Una storia lunga 60 anni che ha attraversato (e attraversa tutt’oggi) cinque continenti, partendo da Recanati. Una storia fatta di passione, sacrificio e di un grandissimo amore, quello per la musica e per ogni suo genere. Abbiamo incontrato Stelvio Lorenzetti, Amministratore Delegato della Eko Music Group, che ci ha raccontato la storia dell’azienda e del suo fondatore, Oliviero Pigini: un viaggio sulle note del rock and roll e dei live dei mitici anni ’70, ’80, ’90 fino ad arrivare ai giorni nostri.
“La Eko nasce nel 1959 grazie all’intuito del fondatore Oliviero Pigini, originario di Castelfidardo – ci ha raccontato Stelvio Lorenzetti -. Oliviero non conosceva la chitarra. Vendeva principalmente fisarmoniche insieme allo zio, Marino Pigini, che lo mandò in America proprio per vendere lo strumento musicale che produceva da oltre 40 anni. Oliviero, di ritorno dal lunghissimo viaggio e affascinato dal mondo d’oltreoceano, spiegò allo zio che ormai la fisarmonica era ‘morta' e stava partendo una nuova tendenza, quella del rock and roll e della chitarra. Marino era scettico e decise di continuare a produrre fisarmoniche. Oliviero decise quindi di lasciare l’azienda dello zio e si mise in proprio, iniziando a vendere chitarre, importandole dalla Jugoslavia. Chiamò questi nuovi strumenti GMI (giocattoli musicali italiani), ma ben presto si accorse che erano brutti e rozzi e non poteva continuare vendendo dei pezzi di bassa qualità. È qui che scatta la scintilla: insieme ai fratelli Paladino, Oliviero, nel 1959, fonda la Eko e inizia produrre chitarre. Ma la sua intuizione geniale non si fermò qui: iniziò a investire anche nell’insegnamento della chitarra, uno strumento allora sconosciuto ai più, creando delle scuole di musica e "convertendo" i fisarmonicisti, con l’aiuto di un grande chitarrista classico di Frosinone, Mario Gangi. A quel punto, richiesta e offerta si incontrarono e la chitarra iniziò a essere venduta in tutto il mondo”.
“Tutto inizia a Recanati, la madre Eko nasce lì, dove oggi c’è anche un busto di Oliviero – ha continuato Lorenzetti -. Nel 2008 ci siamo poi spostati nella sede attuale qui a Montelupone. La produzione delle chitarre Eko inizia con la classica, la western e l’elettrica: quella che attecchiva di più era la western, il cosiddetto modello ‘Ranger’, che invase tutto il mondo, dall’America, passando per il Giappone e raggiungendo l’intera Europa. Per le elettriche c’era sempre la Fender americana che dominava il mercato, mentre la chitarra classica era riconosciuta come un prodotto della cultura spagnola. La velleità degli strumenti Eko era una: conquistare il mercato mondiale di tutti i tipi di chitarra. E così è stato e, a oggi, vendiamo in tutti e 5 i continenti.”
“La nostra produzione oggi si sviluppa però in Cina dove abbiamo stabilito delle collaborazioni con cinque fabbriche e, da lì, esportiamo in tutto il mondo anche se stiamo, piano piano, cercando di riportare una parte della produzione in Italia – ha spiegato l’Amministratore Delegato -. Il 70% del valore della chitarra infatti è dato dalla manodopera e il 30% dalla materia prima; quest’ultima ha sempre lo stesso costo in ogni parte del mondo perché il legno, le corde e le meccaniche sono sempre gli stessi. C’è un approccio diverso però nell’acquisto dello strumento: oggi la gente cerca chitarre che non costino una fortuna perché solo in pochi si possono permettere strumenti da 3mila euro. La Eko parte da una qualità media e arriva a una qualità alta che viene venduta al pubblico con una cifra contenuta: lì noi ci fermiamo perché il nostro target è quello.”
La produzione della Eko si aggira sulle 100mila chitarre l’anno e vanta oltre 100 modelli. Solidità, ottimo suono, giusto prezzo e il classico gusto italiano con l’attenzione ai dettagli e alla colorazione: sono queste le caratteristiche che rendono il marchio recanatese grande in tutto il mondo. “Una serie di qualità che il mercato ama, accetta e recepisce” ha commentato Lorenzetti.
“Tutti i più grandi artisti italiani sono nostri amici e vengono spesso a trovarci e noi siamo felici di offrire loro strumenti di prima qualità: Jovanotti, Renato Zero, Claudio Baglioni, Ron, Negramaro, Edoardo Bennato, Biagio Antonacci, Negrita, Saturnino, Luca Colombo, Massimo Varini e tantissimi altri artisti famosi – ha continuato Lorenzetti -. Avere la possibilità di “usare” la loro immagine per promuovere il nostro marchio ci fa piacere: in questo modo Eko sale sopra a tutti i palchi italiani e non solo. Collaboriamo anche con moltissimi artisti americani, inglesi, australiani, spagnoli e sudamericani.”
“Quando Oliviero iniziò, si rese conto che stava partendo anche il rock and roll pesante – ha proseguito Lorenzetti -: quello dei concerti dal vivo e quindi della chitarra elettrica che, da sola, non suona. Decise quindi di iniziare a commercializzare anche gli amplificatori per chitarra e nacque “l’amplificazione Eko”. All’inizio acquistava gli amplificatori da terzisti, la FBT nacque grazie alla Eko. Poi, col tempo, la produzione degli amplificatori fu fatta internamente. In questo modo la Eko diede il via a tutto il reparto elettronico locale: i produttori si resero conto che con l’elettronica era possibile fare molte cose. Nacque poi la moda degli organi elettronici e se ne vendevano moltissimi ai tempi: Oliviero, insieme alla Thomas americana e alla Vox inglese diede vita alla EME, Elettronica Musicale Europea, a Sambucheto, per la costruzione appunto di organi elettronici."
“Nel 1967 Oliviero morì e alla Eko venne a mancare il condottiero – ha proseguito Lorenzetti -. I due soci che rimasero, Pierdominici e Vignoni, i quali si occupavano più di produzione e non avevano le stesse qualità imprenditoriali del fondatore e, nel 1985, arrivò anche la grande crisi, la Eko venne spazzata via e i sindacati la fecero fallire. Nel 1987, Don Lamberto Pigini, fratello di Oliviero, decise di ricomprare il marchio e, l’anno dopo, mi chiamò. Ci mettemmo in società e rifondammo l’azienda, decidendo di rimanere sempre qui perché Recanati è la patria della Eko e la Eko deve rimanere qui, continuando a essere un’eccellenza del nostro territorio. Oggi stiamo cercando di riportare la produzione in Italia, con il lancio di due nuove chitarre: “Infinito”, in onore dei 200 anni dalla prima stesura della poesia e la “Ranger Futura”, in onore del nostro modello storico. Due chitarre che verranno prodotte interamente in Italia.”
Sull’elettronica, che al giorno d’oggi sta prendendo sempre più piede, Lorenzetti ha espresso il suo punto di vista. “Prima c’erano le sale di registrazione e di incisione invece oggi i vari componenti delle band registrano il loro pezzo singolarmente, magari trovandosi anche in diverse parti del mondo, e poi l’elettronica e la tecnologia pensano al resto: la cosiddetta home recording. Fortunatamente però per la chitarra è diverso: i chitarristi hanno una determinata forma mentis e hanno determinate richieste. Il mercato della chitarra è sempre molto forte e fortunatamente ci sono sempre i live: lì l’elettronica non può dare gli stessi risultati.”
“Quanto tempo ci vuole per fare una chitarra? Il tempo che ci vuole per fare una chitarra – ci spiega sorridendo il liutaio Roberto Fontanot, uno dei più importanti e famosi in Italia -. Creare una chitarra è un lavoro di grande pazienza per dare vita a uno strumento raffinato e delicato: un lavoro fatto principalmente dalla scelta delle materie prime. Per produrre chitarre Eko siamo noi stessi a creare il design tramite il pc, poi la macchina del controllo numerico, con la quale riusciamo a produrre con precisione ciò che vogliamo, pensa al resto. Dopo l’assemblaggio si passa poi alla verniciatura a led (studiata appositamente insieme alla ICA di Civitanova Marche) che non appesantisce il legno. Ci vogliono circa 200 step di produzione per fare una chitarra senza considerare la parte iniziale, quella di selezione degli alberi, che vengono scelti e abbattuti insieme ai Carabinieri Forestali.”
Un lavoro lungo e meticoloso, come ci ha mostrato Roberto, fatto di amore e passione e che conferisce allo strumento quelle qualità uniche e necessarie per chi, della musica, non può farne a meno.
Gli alunni delle scuole primarie e delle scuole secondarie di primo e secondo grado delle Marche torneranno sui banchi il 16 settembre 2019 e le lezioni avranno termine il 6 giugno 2020. Sono stati approvati dalla Giunta regionale, su proposta dell'assessore all'Istruzione Loretta Bravi, i calendari scolastici del prossimo triennio.
Nell'anno scolastico 2020-2021 e 2021-2022 si rientrerà in classe il 15 settembre e le vacanze estive avranno inizio rispettivamente il 5 giugno 2021 e il 4 giugno 2022. Così verranno garantiti complessivamente ogni anno almeno 204 giorni di scuola: 206 per gli anni scolastici 2019-2020 e 2020-2021 e 204 giorni per il 2021-2022. Secondo l'assessore Bravi il calendario scolastico triennale, "condiviso con gli enti locali e il territorio per un miglior coordinamento dei servizi a favore dei ragazzi e delle loro famiglie, è importante perché garantisce un maggior raccordo con il piano triennale dell'offerta formativa e favorisce la programmazione scolastica".
“I legali di Oseghale escludono la violenza sessuale e hanno riferito che la morte di Pamela è stata dovuta all’assunzione di eroina e non alle coltellate inferte da Oseghale; io penso che il dibattimento sia chiaro. I consulenti legali e tossicologici hanno escluso categoricamente la morte per overdose e accertato la vitalità delle ferite inferte a Pamela quando era ancora in vita: sono queste le prove regina di questo processo” così il legale della famiglia Mastropietro, Marco Valerio Verni, ha commentato l’arringa della difesa di Innocent Oseghale.
“Su Marino noi ci siamo già espressi: è una persona attendibile che ha raccontato quello che gli ha riferito Oseghale in carcere e ci sono diversi punti che possono coincidere con quelli che sono i dati scientifici – ha continuato Verni -. Al contrario, i tre teste portati dalla difesa, mi riferisco ai tre detenuti che erano in cella con Oseghale, hanno dimostrato di aver riferito un racconto pieno di incongruenze importanti.”
“Noi rimaniamo fermi su ciò che abbiamo detto la scorsa volta e oggi ci sono stati più punti di schermaglia che di sostanza da parte dei difensori di Oseghale – ha proseguito il legale -. Nella concretezza del dato processuale rimaniamo fermi su ciò che abbiamo detto la scorsa volta: Pamela è morta per le coltellare ricevute e, secondo noi, c’è stata violenza sessuale.”
“Gli stessi magistrati non escludono la violenza sessuale. Dicono che è un’ipotesi suggestiva rimasta, in quel momento, senza elementi probatori importanti. Così come Tombolini disse, all’inizio, che c’erano due coltellate mortali e non poteva comunque escludere, essendosi Pamela allontanata da una comunità, che l’overdose potesse essere una causa della morte. Gli accertamenti successivi hanno poi dimostrato che così non è stato quindi noi siamo sereni.”
Quella di oggi è l'ultima udienza del processo che vede imputato Innocent Oseghale, davanti alla Corte d'Assise del Tribunale di Macerata, per l'omicidio di Pamela Mastropietro, prima del 29 maggio, giorno in cui verrà pronunciata la sentenza definitiva di primo grado nei confronti del 30enne nigeriano.
