viene concesso l’assegno di mantenimento all’ex coniuge e quale funzione ha?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi il Tribunale di Milano con la sentenza n.6665/2019 di rigetto dell’istanza proposta da una donna al proprio ex marito, stabilendo espressamente quanto segue: “In considerazione del fatto che la signora possa considerarsi economicamente autosufficiente, anche se con possibilità decisamente inferiori rispetto a quelle del marito, occorre tuttavia sottolineare che alla luce dell'attuale orientamento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 18287/2018) le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi non costituiscano più il punto di riferimento principale per l'attribuzione del diritto ad un assegno di mantenimento poiché le stesse rilevano solo ove eziologicamente connesse al contributo di ciascuno nel corso della vita matrimoniale, secondo quanto prescritto all’art. 5 comma 6 L. n. 898/1970” (Tribunale di Milano Sent. n. 6665/2019). Difatti, l’articolo citato nella menzionata sentenza, disciplinando i parametri da valutare al fine del riconoscimento di un assegno di divorzio a beneficio di uno dei due ex coniugi, prevede testualmente che: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”. Per tali ragioni, una volta avanzata la richiesta da una delle parti, il Giudice deve procedere alla comparazione delle condizioni economiche-patrimoniali delle stesse, e laddove emerga l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, il Giudicante deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dal menzionato art. 5, e in particolare, deve considerare se quella disuguaglianza economica che emerge, sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due ex coniugi, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio; solo dopo aver operato tali gravose valutazioni, il giudice potrà decidere circa la necessità di stabilire un assegno di mantenimento in capo al richiedente e quantificarlo, senza però doverlo rapportare né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato. Pertanto, in risposta al nostro lettore ed in linea con la più recente ed autorevole giurisprudenza di merito e di legittimità, si può affermare che: “All'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche funzione perequativo-compensativa che conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate” (Corte di Cassazione; Sez. Un.; Sent. n. 18287/2018). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

29/09/2019 10:00
Disservizio del Comune sulla raccolta rifiuti: il contribuente ha diritto al pagamento almeno in misura ridotta

Disservizio del Comune sulla raccolta rifiuti: il contribuente ha diritto al pagamento almeno in misura ridotta

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all’avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica attinente all’imposta sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e malfunzionamento del relativo servizio fornito dall’amministrazione comunale. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice della Provincia di Macerata che chiede: “Di fronte ad un disservizio del Comune sulla raccolta dei rifiuti il pagamento della relativa tassa è comunque dovuto per l’intero?”. Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 22767/2019, affermando testualmente quanto segue: “Il diritto alla riduzione presuppone l'accertamento specifico mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell'immobile, sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della riduzione richiesta, della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione della Tarsu, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4” (Cass. Civ.; sez. Trib.; Sent. n. 22767 ; dep. 12.09.2019). Difatti, l’art. 59 del citato D.lgs. n. 507/1993, al comma 4° prevede espressamente che: "Se il servizio di raccolta, sebbene istituito e attivato, non si è svolto nella zona di residenza o di dimora nell'immobile a disposizione ovvero di esercizio dell'attività dell'utente o è effettuato in grave violazione delle prescrizioni del regolamento di cui al comma 1, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, da stabilire in modo che l'utente possa usufruirne agevolmente, il tributo è dovuto nella misura ridotta di cui al secondo periodo del comma 2'' ovvero in misura non superiore al 40% della tariffa.". Pertanto, in risposta alla nostra lettrice ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità, si può affermare che: "Il presupposto della riduzione della Tarsu ai sensi del D. Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4, non richiede che il disservizio sia imputabile all’Amministrazione comunale; al contrario, tale presupposto si identifica nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato, non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell'immobile, ovvero, si sia svolto in grave violazione delle prescrizioni sul servizio di nettezza urbana” (Cass. Civ.; Sez. Trib.; Sent. n. 22531/2017). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

22/09/2019 09:50
Oggetto idoneo all’offesa in auto senza giustificato motivo: sequestro immediato e condanna penale

Oggetto idoneo all’offesa in auto senza giustificato motivo: sequestro immediato e condanna penale

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo allavvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al porto di oggetti qualificabili dalla legge come armi o strumenti atti ad offendere, senza giustificato motivo. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettore di Matelica che chiede: “Si può andare incontro ad una responsabilità penale se si trasposta in automobile una mazza da baseball?”. Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la sentenza di condanna n. 55037/18 emessa nei confronti di un automobilista al quale era stata sequestrata una mazza da baseball a seguito di un controllo su strada eseguito dal comando locale dei Carabinieri, affermando testualmente quanto segue: “Questa Corte con indirizzo qui condiviso ha già affermato che, in assenza di giustificata e adeguata motivazione, al fine di qualificare l'oggetto sequestrato come offensivo, assumono rilievo le sue caratteristiche oggettive, considerate in relazione alle dimensioni ed alla consistenza, che lo rendano idoneo ad offendere, nonché la potenzialità dell'uso dannoso, come è reso evidente dall’ art. 4, della L. n. 110 del 1975” (Cass. Pen.; sez. I; Sent. n. 55037/18). Difatti, l’art. 4 della citata legge n. 110/1975, al comma 2° prevede espressamente che: “Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l'offesa alla persona”, concedendo alla più autorevole giurisprudenza l’onere di fornire l’esatta definizione di “giustificato motivo” il quale “ricorre solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite, relazionate alla natura dell’oggetto, alla modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione del bene” (Cass. Pen.; Sez. I; Sent. n. 18925/2013). Pertanto, in risposta al nostro lettore ed in linea con l’unanime orientamento giurisprudenziale di legittimità si può affermare che: “Il porto, senza giustificato motivo e a fronte di ragioni non plausibili ed astratte, fuori dalla propria abitazione, di una mazza da baseball, da ritenersi arma impropria, costituisce reato in ragione della sua chiara utilizzabilità, per dimensioni e consistenza al fine di arrecare offesa alla persona” (Cass. Pen.; Sez. I; Sent. n. 26161; dep. il 13.06.2019). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

