di Maurizio Verdenelli

Emanuele Tacconi e i suoi anni in Afghanistan: "Nessuno dei miei amici risponde, è angosciante"

Emanuele Tacconi e i suoi anni in Afghanistan: "Nessuno dei miei amici risponde, è angosciante"

È uno dei cittadini maceratesi più illustri, come dimostra anche il premio "Maceratese nel Mondo" ricevuto nel 2015. Emanuele Tacconi, inviato Onu e stratega della logistica dei soccorsi internazionali nei paesi in via di sviluppo, è un profondo conoscitore delle dinamiche interne al luogo tornato nell'occhio del ciclone nel corso dell'ultimo mese, l'Afghanistan, visto che qui ha vissuto per oltre quattro anni (2002-2005 e 2014-2015).  Buongiorno Emanuele, dov’è ora il tuo fronte? "Sono in Giordania per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e come sempre mi occupo di logistica. Faccio parte di un team che gestisce un progetto sanitario di supporto al Ministero della Salute giordano e i cui beneficiari sono i circa due milioni di profughi siriani presenti sul territorio e quella parte di popolazione giordana che vive in un contesto di estrema vulnerabilità" L’Afghanistan? E’ sempre nel cuore e ora piu’ che mai. Questa nuova situazione genera una tempesta di emozioni. Sono sempre alla ricerca di notizie e costantemente in contatto con amici e colleghi con i quali ho condiviso anni di lavoro in quel paese che non meritava questa fine. C’è tanta rabbia piu’ che delusione. C’è rabbia perché questo epilogo era prevedibile e non doveva essere questo. C’era tempo e spazio per gestire la situazione in modo diverso. Cerco di contattare i miei amici afghani e nessuno risponde e questo se pur comprensibile e’ angosciante. Che ricordi? Quanti amici? I ricordi sono innumerevoli. Ho vissuto quattro anni e mezzo in Afghanistan (2002-2005 e 2014-2015) e sono stati anni vissuti intensamente sia da un punto di vista professionale che personale. Un paese che, per motivi di lavoro, ho avuto l’opportunità di visitare in lungo e in largo. Da solo o in compagnia e i ricordi, sia belli che brutti, si susseguono. Ricordi di luoghi e volti sempre nitidi nonostante il passare degli anni. E allora rivedo le maestose montagne dell’Hindu Kush, il Salang Pass, il Badakhshan, le sterminate piantagioni dei papaveri da oppio in fiore, il Khyber Pass e le aree tribali al confine con il Pakistan, la zona archeologica di Ghazni dove ho rintracciato due collaboratori del nostro concittadino Giuseppe Tucci che negli anni cinquanta diresse gli scavi in quella zona, l’arida ma affascinante Kandahar, Bamyan e i Buddha distrutti a cannonate dai Talebani nel 2001, le meravigliose moschee di Herat e Mazar-i-Sharif e tanti altri luoghi. Ricordo il difficile ma entusiasmante e appagante lavoro svolto ovunque ci fosse stato bisogno, senza mai tirarsi indietro. Ricordo le difficoltà nel raggiungere i pazienti nelle zone piu’ impervie e pericolose del paese e la soddisfazione nel riuscire ad approvvigionare gli sperduti presidi sanitari di medicinali sufficienti per garantire un minimo di assistenza medica alla popolazione locale. E’ nitido il ricordo dei tanti amici con i quali ho condiviso questa grande esperienza e indelebile e’ il ricordo di quelli che in Afghanistan ci hanno lasciato la vita. Il duro lavoro della ricerca dei loro corpi e la “gioia” di ritrovarli e riportarli a casa. Venti anni di lavoro svanito nell’arco di pochi giorni. Ne e’ valsa la pena? Si. Decisamente sì. Lo rifarei ancora, ancora e ancora. Avevi previsto? Si, sin dal 2002. Il regime talebano era stato destituito da pochi mesi e dopo ventitré anni di guerra si iniziava a nutrire la speranza che ci si potesse avviare verso un processo di pacificazione dell’intero paese. Però si notava che le forze della coalizione, specialmente quelle statunitensi occupavano e militarizzavano interi quartieri per poter ampliare le loro ambasciate o costruire nuovi uffici. Stavano completamente snaturando Kabul e l’Afghanistan in generale. Continuavano a costruire alti muri di protezione e chiudevano le strade. Il traffico a Kabul era diventato insostenibile e un giorno preso dall’esasperazione ho chiesto, con una certa veemenza, ad un gruppo di afghani che era stati incaricati di gestire il traffico nei pressi di un cantiere, perché permettessero tutto ciò. “Insomma avete combattuto per ventitré anni prima una guerra di resistenza contro i sovietici, poi una feroce guerra civile e poi avete subito le angherie del regime talebano per ritrovarvi ora “occupati” da chi vi ha “liberato”. Almeno i sovietici hanno costruito delle infrastrutture, degli ospedali, delle centrali elettriche e dei siti di produzione. Erano sì invasori e per questo dovevano essere fronteggiati ma almeno una parvenza di sviluppo l’hanno data. Questi non fanno altro che distruggere e costruire muri. Non costruiscono nulla con una prospettiva di sviluppo”. La loro risposta fu decisa ed immediata e l’ho sempre tenuta bene in mente e ora piu’ che mai credo spieghi tutto. “Siamo stanchi di combattere. Combattere è quello che abbiamo fatto negli ultimi ventitré anni e ora ci sono le condizioni per poterci riposare un po’, ed e’ quello di cui abbiamo bisogno ma, come sempre, non accetteremo interferenze esterne. Recupereremo le forze e torneremo a combattere". Nell’arco di un paio d’anni sono iniziati gli attentati e i rapimenti e la situazione e’ degenerata fino ad arrivare all’esito di questi ultimi giorni. Quando ho lasciato l’Afghanistan per la prima volta nel 2005 la situazione non era idilliaca ma tutto sommato c’era una parvenza di normalità. Si poteva nutrire ancora un minimo di speranza. Quando sono ritornato nel 2014 la situazione era irrimediabilmente compromessa. Gli afghani sono come l’acqua. Tornano sempre nel loro percorso naturale. Non importa quanto tempo sarà necessario. Ed ora? Anche se ne dubito, la speranza e’ che ci sia una strategia per non far ripiombare l’Afghanistan nel buio. In un buio sicuramente ben piu’ tetro da quello dal quale si pensasse ne fosse uscito venti anni fa. Non credo che il paese possa sopravvivere senza finanziamenti esterni. Il nuovo governo non può reggersi solo sui proventi della vendita dell’oppio, seppur molto consistenti. Se non si negozia un supporto esterno e non si scende a compromessi, la situazione sarà ben peggiore di quella di venti anni fa. Ma anche scendere a compromessi si rischierebbe di consegnare il paese a qualche entità straniera che in Afghanistan, in tutti questi anni, non ha investito neanche un centesimo o che ha mantenuto un basso profilo e che ora sfrutterebbe la situazione favorevole. Staremo a vedere cosa produrranno le capacità diplomatiche del nuovo governo. Sarà anche interessante scoprire le strategie, se ne hanno, dell’Europa, degli Stati Uniti e delle tante altre nazioni che potrebbero entrare a far parte del nuovo capitolo del Grande Gioco. Ho collaborato al tuo “I martiri bambini” (prefazione di Lorenzo Bianchi) e ho memoria di un tuo vaticinio: qui i bambini hanno un destino rischioso, diventare le nuove leve del terrorismo. E ora, anche in Afghanistan, come sempre succede in questo tipo di situazioni, i bambini e gli adolescenti saranno costretti a subire un particolare percorso educativo con il fine di alimentare quel bacino di utenza dal quale attingere combattenti sempre pronti per essere mandati al macello. I bambini sono facilmente suggestionabili. Essi non hanno filtri ne’ si pongono limiti, quindi sono sempre pronti a compiere azioni indicibili pur di compiacere i loro “insegnanti”. Emergency: per la tua attività i contatti con l’organizzazione di Gino Strada sono stati molto frequenti. L’ospedale di Emergency a Kabul ha svolto gran parte del tragico bilancio di morti e feriti dell’attentato dell’Isis K. Di fatto con Emergency non avevamo nessun rapporto istituzionale e quelle rarissime volte che abbiamo avuto a che fare con loro i risultati sono stati pessimi. Ma questa e’ un’altra storia. Tuttavia il loro ospedale e’ stato un punto di riferimento fondamentale non solo durante questo ultimo attentato ma durante tutti gli attentati, piu’ o meno gravi, che si sono susseguiti nel corso di questi ultimi venti anni. In ogni occasione il personale ha lavorato instancabilmente salvando la vita o migliorando quella di migliaia di pazienti.