In aula, questa mattina, i due difensori di Oseghale, i legali Umberto Gramenzi e Simone Matraxia, hanno presentato la loro arringa di difesa dopo che, nell'udienza di mercoledì scorso, il Procuratore Giovanni Giorgio, il pm Stefania Ciccioli e le parti civili Mastropietro, Villa Potenza e Comune di Macerata hanno chiesto l'ergastolo per l'imputato.
Non ci è piaciuto il richiamo dell'operato dei difensori che non hanno fatto altro che il loro lavoro in maniera onesta. Siamo stati i primi a non voler dilungare il procedimento e non abbiamo fatto perdere tempo alle indagini. Non tollero il sindacato sulle nostre scelte difensive" - inizia con uno sfogo l'arringa di Simone Matraxia, uno dei due legali di Innocent Oseghale.
"Spetterà a me ricostruire il reato di violenza sessuale sotto il profilo del movente e della sussistenza e poi l'omicidio sotto il profilo medico legale - ha continuato il legale -. L'iter di questo processo è stato ondivago, incerto e dubbioso, fatto di improvvise accelerazioni e altrettante retromarce: un quadro probatorio che destra incertezza e fatto di un forte clamore mediatico. Un valore mediatico dato dalla morte assurda, drammatica e incomprensibile e dalla nazionalità dei soggetti implicati: tutto ha alimentato in maniera spropositata la vicenda per consegnare alla giustizia e all'opinione pubblica i responsabili. Tutto ciò non ha giovato alla verità sostanziale in un'ottica di forsennata ricerca del colpevole."
"A ciò si aggiunge l'irruzione di soggetti di spessore criminale che si sono anche vantati di ciò che hanno commesso: mi riferisco al Signor Vincenzo Marino, un mitomane e un protagonista. È difficile quindi collegare l'imputato all'omicidio dando rilievo a tali soggetti come portatori di verità, ce lo insegna il processo Meredith - ha continuato Matraxia che, rivolgendosi alla Corte ha proseguito -: mi auguro che la valutazione di Marino venga considerata pari a zero."
"La droga è stata ceduta da Desmond Lucky con un contributo concorsuale dell'imputato e questo ce lo dimostrano le intercettazioni - prosegue Matraxia -: le stesse parlano di 'droga- veleno, di una cosa non buona'."
"Nessuno era presente quando tutto è successo e quindi non potremmo mai ricostruire ciò che è accaduto - le parole del legale della difesa -. In tre casi su quattro (tre presso il Gip di Macerata e uno presso il Tribunale delle Libertà di Ancona) il reato di violenza sessuale nei confronti dell'imputato è stato respinto."
Matraxia ha poi proseguito "è indispensabile un’operazione mentale per valutare serenamente ciò che è accaduto: mettete da parte quelle immagini che sono state proiettate in aula perché non sono collegate al reato di omicidio, non vanno collocate nella dinamica omicidiale ."
Secondo la difesa, non c'è stata nessuna violenza sessuale. "Non risulta che nessuno dei condomini abbia sentito urla o grida di colluttazione - ha continuato -. Inoltre non c'è automatismo tra lo stato di inferiorità psichica di un soggetto e il dissenso. Nessuno ha dimostrato il rapporto in casa e, anche fosse, chi può dire che non era consensuale? Il rapporto sessuale è avvenuto ai Giardini Diaz nelle modalità riferite dell'imputato, non lo neghiamo. Ma non c'è stata violenza sessuale."
"Siamo davanti a una ipotesi accusatoria che viene meno sia probatoriamente, sia collegata a una illogicità di fondo, nonché da assenza totale di elementi certi. Per forza deve esserci un antecedente logico penalmente rilevante? - la domanda di Matraxia - O forse perché non c'è una spiegazione vogliamo dare questa? Qui non c'è stato nulla di logico. Accetto un giudizio, ma che sia fondato su verità scientifiche, non sulle testimonianze di Desmond, Awelima o Marino."
Matraxia è poi passato alle due lesioni C e D, rispettivamente di 10 e 1,5 centimetri, inferte nella zona parietale destra del corpo di Pamela Mastropietro. "La scienza è affidata all'uomo, la medicina non è quindi una scienza esatta - ha esordito il legale -. Non c'è una robustezza sulla vitalità delle lesioni e la colpevolezza dell'imputato deve essere comprovata oltre ogni ragionevole dubbio."
Matraxia ha successivamente esposto i dubbi della difesa "sull'utilizzo dei marcatori e sul fatto che siamo davanti a lesioni da taglio. Una lesione inferta con una certa forza dovrebbe causare una ferita viscerale che qui non c 'è. Lo stesso Cingolani dà una informazione molto importante: la coltellata è stata inferta senza una energia di scorrimento rilevante."
In conclusione "il fatto storico è certamente riconducibile all'imputato, ma l'evento morte no; lo stesso movente deve essere perseguito. La violenza sessuale non sta in piedi, a mio avviso, né dal punto di vista logico né giuridico; le coltellate sono state inferte senza energia vincolante; non si sono uditi lamenti o grida che facessero pensare a una colluttazione; la vitalità delle ferite è minata da quanto esposto da Bacci; la Procura ha condiviso, inizialmente, una richiesta di supplemento istruttorio. Come facciamo a dire per certo che Innocent Oseghale ha ucciso Pamela? Non si emettono sentenze né per compiacere il popolo né i mass media."
Gramenzi ha poi continuato l'arringa della difesa incentrandosi sul teste Vicenzo Marino. "Marino vuole essere riammesso al programma di protezione: è questo l'intento che lo muove. La sua figura è inattendibile e lui mente spudoratamente." Il legale di Oseghale ha poi parlato della violenza sessuale che viene contestata all'imputato: "lo stato di ebrezza o l'essere sotto l'effetto di sostanze stupefacenti non incide sul consenso e la versione più corretta e coerente data fino a oggi è quella di Oseghale. Il fatto che Pamela volesse andare via dall'abitazione dell'imputato è un'invenzione giuridica" - ha continuato Gramenzi.
"Ci sono poi evidenze processuali che ci dimostrano che la ragazza possa essere morta per overdose - ha continuato l'avvocato -.Sui 300 microlitri di sangue andava fatta una indagine mirata per scoprire il quantitativo di eroina perché erano sufficienti. Quelli eseguiti di Froldi sono calcoli indiretti, fatti per via indiziaria, che non si usano più. Lui dice di aver ricavato il quantitativo di morfina che c'era nel sangue della vittima dall'umor vitreo secondo la letteratura; ma la comunità scientifica non riconosce affatto questo tipo di calcolo. Quello che noi contestiamo è quindi la metodica. In conclusione l'indagine elisa è buona ma non ha valore legale anche perché la sostanza, si è detto, era stata metabolizzata ma non neutralizzata."
Gli avvocati della difesa hanno chiesto l'assoluzione per i reati di omicidio e violenza sessuale e il minimo della pena per i reati di vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere (chidendo che l'occultamento venga assorbito dalla distruzione di cadavere). La difesa ha infine richiesto un accertamento istologico sulle ferite: i guidici comunicheranno la loro decisione nella prossima udienza.
Si è tenuta venerdì 10, nella splendida location del Resort Marchese Del Grillo di Fabriano, la decima edizione del The Best Economic Forum ESG89 Umbria-Marche. Presenti i rappresentanti delle istituzioni locali e nazionali, delle associazioni di categoria industriali e artigiane, dei docenti universitari, degli imprenditori e dei sindacati.
“Sarà questo il giorno dedicato alla conoscenza delle società più performanti invitate a confrontarsi in un contesto partecipativo aperto a tutti gli attori del panorama economico nazionale e internazionale” aveva riferito Giovanni Giorgetti, Presidente Esg89 Group, alla vigilia del convegno.
Sono stati quattro i temi strategici che hanno scandito la giornata: infrastrutture materiali e immateriali; importanza della sub-fornitura della meccanica e le strategie per offrire i propri talenti a livello globale; i Fondi Europei per un nuovo modello di sviluppo economico e infine start-up e best companies, i nuovi imprenditori a confronto con quelli di successo per superare gli ostacoli dei primi anni di vita dell’impresa.
Quattro temi cardine che hanno fatto da contorno alle due protagoniste della giornata: l’Umbria e le Marche. "Siamo oramai tutti consapevoli – ha aggiunto Giorgetti, coordinatore dei lavori – che i territori sono il motore di sviluppo per l’economia. Partendo da ciò è necessario investire e premiare quegli imprenditori che continuano a investire nelle due Regioni.”
“Insieme possiamo sicuramente fare moltissimo – è stato il giudizio unanime di tutti gli attori che si sono seduti alla tavola rotonda organizzata da ESG89 – e combattere la desertificazione che, soprattutto negli ultimi due anni, ha colpito i nostri territori.”
Concordi i protagonisti della giornata anche nel trovare un punto di accordo con l’Unione Europea e nel bisogno di creare un modello di sviluppo che restituisca lavoro ai giovani: proprio in questo senso è necessario fare rete e creare sinergia per combattere la desertificazione e anzi, portare le nostre eccellenze e il Made In Italy, oltre i confini nazionali.
Tante le testimonianza di imprese e aziende che hanno resistito nelle Marche e nell’Umbria; tra queste la Nuova Simonelli Group, la Fileni Simar, l’Ariston Thermo Group.
Abbiamo incontrato Franco Cossiri, della Tarlazzi, e Mauro Mancigotti, della Rema, per farci raccontare una storia di unione e di coesione non solo tra imprese ma soprattutto tra famiglie.
La RemaTarlazzi offre soluzioni efficaci e prodotti a professionisti, installatori e aziende che necessitano della fornitura di materiale elettrico, prodotti per l’illuminazione, componenti per l’automazione industriale, impianti domotici, sistemi per la produzione di energie rinnovabili, sistemi di videosorveglianza e antintrusione, articoli per la climatizzazione e utensili e attrezzature da lavoro.
“La Tarlazzi viene fondata nel 1925 da Amedeo Tarlazzi, il mio bisnonno – ci racconta Franco – e aveva sede nel centro storico di Macerata. Poi l’azienda passa nelle mani di mia nonna Virgilia, che sposò mio nonno, Mario Cossiri. Quando fu il momento, le redini vengono poi prese da mio padre Virgilio. Nel 1994 lui si ammala e, nel giro di un anno, viene a mancare. Noi quattro fratelli, giovanissimi, ci trovammo con in mano un’azienda che scoprimmo, non aver avuto, fino a quel momento, una strada sempre rosea a felice.”
“Nel 1995 mi sono così trovato, a 30 anni, a dover gestire un’azienda da zero dato che fino a quel momento mi ero occupato di impiantistica – ci spiega Franco -. Nostro padre inoltre aveva un carattere molto forte, era difficile per noi figli ricavarci un ruolo vicino alla sua figura da dirigente. Le persone che erano vicino a nostro padre, dopo la sua morte, si allontanarono dalla Tarlazzi ma fortunatamente, con tanti sacrifici, le banche ci diedero fiducia e noi riuscimmo a risollevare la situazione e a ripartire alla grande, anche grazie all’aiuto del commercialista Loris Tartuferi e all’Amministratore Delegato Dino Azzanesi. Le alternative erano due: o mettersi in gioco e farsi da parte. Abbiamo scelto la prima strada e oggi possiamo dire di avercela fatta e i numeri, ci danno ragione.”
Nel 2000 infatti entriamo a far parte del gruppo Comet, nato nel 1967, con sede a Bologna, che oggi conta 2280 dipendenti complessivi; il primo gruppo in Italia nella distribuzione di materiale elettrico, illuminazione e automazione industriale – prosegue Franco -. Prima di noi entrarono la Rema di Pesaro e la SimeVignuda di Verona e dopo di noi la Marini Pandolfi e la General Com. Si formò quindi questo gruppo, di cinque aziende e altrettante famiglie. Qualche anno dopo Comet, per consolidare tutti i bilanci in un unico bilancio doveva avere la maggioranza di tutte le società e quindi cedemmo la percentuale mancante al 51% e diventammo così azionisti Comet.”