15/09/2019 10:00
Comodato d’uso gratuito e separazione dei beneficiari: è sempre legittimo esigere la restituzione dell’immobile?

Comodato d’uso gratuito e separazione dei beneficiari: è sempre legittimo esigere la restituzione dell’immobile?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al contratto di comodato d’uso gratuito avente ad oggetto un immobile e concluso a beneficio di un familiare. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Porto Recanati che chiede: “Il proprietario di un immobile concesso in comodato d’uso gratuito per esigenze familiari al proprio figlio, può richiedere il possesso del bene in caso di separazione della coppia beneficiaria ?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, stabilendo il seguente principio di diritto: “Il comodato di un immobile che sia pattuito per la destinazione di esso a soddisfare le esigenze abitative familiari, non è assoggettabile al recesso “ad nutum” da parte del comodante, dal momento che il rapporto creato secondo lo schema contrattuale di cui all’art. 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha una durata funzionalmente legata alla permanenza della famiglia, pur se in crisi” (Corte di Cassazione; Sez. Un.; Sent. n. 20448 dep. il 29.09.2014). Difatti, l’art. 1809 c.c. citato nella menzionata sentenza, prevedendo espressamente che, “Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se n’è servito in conformità del contratto”, sancisce un nesso inscindibile tra la finalità per la quale il comodato viene perfezionato e la durata dello stesso, impedendo dunque al proprietario concedente, di rientrare con semplice richiesta, nel possesso del bene oggetto di tale contatto, fino a che permanga l’esigenza che si intende soddisfare. A tal proposito, occorre osservare che, in un’altra recentissima sentenza, la n. 21785/2019, la stessa Suprema Corte si è pronunciata in ordine al legittimo recesso della proprietaria di un appartamento concesso in comodato d’uso gratuito al figlio e alla rispettiva ex moglie, la quale anche dopo il divorzio da quest’ultimo, aveva continuato ad utilizzare l’immobile ad oggetto, esclusivamente per la notte, pur avendo costituito un nuovo nucleo familiare con un altro uomo ed acquistato una nuova casa, rilevando come in tale circostanza, “Le caratteristiche concrete del rapporto quali dedotte in giudizio, fanno protendere per la cessazione della finalità del comodato, in ragione del venir meno della reale destinazione dell’appartamento, essendo lo stesso rimasto occupato soltanto di notte e a meri fini strumentali, per evitare cioè una pronuncia di restituzione alla legittima proprietaria. Da tali motivi ne deriva che le esigenze connesse all’uso familiare dell’immobile concesso in comodato d’uso gratuito siano certamente venute meno”, così legittimando il recesso della proprietaria comodante (Cass. Civ.; Sez. III; Sent. n. 21785/2019; dep. 29.08.2019). Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità, si può affermare che: “Quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di separazione o divorzio dei beneficiari, non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto a patto che permangano le effettive esigenze abitative di ciascun soggetto” (Cass. Civ.; SS.UU.; Sent. n. 13603/2004). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

08/09/2019 09:28
Assegno di mantenimento: fino a quando il genitore deve mantenere i figli maggiorenni?