01/09/2021 13:00
Dai banchi di scuola a Passo Treia fino alla cima dal Monte Bianco: la storia di Riccardo e Luca

Dai banchi di scuola a Passo Treia fino alla cima dal Monte Bianco: la storia di Riccardo e Luca

Alle ore 8:15 di lunedì 9 agosto i due scalatori, Riccardo Gasparrini e Luca Frascarelli, hanno toccato la vetta del Monte Bianco a 4810 metri.  Riccardo Gasparrini e Luca Frascarelli, entrambi classe 1992, sono legati da una lunga amicizia iniziata tra i banchi della scuola elementare "Arcobaleno" di Passo di Treia (ai tempi scuola elementare "Corso Garibaldi") e dalla passione per l'alpinismo.  I due amici hanno iniziato a frequentare l'ambiente alpinistico a partire dall'anno 2015 con le prime vie ferrate al Gran Sasso e successivamente alle Dolomiti. Nel 2016 è stata la volta del primo corso speleologico ufficiale.  La prima impresa di coppia è arrivata l'8 luglio 2018 con il raggiungimento della Capanna Margherita (il rifugio più alto d'Europa) che si trova sulla Punta Gnifetti a 4556 metri del massiccio del Monte Rosa.  Il duo è giunto domenica a La Visaille (quota 1700 metri) e subito si è spostato alla volta del Rifugio Gonella che è stato raggiunto all'altezza dei 3071 metri dopo aver risalito tutto il Ghiacciaio del Miage (il più grande ghiacciaio nero o debris covered glacier delle Alpi).  Dopo qualche ora di meritato riposo e la tradizionale "colazione di mezzanotte", alla una in punto la spedizione è ripartita in piena notte armata di torce frontali ed ha affrontato la risalita dell'immenso Ghiacciaio del Dôme che si contraddistingue per la presenza di enormi crepacci.  Per neve e rocce si segue questa cresta fino alla sua sommità, nota come Piton des Italiens (4003 metri), sull'affilata cresta nevosa spartiacque che dal Col de Bionnassay sale verso il Monte Bianco. Superata la spalla ai 4154 metri al culmine del contrafforte roccioso meridionale si giunge sull'ampia cupola nevosa del Dôme du Goûter (4304 metri) che porta successivamente alla sella del Col du Dôme (4240 metri) dove è possibile incontrare le tracce che salgono dai rifugi del Gouter e dei Grands Mulets.  Le avversità metereologiche sono sopraggiunte alle ore 5:30 del 9 agosto sul ripido pendio che conduce al Rifugio Vallot (4362 metri). Il forte vento che soffiava ad oltre 80 chilometri orari e la temperatura esterna scesa a -15 gradi centigradi ha fatto sì che i due coraggiosi scalatori passotreiesi stessero per andare in ipotermia. Ma nonostante tutto i due amici hanno raggiunto il rifugio integri e dopo un'ora di riposo, ai raggi del primo sole dell'alba, sono ripartiti alla volta della vetta.  Lungo la cresta più ripida e stretta si toccano le due sommità nevose della Grande Bosse (4513 metri) e della Petite Bosse (4547 m) che sono state oltrepassate con non poche difficoltà causate dalle continue raffiche. A 4677 metri  sono state costeggiate le rocce della Tournette e lungo la cresta più aerea e sottile si arriva alla vetta del Monte Bianco. Alle ore 8:15 di lunedì 9 agosto si è concretizzata la difficoltosa escursione che ha visto protagonisti i due giovani alpinisti.  Per il ritorno è stato seguito lo stesso itinerario di salita ed i due scalatori sono così potuti tornare al Rifugio Gonella dove li ha attesi un'altra notte di pernottamento prima del rientro. 