Ma non finisce qui. “Il gruppo bolognese, nelle Marche, aveva infatti due aziende importanti, la Rema, fondata nel 1974 a Pesaro, e la nostra. Nel 2007 abbiamo deciso di dare vita a un’unica realtà, che a oggi conta 540 dipendenti, creando la RemaTarlzzi s.p.a. – ci racconta Franco -. Un’Azienda ‘allargata’, formata da cinque famiglie: Cossiri, Mancigotti, Azzanesi, Barbaccia e Renzoni, tutte persone meravigliose. Tra soci siamo infatti riusciti benissimo a dividerci i compiti, dando vita a un’azienda leader nel settore che oggi conta 30 punti vendita tra Marche, Abruzzo, Umbria, Lazio e Molise e che attende l’apertura, a settembre, della prima filiale nella Capitale”. Un bilancio 2018, quello della RemaTarlazzi s.p.a., più che positivo: “abbiamo chiuso l’anno con 152 milioni di euro di fatturato” osserva Franco.
Qual è la formula segreta di questo successo e soprattutto di questa armonia tra vari attori? “Per noi è fondamentale formare il personale tecnico e garantire al cliente un servizio che va oltre all’acquisto del prodotto, perché da sempre diamo quel valore aggiunto che, in un settore come il nostro, fa la differenza. Poi abbiamo deciso di non avvalerci mai di dirigenti o dei cosiddetti ‘grandi capi’: è così che il rapporto tra noi soci e, di riflesso, con il personale, è familiare e sereno sempre e tutti siamo indirizzati, con un grande lavoro di squadra, al bene dell’azienda.”
Un’attenzione al cliente che va di pari passo con i cambiamenti. “Dal punto di vista dei sistemi informativi facciamo tutto interamente noi e abbiamo sviluppato anche un’App, usata già da un terzo della nostra clientela, che consente di accedere in tempo reale a tutte le offerte di magazzino, con prezzi aggiornati, storico dell’ordine, preventivo, situazione contabile finanziaria, fatture e tutto il resto: un’operazione che mostra la trasparenza del nostro operato che, in stile Amazon, consegna il prodotto il giorno seguente se ordinato prima delle ore 19:00 – a spiegarci nel dettaglio la logistica è l’Ingegner Mauro Mancigotti -. Tutto avviene in tempo reale e il cliente può accedere direttamente agli oltre 50 mila prodotti disponibili in pronta consegna. A questo si aggiunge l’assistenza continua dei nostri tecnici, formati e aggiornati costantemente, che stabiliscono sempre un rapporto diretto con il cliente.”
“Secondo me è difficile dire come un’azienda ha avuto successo, posso dire cosa abbiamo fatto noi fino a oggi per arrivare dove siamo. Abbiamo sempre lavorato in maniera seria, corretta, trasparente e senza furbizie – ci spiega Mauro -, cercando di capire cosa ci richiede il cliente. Partendo da questo, abbiamo soddisfatto le richieste, avvalendoci di uno staff di persone competenti, che si sento parte di una famiglia e che viene coinvolto quotidianamente proponendo idee, consigli, suggerimenti, migliorie. Noi soci abbiamo sempre proseguito il nostro percorso con umiltà, credendo che anche l’ultimo dipendente arrivato, nel suo settore, ci avrebbe potuto dare un valore in più e quindi doveva essere ascoltato; è in questo modo ognuno porta dentro l’azienda il proprio pezzettino di sé. La ricetta quindi penso sia quella di non essere superbi ma umili, riconoscere i propri limiti e farsi aiutare a colmarli da chiunque perché noi coordiniamo solo i vari strumenti, poi la musica la facciamo tutti insieme.”
La RemaTarlazzi è proiettata al futuro e tra qualche mese partirà il progetto per la costruzione del nuovo magazzino logistico, di circa 20mila metri quadri coperti, a Corridonia: un’opera che vedrà la luce entro il 2021.
Quella di oggi, per l’Università di Camerino, è stata una importante giornata di festa e di emozione. In mattinata è stato inaugurato il nuovo edificio che ospiterà aule e laboratori per gli studenti dei corsi di Informatica, realizzato grazie al contributo della Protezione Civile delle Marche e della Regione Marche.
Dopo il taglio del nastro e la visita ai nuovi locali si è proceduto con gli interventi delle istituzioni accorse al tavolo dell’Unicam. Tra queste il Magnifico Rettore Claudio Pettinari; il Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli; il Dirigente del Servizio Protezione Civile delle Marche David Piccinini; il Pro Rettore Vicario Unicam Graziano Leoni; il Direttore della Scuola di Scienze e Tecnologie David Vitali; il Preside della Facoltà di Informatica Flavio Corradini e il Responsabile della Sezione Comunità Informatica Andrea Polini.
“È una grande soddisfazione restituire dei servizi a una comunità in seguito agli eventi sismici: è segno della determinazione, della tenacia e dell’impegno che non conoscono sosta – ha esordito Ceriscoli -. Questa Università è il simbolo della rinascita dopo il terremoto e ciò che viene fatto qui illumina un’area molto più ampia intorno a noi. Il messaggio che stiamo dando oggi è che possiamo continuare a vincere questa enorme sfida che abbiamo davanti perché ci sono tutti gli ingredienti per una ricetta straordinaria.”
Il Magnifico Rettore Pettinari non ha nascosto la sua commozione per tutta la durata degli interventi. “Oggi sono più emozionato del solito – ha spiegato -. Voglio in primis ringraziare tutto il personale che in questi trenta mesi ha portato avanti, con grande sacrificio, le attività didattiche. Dopo quel terribile terremoto noi non ce ne siamo andati, non abbiamo voltato le spalle, anzi, abbiamo iniziato a lavorare più di prima. Oggi voglio ringraziare la Protezione Civile e la Regione Marche perché l’ateneo è ancora più solido e i numeri lo dimostrano: +13% sulle immatricolazioni e +3% sugli iscritti totali. 1.500 sono i laureati Unicam ma ciò che delle volte manca sono le risorse. A tal proposito, nel pomeriggio, incontrerò il Ministro e gli dirò che abbiamo mantenuto i bilanci ma, a fronte di ciò, necessitiamo di unità di personale e di linfa vitale.” Il Rettore, a termine del suo intervento, ha poi consegnato due attestati di benemerenza rispettivamente a Gianluca Marucci, dell’Area edilizia, manutenzione e sicurezza e a Maurizio Mauri, dell’Area infrastrutture, sistemi informatici e digitale.
“Quello che festeggiamo oggi è un caso concreto di intervento, fatto di aule, muri, sedie – ha commentato Piccinini, portando i saluti di Angelo Borrelli -: segno dell'operato che ogni giorno mettiamo in campo.”
Per Leoni quello di oggi rappresenta “il terzo passo che abbiamo fatto dopo il sisma. Si è iniziato con lo spostamento della segreteria e proseguito poi con l’inaugurazione di Palazzo Sabbieti – ha spiegato -. È nostra cura dare agli studenti degli spazi che non facciano pensare che siamo in emergenza ma soprattutto che facciano comprendere che noi usciremo da questa particolare situazione.”
“Quella inaugurata oggi è una struttura molto bella, un esempio tangibile della capacità di fare e del fatto che non ci siamo mai fermati - ha aggiunto Vitali -. Questo è solo un passo perché vi mostreremo che ogni investimento fatto avrà un ritorno incomparabile.”
“Non dimentichiamo che Unicam è vincitrice di tre progetti di ricerca di interesse nazionale – sono state le prime parole di Corradini, visibilmente emozionato -. Oltre ovviamente al percorso di studi e alla didattica, mi riferisco a voi studenti, prendete da queste persone l’umanità, quella qualità incredibile che rappresenta un valore aggiunto: cogliete questa importante opportunità.”
“Ci tengo a ringraziare Alberto Polzonetti che, da una felice intuizione, ha dato vita alla Facoltà – ha concluso Polini -. Quella inaugurata oggi è una bellissima location nella quale si continueranno a percepire la collaborazione e la vicinanza tra studenti e docenti.”
“L’Università di Camerino mantiene le promesse con precisione, serietà e amore e ha sempre protetto i nostri sogni – sono state le parole degli studenti intervenuti al termine del tavolo -. Questa è per noi una famiglia, con la quale c’è un costante rapporto di stima e di condivisione, oltre all’alto livello di istruzione.”
Nel pomeriggio, presso l’Università di Camerino, sono stati festeggiati i dieci anni del doubl degree con interventi dei docenti Unicam, della University of Applied Sciences and Arts Northwestern Switzerland e degli studenti coinvolti nel progetto formativo, alcuni in collegamento web dalla sede dell’Ateneo svizzero.
“Ciò che è accaduto a Pamela è il frutto di azioni deliberate, malvagie e devastanti e la società non le può tollerare, rischiando che vengano ripetute o emulate. Pamela era una di noi, poteva essere la figlia, la nipote, la parente di ognuno di noi” così l’avvocato Marco Valerio Verni, nonché zio di Pamela Mastropietro, ha iniziato la sua arringa quest’oggi davanti alla Corte d’appello del Tribunale di Macerata per il processo che vede imputato il 30enne nigeriano Innocent Oseghale per l’omicidio della 18enne romana. “Pamela è cresciuta in un contesto di separazione familiare ma non era una ragazza cresciuta allo sbando – ha proseguito Verni -. Non era una tossica, non era una poco di buono, non era una nullafacente e non ha mai fatto del male agli altri, anzi quando era in comunità salvò una sua compagna che aveva tentato di togliersi la vita tagliandosi le vene.”
“Nell’ottobre del 2017 Pamela entra appunto nella comunità Pars di Corridonia con la diagnosi borderline grave – ha continuato Verni -. Lo stesso psichiatra della comunità disse che Pamela poteva vivere dei momenti di lucidità anche se non si sapeva rapportare bene con la realtà, una caratteristica ben evidente a chiunque entrasse in contatto con lei. Il 28 gennaio del 2018 si allontana dalla comunità, senza soldi, senza cellulare e senza un appoggio.” Su questo punto, il legale della parte civile Mastropietro ha chiesto che venga fatta luce per chiarire se ci sono eventuali responsabilità da parte di terzi.
Su Oseghale l’avvocato Verni ha sottolineato il suo “tentativo di abusare del sacro diritto alla protezione internazionale mentendo sul fatto che fosse il figlio di un politico nigeriano ucciso – ha continuato Verni -. La sua richiesta di asilo era stata respinta e lui avrebbe dovuto lasciare l’Italia ma invece era ancora qui; il tutto perché il provvedimento che respingeva la sua domanda non era stato inviato ancora da Ancona a Macerata.
"Vi prego di tenere a mente, mentre parlo e quando sarete in camera di consiglio a dibattere sulla sentenza, quelle immagini che abbiamo visto in aula sul corpo depezzato, disarticolato, scuoiato e occultato di Pamela. Ciò che le è stato fatto, come disse lo stesso Professor Cingolani durante la sua deposizione, è un unicum al mondo – ha osservato Verni -. Negli ultimi 50 anni, al mondo, sono stati stimati 350 casi di depezzamento: 16 sono quelli simili al caso di Pamela ma in nessuno di questi casi era stata staccata la testa dal tronco. Oseghale ha usato freddezza manuale, visiva e olfattiva in quei momenti. Indiscussa è la lesività delle ferite inferte a Pamela in vita: le due coltellate hanno avuto un ruolo determinante nella morte, come stabilito dai consulenti medici che si sono presentati davanti alla Corte.”
La parte civile Mastropietro è concorde con la richiesta della Procura dell’ergastolo e dell’isolamento diurno per 18 mesi nei confronti di Innocent Oseghale per l’omicidio di Pamela. In conclusione, rivolgendosi alla Corte, Verni ha commentato “dovete emettere una sentenza non solo per il popolo italiano ma per l’umanità tutta. Non stiamo parlando del colore della pelle, stiamo parlando della civiltà contro la barbarie. Siete chiamati a fare la giurisprudenza in un caso che sarà ricordato negli anni per l’orrore e l’atrocità che lo hanno contraddistinto."