Assegno di mantenimento: fino a quando il genitore deve mantenere i figli maggiorenni?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all’avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’obbligo del mantenimento del genitore, anche separato o divorziato, nei riguardi dei propri figli maggiorenni. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di Tolentino che chiede: “Fino a quando il genitore è tenuto al mantenimento dei propri figli maggiorenni?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente delicata e molto attuale, nella quale la Cassazione, pur mantenendo una posizione prudente sulla facoltà per i genitori, anche separati o divorziati, di cessare il mantenimento dei propri figli maggiorenni quali disoccupati cronici, studenti svogliati o attempati "teenager", la stessa è sempre più orientata a porre un freno, quasi in funzione di educatrice sociale, a responsabilizzare proprio quella prole che non vuole andare via da casa e rimanere sotto lo stesso tetto tra le cure amorevoli e la "paghetta" mantenimento di mamma e papà. È vero, infatti, che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli, ai sensi degli artt. 147 e 148 c.c., non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma permane fino al raggiungimento di una indipendenza economica tale da essere in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, ma tale obbligo non è infinito; se da un lato, non qualsiasi lavoro o reddito fa venir meno l'obbligo del mantenimento, ma occorre un impiego tale da consentire al figlio un reddito corrispondente alla propria professionalità, adeguato alle sue attitudini ed aspirazioni (Cass. n. 27377/2013; n. 1773/2012; n. 18/2011; n. 14123/2011; n. 21773/2008), dall'altro, l'abuso non è più tollerato: l'obbligo continua a vigere, afferma la Cassazione, solo se il figlio "incolpevolmente" non raggiunge l'indipendenza economica (Cass. n. 23590/2010). Se, dunque, la precarietà del mondo del lavoro accentuata dalla crisi, rende difficile la possibilità di trovare un impiego idoneo, “per i figli che tengono un comportamento di inerzia e rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro e quindi di disinteresse nella ricerca di indipendenza economica”, la Suprema Corte ha ritenuto, senza ma e senza se, configurabile l'esonero dalla corresponsione dell'assegno richiesto da parte del genitore obbligato (Cass. n. 7970/2013; n. 4765/2002; n. 1830/2011). Così, ad esempio, la Cassazione ha detto di no al mantenimento “della figlia trentaseienne laureata in architettura che aveva rifiutato l'offerta di lavoro del padre, occupato nel settore dell'edilizia, poiché in grado di attendere ad occupazioni lucrative, ingiustamente, invece, da lei rifiutate" (Cass. n. 610/2012); allo stesso modo, ha escluso il diritto al mantenimento “del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività lavorativa saltuaria ed era iscritto all'università da più di otto anni” (Cass. n. 1585/2014); così come “al figlio ultratrentenne senza lavoro ma in possesso di un patrimonio tale da garantirgli l'autosufficienza economica (Cass. n. 27377/2013). Pertanto in risposta alla domanda del nostro lettore ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità, si può affermare che l’obbligo al mantenimento da parte del genitore dei figli maggiorenni, da un lato continua a vigere solo se il figlio "incolpevolmente" non raggiunge l'indipendenza economica (Cass. n. 23590/2010), dall’altro lo stesso viene meno per i figli che tengono un comportamento di inerzia e rifiuto ingiustificato di occasioni di lavoro e quindi di disinteresse nella ricerca di una propria autonomia finanziaria (Cass. n. 7970/2013; n. 4765/2002; n. 1830/2011). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

01/09/2019 09:38
Pedone incauto travolto: fino a che punto è responsabile il conducente di omicidio stradale?

Pedone incauto travolto: fino a che punto è responsabile il conducente di omicidio stradale?

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all’avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’omicidio stradale e nello specifico la responsabilità penale del conducente per il sinistro occorso ad un pedone in fase di attraversamento del tratto stradale.  Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di San Ginesio che chiede: “Quando il conducente può essere responsabile per omicidio stradale a seguito di investimento del pedone con condotta imprudente ?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente delicata, sulla quale ha avuto modo recentemente di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34406/19, affermando espressamente quanto segue: “In tema di incidenti stradali, ciò che deve essere valutato nel caso concreto è la ragionevole prevedibilità della condotta della vittima e la possibilità di porre in essere le manovre di emergenza necessarie ad evitare l’evento, qualora il pericolo temuto si concretizzi a causa del comportamento imprudente altrui o della violazione delle norme di circolazione da parte della vittima” (Cass. Pen.; Sez. IV; sent. n. 34406; dep. il 29.07.2019). A tal fine, l’indagine da compiere, involge l’analisi esegetica dell’articolato impianto normativo in materia di circolazione dei pedoni. Il pedone - colui che cammina a piedi - che utilizza la strada secondo la sua destinazione specifica (la circolazione) è, in quanto tale, soggetto ai doveri giuridici posti dal codice della strada (art. 1). Il codice regola la materia in due norme, una - art. 190 - che disciplina il “comportamento dei pedoni” e l’altra - art. 191 - che stabilisce il “comportamento dei conducenti nei confronti dei pedoni”. Le due disposizioni vanno coordinate, perché il comportamento del conducente è complementare a quello del pedone. Il principio informatore della circolazione di cui all’art. 140 grava il conducente di tre obblighi comportamentali: 1) ispezionare costantemente la strada; 2) mantenere sempre il controllo del veicolo; 3) prevedere le ragionevoli situazioni di pericolo, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada. Conseguentemente, per affermare la colpa esclusiva del pedone, deve realizzarsi una duplice condizione: a) che il conducente, per cause estranee alla diligenza e alla prudenza da lui osservate, si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo improvviso e inatteso; b) che il conducente abbia osservato le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza. “Ne deriva che per escludere la responsabilità del conducente da ogni addebito di colpa, generica o specifica, è necessario che la condotta del pedone si ponga come causa atipica ed eccezionale, da collocarsi nell’ambito del ragionevolmente non prevedibile” ( Cass. Pen., sez. IV; sent. n. 18321/19). Pertanto in risposta alla domanda del nostro lettore ed in linea con la più autorevole giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità colposa del conducente, si può affermare che: "In tema di circolazione stradale, trova applicazione il principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché questo rientri nel limite della prevedibilità, dal momento che ciò che necessita di opportuna ponderazione è proprio la ragionevole prevedibilità della condotta realizzata dalla persona offesa, oltre alla possibilità di porre in essere la manovra di emergenza necessaria ad evitare l’evento, nel caso in cui il pericolo temuto si concretizzi”(Cass. Pen.; Sez. 4; sent. n. 5691, dep. 11/02/2016).  Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.  