11/08/2021 10:27
Il "lusso estremo"? Riposa a Castelraimondo nell'antico lanificio che produce materassi

Il "lusso estremo"? Riposa a Castelraimondo nell'antico lanificio che produce materassi

Non è fortunatamente come nella celebre canzone di tanti anni fa, un capello di donna. Ma è un crine di cavallo. "Esattamente il più pregiato, proveniente cioè dalla criniera e dalla coda" puntualizza Alberto Quacquarini, 46 anni co-titolare di una fabbrica di materassi a Castelraimondo. Terzo di una generazione nata nel 1929 dall’intuito di un imprenditore lungimirante della zona, Augusto Quacquarini: "Mio nonno rilevò un lanificio operante a Castelraimondo sin dal 1880 e con tutta la famiglia divenne un piccolo, laborioso esempio, in piena campagna dell'entroterra maceratese, di quel modello di sviluppo economico regionale che gli economisti fissarono come marchigiano nella storia dello sviluppo industriale italiano".  La struttura azienda-famiglia è rimasta immutata. "Siamo in sette a condividere quotidianamente l'impegno lavorativo. E mia madre fa la spola tra la cucina e il laboratorio, per continuare a darci una mano" confida Alberto. Il target è rimasto sempre quello: il lusso estremo. Certo: i materassi negli anni '30, nelle nostre campagne come si vedono in molti musei dedicati erano confezionati con paglia e altri elementi naturali che attraverso un'apposita apertura del rivestimento venivano rinfrescati manualmente ogni mattina. La natura è rimasta a dominare lo scenario dei componenti del materasso Quacquarini. Anche se ora i 18 strati che lo compongono, premurosamente lavorati a mano parlano di prodotti super pregiati. Non solo di crine di cavallo della cui lavorazione la fabbrica è pioniera in Italia, (udite, udite!) ed il cashmere, ma anche e soprattutto lana vergine Merinos, britannica Cheviot, pelo di cammello, seta tussah, cotone, cocco, e altri elementi come gli speciali feltri in lana e lino atti ad avvolgere, il perfetto sistema dei molleggi attenuandone le cariche elettrostatiche. Un altro esempio di unicità è l’esclusiva linea di materassini naturali sovrapponibili ai materassi, che completano il sistema letto garantendo un comfort eccellente. "Abbiamo tutti i certificati di qualità che occorrono, siamo legati fortemente alla tradizione sin dal nome dell’azienda: Quacquarini materassi dal 1929. E dallo stesso nome dei nostri prodotti top: la linea 1929 e la linea Augusto. Appena sotto, ci sono i materassi come Gentile, Allegretto, Bramante ad indicare l'eccellenza della storia artistica delle Marche" tiene a precisare Quacquarini, devotissimo insieme alla sorella Stefania, co-titolare della ditta alla memoria del fondatore. La qualità dei prodotti "made in Castelraimondo", al n. 23 di viale Europa, è paragonabile ad altre 4 o 5 super griffe mondiali. "Noi facciamo però pagare 10/ 15 volte in meno i nostri prodotti top rispetto ai listini europei. La rosa dei nostri prodotti comprende anche le trapunte in lana, cashmere e piumino d'oca, un’intera linea di guanciali naturali ed altri elementi che vanno ad arredare confortevolmente la zona notte di ogni casa. A completamento del sistema letto, la nostra azienda propone una vasta gamma di letti sommier componibili con testiere e personalizzabili e con tessuti naturali. Le origini dei materiali, la loro certificazione sono oggetto di un percorso di qualità assolutamente rigoroso e verificato. L'emergenza Covid ha interrotto un mercato internazionale per noi fiorente ma ora siamo pronti a ripartire.". Un nuovo capitolo si apre nella storia dell'antico lanificio dove, sin dall'Ottocento, come Berta si filava la lana. Prima che il signor Augusto lo rilevasse e le nuove generazioni lo proiettassero nel made in Italy "del lusso estremo". Maggiori informazioni qui.