L’avvocato Andrea Marchiori, legale del proprietario della casa in via Spalato, ha spiegato come l’immobile “sarà ricordato come il luogo in cui è stato compiuto il delitto del secolo: tutto ciò è dovuto a Oseghale. L'immobile è ancora sotto sequestro, oltre al fatto che veniva usato anche come luogo di spaccio e ‘ostello’ per altri spacciatori. Il tutto ha comportato un deprezzamento dell’immobile e la locataria, Michela Pettinari, non paga l’affitto da mesi e non si può quindi procedere allo sfratto. Sappiamo che non ci sarà mai un risarcimento da parte dell’imputato ma vogliamo che la famiglia di Pamela possa avere giustizia nella condanna e nelle sue motivazioni: per questo concordiamo sull'ergoastolo per Oseghale senza concedere le attenuanti.”
Ultima parte civile al processo è il Comune di Macerata, rappresentato dall’avvocato Carlo Buongarzone. “Oseghale ha causato un grave nocumento e un danno di immagine all’intera Città e alla collettività – ha spiegato -. La domanda è la stessa fatta durante il processo Traini. I due delitti sono collegati in quanto uno e conseguenza dell’altro: senza la condotta di Oseghale non si sarebbe verificato l’atto di Traini. Questo ha fatto passare la città come insicura e pericolosa. Per questi fatti siamo concordi con la richiesta fatta dalla Procura perché Pamela è morta per le due lesioni inferte da Oseghale.”
Ergastolo e 18 mesi di isolamento diurno per Innocent Oseghale. Questa la condanna richiesta dal procuratore di Macerata Giovanni Giorgio nei confronti del trentenne nigeriano.
"L'ergastolo viene richiesto in virtù dell'occasionalità - ha spiegato il Procuratore -. Se la violenza sessuale è svolta in occasione di omicidio, la richiesta della pena è aggravata e non vengono considerate le attenuanti generiche." Attenuanti non contemplabili secondo la Procura "in quanto l'imputato è stato protagonista di mendaci dichiarazioni, all'inizio ha anche scaricato tutta la colpa su Lucky Desmond, e ha anche calunniato gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Montacuto. Oseghale ha inoltre strumentalizzato Pamela e l'ha indotta ad avere un rapporto sessuale non consapevole."
"Una richiesta che ci aspettavamo - il commento di Umberto Gramenzi, legale di Innocent Oseghale - quella all'ergastolo. Se non dovesse essere provato il delitto della violenza sessuale, la Procura ha chiesto 30 anni di reclusione. La linea della difesa (l'arringa si terrà mercoledì 15 maggio) verterà sugli accertamenti medico-legali fatti e sul contraddittorio, emerso durante le udienze, tra i consulenti della difesa e della Procura. Noi pensiamo che la morfina ritrovata può essere compatibile con la morte per overdose e che bisogna chiarire se le due ferite siano o meno vitali. Noi cercheremo di dimostrate che la violenza non c'era e che il consenso della giovane romana non era viziato".
La penultima udienza prima della sentenza di primo grado nei confronti di Innocent Oseghale si è aperta con l'accoglimento, da parte della Corte d'Assise, dell'istanza della difesa volta alla richiesta di accesso, per esigenze difensive, all'appartamento in via Spalato a Macerata.
Quello di oggi è il giorno delle requisitorie del PM Stefania Ciccioli, del Procuratore di Macerata Giovanni Giorgio, della parte civile della famiglia Mastropietro, della parte civile Villa Potenza e della parte civile del Comune di Macerata. È stato presente in aula anche il Questore di Macerata, il Dottor Antonio Pignataro.
Il Pm, nella sua arringa, dopo aver ripercorso le ultime ore di vita della 18enne romana, come è stato possibile stabilire, nel corso delle indagini, dalle testimonianze e dalle telecamere della città e dei luoghi pubblici in cui Pamela ha avuto accesso, è passato poi alle conclusione della propria tesi.
"C'è la presenza inequivocabile, sui resti della vittima, di lesioni inferte in vita - ha spiegato la Ciccioli -: le due lesioni nella parte basale dell'emitorace destro. Secondo le risultanze medico-legali che si sono succedute durante le udienze del processo nei confronti di Oseghale, la morte di Pamela Mastropietro è da attribuirsi, per certo, alle due lesioni da arma bianca di punta e taglio che hanno interessato il decimo e il nono spazio intercostale. Una tesi avvalorata dai segni di infiltrazione emorragica e dall'assenza del diaframma, utile a comprendere i termini di tali lesioni, e che l'imputato ha volutamente fatto sparire. Tali lesività hanno svolto un ruolo determinante ed essenziale nelle cause della morte di Pamela Mastropietro."
"Ci sono caratteri macroscopici e microscopici che dimostrano il fatto che le ferite siano state inferte in vita - ha proseguito il Pm -. Le due lesioni interessano una zona vitale che causa una emorragia, per la quale, nel giro di 20 minuti, si raggiunge la morte per schock ipovolemico se non si viene curati. A livello microscopico, l'attuazione del funzionamento dei leucociti neutrofili testimonia uno stato del corpo umano che avviene quando un corpo esterno è introdotto nello stesso, ancora in vita. Caratteri che sono stati confermati da tutti i medici legali che sono entrati in contatto con il cadavere, anche dallo stesso Dottor Cacaci, medico della difesa che si è deciso di non sentire in aula - ha proseguito la Ciccioli -. Le indagini immuno istochimiche con i tre marcatori hanno ancora evidenziato la reazione vitale delle ferite."
"Parliamo di una robustezza scientifica duplice della diagnosi di vitalità delle ferite inferte a Pamela e possiamo escludere con serena certezza la morte per overdose - ha proseguito il pm -. L'intossicazione letale da eroina, che è un derivato della morfina, deve raggiungere dei valori che portino a una soppressione respiratoria. La letteratura utilizzata dal Dottor Froldi per risalire alla quantità di morfina nel sangue, indica una concentrazione della morfina stessa talmente bassa da essere incompatibile con l'idea dell'overdose in quanto si attesta su quelle che sono le dosi farmacologiche, le quali non possono provocare reazione tossica."
"Tale tesi che esclude l'overdose, è esclusa anche da elementi macroscopici in quanto non ci sono organi che sono stati intaccati da un edemapolmonare - ha proseguito la Dottoressa -: i polmoni di Pamela erano rosei e con un peso normale; i visceri non erano congesti e il cervello non era ematoso. Non vi è stata quindi overdose."
L'arringa del pm si è poi concentrata nel dettaglio sulle due ferite, "due lesioni avulse, che non hanno nulla di logico e coerente con l'attività di depezzamento che lo stesso Oseghale ha confessato di aver eseguito - ha spiegato -. Le due coltellate sono state infatti inferte nel raptus omicida di Oseghale e non sono da attribuirsi al momento della disarticolazione, eseguita nel dettaglio. Una tesi avvalorata dalle immagini fotografiche proiettate in aula nel corso delle udienze. Il deprezzamento consta di tagli da sezione mentre le lesioni mortali sono dei tagli da infissione, cioè penetranti."
"L'imputato ha anche fatto sparire l'unica parte che poteva ricostruire i tramiti dei fendenti e cioè il diaframma - ha spiegato la Ciccioli -. Pamela è morta dissanguata, non ricevendo alcun tipo di soccorso e Oseghale ha cercato di nascondere le prove della sua responsabilità in vari modi: eliminando tutto il sangue e lavando tutto con la varechina. Una attività manipolatoria posta in essere dall'imputato sul cadavere."
"Attività eseguita dalla stesso anche nelle intercettazioni ambientali in carcere a Marino del Tronto e Montacuto, durante le quali Oseghale ha sempre cercato di sviare le indagini con dichiarazioni contraddittorie - ha spiegato la Dottoressa -. Pamela è stata inoltre costretta con violenza ad avere un rapporto sessuale con l'imputato, che ha anche contattato Desmond e Awelima chiedendo loro se fossero interessati ad avere un rapporto con una donna bianca, come dimostrato dalle intercettazioni. Il rapporto sessuale è stato infatti acclarato dai tamponi vaginali, sulla bocca e sul cavo orale della vittima."
"Pamela era sotto l'effetto della sostanza inoltre e quindi non ha mai potuto esprimere un valido consenso sull'atto sessuale - ha proseguito il pm -. La ragazza è stata uccisa perché voleva sottrarsi a tutto ciò che stava avvenendo nell'appartamento di Oseghale, che ha anche negato di aver avuto rapporti con lei all'interno dell'abitazione. La violenza è stata compiuta abusando della inferiorità psichica della vittima, che l'imputato conosceva bene. Oseghale ha infatti approfittato della condizione di bisogno dell'eroina per avere da lei dei favori sessuali. Pamela ha rifiutato il rapporto e Oseghale non gli ha permesso di uscire, l'ha segregata addirittura in casa, quando lei voleva tornare a Roma."
"Non ci sono purtroppo testimonianze dirette di quanto accaduto ma solo quella di Oseghale, il quale più volte ha cambiato le sue versioni, mentendo - ha esordito il Procuratore Giorgio durante la sua requisitoria -. Abbiamo però la dichiarazione di un ex collaboratore di giustizia che non è condizionata da interessi per benefici."
"Oseghale ha negato di aver visto il corpo nudo della vittima, ma al Marino confessò che la 18enne romana aveva molti nei sui seni e sulla schiena - prosegue Giorgio -. L'imputato durante gli interrogatori disse anche di aver avuto un solo rapporto con Pamela a Fontescodella. Anyanwu confessò invece che l'imputato gli aveva riferito di aver avuto un rapporto sessuale completo con la vittima nella sua abitazione. L'imputato ha sempre visto la vittima come uno strumento per soddisfare la sua voglia sessuale. Ha modificato, nel corso del tempo, le sue versioni, pensando di sottrarsi ai capi a lui imputati e mettendo in atto, insieme anche ad Awelima, una "cultura omertosa."
"Le modalità sadiche inoltre sono poco compatibili con tale delitto in quanto il cadavere di Pamela è stato tagliato in modo difensivo (a voler cancellare le tracce del reato) e non offensivo (testimonianza di un odio profondo e di uno spirito aggressivo)" - ha aggiunto il Procuratore.
"Oseghale ha avuto un rapporto sessuale in casa con la vittima dopo che la stessa ha assunto eroina ed era quindi in uno stato di torpore, come raccontato dal Marino - ha continuato Giorgio -. L'imputato è poi uscito di casa, chiudendo a chiave la porta e lasciando la giovane vittima in casa mentre dormiva. La vittima si è quindi svegliata e, accortasi di essere stata chiusa in casa, verosimilmente ha reagito e una volta trovatasi faccia a faccia con l'imputato, rientrato in casa, è iniziata la colluttazione. La diciottenne romana ha detto a Oseghale che se non l'avesse fatta uscire, lei lo avrebbe denunciato. È quindi iniziata una colluttazione e lei ha graffiato sul collo l'imputato (il DNA di Oseghale è stato trovato sotto le unghie della mano destra di Pamela Mastropietro). Lui a quel punto ha inferto la prima coltellata alla ragazza. Come poi raccontato dal Marino, Oseghale ha iniziato a fare a pezzi Pamela ma accortosi che era ancora viva le ha inferto la seconda coltellata, che, insieme alla prima, è stata la causa della morte della 18enne romana."
La Procura, in conclusione, ha richiesto l'ergastolo per l'imputato e 18 mesi di isolamento diurno, senza le attenuanti generiche in quanto l'imputato "è stato protagonista di mandaci dichiarazioni, scaricando all'inizio la colpa su Lucky Desmond è accusando anche gli agenti di polizia penitenziaria di averlo picchiato."
Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiani, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, in collaborazione con il gruppo di Marco Foiani, direttore Scientifico dell'IFOM e Ordinario di Biologia Molecolare dell'Università degli Studi di Milano. È notizia di ieri infatti che il gruppo di ricercatori italiani ha individuato un meccanismo che può far “morire di fame” il cancro. Lo studio è stato condotto su cellule umane in vitro e sui topi e dimostra che una dieta ipoglicemica e l’assunzione di metformina (un farmaco contro il diabete) possono uccidere le cellule tumorali attraverso un inedito meccanismo molecolare. “A breve – ha annunciato il coordinatore della ricerca Saverio Minucci – inizierà la sperimentazione clinica sui pazienti.”
Abbiamo deciso di osservare ciò che lo studio ha fatto emergere insieme al primario di Oncologia dell’Ospedale di Macerata, il Dottor Nicola Battelli e al Dirigente Medico oncologo, il Dottor Luca Faloppi, premiato nel 2017 al Congresso Nazionale dell’AIOM come migliore pubblicazione scientifica dell’anno con “Metformin effects on clinical outcome in advanced HCC patients receiving sorafenib: validation study”.
“Quelli che sono emersi sono dati molto interessanti perché è da un po’ di tempo che gli studi stanno andando avanti in questo senso – ha commentato il Dottor Battelli -. Ciò che è certo è che bisogna traslare i risultati dai modelli di laboratorio alla pratica clinica mediante studi sui pazienti. Gli esperimenti hanno fatto emergere che un’alimentazione abbastanza stretta, combinata con la metformina, riesce a ridurre l’attività del tumore e quindi a farlo regredire.”
“Il Dottor Faloppi, nella sua pubblicazione, ha dimostrato, con studi preliminari, che in una particolare forma di tumore del fegato, l’uso della metformina sembra rendere la terapia oncologica, meno efficace – ha commentato il Primario di Oncologia -. Prima però di affermare che lo studio possa avere un reale effetto sui pazienti, sono necessarie delle ulteriori valutazioni approfondite sui malati di tumore, valutazioni che devono riguardare un’ampia casistica di pazienti.”
“La fase della ricerca deve quindi poi essere traslata nell’uomo sia per osservare la tossicità dei farmaci sia per comprendere se effettivamente questi agiscono sulla malattia e sono in grado di dare dei risultati benefici – ha osservato Battelli -. Nel Centro di Ricerca di Macerata ci sono diversi studi in atto per dimostrare se un farmaco è migliore dell’altro e ha degli effetti benefici migliori rispetto a un altro.”
“La metformina potrebbe al contrario avere degli effetti positivi sul tumore alla mammella ma queste sono tesi, come hanno osservato i colleghi di Milano, che devono però poi sempre essere validate sul paziente stesso” ha concluso Battelli.
Ma cos’è la metformina? È un ipoglicemizzante che abbassa la glicemia. Nello studio condotto a Milano si osserva come “riducendo il tasso glicemico con la dieta e somministrando metformina, si inibisce la plasticità metabolica e così vengono fatte morire le cellule tumorali" ha spiegato il Dottor Minucci.
“Siamo davanti a una notizia corretta ma è importante valutare nel complesso gli effettivi benefici sul paziente – ha osservato il Dottor Faloppi -. La metformina infatti, se associata a una determinata dieta, sembra avere un ruolo protettivo, un aumento quindi della morte cellulare e una conseguente regressione del tumore negli animali. Bisogna vedere se poi questo studio, ‘somministrato’ sulle persone, dà gli stessi risultati. È importante inoltre, come osservato dal Primario Battelli, fare degli studi clinici su grandi numeri di pazienti che validino ciò che viene sperimentato in laboratorio.”
“Inoltre l’oncologia non riguarda un singolo tumore ma i tumori sono tanti, partono da diversi organi e prevedono un trattamento specifico sempre diverso – hanno concluso i due oncologi -. È fondamentale, in questo senso, che la ricerca vada avanti e ci dia, in un futuro, delle risposte certe.”
Cucina a vista, materie 100% regionali e italiane, produttori locali e a km 0 e una visione esperienziale della ristorazione. Sono alcuni degli elementi del (giovane) successo del Ristorante Vere Italie di via Crescimbeni a Macerata.
“Tutto nasce da un’idea, balenatami in mente nel gennaio del 2018 – ci racconta Stefano Parcaroli, il giovanissimo titolare del locale maceratese -. Volevo fare qualcosa per il turismo della nostra provincia e della nostra Regione già da tempo e quindi ho decido di intraprendere questa strada e regalare un’esperienza ai clienti, inaugurando Vere Italie nel dicembre del 2018.”
Stefano viene da un mondo molto lontano da quello della ristorazione ma la chiave della sua passione sta nel mondo del retail e dell’attenzione al cliente, che “per me è un utente dei nostri servizi al quale dare un’offerta non solo nel prodotto, ma aggiungendo qualcosa in più, un’esperienza appunto – ci spiega Stefano -. Abbiamo voluto creare e dare vita a un locale dove poter far vivere un momento esperienziale al cliente, che viene accolto in un’atmosfera familiare, accogliente e ben studiata e dove può gustare i piatti della tradizione rielaborati e preparati con materie prime del territorio.”
Un menu molto ricercato che però non dimentica mai i sapori del nostra terra. “I vini, abbiamo 130 etichette, sono tutti della provincia di Macerata o, al più, della Regione, mentre i superalcolici sono tutti esclusivamente italiani – ci spiega il titolare -. Una delle prime persone che ho assunto infatti è stata la gastronoma, una figura che va alla ricerca dei prodotti e dei produttori delle nostre terre secondo standard qualitativi che ci siamo posti e creando con loro un forte legame.”
“Il nostro menù, studiato appositamente dalla Chef Entiana Osminzeza, specializzata nell’avvio dei ristoranti e come formatrice di uno staff completo e autonomo, varia in base alla stagionalità delle materie prime e siamo già arrivati al terzo rinnovo – ci spiega Stefano -. Il nostro desiderio è quello di far mangiare i clienti come mangiavano i nostri nonni, con una chiave rivisitata: la ‘sfida’ sta anche nel mantenere forti e saldi i contatti con i produttori del territorio, siano essi grandi o piccoli.”
Alcuni dei prodotti, appositamente selezionati, vengono venduti anche direttamente nel Ristorante, che ha lanciato anche dei co-brand per alcuni alimenti, studiati insieme a esperti del settore.
Vere Italie, in pochissimo tempo, ha raggiunto traguardi molto importanti: è stato il catering per l’ultima edizione del Festival di Sanremo a febbraio, mentre a settembre curerà quello del Festival del Cinema di Venezia, facendo conoscere i prodotti locali in tutta Italia e nel mondo.
Il riscontro in Città è stato altrettanto positivo. “Abbiamo sempre cercare di proporre qualcosa di originale, diverso e innovativo – ci spiega Stefano -: è così che attiriamo i clienti. Uno dei nostri format è quello del brunch della domenica, un appuntamento nuovo in Città che ha avuto molto successo, nonostante per noi all’inizio fosse una vera e propria scommessa. Ora con l’arrivo dell’estate, la vera sperimentazione ci sarà la settimana prossima con gli aperitivi europei, apriremo anche la veranda nell’ampio cortile esterno che si presta molto bene a feste, aperitivi, pranzi e cene con la sua splendida cornice.”
Un locale molto suggestivo appunto, protetto dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali, che è stato completamente ristrutturato con uno tocco “moderno ma con uno stile intramontabile” come ama definirlo Stefano. Luci a batteria sui tavoli rifiniti in ottone, grandi specchi che conferiscono ampiezza al ristorante, la cucina a vista: freschezza e modernità legati in modo perfetto alla storicità delle mura.
Uno staff fisso, quello del Ristorante Vere Italie, che lavora di frequente con l’Istituto Alberghiero di Cingoli. “Con gli studenti si crea un rapporto davvero molto bello e ci piace questa collaborazione con le scuole che potrebbe diventare anche un investimento per il futuro, sia nostro che dei ragazzi, ed è anche un valore aggiunto che dimostra l’attenzione al territorio e ai giovani.”
Un grande amore per il territorio, per i prodotti maceratesi e per la Città al quale Stefano, tornato da poco dalla Cina, sta già aggiungendo un ulteriore valore con uno sguardo all’internazionalizzazione. “Con i nuovi voli che, a settembre, arriveranno ad Ancona dall’Oriente, sto cercando già di mettere le basi per un rapporto di collaborazione con la Cina. Avendo una cultura molto diversa dalla nostra, credo sia importante, oltre che far conoscere loro le bellezze culturali che Macerata offre, portare i turisti a vivere la quotidianità di un maceratese. Da qui nasce quindi l’esperienza, all’interno di un turismo che diventa anche enogastronomico. A questo proposito, stiamo già programmando, per il prossimo mese, dei corsi all’interno del locale per insegnare, a chi vorrà, come si fanno le olive all’ascolana piuttosto che la pasta fatta in casa e altre eccellenze del nostro territorio”
“Vogliamo rendere Vere Italie un polo turistico della Città – ha concluso Stefano -. Ovviamente ci vogliono entusiasmo, voglia di fare e una visione imprenditoriale a lungo termine che mi auguro di riuscire a trasmettere ai tanti che vorranno arricchire Macerata e farla conoscere al mondo grazie alle sue particolarità e alle sue eccellenze.”
L’eccidio di Montalto venne compiuto nell’omonima località vicino a Tolentino dal battaglione Camicie Nere il 22 marzo del 1944. In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, alcuni giovani, per la maggior parte originari di Tolentino, decisero di non rispondere al bando di chiamata alle armi della Repubblica Sociale Italiana e partire per la montagna per costruire una formazione partigiana. Si stabilirono quindi a Montalto di Cessapalombo e trovarono supporto negli abitanti locali.
Il 19 marzo si iniziò a spargere la voce della cattura di alcuni giovani partigiani nelle vicinanze e quindi la possibilità di un nuovo rastrellamento. Il gruppo di giovani però non si allontanò e così venne colto di sorpresa, il 22 marzo, da un attacco delle truppe nazifasciste. Riuniti in piccoli gruppi, i partigiani vennero subito fucilati finché l’esecuzione non venne sospesa da un ufficiale tedesco. 31 di loro persero la vita, tra questi anche il loro comandante Achille Barilatti, mentre cinque si salvarono. Tra i superstiti c’è anche Aroldo Ragaini.
Aroldo Ragaini ha 94 anni e vive in Francia. È l’unico superstite dell’Eccidio di Montalto e l’abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare, in modo diretto, in occasione del 74° Anniversario della Liberazione, una delle pagine più brutte della storia, non solo maceratese, ma nazionale.
“Lei si può rendere conto di cosa significa passare davanti a un plotone di esecuzione fascista?” – non usa giri di parole Aroldo per raccontarci ciò che ha provato in quei momenti. “Io facevo parte dell’ultimo gruppo, eravamo cinque, e siamo stati risparmiati – continua Aroldo -. Non mi chieda perché, non lo so, non lo ricordo, ma so che gli ultimi cinque li hanno lasciti in piedi. Da lì siamo stati deportati in alta Italia e abbiamo iniziato a lavorare finché non siamo fuggiti, sperando che le cose cambiassero. Ciò che mi ricordo bene sono i 270 chilometri a piedi che ho dovuto percorrere per tornare a casa, quelli sì che me li ricordo.”
“Nessuno ci considerava, eravamo dei relitti della società – ha proseguito -. Io lavoravo in una fonderia e nonostante tutto morivo di fame, nessuno mi ha mai dato una mano. Abbiamo fatto molto per la patria ma siamo dovuti scappare via: se sono un sopravvissuto è solo grazie a me stesso perché nessuno mi ha regalato nulla.”
Aroldo si è poi trasferito in Francia e qui ha ricominciato la sua vita. “In questo Paese siamo stati apprezzati come lavoratori e come ‘stranieri’ – racconta -. Io non ho fatto cose straordinarie, ho solo vissuto nella normalità la mia vita.” Ragaini ha sempre fatto il muratore, ora è in pensione e vive oltralpe insieme a sua moglie. Ai giovani di oggi dà un consiglio: “Fate la politica che più vi aggrada, che riflette i vostri pensieri e che vi rispecchia, non fate quella degli altri o quella delle ideologie. A noi volevano inculcarci quella fascista ma noi non l’abbiamo fatto e abbiamo preferito la democrazia, decidendo di avere un lavoro e vivere una vita normale. Questo è il mio consiglio, scegliete la democrazia.”