25/08/2019 10:00
Turista rientra con la valigia alleggerita... dalla compagnia aerea. Sarà risarcita

Turista rientra con la valigia alleggerita... dalla compagnia aerea. Sarà risarcita

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al risarcimento danni derivanti dallo smarrimento del proprio bagaglio in occasione della partenza per le vacanze estive. E cco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da una lettrice di Matelica che chiede: “Si può chiedere il risarcimento danni alla compagnia aerea per il furto di oggetti contenuti nel proprio bagaglio depositato in stiva durante il viaggio?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi il Giudice di Pace di Pistoia, il quale ha approfondito e disciplinato in modo del tutto innovativo, una nuova fattispecie in materia di tutela del passeggero e di danno da vacanza, stabilendo testualmente quanto segue: “Nei casi di smarrimento di bagagli, è da ritenersi pacifico che il danno e la relativa responsabilità siano da attribuire esclusivamente al vettore ai sensi della Convezione di Montreal, del codice del consumatore e dell’art. 1681 c.c., non potendo essere invocata una colpa in capo alla impresa di handling gerente il traffico di bagagli presso lo scalo aeroportuale, in virtù del contratto sottoscritto col cliente” (Giudice di Pace di Pistoia, Sent. n. 902/2013). Difatti l’art. 1681 c.c. citato nella menzionata sentenza, prevedendo testualmente al comma 1° che: “Salva la responsabilità per il ritardo e per l'inadempimento nell'esecuzione del trasporto, il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell'avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”, stabilisce, pertanto, una presunzione di colpevolezza a carico del vettore per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio, circostanza questa che opera sul presupposto che sussista un nesso di causalità tra l’evento dannoso occorso al viaggiatore e l’esecuzione del trasporto. A tal proposito, occorre rilevare che al fine di ampliare la tutela del consumatore/viaggiatore, il legislatore ha previsto un onere probatorio aggravato in capo al vettore, e dunque, alla compagnia aerea, alla quale sia mosso un addebito circa la propria responsabilità; difatti la stessa  dovrà dimostrare di aver adottato tutte le opportune precauzioni e di aver posto in essere l’esatto adempimento della propria prestazione, oltre alla sopravvenienza per caso fortuito o forza maggiore, di un evento imprevedibile ed improvviso, dal quale sia derivato il fatto lesivo ai danni del viaggiatore, il quale al contrario, dovrà semplicemente dimostrare la sussistenza di un contratto di trasporto col vettore, nonché l’evidente nesso causale col furto subito. In aggiunta, è opportuno osservare come la sentenza citata, abbia apportato un contributo innovativo a tale disciplina, estendendo la responsabilità del vettore, non solo allo smarrimento dell’intero bagaglio, ma anche al furto degli oggetti in esso contenuti, escludendo tassativamente ogni responsabilità in capo alla ditta di smistamento dei bagagli selezionata dalla stessa compagnia aerea, la quale, in virtù della relazione contrattuale sussistente con lo sfortunato turista e perfezionato al momento dell’acquisto del biglietto, resterà in ogni caso, l’unica obbligata a provvedere al trasporto, alla custodia e a tutte le attività funzionali. Pertanto, in risposta alla nostra lettrice e in linea con la più autorevole giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di risarcimento danni da furto di bagaglio, si può affermare che: “Con l’acquisto del biglietto aereo, il viaggiatore acquirente conclude un contratto che vincola la compagnia aerea all’esatto adempimento della propria prestazione, la quale comprende il trasporto e la custodia dei bagagli, con presunzione di colpa in capo a quest’ultima, per il sinistro che colpisca il passeggero durante il viaggio, operando sul presupposto di un nesso di causalità tra l’evento e l’esecuzione del trasporto, nonché legittimando le pretese risarcitorie per i danni patrimoniali e non patrimoniali da quest’ultimo sofferti” (Cass. Civ. sez. III, Sent. n. 12143/2016). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

18/08/2019 09:50
“Mobbing” al lavoratore: condanna del datore di lavoro al risarcimento danni