08/06/2021 09:35
Macerata, si è spento Franco Clementi: maggiordomo al servizio dei grandi della terra

Macerata, si è spento Franco Clementi: maggiordomo al servizio dei grandi della terra

Deceduto ad 87 anni il professor Franco Clementi. Nella sua esistenza uno spaccato straordinario di tre anni nel corso dei quali Clementi conobbe da vicino i maggiori protagonisti della Storia mondiale post guerra. Se n'è andato in punta di piedi, con discrezione ed eleganza: le 'cifre' della sua vita. Al centro un triennio straordinario che non avrebbe mai dimenticato. Tre anni nel corso dei quali avrebbe conosciuto i Grandi della Terra, coloro che hanno scritto la Storia del secolo scorso. A cominciare da Sir Winston Churchill, cui avrebbe con grazia 'sottratto' uno dei suoi celebri sigari, fumato a metà -dunque con dentro il dna del vincitore di Hitler - e precisamente tre anni fa all'Heritage day, da lui donato al pronipote sir Randolph Spencer Churchill, già Scuderio del Principe Carlo, ed esposto come pezzo pregiato tra i reperti storici dell'ambasciata inglese a Parigi nel palazzo appartenuto alla sorella di Napoleone, Paolina Borghese Bonaparte e dalla stessa venduto al Duca di Wellington. E dove, il maceratese Franco Clementi (Francois per Lady Jebb, consorte dell'ambasciatore Gladwyn, poi Segretario generale delle Nazioni Unite) maggiordomo appena venticinquenne, si muoveva con gran classe da protagonista, elegante e discreto. Ma andiamo con ordine. Per il giovane Franco quello scenario straordinario si era dischiuso seguendo il consiglio paterno 'di imparare le Lingue, che' gli avrebbero aperto tutte le strade'. "Si! ma quando mio padre come una litania me lo ripeteva sull'auto che portava a Perugia me e gli amici Franco Moschini, Loris Tartuferi e Bruno Balducci, per iscriverci all’Università, io sbuffavo sul sedile! Così mentre studiavo tra Perugia ed Ancona dove mi sarei laureato, facevo lavori e lavoretti all'estero. A Londra presso famiglie 'alla pari', poi provvedendo alla cura delle caldaie dell'ambasciata del Belgio. Infine, il gran salto 'a riveder le stelle' presso quella di Sua Maestà in Francia: sarei stato il maggiordomo in sostituzione trimestrale! I tre mesi durarono invece tre anni!". Circondato dalle stoffe pregiate e dagli articoli di gran classe (in primo piano i celebri cappelli) dei cugini Travaglini dell'omonimo negozio in via Lauri, nel centro storico di Macerata, il professor Clementi - al suo rientro aveva insegnato all'ITC Gentili, prima d'essere assunto come dirigente alla 'Bontempi' di Potenza Picena per il Canada- mi aveva raccontato dettagliatamente quello spaccato vissuto nella reggia parigina in rue de Feauborg de Saint Honore' della sorella prediletta dell'imperatore. Non solo, Franco oltre al sigaro, custodiva gelosamente ulteriori souvenir: il menù di quella indimenticabile cena del 5 novembre 1958 con Sir Winston e le targhette del bagaglio della Regina Madre di passaggio a Parigi! Con Churchill, proveniente da Cannes, sottobraccio aveva percorso i cinque scalini all'ingresso dell'ambasciata e Lui lo aveva gratificato con un sorriso "che non ho mai dimenticato, a differenza di Nikita Kruscev che, aiutato anch'esso alla stessa maniera, neppure mi aveva guardato in faccia". Clementi ricordava ormai a memoria le portate di quella cena, cui ave a partecipato Lady Clementine che il giorno dopo avrebbe accompagnato l'augusto consorte da Charles De Gaulle per ricevere la Gran Croce di Lorena: formaggi, consommé' allo Sherry, filetto alla Tartara, purè, torta mimosa, gelato. E Don Perignon, of course! Churchill non beveva altro! Poi, ritiratosi gli uomini nel fumoir, ecco Clementi in azione. Appena Sir Winston ebbe data l'ultima boccata al sigaro, lasciato sempre a meta, ecco lo zelantissimo maggiordomo ma cratere fulmineamente ripulire il portacenere e 'furtivamente' intascare la preziosa, laicissima 'reliquia'. Missione compiuta! Nell'autunno del 2017 dopo avermi raccontato questa vicenda, l'Ambasciata, facendo seguito all'invito già fatto inoltrare in precedenza anni prima, ricevette il 24 ottobre il prof. Clementi come ospite d'onore alle celebrazioni della sede per il bicentenario: l'Heritage day. E lui si presentò portando in dono all'erede il sigaro di Churchill, incastonato in un cofanetto di famiglia, intagliato dal maestro Rasponi (nome omen) nel secolo scorso. Sir Randoph – nel 1985 accompagnando a Recanati il Principe Carlo ospite di Casa Leopardi – aveva già risposto commosso e il sigaro in esposizione venne ammirato da una folla di tremila persone in sette ore, in fila davanti all’ambasciata! Non solo tuttavia Churchill e Kruscev (“voleva andare all’Eliseo a piedi”) nella eccezionale Gallery di Franco Clement, celebrato ora pure in un servizio di Dagospia, con il titolo: “Parigi perduta. La dolce vita in Ambasciata, lo strepitoso romanzo di Nancy Mitford, le memorie di Diana Cooper, i ricordi del maggiordomo italiano”. Ed allora ecco Edoardo e Wallis Simpson: “Lei sempre sorridente, ma molto contenuta, lui indimenticabile, con dentro sempre l’acuta nostalgia della Patria, elegantissimo, teneva ad una pelliccia appartenuta al padre, il re Giorgio”. Ed ecco Franco, a tu per tu con la crisi che stava per aprire le porte alla 3a Guerra mondiale: l’affair dell’U2, l’aereo spia americano su Mosca. Ike Eisenhower ed Harold Mc Millan, il premier inglese, si appartarono a discuterne nel parco nel timore di eventuali ‘cimici’ in sede. “Ed io li servì in perfetta solitudine”. La Regina Madre (“Mi disse che conosceva ed amava Ancona”), e la principessa Maggie (“lei amava Parigi e quella sera, dopo cena, s’immerse nella Ville Lumiere come in una favola cinematografica”) e Pierre Mendez France. Tre anni indimenticabili, poi il ritorno nelle Marche. Lavorando sempre, pensando talvolta, forse, a quell’incredibile giovinezza trascorsa con i Potenti del Pianeta. Ricordi nutriti nella perfetta riservatezza in perfetto stile English, insospettabili in quel signore gentilissimo ma piuttosto solitario che viveva a Borgo Cairoli in via Moje prima di trasferirsi negli ultimi tempi in casa della figlia in viale Carradori. Poi la fine improvvisa, in ospedale per una frattura non grave. Addio, François!