Nell’Eccidio di Montalto sono stati uccisi: Adino Barcarelli, Alberto Patrizi, Aldo Buscalferri, Arduino Germondani, Armando Mogetta, Armando Pettinari, Audio Carassai, Balilla Pascolini, Bruno Principi, Ennio Passamonti, Ennio Proietti, Giacomo Saputo, Giammario Fazzini, Giuseppe Cegna, Giuseppe Gurrieri, Guidobaldo Orizi, Lauro Cappellacci, Lorenzo Bernardoni, Luigi Cerquetti, Manlio Ferraro Sottotentente, Mariano Cutini, Mariano Scipioni, Mario Ramundo, Nazzareno Bartoli, Nicola Ciarapica, Nicola Peramezza, Primo Stacchietti, Radames Casadidio, Spartaco Perugini, Ugo Sposetti, Umberto Angelelli e Umberto Lucentini. Nello Salvatori si salvò.
Ai "Martiri di Montalto" è dedicata la sezione A.N.P.I di Tolentino.
(In foto Aroldo Ragaini nel 2006. Photo Credit di Storia Marche 900)
Lo scorso 10 aprile, erano stati gli avvocati della difesa, Simone Matraxia e Umberto Gramenzi a chiedere una nuova super perizia, dopo che i consulenti di parte avevano sollevato dei dubbi riguardo le cause della morte della diciottenne romana.
Mentre non ci sono dubbi per Froldi e Cingolani, consulenti della Procura, che Pamela Mastropietro sia morta per le due coltellate al fegato, per i consulenti medici della difesa invece "non si possono stabilire con esattezza le cause della morte della 18enne e non si potrebbe escludere l'overdose."
Quest'oggi la corte d'assise del Tribunale di Macerata, presieduta dal Giudice Roberto Evangelisti, si è pronunciata sulla richiesta di perizia ulteriore, respingendola. La Corte, "considerato che la perizia è un mezzo di prova neutro e, considerato che nell'ampia istruttoria si è dibattuto molto", ha deciso di respingere la richiesta della difesa.
Dunque nelle prossime tre udienze (8,15 e 29 maggio) ci saranno le discussioni della Procura, della parte civile rappresentata dal legale Marco Valerio Verni e infine della difesa. A seguire la Camera di Consiglio dei giudici e la sentenza definitiva di primo grado nei confronti di Innocent Oseghale che ha confessato i reati di vilipendio e occultamento di cadavere.
"L'aspetto di verità è stato ampiamente dibattuto nel corso delle udienze passate e siamo soddisfatti per la decisione della Corte di non procedere con un'ulteriore perizia - ha commentato Marco Valerio Verni, legale della famiglia Mastropietro -. Inoltre, a prescindere dalla difesa, la stessa Corte poteva disporre un'ulteriore perizia, quindi se non l'ha fatto, ha pensato che ci fossero già abbastanza documenti sufficienti. I dubbi sembrano quindi non esserci."
"Credo che sia stata chiarita la posizione di Oseghale e penso che la Corte non abbia dubbi in merito - ha concluso il legale -. Ciò che è accaduto a Pamela non ha precendenti in Italia e ci auguriamo la pena più dura per l'imputato."
Diverse invece le reazioni dei legali della difesa in merito alla decisione della Corte. "È una decisione che ci aspettavamo, era nell'aria. Ora attendiamo la prossima udienza con la discussione del Pubblico Ministero" - ha commentato Umberto Gramenzi.
Per la difesa quello di oggi potrebbe essere un elemento sul quale lavorare in sede di appello, nel caso di condanna per l'imputato."Certamente qualche dubbio era già stato ventilato dalla stessa Procura in sede di discussione e ciò lascia uno spazio alla difesa per il prosieguo" ha aggiunto Gramenzi. Sulla stessa 'lunghezza d'onda' Simone Matraxia: "All'esito dei consulenti delle parti, è emerso il dubbio evidente in merito alle cause delal morte di Pamela, tanto che la Procura ha inizialmente avallato la richiesta di una super perizia, formulando un autonomo quesito. Ciò rende evidente, se ce ne fosse bisogno, che la morte della ragazza non è stata accertata."
Una storia lunga quasi 100 anni quella delle Terme San Giacomo di Sarnano, un fiore all’occhiello non solo del territorio provinciale ma di tutta la Regione Marche. Abbiamo incontrato il Direttore Sanitario, il Dottor Paolo Del Giudice, specializzato in cultura termale, per farci raccontare la storia, non sempre rosea, delle Terme di Sarnano.
“Era il 1933 quando vennero aperte le Terme San Giacomo: uno stabilimento antico con un ingresso e un tempietto in fondo al viale, dove si dava la cura idropinica, cioè l’acqua da bere – ci racconta il Dottor Del Giudice -. L’acqua venne scoperta durante i lavori del ponte sulla strada provinciale tra Sarnano e Gualdo. In quel periodo infatti, gli operai che erano lì, bevevano dalla sorgente e riconobbero subito le proprietà benefiche dell’acqua. Il Dottor Silvestro Baglioni, un fisiologo dell’Università “La Sapienza” di Roma, si trovava a Sarnano per una visita turistica e decise di analizzare le acque scoprendo che le stesse erano migliori di quelle che conosceva lui. Da quel momento si diede il via al primo imbottigliamento in vetro e a una diffusione capillare in tutta Italia dell’acqua delle Terme di Sarnano. Dal 1984 si sono iniziate a cercare volutamente altre sorgenti, di altro tipo, perché conoscevamo bene il territorio e Sarnano è una città piena di sorgenti, sia per la vicinanza alla montagna sia per il tipo di terreno che era fondo del mare. Dal 1987 lo stabilimento si è poi arricchito di nuovi reparti: cure inalatorie, sordità rinogena, balneoterapia e cure ginecologiche – ha proseguito il Dottore -. Come completamento dell’offerta terapeutico termale, si è attivato poi un ambulatorio di terapia fisica e riabilitazione che ha un’importanza enorme.”
“La storia delle Terme San Giacomo è sempre proseguita a gonfie vele, finché non arriva la mattina del 30 ottobre del 2016 – ci racconta il Dottor Del Giudice -. Il sisma ha causato un disastro totale e ha lesionato in maniera irreparabile sia l’ingresso sia la struttura; oltre al fatto che non potevamo entrare per recuperare le attrezzature che erano rimaste dentro.”
Un momento di grande crisi e di difficoltà che però non ha spento la passione dei dipendenti e dei responsabili di portare avanti un’eccellenza così rinomata del territorio marchigiano. “Nel febbraio del 2017 abbiamo contattato il curatore fallimentare di questa struttura che prima era un centro benessere – ha continuato il Direttore Sanitario –. L’abbiamo acquistata e da lì è iniziato tutto il processo di riassestamento: abbiamo riconvogliato tutte le acque delle tre sorgenti usando delle canalizzazioni che c’erano in precedenza e riaggiuntandole nell’ultimo tratto. È stata una fortuna che abbiamo trovato delle tubature che non si sono rovinate negli anni: queste infatti venivano utilizzate da un acquedotto comunale e sono quindi sempre rimaste pulite e giovani. Abbiamo poi modificato gli impianti con l’adduzione di acqua diretta che, in questo modo, esplica tutte le sue proprietà terapeutiche. Ad agosto del 2017 abbiamo inaugurato i nuovi locali alla presenza del Presidente Ceriscioli e di Errani. Quest’ultimo parlò di una ‘struttura, quella delle nuove Terme San Giacomo di Sarnano, che rappresenta il risultato migliore che siamo riusciti a ottenere dal terremoto de L’Aquila, in termini di ricostruzione’.”
Gli uomini e le donne del personale delle Terme San Giacomo, tutti terremotati, per mesi hanno fatto molti sacrifici per dare una mano alla struttura e poter acquistare le nuove attrezzature. Un grande aiuto è arrivato anche dall’Amministrazione Comunale e, ovviamente, dai fondi della ricostruzione della Regione Marche. La struttura inoltre, concepita per accogliere 30 persone al giorno, a oggi, nei periodi estivi, riesce a soddisfare le esigenze di 700 utenti al giorno.
“La delocalizzazione delle Terme San Giacomo ha portato dietro di sé molti pro ma anche alcuni contro – ci racconta il Dottore -. Parliamo di una struttura nuova, elegante, moderna e all’avanguardia, che ci ha fornito anche la piscina idrolife, dove facciamo anche terapia termale; ma una delle più grandi perdite è stata il parco di tre ettari e mezzo che era nella vecchia sistemazione: cercheremo di fare in modo di recuperare anche questa bellezza naturale il prima possibile.”
Ma il progetto della Sarnano Terzo Millennio, la società che gestisce le Terme e il Residence, non si ferma qui e guarda al futuro e a un ampliamento ‘con i fiocchi’. “La nostra idea prevede, nel piano sotto, la ridefinizione dell’attuale centro benessere con l’aggiunta della sauna e la sistemazione della piscina che, con il tempo, è stata rovinata - ci ha spiegato il Dottor Del Giudice -: ciò che manca in questo momento sono i fondi per il restyling completo di tutto il piano sottostante.”
Le acque che vengono utilizzate dalle Terme di Sarnano, anche su pazienti con patologie acute, sono tre: la San Giacomo, la Tre Santi e la Terro. “La prima viene utilizzata nelle cure idropiniche per problemi di tipo renale e digestivi in quanto favorisce il lavaggio delle vie urinarie. La Tre Santi ha le caratteristiche tipiche dell’acqua bicarbonato calcica e ha quindi un effetto miorilassante sulla muscolatura e risolve patologie come artrosi o problemi di circolazione. Il tutto a corredo delle attività delle fisioterapiste, eseguite con attrezzature all’avanguardia utilizzate anche dal Rizzoli di Bologna. L’acqua sulfurea Terro è invece quella utilizzata per le cure inalatorie: ha proprietà terapeutiche anti infiammatorie e mucolitiche. Viene utilizzata anche a livello cutaneo e ginecologico – ha osservato nel dettaglio il Dottore -. Il nostro obiettivo è quello di far ammalare il paziente sempre meno in quanto ciò rallenta automaticamente l’evoluzione della patologia cronica: prima si fa sanità, poi si fanno i numeri.”
Tutto il ciclo delle terapie termali, che ha una durata di 12 giorni, è mutuabile e convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale.
Un’offerta a 360 gradi quella delle Terme San Giacomo di Sarnano che, con le sue terapie mediche, rappresenta un’eccellenza del nostro territorio: dalle inalazioni, all’aerosol, passando per l’humage e le docce nasali micronizzate. Le Terme sono dotate di una piscina interna con vari tipi di idromassaggio: verticale, sul lettino, lombare e per la zona gambe, a cascata e quindi per la cervicale e infine il camminamento in acqua tiepida. Le Terme offrono inoltre la possibilità di eseguire balneoterapia per vasculopatia periferica con una pressione alta del getto dell’acqua che riattiva il muscolo o ancora la fangoterapia con l’argilla della sorgente sulfurea che viene polverizzata, aggiunta alla paraffina, e fatta seccare sul corpo del paziente.”
Mentre nelle Terme vengono eseguite delle terapie, nel centro benessere operano estetisti e massaggiatori per trattamenti specifici per il corpo. Insieme ad Andre Montanari abbiamo visitato la spa, dotata di ogni confort, moderna e bellissima. “Nel centro benessere vengono eseguiti tutti quei trattamenti volti alla cura del corpo dei nostri clienti: dalla pedicure e manicure ai trattamenti viso e corpo, passando per i massaggi e l’area relax, senza dimenticare il bagno turco, il bagno romano, i fanghi estetici e le docce emozionali. L’offerta delle cure convenzionate con il Sistema Sanitario Nazionale si arricchisce quindi dei trattamenti delle linee wellness e beauty con un’equipe in grado di prendersi cura dei clienti e in grado di offrire soluzioni personalizzate per il raggiungimento del benessere personale e per la valorizzazione della propria bellezza."