“Mobbing” al lavoratore: condanna del datore di lavoro al risarcimento danni

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alle condotte poste in essere dal datore di lavoro, integrante la fattispecie del cosiddetto “mobbing”. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana alla domanda posta da un lettore di Treia, che chiede: “Quando può dirsi configurato il danno da “mobbing” ad opera del proprio titolare suscettibile di risarcimento ?” Il caso di specie ci offre l’occasione di far chiarezza su una questione estremamente sensibile, sulla quale ha avuto modo più volte di pronunciarsi la Suprema Corte, da ultimo con la recentissima sentenza n.18808/2019 in accoglimento del ricorso posto in essere da una lavoratrice nei confronti del proprio datore di lavoro, con la quale la Corte di legittimità, ha affermato il seguente principio di diritto: “A configurare il danno di cui all’art. 2087 c.c. derivante dai comportamenti tenuti dal datore di lavoro, non è necessario l’elemento di dolo, bensì è sufficiente una serie di condotte vessatorie poste in essere sul luogo di lavoro ai danni di un dipendente, tenendo conto che anche inadempienti colposi ad obblighi datoriali influenti in modo dannoso sull’ambito psichico dei lavoratori, possono integrare la responsabilità oggetto della norma menzionata, dal momento che gli stessi equivalgono a comportamenti destinati ad opprimere consapevolmente l’altrui persona integrando di per sé un palese coefficiente intenzionale” (Cass. Civ.;Sez. Lav.; n. 18808/2019). Infatti l’art. 2087 c.c. citato nella menzionata sentenza, stabilendo testualmente che: “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”, delinea un modello di comportamento dovuto dall’imprenditore, direttamente rilevante anche in ambito giurisdizionale, il cui significato fondamentale consiste nel ricordare che i doveri di diligenza gravanti sullo stesso, non si esauriscono in quelli tipizzati in specifiche disposizioni, ma si estendono all’attuazione di ogni misura necessaria all’effettiva salvaguardia del bene tutelato, ovvero l’integrità psico- fisica del lavoratore. A tal proposito, in attuazione di tale intento garantista, la stessa Corte di Cassazione, con diverse autorevoli pronunce, ha avuto modo di definire con esattezza le specifiche condotte idonee ad integrare l’effettiva lesione agli interessi del prestatore d’opera, precisando che: “Per mobbing si intende una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio psicofisico e del complesso della sua personalità” (Cass. Civ.; Sez. Lav.; Sent. n. 30673/18), sancendo, inoltre, l’irrilevanza della sussistenza del conflitto reciproco, e dunque, escludendo tassativamente che per la configurazione del mobbing sia necessario che non ricorra una conflittualità; difatti, i Giudici della Cassazione, hanno espressamente stabilito che pur a fronte di atteggiamenti ostili del lavoratore, il datore di lavoro non è legittimato a indursi a comportamenti vessatori, potendo comunque esercitare i suoi poteri direzionali e disciplinari nei limiti previsti dalla legge e in ogni caso rispettosi del canone generale di continenza. Pertanto in risposta alla domanda del nostro lettore ed in linea con l’unanime orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno da “mobbing”, si può affermare che: “Nell’intento di assicurare una tutela rafforzata alla persona del lavoratore, il danno non patrimoniale in oggetto, è configurabile ogni qualvolta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti della persona del lavoratore, concretizzando una lesione ad interessi oggetto di copertura costituzionale, mediante una valutazione eseguita caso per caso, supportata da una motivazione congrua, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giuridici applicabili alla materia” (Cass. Civ.; Sez. Unite; Sent. n. 4063/2010). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

11/08/2019 10:00
Ritardato rilascio dell’immobile locato: condanna del conduttore al risarcimento dei danni

Ritardato rilascio dell’immobile locato: condanna del conduttore al risarcimento dei danni

Torna come ogni domenica la rubrica curata dall’avvocato Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa al risarcimento dei danni subiti dal locatore, a causa del mancato rilascio dell’immobile locato da parte del conduttore . Ecco la risposta dell’avvocato Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Macerata che chiede: “Che risarcimento si può richiedere al conduttore che ritarda la restituzione dell’immobile ?”. Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 18946/19, la quale ha stabilito testualmente quanto segue: “Il ritardo del conduttore nella riconsegna della cosa locata, legittima soltanto la condanna generica al risarcimento del danno da occupazione oltre il limite di durata indicato in contratto, ogni differente danno, sia esso derivante da danneggiamento dell’immobile o da perdita di opportunità di vendita-locazione, deve essere adeguatamente provato” (Cass. Civ.; Sez. III; Sent. n. 18946/19, dep. 16.07.2019). A tal proposito occorre rilevare che l’art. 1591 c.c., cui è fatto riferimento nel proseguo della menzionata sentenza, prevedendo espressamente che, “Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno”, fa coincidere la somma dovuta a titolo di canone mensile, con il risarcimento del danno cagionato per il solo ritardo nella riconsegna del bene locato, attraverso una presunzione assoluta, per la quale non è ammissibile alcuna prova contraria e assicurando al locatore danneggiato dalla ritardata restituzione, una liquidazione automatica del danno; al contrario, ogni altro pregiudizio sofferto dal locatore a causa del comportamento del conduttore, definito per l’appunto “maggior danno”, ovvero danno ulteriore, pur derivando comunque dal mancato rilascio dell’immobile entro il termine pattuito, necessita di un’autonoma allegazione probatoria. Difatti, la stessa Suprema Corte, in un’altra autorevole pronuncia, ha avuto modo di affermare il principio di diritto secondo il quale: “Perché sia configurabile il maggior danno da ritardo nella restituzione del bene locato, ex art. 1591 c.c., deve essere provata l’esistenza di un nesso di causalità tra la situazioni di mora del conduttore e un ulteriore danno subito dal locatore, come la perdita di più vantaggiose proposte di locazione o concrete possibilità di vendita dell’immobile occupato; tale prova deve essere fornita sulla base di un plausibile giudizio prognostico, con valutazione ex ante, ovvero occorre chiedersi, ponendosi nella situazione del locatore,se, qualora il fatto dannoso, nel caso di specie, il ritardo nell'adempimento della obbligazione di rilascio, non si fosse verificato, il proprietario dell’immobile avrebbe potuto evitare il danno, consistente nella perdita di una più favorevole occasione di vendita. In caso di risposta affermativa, il danno da ritardo nell'inadempimento sussiste ed è imputabile al comportamento del conduttore” (Cass. Civ.; Sez.III; Sent. n. 22352 del 22.10.2014). Pertanto, alla luce dell’unanime orientamento della Corte di Cassazione e in risposta alla domanda del nostro lettore, si può affermare che: “In tema di locazione, in caso di ritardato rilascio di immobile, è automatica la condanna del conduttore ad un generico risarcimento del danno da occupazione oltre il limite di durata, consistente, ex art. 1591 c.c., nella corresponsione del canone convenuto sino alla restituzione, salvo che il locatore non provi di aver patito un ulteriore danno, nel qual caso, sulla base di una valutazione prognostica “ex ante”, sarà legittimato ad agire per ottenere l’ulteriore ed autonomo risarcimento.”(Cass. Civ.; Sez. III; Sent. n. 18946/19, dep. 16.07.2019). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