04/10/2020 16:20
Quando Philippe Daverio confutò la presenza di Carlo Magno a San Claudio

Quando Philippe Daverio confutò la presenza di Carlo Magno a San Claudio

Il popolare critico d'arte Philippe Daverio, deceduto il 2 settembre scorso a Milano, era molto amico della terra maceratese. Abbiamo chiesto a Maurizio Verdenelli un ricordo, ad un mese dalla sua scomparsa.  "Quel giorno dovetti tirarla un po' alle lunghe perchè l'ospite atteso da tutti all'auditorium di Sant'Agostino a San Ginesio dove si celebrava la memoria, ad un anno dalla scomparsa, del prof. Giovanni Cardarelli, arrivo' con sensibile ritardo. A giustificarlo ci penso il 'gancio' che aveva consentito una tale presenza, Giampiero Feliciotti. La motivazione era tuttavia largamente sufficiente a far comprendere la non piccola attesa. Philippe Daverio - deceduto a Milano il 2 settembre scorso - sulla strada per San Ginesio aveva voluto fare una deviazione per 'visitare' a Caldarola la lapide anticlericale di Giordano Bruno (sconosciuta ai piu' fino a quel momento) a Palazzo Pallotta. Poi uscito su quella splendida piazza Sistina, al centro della cittadina, aveva ammirato un antico edificio intavolando con l'Ing. Riccardo Donati una serrata trattativa per acquistarlo. Chissà quale esito ebbe all'inizio di compravendita nella culla del potente segretario di Stato di papa Sisto, il cardinal Evangelista Pallotta, alla vigilia del terribile sisma del 24 agosto di quell'anno che hanno visto Caldarola e San Ginesio, centri martiri all'interno del cratere sismico. Nella città natale di Alberico Gentili, il critico d'arte ebbe poi modo di ammirare, tra gli ultimi nella splendida pinacoteca comunale, accompagnato dell'indimenticabile sindaco Mario Scagnetti, i capolavori 'Sibillini' con al centro la Pala di Sant'Andrea. "San Ginesio? Piu bella della Villa Lumière, di Parigi insomma" disse Philippe Daverio, sinceramente ammirato. Fu un pomeriggio meraviglioso nel ricordo del grande, pedagogista sanginesino, allievo spirituale di don Milani, il prof. Cardarelli che nel suo amatissimo paese aveva voluto scienziati famosi come Rita Levi Montalcini e divulgatori popolarissimi come Piero Angela e musicisti di successo come Antonello Venditti. A ricordarlo, con il sottoscritto, l'indimenticabile Barbara Pojaghi, Giorgio Sancricca, Luciana Salvucci (sua erede alla guida dell'istituto Gentili), Massimo Sargolini e Tullia Leoni Cardarelli, vedova di Giovanni. Quando sopraggiunse, ricordo, lasciai il mio posto al centro del tavolo dei relatori, a Philippe Daverio. Dribblo' anche l'insidia polemica della domanda sulla teoria di Giovanni Carnevale per cui l'abbazia di San Claudio (Corridonia) sia da considerarsi in realta' come la vera Acquisgrana, la capitale di Carlo Magno. Il critico d'arte si limitò a sottolineare come Acquisgrana e la tomba dell'imperatore sono in luoghi accertati e storicizzati, e dunque quale mistero? Limitandosi a ricordare come fosse un appassionato cultore della storia dell'imperatore, di aver avuto il doppio onore d'avere nelle sue mani la Corona ferrea e d'aver chiuso la porta della Sala della Meditazione che ospito' Carlo Magno prima dell'incoronazione. Poi, ad una domanda 'intimistica', rivelò come sul piano del cibo, in quanto nato a Mulhouse (Francia) da madre alsaziana, fosse un sincero appassionato del paté d'oca. Concedendosi senza remore, lui sempre attento al timing, a quel caldo pomeriggio pre-estivo a San Ginesio, da lui raggiunto con ritardo 'sulla tabella di marcia'. Daverio l'avevo conosciuto 7/8 anni prima a Camerino, al Tempio Ducale dell'Annunziata, ad un incontro culturale promosso da Comune (sindaco Enzo Fanelli) e da Unicam. Erano passati circa 10 anni dal terremoto umbro-marchigiano e il progetto della 'citta in rinascita' promosso generosamente dal sindaco Giannella pareva dirsi compiuto. E la tempesta sembrava quel giorno definitivamente dietro le spalle nello splendido colonnato del tempio varanesco illuminato dalla facondia del massimo divulgatore d'arte d'Italia".