Per concludere l’offerta, nell’agosto del 2017 è stato anche inaugurato il nuovo Residence con 18 appartamenti nuovi, moderni e dotati di ogni confort. “Vanno da un minimo di 55 a un massimo di 75 metri quadri – ci ha spiegato Montanari -. Sono appartamenti molto luminosi e con una meravigliosa vista panoramica che possono offrire ospitalità a un minimo di due fino a un massimo di sei persone. Tutti i 18 appartamenti sono dotati di camere da letto, soggiorno ampio, cucina, termo-autonomia, aria condizionata, frigorifero e ovviamente l’accesso libero alla piscina termale esterna con tutti i suoi effetti terapeutici.”
I Carabinieri della Compagnia di Macerata, guidati dal Tenente Colonnello Luigi Ingrosso, nelle prime ore della mattinata odierna, hanno eseguito quattro misure cautelari per spaccio di stupefacenti di cui una di custodia in carcere per un 25enne di Cingoli, conosciuto alle cronache giudiziarie; due custodie in regime di domiciliari nei confronti di un 23enne e di un 20enne, entrambe di origini straniere ma residenti a Cingoli; e una misura dell'obbligo di dimora a carico di un 21enne, anche lui di Cingoli e di origini straniere, conosciuto per spaccio di stupefacenti. Il 23 enne è stato arrestato anche per tentata estorsione.
L'operazione, denominata "Shelter" poiché gli accordi e le cessioni di stupefacenti avvenivano in una pensilina degli autobus di Cingoli, nei pressi di un Istituto Scolastico, è iniziata la notte del 9 ottobre 2018. L'inchiesta, partita dai Carabinieri di Cingoli, coodinati dal Maresciallo Umberto Paglioni, ha visto la collaborazione dei colleghi di Appignano, Apiro, Montefano, Treia e Tolentino, di quelli del N.O.R.M. di Macerata, nonché di un'unità cinofila dei militari di Pesaro.
Tutto inizia appunto nella notte del 9 ottobre dell'anno scorso quando due soggetti, travisati con tuta da lavoro, gunti, mefisto e occhiali da sole, hanno tentato un furto all'interno di una sala slot di Cingoli "senza successo", in quanto è subito scattato il sistema di allarme che ha allontanato i due. Nella mattinata, i militari, hanno rinvenuto, in una zona boschiva e periferica della città, un borsone rosso occultato con all'interno arnesi atti allo scasso, abbigliamento tipico da "Diabolik", del nastro isolante e anche una pistola Beretta 92 "a salve". La borsa, nonostante il luogo umido e boschivo in cui era stata rinvenuta, era completamente asciutta e questo dettaglio ha subito insospettito i Carabinieri, i quali hanno deciso di posizionare delle telecamere nella speranza che i malviventi sarebbero tornati sul "luogo del misfatto". E così è stato. La sera stessa due soggetti, a bordo di una Citroen C3, si sono aggirati per svariati minuti alla ricerca disperata di qualcosa che, alla fine, non hanno trovato. I malviventi non hanno desistito e sono tornati il giorno dopo, sperando nel favore della luce del giorno. A quel punto, le telecamere dei Carabinieri hanno permesso di identificare la targa dell'auto e i tre "cercatori".
Acquisite poi le immagini delle telecamere dell'esercizio dove era stato perpetrato il tentativo di furto, i Carabinieri si sono resi conto che sussitevano dei collegamenti tra i due eventi. A quel punto i militari hanno approfondito le indagini e chiesto uno screening delle conversazioni telefoniche dei soggetti immortalati e ne è scaturito uno scenario che apriva panorami su possibli traffici di stupefacenti. Da approfondite attività tecniche si è constatata la "scaltrezza" dei quattro giovani, oggi destinatari delle misure cautelari per lo spaccio di sostanze stupefacenti, in quanto comunicavano tramite specifiche piattaforme social e con un linguaggio criptato.
A quel punto i militari hanno deciso di modificare gli assetti investigativi, concentrandosi sulla Polizia Giudiziaria di "vecchio stampo", fatta di pedinamenti e osservazioni, anche in bicicletta e fuori dall'orario di servizio, e sfruttando le capacità informatiche dei militari più giovani che hanno "navigato" sulle piattaforme social e hanno portato alla luce le fiorenti attività di spaccio di sostanze stupefacenti, nello specifico cocaina, marijuana e hashish. Gli indagati, oltre che chiamare "puffi" i Carabinieri, facevano parte di un gruppo Whatsapp denominato 'Chi l'ha visti', riferito ai Carabinieri, all'interno del quale veniva segnalata la presenza dei militari in Città. Inoltre in un telefono cellulare, che gli spacciatori si passavano tra loro, è stata rinvenuta della cocaina al posto della batteria. Nel dicembre del 2018, le investigazioni hanno consentito di sequestrare, in quattro diverse circostanze, 30grammi di hashish e 10 di cocaina.
Le indagini sono durante circa sei mesi e i militari hanno accertato che il 25enne aveva un ruolo predominante e si serviva di due "galoppini", il 23enne ed il 20enne, per rifornire la piazza di stupefacenti. I Carabinieri hanno accertato che il terzetto riforniva di droga non solo Cingoli ma anche altre città limitrofe e che, tra le decine di acquirenti, vi erano anche soggetti minorenni. Il 20enne inoltre spesso lavorava in proprio avvalendosi della complicità del 21enne.
Raccolti tutti gli elementi, i Carabinieri hanno rapportato il tutto al PM Rastrelli, titolare dell'indagine, che ha concordato con le ipotesi formulate avanzando le richieste che poi sono state accolte dal G.I.P. Manzoni, che ha emesso le odierne misure di custodia cautelare. Il 23enne è stato colpito anche da un'ordinanza per tentata estorsione in quanto aveva minacciato, telefonicamente e non solo, il 20enne, reo di non aver pagato una fornitura di droga.
Durante le indagini sono stati acquisiti anche elementi su tre ragazzi che hanno avuto ruolo di minor rilievo e oggi sono stati sottoposti a perquisizione: un 23enne, un 22enne e un 21enne, tutti di Cingoli. I Carabinieri hanno anche segnalato e denunciato una decina di persone per detenzione di sostanza stupefacente. Nel corso dell'esecuzione, in casa del 23enne, è stata rinvenuta anche una dose di eroina.
In totale, i Carabinieri, hanno sequestrato 15 grammi di cocaina, 40 grammi di hashish e 15 di marijuana. Sono state intercettate oltre 5000 conversazioni e analizzate centinaia di chat sui vari social. Sono stati effettuati 15 sequestri e 40 perquisizioni tra penali e amministrative e ricostruite circa 500 cessioni per un "volume di affari" di oltre 40mila euro.
"Voglio sottolineare che, nonostante le normali attività quotidiane sul territorio, i Carabinieri di Cingoli non si sono sottratti a questa indagini e l'hanno portata avanti anche fuori servizio: di questo sono molto orgoglioso - ha commentato il Tenente Colonnello Ingrosso -. L'attività dell'Arma indirizzata al contrasto delle sostanze stupefacenti sarà sempre alta e continuerà quotidianamente."
Aldo è di Ascoli Piceno mentre Julia è di Fermo. Oltre a essere marito e moglie (in dolce attesa) hanno anche un grande amore in comune: quello per Macerata.
“Ho frequentato l’Università qui e poi ho lavorato in una discoteca della città. Tredici anni fa, lavoravo dove oggi c'è il Caffè Centrale come dipendente e mi è balenata in testa l’idea di fare una proposta al proprietario per aprire io stesso un bar nel centro storico: lui ha accettate, l'ho comprato e da lì è iniziato tutto – ci racconta Aldo -. Possiamo dire che ho intrapreso questo progetto ‘per gioco’ ma poi mi sono appassionato al mestiere e ho cercato sempre più di migliorarmi e di migliorare l’offerta ai clienti. Nel 2015 ho quindi deciso di ampliare l’offerta con un bistrot, diventato poi ristorante, che è il Centrale.eat. Abbiamo fatto dei lavori, ripulito la grotta e dato vita al secondo locale.”
“Ho conosciuto Aldo sei anni fa e lui mi ha assecondato nella mia voglia di organizzare eventi e insieme abbiamo pensato e studiato nei minimi dettagli il Centrale.eat – ha aggiunto Julia -. Quando poi si è presentata l’opportunità di poter prendere i locali dell’Albergo Italia non ce la siamo lasciata scappare e abbiamo continuato a migliorare la nostra offerta.”
Sabato scorso è stata proprio la volta del Centrale.plus. Collocato in cima alle scalette e di fianco la Torre Civica, il nuovo locale è ospitato nelle bellissime sale dell’ex Albergo Italia e racchiude gli oltre 500 anni di storia nella sua suggestiva location che fu sede, in passato, di organismi militari, banche, Camera di Commercio e cinema. Ma la sfida imprenditoriale di Aldo e Julia non si ferma qui.
“Subito dopo aver aperto il Centrale.eat infatti, abbiamo pensato di completare l’offerta turistica anche con un albergo e, proprio nel palazzo adiacente al Centrale.plus, abbiamo ristrutturato e ammodernato le vecchie residenze d’epoca creando 6 camere, con 16 posti letto per tutti coloro che, durante l’anno, vengono a Macerata e vi soggiornano – ci spiega Aldo -. L’idea era quella di aprire in contemporanea con il nuovo locale ma, a causa di un discorso legato al sisma, dovremmo aspettare per l’inaugurazione che è comunque prevista per l’estate del 2020.”
“Con il Centrale.plus, puntiamo ad attrarre una fascia di clientela come può essere quella legata alle grandi cerimonie e ai grandi eventi, un discorso che non ci era possibile fare con il Centrale.eat per questioni di spazio – ha proseguito Aldo -. Siamo in Piazza della Libertà e l’idea è quella di attrarre i visitatori offrendo sempre prodotti di qualità e del territorio, che facciano splendere il nome di Macerata e la sua bellezza.”
Il Centrale.plus sarà riservato infatti ad allestimenti, confettate, preparazioni ed eventi molto più curati, degni della location storica che li ospita. “Qui si svolgeranno anche sfilate di moda, eventi culturali e non solo – ci ha spiegato Julia -. Proporremo degustazioni più ricercare, percorsi gustativi differenziati e curati secondo le esigenze dei clienti che, nel caso di matrimoni, battesimi o altre cerimonie, verranno seguito dai biglietti delle partecipazioni fino alla torta.” Un’attenzione particolare che sarà destinata anche al prezzo. “Non vogliamo classificarci come una fascia alta di ristorazione, vogliamo rimanere nel target e nella tipologia del Centrale.eat, con degli arricchimenti, senza dubbio, ma senza dimenticare le esigenze del cliente, puntando a un'offerta a 360 gradi con materie di altissima qualità e un buon rapporto qualità/prezzo” – ha aggiunto Aldo, svelandoci la new entry del Centrale: una macchina che fungerà da navetta per aiutare i visitatori con gli spostamenti dal centro storico verso l'esterno della Città.
Aldo e Julia sono concordi sul loro amore per Macerata e sul voler attrarre più visitatori possibili nel cuore della Città. “La gente ha voglia di tornare in centro e di viverlo e questo è ciò che noi vogliamo offrire, assecondando al meglio le esigenze della nostra clientela”.
Si è svolta questa mattina, presso l’Ospedale di Civitanova Marche, la cerimonia di consegna delle donazioni effettuate dal Banco Marchigiano di Credito Cooperativo e dal Lions Club Civitanova Marche Cluana. Presenti il Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, il Direttore dell’Area Vasta 3 Alessandro Maccioni, il Sindaco della città rivierasca Fabrizio Ciarapica, il Presidente del Banco Marchigiano Sandro Palombini, il Presidente del Lions Club Civitanova Marche Cluana Dania Battistelli.