04/08/2019 09:56
Inagibilità causa sisma: diritto al “bonus fiscale prima casa” per l’acquisto della seconda abitazione

Inagibilità causa sisma: diritto al “bonus fiscale prima casa” per l’acquisto della seconda abitazione

Torna come ogni domenica la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa alla fruizione di agevolazioni fiscali per l’acquisto di una seconda casa, a fronte dell’inidoneità abitativa della prima. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettrice di Camerino che chiede: “Si possono ottenere le agevolazioni fiscali per l’acquisto di una nuova casa se la precedente è resa inagibile a causa del sisma?”. Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale ha avuto modo più volte di pronunciarsi la Corte di Cassazione, da ultimo con l’Ordinanza n. 18091/2019, in accoglimento del ricorso formulato da una contribuente avverso l’avviso di liquidazione per recupero delle agevolazioni fiscali “prima casa”, posto in essere dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, secondo cui, essendo già proprietaria di un immobile, la signora non avrebbe avuto diritto al suddetto beneficio fiscale sull’acquisto di una nuova casa, a nulla rilevando l’invocata inagibilità della precedente abitazione a causa del sisma che aveva colpito tale zona. A tal proposito occorre rilevare che secondo il D.P.R. n. 131/1986, pur richiedendo quale presupposto dell’agevolazione cosiddetta prima casa, la non titolarità da parte dell’acquirente dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa, già una precedente pronuncia della Suprema Corte aveva statuito quanto segue: “Non ostacola alla fruizione delle suddette agevolazioni fiscali “prima casa”, la circostanza che l’acquirente dell’immobile sia al contempo proprietario di altro immobile acquistato senza agevolazioni nel medesimo comune, inidoneo per le ridotte dimensioni” (Cass. Civ.; Sez. V; Sent. n. 11564/2006). Successivamente, nuove pronunce della Corte di legittimità, hanno ampliato l’ambito applicativo di tale beneficio, estendendo i criteri di inidoneità, validi alla concessione di tali agevolazioni, a circostanze anche diverse dalle ridotte dimensioni dell’immobile già di proprietà, come il danneggiamento dovuto ad eventi sismici o atmosferici, e “suggerendo una valutazione che tenga conto del punto di vista soggettivo del compratore in relazione alle esigenze abitative del nucleo familiare”(Cass. Civ.; Sent. n. 27376/2017). Pertanto, alla luce, oramai, dell’unanime e consolidato orientamento della Suprema Corte, e in risposta alla domanda della nostra lettrice, si può affermare che:“ In riferimento all’acquisto di una nuova abitazione, ai fini della fruizione dei benefici fiscali "prima casa", non ostacola che l’acquirente sia proprietario di un altro immobile anche nello stesso Comune, se segue la sopravvenuta inidoneità di quest’ultimo, anche a causa di terremoto, dal momento che la nozione di "casa di abitazione" deve essere intesa nel senso di alloggio concretamente idoneo, sia sotto il profilo materiale che giuridico, a soddisfare le esigenze abitative dell'interessato” (Cass. Civ.; Sez.VI; Ord. n. 18091/2019, depositata il 08.07.2019). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

28/07/2019 09:43
Il “ Codice Rosso” diventa legge: ecco le novità sulla violenza di genere