02/10/2020 11:20
Valeriano Trubbiani, Dante Ferretti e Federico Fellini: così le Marche ebbero il proprio capolavoro

Valeriano Trubbiani, Dante Ferretti e Federico Fellini: così le Marche ebbero il proprio capolavoro

Per dirla con Dolores Prato, Valeriano apparteneva a Macerata, tuttavia Macerata non gli apparteneva. Era pensoso e guardava in un punto lontano, nel mio ufficio in galleria del Commercio, quando veniva a trovarmi nelle sue poco frequenti 'scappate' dalla villetta di Candia, per lui a metà tra il 'buen retiro' e il volontario esilio sin dal 1976. Sin da quando aveva lasciato all'Accademia di Belle Arti. "Era arrivata la lettera di nomina del ministro: sarei stato il nuovo direttore. Mi furono sufficienti 15 minuti 15 per declinare il grazioso invito..". E viaer sempre da Macerata, dalla natia Villa Potenza quando poco più che adolescente aveva rinvenuto un piccolo grande tesoro di 400 monete romane dell'epoca di Silla, subito consegnate all'Istituzione ed era così che 'sul campo’ era stato nominato ispettore onorario dalla Soprintendenza. "Macerata? Quando ci vengo, tante pacche sulle spalle, strette di mano, tanti benvenuto da parte di tutti...purché' ritorni in giornata a casa mia. Glielo leggo nei volti. Ed io ben volentieri tolgo il disturbo. A Candia lavoro duro e batto il ferro, tanto che la GdF mi ha classificato fiscalmente nella categoria dei fabbri ferrai e mi è  dispiaciuto perché in realtà sarei uno scultore...". Poi, Valeriano? "Poi mi vedo un paio di film in Vhs...". Ed esagerando, un po' melodrammaticamente aggiungeva: "In pratica, faccio una vita terribile". Tanti i ricordi dell'amico scomparso ad 82 anni il 29 agosto alla vigilia di San Giuliano, mi si affollano nel cuore e nella mente. Non ne avrei mai voluto scriverne il coccodrillo, e cosi' sarebbe andata quando ho compreso un disegno diverso transitando per un errore di incredibile spaesamento da parte di chi mi accompagnava in auto, davanti a quella villetta a Candia. Quando al di la' delle alte piante ho rivisto, nella sintesi di un attimo, svettare le alte sculture del gruppo Mater Amabilis che ora domina piazza Pertini ad Ancona. Trubbiani riservò a me l'alto onore di quella anteprima. Era un sogno che si realizzava, iniziato molti anni fa nel retrobottega di Elvio Ferretti, padre del compagno di Accademia, Dante. "Li vedevo l' in quello sgabuzzino a metà tra segheria ed atelier d'arte sempre insieme a dipingere quadri futuristi" mi rivelò un giorni Benito Lelli, marito di Mariella, adorata sorella di Dante. Uno di quei quadri poi l'ho rinvenuto all'inaugurazione della nuova bottega Ferretti, di Federico Lelli Ferretti, e Dante provvide allora ad autenticarlo...Tuttavia la Mater Amabilis si avvale del sigillo di un terzo Genio, Federico Fellini. Che su indicazione di Ferretti andò a trovare l'Esule triste di Candia nel suo antro-officina (lasciandone una testimonianza s ditta a dir poco eccezionale) e ne volle la firma per i bozzetti del film "...E la nave va". Dove un gruppo familiare di rinoceronti lascia a bordo della scialuppa una nave da guerra ed approda ad Ancona.  A Macerata, Valeriano era stato il primo grande artista vivente ad esporre alle Grandi mostre estive di Palazzo Ricci, promosse dalla Fondazione Carima, e qualche anno prima sarebbe rimasto nella storia delle Stagioni liriche griffando lo Sferisterio con un'opera seriale che resta il vero logo artistico dell'Arena. Trubbiani amava come un fratello Giacomo Leopardi "dedicandogli, alla fine stremato 17 anni della mia produzione artistica". Naturalmente Recanati e il CNSL non potevano non pensare a Trubbiani in occasione dei 150 anni dalla morte del Poeta nel 1987: un anniversario celebrato pure dalla presenza del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga". Per lo scultore di Villa Potenza, un trionfo personale. Seppur attraversato dall'amarezza di polemiche che puntualmente 'il Borgo Selvaggio non gli risparmio. Fu quando gli uccelli scolpiti in acciaio 'in volo intorno alla Torre del Borgo, a causa del vento, produssero qualche lieve colpetto alle mura vetuste di una delle icone della poesia mondiale. Poca In foto, da sx: Dante Ferretti, Valeriano Trubbiani e Maurizio Verdenelli - Fabriano, Oratorio della Carità,  autunno 2006. 