L’Istituto di Credito ha donato al nosocomio della Città materiale informatico in favore del Pronto Soccorso mentre il Lions Club una somma in denaro per l’acquisto di poltrone per chemioterapia in favore dell’oncologia di Civitanova Marche.
“Penso che il vero valore di queste donazioni, oltre ovviamente alla strumentazione, risieda nell’aspetto umano – ha commentato il Presidente della Regione Marche Ceriscioli -. È importante che una comunità si sia mobilitata per essere vicina ai professionisti, dimostrando solidarietà e vicinanza.”
Il Direttore Maccioni, ha sottolineato “la sinergia delle donazioni che sono state messe in atto.” Una collaborazione “tra pubblico e privato, tra associazioni e volontariato che, chi amministra una Città, ha il dovere di portare avanti” ha osservato il primo cittadino di Civitanova Marche. “Il nostro Ospedale rappresenta un’eccellenza del territorio e, colgo l’occasione, per portare alla luce una delle nuove patologie che si sta maggiormente insediando nella nostra società: l’alzheimer.”
Un’attenzione, quella del Banco Marchigiano di Credito Cooperativo dimostrata già in passato “alla fine del 2018 e all’inizio del 2019 – ha osservato il Presidente Palombini -. Le richieste di donazioni sono davvero tantissimi e noi, per quanto ci è possibile, cercheremo di portare sempre avanti queste attività che rappresentano uno degli obiettivi di una Banca del territorio.”
A fare gli onori di casa questa mattina, durante la conferenza stampa di presentazione del testimonial ufficiale di Hammurabi, il campione olimpionico Jury Chechi, è stato Gaetano Maccari, fondatore de La Pasta di Camerino.
“Il 5 ottobre 2018 abbiamo lanciato Hammurabi e oggi, dopo un anno e mezzo, ci troviamo qui, insieme ai nostri produttori e a un carissimo amico, per la prima conferenza stampa dell’Azienda – ha commentato -. Ci tengo oggi a sottolineare che in Azienda è in atto il passaggio generazionale e credo che tutti lo stiamo affrontando nel miglior modo possibile: da tempo infatti Federico ha preso in mano le redini dell’Azienda e penso stia facendo un buon lavoro non solo per La Pasta di Camerino, ma anche per il territorio e per i nostri dipendenti.”
Una vasta gamma di prodotti che va dalla pasta all’uovo, a quella bio, passando per la pasta di semola e di farro bio fino al grano antico monococco integrale; materie prime 100% italiane; triplo impasto lento a bassa temperature; lenta estrusione; trafilatura in bronzo; essiccazione lenta a basse temperature su celle statiche e completa tracciabilità del prodotto per il consumatore. Sono solo alcune delle caratteristiche che contraddistinguono la produzione de La Pasta di Camerino e che continuano a seguire la strada della trasparenza e della qualità, che si confermato caratteristiche vincenti.
“I nostri risultati aziendali – ha osservatore Federico Maccari, Direttore dell’Azienda – dimostrano il successo del lavoro che stiamo facendo. Un fatturato che dal 2014 (12,8 milioni di euro) al 2019 è quasi raddoppiato (22 milioni di euro), in uno scenario di mercato che non è dei più rosei: nel primo trimestre del 2019 infatti il trend di mercato della pasta secca ha registrato un calo del 7,6% mentre la variazione del venduto a valore de La Pasta di Camerino conta un + 6,2%. In questo scenario, la nostra Azienda rappresenta il leader nella vendita di pasta secca nelle Marche.”
Federico ha poi introdotto l’ospite d’onore della mattinata, Jury Chechi, nonché testimonial di Hammurabi.
“Jury rispecchia tutto ciò che Hammurabi vuole essere per un consumatore – ha commentato Federico -. Uno sportivo olimpionico italiano che, con la medaglia d’oro di Atlanta nel 1996 e ancor più con quella di bronzo conquistata ad Atene nel 2000, dopo un grave infortunio, ha lasciato una traccia indelebile nella storia dello sport italiano e nei cuori delle persone. È il ‘Signore degli Anelli’, uno degli sportivi italiani più conosciuti (e riconoscibili) di sempre, da tante generazioni diverse: un simbolo di serietà e dedizione, ma anche di simpatia e di sensibilità. Jury rappresenta un esempio positivo a livello sportivo e umano, ed è ancora in attività come mentore e maestro di tanti giovani atleti e anche come uomo di sport a tutto tondo, attraverso la partecipazione a numerosi eventi sportivi amatoriali e master.”
“Valori di resilienza e resistenza che Jury rappresenta appieno e che si rispecchiano in toto nel nostro territorio e nella nostra Azienda” ha concluso Federico ricordando che, dopo le scosse del 30 ottobre 2016, la Famiglia Maccari ha deciso di ampliare lo stabilimento produttivo, dando un segnale forte e di rinascita alla Città.
“Ci tengo a ringraziare la Famiglia Maccari perché questa per me è un’opportunità dato che sono in completa sintonia con tutto ciò che loro hanno detto fino a ora – ha commentato Juri Chechi -. Ho accettato questa proposta per molti motivi. In primis per il legame con il territorio: sono nato a Prato ma sono una marchigiano di adozione e sono molto attaccato a questa terra. In secondo luogo credo che la resilienza e la resistenza siano valori importanti nello sport come nel mondo dell’imprenditoria e rispecchio moltissimo la mia persona nell’Azienda della Famiglia Maccari: le difficoltà ci sono sempre, lo sappiamo, ed è importante affrontarle seguendo queste due linee. Infine la passione e la competenza che ho trovato nel prodotto Hammurabi, sono stati un elemento fondamentale per accettare la proposta.”
“Penso sia importante, soprattutto per le nuove generazioni, porre l’attenzione sulla cultura dell’alimentazione – ha concluso il campione olimpionico, impegnato in modo attivo nel mondo della scuola -. Se riusciamo a comunicare a un ragazzo che la sana alimentazione è importante tanto quando siamo bambini quanto siamo adulti, abbiamo fatto un buon lavoro.”
“Hammurabi è un nobile grano antico della specie monococco progenitrice di tutti i grani selezionati dall’uomo nel corso della sua storia – ha spiegato nel dettaglio il Direttore dell’Azienda Federico-. ‘La pasta che non c’era, oggi c’è’ è questo lo slogan che abbiamo voluto dare al nostro nuovo prodotto con alto contenuto di magnesio, ferro, potassio, fosforo, fibre e proteine e che, a oggi, conta tre formati (spaghetti, tortiglioni e penne).”
Il grano d’eccellenza Hammurabi sarà commercializzato da Entroterra S.p.A. anche attraverso una linea di specifiche farine alimentari e diventerà il top sponsor ufficiale della 49esima edizione della Granfondo Ciclismo “Nove Colli” che si svolgerà il 19 maggio a Cesenatico.
“Il nostro obiettivo è che tutti i marchigiani indossino la casacca de La Pasta di Camerino perché il nostro prodotto è il migliore in termini di qualità/prezzo e i dati lo dimostrano” ha concluso il Direttore, presentando anche la “new entry” dell’Azienda, il fratello Lorenzo Maccari.
In occasione delle celebrazioni del 96esimo Anniversario dell’Aeronautica Militare, svoltosi giovedì 28 marzo a Loreto, abbiamo avuto modo di conoscere da vicino, accompagnati dal Maggiore Ramona Galletta, il Centro di Formazione Aviation English, alla cui guida c’è il Colonnello Davide Salerno.
Afghanistan, Somalia, Algeria, Niger, Burkina Fasu, Qatar, Peru, Montenegro, Kuwait, Tunisia, Ruanda, Senegal, Arabia Saudita, Libia, Camerun, Ucraina, Albania. Sono solo alcuni dei paesi che, in collaborazione con il Centro di Formazione, hanno inviato un proprio contingente a Loreto per l’apprendimento e la specializzazione della lingua inglese, in una delle strutture più accreditate d’Italia.
Il CENFORAVEN, grazie al costante processo di aggiornamento dei propri programmi portato avanti negli anni passati, investendo in innovazione sia tecnologica che metodica, si presenta oggi come un vero e proprio “campus” dove l’apprendimento delle lingue avviene in maniera efficace ed efficiente e dove il frequentatore può dedicarsi completamente e unicamente allo studio, in modalità multimediale, e in un ambiente ricco di stimoli. In particolar modo, il processo di apprendimento dell’inglese, la cui conoscenza oggi deve diventare patrimonio culturale di ogni appartenente alle Forze Armate, una vera e propria “competenza di base” per agire nel moderno scenario globalizzato, viene sviluppato attraverso percorsi modulari, attagliati sul singolo frequentatore che, a seconda dei livelli di conoscenza di partenza e di arrivo segue un proprio personalizzato percorso formativo. Il frequentatore diventa quindi il vero protagonista e viene posto “al centro” del progetto didattico, fornendogli al contempo i più moderni strumenti formativi. In questo contesto, tre aspetti della formazione linguistica, l’apprendimento English Language training, English for Special Purpose e Formazione Integrata alla Leadership, Management e alle Competenze Aerospaziali, vengono combinati, rimescolati e armonizzati per sfociare nella conoscenza più tecnica, quella dell’Aviation English, vero strumento imprescindibile delle attività e delle operazioni aerospaziali, sia militari che civili, in ogni angolo del mondo moderno.
Il Centro di Formazione Aviation English ha sede negli edifici che in parte ospitarono, dal 1930 al 1984, l’ex Istituto “Francesco Baracca” di Loreto, l’Ente Morale “Opera pia per le vedove e i figli degli Aeronauti” (poi ONFA), prima del suo definitivo trasferimento presso la sede attuale di Cadimare (La Spezia). Nel 1988 Loreto divenne la sede della Scuola di Perfezionamento Sottoufficiali A.M. Nel 2000, la trasformazione del 14° Gruppo Radar dell’A.M. in 114° Squadriglia, ha consentito l’ampliamento della Scuola, incorporando il sedime di Porto Potenza, ex struttura logistica del GRAM. Nel 2006 ha inizio il trasferimento a Loreto degli uffici della Scuola Lingue Estere di Ciampino (SLEAM) per condividere dal 2007 il sedime con la Scuola di Perfezionamento Sottoufficiali A.M. fino al 2010, quando la SLEAM sarebbe rimasta l’unico ente presente in loco.
Il 5 luglio 2014 la scuola è stata rinominata Centro di Formazione Aviation English, avviando un processo di aggiornamento didattico attualmente in corso. Dal 2018, il Centro, è Polo di Coordinamento Unico per tutta la Forza Armata come interfaccia con gli Enti esterni e al fine di uniformare il percorso linguistico di tutta l’Aeronautica Militare.
Il percorso formativo è costituito da corsi “in presenza” presso le strutture del Centro di Loreto e corsi “a distanza” (e-learning). Nei corsi in presenza l’offerta è diversificata, in funzione della lingua e degli obiettivi didattici. Al termine del corso di lingua, un test finale valuta il livello di competenza raggiunto, propedeutico per affrontare la prova di certificazione prevista. Il centro rilascia le certificazioni linguistiche: J.F.L.T., T.A.E., T.P.T. e J.T.A.C, valide in tutti i paesi NATO. Oltre all’inglese, al Centro di Formazione di Loreto, vengono impartite anche lezioni di greco, arabo, cinese e altre lingue.
Il CENFORAVEN comprende due sedimenti, a Loreto e a Porto Potenza Picena, con alloggi per un totale di 500 posti letto, palestre e campi sportivi polifunzionali, sale per congressi e conferenze, aule didattiche multimediali e laboratori per oltre 400 frequentatori.
Da febbraio, al Centro di Formazione di Loreto, è presente una delegazione di circa 60 militari delle forze armate del Kuwait, che rimarrà per circa sei mesi, per apprendere, migliorare e specializzare il proprio inglese. Li abbiamo incontrati insieme ai responsabili Roberto Ranieri ed Enzo Cozzubbo.