Il “ Codice Rosso” diventa legge: ecco le novità sulla violenza di genere

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avvocato Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente la tematica relativa all’approvazione del disegno di legge n. 1200/2019, cosiddetto Codice Rosso, avente ad oggetto la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere: di seguito l’analisi dell’avvocato Oberdan Pantana. La recente approvazione definitiva da parte del Senato, ci offre la possibilità di illustrare le effettive modifiche apportate da parte di un disegno di legge che si distingue subito per l’introduzione normativa di nuovi reati perpetrati soprattutto ai danni delle donne, nonché per l’introduzione di pene più aspre nel caso di violenze commesse in contesti familiari o nell’ambito di rapporti di convivenza. In particolare, il provvedimento composto da 21 articoli, andando a modificare in modo significativo la normativa vigente in materia, stabilisce un inasprimento di pena per il reato di maltrattamenti in famiglia, da un minimo di 3 a un massimo di 7 anni; pena ulteriormente aumentata in caso di commissione del delitto alla presenza di un minore, di un disabile o di aggressione armata; per il reato di stalking si passa ad una pena detentiva di un minimo di 1 anno, fino ad un massimo di 6 anni e 6 mesi; ed infine, per il reato di violenza sessuale, si ha del pari un importante incremento di pena, prevedendo il minimo ad anni 6 ed il massimo ad anni 12. Inoltre, tale provvedimento, introduce una corsia preferenziale per lo svolgimento delle indagini relative a tali tipologie di delitti, prevedendo una misura speciale per l’audizione della vittima, la quale dovrà essere ascoltata dal Pubblico Ministero già entro i primi 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, nonché la previsione di un incremento dei fondi annualmente stanziati a favore delle vittime di violenza, orfani di crimini domestici ed alle famiglie affidatarie, ed infine, la disciplina di un più arduo percorso di ammissione del condannato all’istituto della sospensione condizionale della pena, subordinandolo alla partecipazione a percorsi di recupero organizzati ad hoc da enti o associazioni che si occupano di assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per reati sessuali. In aggiunta, tra le novità previste con il nuovo disegno di legge, occorre evidenziare l’introduzione dell’art. 558-bis c.p., che disciplina l’inedito delitto in materia di “Costrizione o induzione al matrimonio”, stabilendo espressamente che: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto." Di pari rilevanza, risulta essere l’introduzione normativa dell’art. 612-ter c.p., in materia di “Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”, il cosiddetto Revenge Porn, delitto solitamente posto in essere dal compagno per vendicarsi dell’ex dopo la fine della relazione, motivo per il quale, a tali soggetti viene applicato l’aumento della pena prevista, e che stabilisce espressamente quanto segue: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000”. Infine, v’è l’introduzione dell’art. 583-quinquies c.p., disciplinante il delitto in materia “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, il quale va a punire pratiche, purtroppo, oramai molto diffuse, come buttare dell’acido addosso all’ex compagna o segnare per gelosia il volto di persone che non corrispondono “all’amore malato”, prevedendo espressamente che: “Chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso è punito con la reclusione da otto a quattordici anni, stabilendo oltretutto la pena dell’ergastolo, nel caso in cui dallo sfregio permanente, dovesse derivare la morte della vittima. Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

21/07/2019 10:00
Temporale con caduta alberi: responsabilità del Comune per il risarcimento danni alle automobili

Temporale con caduta alberi: responsabilità del Comune per il risarcimento danni alle automobili

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana, “Chiedilo all'avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato principalmente l’ultimo evento temporalesco accorso nella nostra provincia e nello specifico riguardo alla tematica sulla responsabilità degli enti locali per i danni causati dalla caduta di alberi o rami in occasione di temporali. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da un lettore di Porto Recanati che chiede: “È possibile ottenere il risarcimento dei danni riportati dalla propria autovettura a seguito della caduta di un albero causata da un forte temporale?” Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente sensibile, sulla quale ha avuto modo di pronunciarsi il Tribunale di Cagliari, con una pronuncia che ha posto le basi all’unanime orientamento della Corte di Cassazione, secondo il quale: “È configurabile la responsabilità del Comune a norma dell’art. 2051 c.c. per il danno cagionato al privato da un bene demaniale, atteso che questo si trova nella custodia della amministrazione medesima e quindi rientra nel suo potere di amministrazione e custodia”, ed ancora: “ La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, può essere esclusa solo se si provi il caso fortuito, consistente in un evento imprevedibile ed eccezionale. Non può quindi ritenersi caso fortuito interruttivo del nesso di causalità, un temporale, seppur caratterizzato da forti raffiche di vento e caduta di grandine” (Trib. Cagliari; Sent. del 06.12.1995). Difatti il richiamato art. 2051 del codice civile, prevedendo espressamente che: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”, disciplina l’istituto della responsabilità della cosa in custodia, la quale assume carattere oggettivo, dal momento che prescinde dall’effettivo coinvolgimento del custode della cosa nell’evento lesivo provocato da quest’ultima, introducendo, nel caso che ci occupa, la questione della diretta riconducibilità del danneggiamento riportato dal veicolo, agli enti amministrativi, quali Comune, Provincia, Regione, tenuti alla sicurezza e alla manutenzione delle strade, urbane nel primo caso, extraurbane negli altri due, nonché delle relative pertinenze, come marciapiedi e alberi, riconducibilità superabile solo con la prova dell’accadimento di un caso fortuito, inteso quale elemento estraneo alla sfera soggettiva del custode, del tutto autonomo, imprevedibile nonché di assoluta eccezionalità, tale da interrompere il nesso di causalità e risultare idoneo a rappresentare l’esclusiva causa del danno. A tal proposito, con riferimento ai danni cagionati da precipitazioni atmosferiche, la Suprema Corte più volte chiamata a pronunciarsi su tale questione, è stata chiara nell’escludere l’ipotesi di caso fortuito o della forza maggiore in presenza di fenomeni metereologici anche di particolare forza e intensità, se questi rientrano comunque, per quanto rari e sporadici, nella normale prevedibilità, arrivando inoltre a stabilire con una recentissima sentenza che: “In tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., la riconducibilità degli eventi atmosferici alla nozione di "caso fortuito" è condizionata alla presenza dei requisiti dell'eccezionalità e dell'imprevedibilità, i quali non possono ritenersi provati neanche per il fatto che sia stato dichiarato lo stato di emergenza sulla base di valutazioni operate dalla protezione civile, poiché la "calamità naturale" che determina lo stato d'emergenza, non costituisce di per sé un evento eccezionale e imprevedibile, pur potendo essere determinata anche da eventi di tal natura, le cui caratteristiche devono essere accertate sulla base di elementi di prova concreti e specifici”. ( Cass. Civ.; Sez. III; Sent. n. 14861; dep. 31.05.2019). Pertanto, in risposta alla domanda del nostro lettore, si può affermare la legittimità della richiesta di risarcimento avanzata nei confronti dell’Ente per i danni causati dai beni sui quali quest’ultimo svolge la propria attività custodiale, di gestione e manutenzione. Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