29/09/2020 09:54
"Quando la sanità maceratese funziona": Maurizio Verdenelli ringrazia i medici con una lettera

"Quando la sanità maceratese funziona": Maurizio Verdenelli ringrazia i medici con una lettera

Quando la sanità maceratese funziona. È questo il titolo della lettera che Maurizio Verdenelli ha indirizzato alla redazione di Picchio News. Lettera nella quale racconta la difficile esperienza vissuta negli ultimi giorni e che, fortunatamente, ha avuto un lieto fine.  Di seguito, ne proponiamo ai lettori il contenuto integrale:  "Caro Direttore Permetti per una volta soltanto ad un cronista di fare ciò che non deve mai fare: parlare di sé stesso. Se lo faccio è perché la vicenda personale contiene in realtà riverberi e rilevanza più ampi trattandosi di sanità tout court maceratese. Da qualche tempo si parla di un nuovo ospedale di zona da collocare ora qui, ora là. Giusto pensare in grande quando si tratta di salute e di accesso alle cure, quest'ultimo non sempre fluido come dovrebbe essere. Eppure a Macerata, grazie all'impronta di un manager appassionato come Alessandro Maccioni, molto si è fatto . Quello che veniva tempo addietro visto come mediocre, ora è un ospedale diverso, ottimo, con nuovi direttori di dipartimento talentuosi ed ambiti da altre Asur. C'è da potenziare, è chiaro: ma si tratta di strutture e cemento armato, uomini e donne ci sono. Non c'è da costruire altrove: la fortezza ospedaliera maceratese, Villa Cozza ha ad esempio retto magnificamente alla tempesta covid. Personalmente mi è accaduto ciò che purtroppo accade a tantissimi. Una malattia che insorge all'improvviso, scambiata per una problematica tipica dell'estate, che all'improvviso mette per una serie di congiunture legate ad età ed altre patologie, in pericolo la vita stessa. Ma ecco che c'è un reparto modello nell'ala vecchia che ricorda il più bravo medico mai apparso a Macerata (il prof.Giorgio Menghini, cui Perugia ha intitolato la piazza dove sorge il nuovo Policlinico) che lavora 24h come nelle grandi città: la Chirurgia. E ti salva una vita ormai messa a rischio, banalmente per aver troppo temporeggiato, magari distratto dal travolgente ritmo quotidiano. In questa vicenda a lieto fine segnalo la dottoressa Setarè Kameli di Guardia Medica che interpreta la professione in modo quasi missionario, il dottor Giuseppe Luchetti 'privato' talento diagnostico che dalle ecografie sa cogliere i segreti che spesso si nascondono, il primario gastroenterologo Giuseppe Feliciangeli (e l'infermiera Chiara Sabbatini) , i chirurghi Rodolfo Scibe' e Alessandro Cardinali e lo staff di anestesisti guidato da Claudio Montironi. Nomi, e non solo, che dimostrano che al di là di progetti faraonici (dei quali, sissignori, abbiamo pure necessità) ci sono uomini e donne che danno ad altri uomini e donne, nella sofferenza, concreta speranza in questa lunga notte dell'emergenza sanitaria. Speranza non più fondata stavolta sull'imprevisto, come segnalava ironicamente Eugenio Montale. Grazie per l'attenzione"

01/09/2020 16:18
Civitanova, lo chef dell'Imperfecto Simone Musu fa sognare i suoi clienti con dei piatti che sono opere d'arte stile gourmet (FOTO)

Civitanova, lo chef dell'Imperfecto Simone Musu fa sognare i suoi clienti con dei piatti che sono opere d'arte stile gourmet (FOTO)

Di Imperfecto (attenzione, proto: una c al posto di una t, ndr) ha solo il nome. E lui, Simone Musu, 38 anni, torinese di Giaveno, che aspira -a buona ragione come vedremo - ad una stella Michelin, lo spiega subito: "Ho denominato così il ristorante per indicare che accanto allo stile gourmet c'è posto per l'informale. Insomma siamo a disposizione del buon gusto a tutti i livelli e dei palati raffinati. Sono stato chiaro?".  Sì,chef! Quando avete aperto il perfettissimo Imperfecto? "Il 20 giugno a Civitanova Marche a Largo Italia, al cibo 2, con vista sul mare e, diciamo anche, dello stadio di calcio seppure il titolare del locale sia... un pallavolista: il signor Robertlandy Simon nazionale cubano, opposto centrale della Lube 'vincitutto', la grande squadra del 'triplete'. E cito anche gli altri suoi soci: i signori Mauro e Marta Alberti". Un celebre pallavolista, Simon, di una società che clamorosamente (7 anni fa) ha lasciato il capoluogo dopo due decenni di permanenza e che a Civitanova ha trovato un'oasi piena pure di prospettive extrasportive per i propri giocatori. Ai quali, specie coloro che sono in Lube dai tempi maceratesi, verrebbe l'orticaria soltanto al pensiero di ritornare sul colle caro al patrono San Giuliano. E lei Simone, che ne dice di Civitanova Marche? "Tutto il bene possibile. Ho lavorato, prima di venire qui, a Senigallia, 'paradiso' degli chef: Mauro Uliassi (stella Michelin) e Moreno Cedroni...chapeau o meglio giù la toque! Tuttavia Civitanova mi pare citta' in maggiore movimento, più dinamica, più attrattiva. Ideale per mettere in vetrina eccellenze comuni e talenti personali". I suoi inizi, chef? "Nasco come pasticcere poi ho allargato a 360' le competenze in cucina studiando all'istituto alberghiero di Novara. Faccio questa professione da 20 anni, perlopiù all'estero. In Francia sono stato alla 'corte' del celebre Alain Ducasse, in Italia a Castiglion della Pescaia con Antonino Cannavacciuolo, a Milano al ristorante di Emporio Armani". I suoi piatti cult: ovvero il suo menù perfetto, pardon Imperfecto? "I miei menù sono tutti alla carta, ma ci sono anche due degustazioni. Per i primi sono previste sette portate e due dolci". I magnifici sette, dunque? "La mia scelta personale inizia, dovete capirmi essendo maestro pasticcere, dal ...dulcis in fundo. Cioè dal caviale di tiramisù by Musu, cioè me medesimo. Risalendo lungo un percorso affollatissimo (leggere per credere) propongo carni scelte dal Giappone, le famose varietà Yaki, insieme con le razze del territorio, e pescato dai nostri mari: Adriatico, Mediterraneo ed oltre. Per andare nel particolare, antipasto di capesante dell'isola di Hokkaido, blaurre-blanche, piselli dell'orto, polvere di aragosta. Il primo? Bottoni di astice bretone con vongole affumicate e piennolo Confit....". L'appetito vien mangiando, chef. Sento ancora un languorino... "Pesce come secondo? Consiglio allora una rivisitazione di zuppetta con corallo, crema di fiori di zucca e caciucco al Lemon grass". Sì, grazie. Per me po' bastare. "Un momento: non dimentichi il mio specialissimo e dolcissimo caviale". Mai. Anche per allontanare il redde rationem, la resa del conto: comprendam Simine, non guadagno come Osmany Juantorena, il gran capitano di Lube ed Italia, che ho visto entrare ora al ristorante". "Via, niente da far tremare in ogni caso i polsi. La media e' sui 60 euro a persona, esclusi i vini. Grandi etichette del territorio, nazionali, oltralpe e dal mondo". Giorno di chiusura? "Martedì. Gli altri giorni, aperti a cena dalle ore 20 fino alle 22.30, aspettando i tiratardi. Abbiamo dai 35 ai 40 posti". Grazie, chef. Ma di Imperfecto, lei che ha? (Sorridendo) "Non sono civitanovese".

08/08/2020 10:25
"Bruno, Carletto e Costantino. E quella volta che Aldo Biscardi...": il ricordo di Bruno Ferretti

"Bruno, Carletto e Costantino. E quella volta che Aldo Biscardi...": il ricordo di Bruno Ferretti

Abbiamo chiesto a Maurizio Verdenelli un ricordo personale di Bruno Ferretti, storico cronista dell'Ascoli calcio e parte notevole della storia del giornalismo sportivo marchigiano, di recente scomparso.  "Bruno se n'e' andato in punta di piedi. Ci eravamo sentiti l'ultima volta il 9 luglio scorso. Lui si era complimentato per la 'mia ultima fatica letteraria' (il libro sul Cagliari Calcio tricolore nel '70 e il mondiale messicano) e mi aveva salutato con affetto. 'Un abbraccio, Bruno'. L'ultimo. Non lo sapevo ancora che non ci saremmo visti e sentiti più. Con eleganza, sobrieta', riservatezza Bruno mi ha nascosto fino all'ultimo la malattia. Abbiamo lavorato insieme per 40 anni, sentendoci quasi ogni giorno. Mai uno screzio, neppure un talvolta inevitabile e 'familistico' vaffa in tanti anni di duro e appassionato impegno che ci univa. Quante battaglie con Bruno insieme per migliorare il servizio per i nostri lettori del Messaggero ereditano l'amore per la professione ereditata da Carlo Paci. Era diventato il 'cronista dell' Ascoli' piano piano ma irresistibilmente. Lui il cantore del grande Ascoli del presidentissimo Costantino Rizzi e di Carletto Mazzone che aveva sposato una sua zia. Vicinanza ma distacco da giornalista di razza. Ferretti era un gigante tra i giganti di uno scenario sportivo e mediatico entrato nel mito. Erano i tempi in cui anche noi umbri cominciavano a conoscere tramite la Rai la bellezza sfrontata della piazza ascolana, tenuta riservata con due superbe eccezioni filmiche. Riservato, equilibrato, buono. E trovava per tutti una pur minima giustificazione. Meno una volta: quando Aldo Biscardi, amicissimo di Rozzi, pur invitato, non intervenne all'inaugurazione del circolo dei giornalisti sportivi intitolato a Costantino. Personalmente ricordo di Bruno un'alba di ferragosto quando - di ritorno da Roma - volle passare con me, al fine di tenermi compagnia, un paio di interminabili ore al terminali Ascoli in attesa del bus che avrebbe dovuto riportarmi in Abruzzo. Arrivederci amico mio. Ed ora che sei finalmente al cospetto dell'editore ideale appresta con Carlo ed Enzo la Redazione perfetta, sempre vagheggiata ed ogni volta promessa (fino a quando disperammo definitivamente)". 

19/07/2020 21:02
Copyright © 2020 Picchio News s.r.l.s | P.IVA 01914260433
Registrazione al Tribunale di Macerata n. 4235/2019 R.G.N.C. - n. 642/2020 Reg. Pubbl. - n. 91 Cron.