14/07/2019 09:57
Attenzione alle case fantasma estive: truffa con danno da vacanza rovinata

Attenzione alle case fantasma estive: truffa con danno da vacanza rovinata

Torna, come ogni domenica, la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana “Chiedilo all'Avvocato”. Questa settimana, le numerose mail arrivate, hanno interessato principalmente una tematica tipica della stagione estiva e relativa alla responsabilità da vacanza rovinata. Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Tolentino che chiede: “A cosa va incontro chi mette un annuncio online per l’affitto estivo di una casa vacanza che poi si rivela inesistente ?” Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente attuale, sulla quale si è pronunciato recentemente il Tribunale di Avellino, con sentenza n. 1064/2018, nei confronti di un uomo che aveva raggirato una giovane coppia, fingendo di essere proprietario di una bellissima casa a Posillipo, posta in affitto per il periodo estivo su alcuni siti online, per poi sparire dopo aver ricevuto una consistente caparra, e condannandolo per il delitto di truffa c.d. contrattuale ex art. 640 c.p.. Difatti, il Giudice chiamato a pronunciarsi sulla questione, in attenta valutazione delle circostanze del caso di specie, aveva statuito che: “La condotta tenuta dall’imputato, ed in tali termini acclarata, lungi dall'esaurirsi in un mero inadempimento civilistico, finisce senz'altro con l'integrare il reato di truffa, ricorrente ogniqualvolta l'agente abbia posto in essere artifici e raggiri al momento della conclusione del negozio giuridico, traendo in inganno il soggetto passivo, indotto pertanto a prestare un consenso che altrimenti non sarebbe stato dato”. A tal proposito, occorre osservare che, in aggiunta al danno economico sofferto dalla coppia, nell’irrogare l’adeguata sanzione penale, il Giudice di merito, in senso conforme alla più consolidata giurisprudenza di legittimità, operava un’attenta valutazione anche dell’entità danno non patrimoniale patito dalle parti offese, e relativo alla vacanza rovinata, intesa come pregiudizio al benessere psichico e materiale sofferto dai malcapitati per non aver potuto godere della vacanza quale occasione di piacere, svago e riposo; difatti, come pure sancito dalla Suprema Corte: "Il danno non patrimoniale da vacanza rovinata, secondo quanto espressamente previsto in attuazione della Direttiva n. 90/314/CEE, costituisce uno dei "casi previsti dalla legge" nei quali, il pregiudizio non patrimoniale è risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., e si concreta in una tipologia di danno costituito da disagio e sofferenze per il presumibile stravolgimento delle aspettative con riguardo alla qualità e serenità della vacanza”(Cassazione civile; Sez. III, Sent. n. 17724 del  06/07/2018). Pertanto, in risposta alla nostra lettrice e in linea con la più autorevole giurisprudenza sia di merito, sia di legittimità, si può affermare che: “Il soggetto che pone in essere una condotta fraudolenta con artifici  e  raggiri  consistiti  nel  proporre in affitto un appartamento per le vacanze ed inducendo  in  errore  le vittime sulla reale esistenza dello stesso, nonché procurandosi un ingiusto profitto, va condannato per il delitto di truffa ex art. 640 c.p., oltre al risarcimento di tutti i danni derivati dalla stessa condotta acclarata, la cui liquidazione non può prescindere dal danno emergente corrispondente all'importo inutilmente corrisposto in anticipo, oltreché al danno da vacanza rovinata subito dalle parti offese” (Tribunale sez. I , - Avellino, 04/06/2018, n. 1064 ). Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.

07/07/2019 09:46
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