Il silenzio delle donne vittime di violenza: il caso di Elisa Mulas, massacrata dall'ex compagno
Torna l'appuntamento con la rubrica settimanale "La Strada delle Vittime", nella quale si affronta l'analisi della casistica criminale con approccio vittimologico. Di seguito proponiamo il caso di questa puntata.
Elisa Mulas, 43 anni di origine sarda, i suoi due figli Ismaele e Sami di 2 e 5 anni, la mamma di lei, Simonetta di 63 anni: tutti massacrati a coltellate da Nabil Dhari, 38 anni, padre dei due bambini ed ex compagno di Elisa. L’uomo prima di ammazzarsi, ha risparmiato solo il bisnonno 97enne, oggi unico testimone del massacro.
La notizia della tragedia si è immediatamente diffusa e moltissime persone si sono riversate incredule nella via dove si trova l’abitazione della famiglia. Tanti i gesti di amici e conoscenti per ricordare le povere vittime: messaggi, peluches, biglietti, fiori depositati fuori dalla casa dove è avvenuto il massacro parlano della solidarietà di un intero Comune sconvolto dall’accaduto.
Ed è così, in quella via Manin teatro della tragedia, che sono state raccolte le prime informazioni sulla vita che conduceva la giovane donna che ha strenuamente lottato per proteggere i figli senza riuscire a salvarli. "Ho incontrato Elisa due settimane fa, mi aveva detto di essere finalmente riuscita a lasciarlo, facedomi ascoltare un audio che lei stessa aveva registrato nel quale Nabil diceva di volerla uccidere" riferisce un’amica.
Minacce e vessazioni intollerabili, quelle subite da Elisa, da quando aveva deciso di porre fine alla relazione con l’uomo e di andare ad abitare, insieme ai figli, a casa della madre. Elisa è stata una delle tante donne che scelgono di sopportare in silenzio, senza denunciare, senza rivolgersi ad un centro anti violenza. I dati Istat dicono che in Italia una donna su tre è stata vittima della violenza di uomo almeno una volta nella vita e che, nella maggior parte dei casi, queste violenze non sono state denunciate.
I centri antiviolenza ci dicono che le donne non denunciano i loro aggressori, se non dopo aver trascorso molti anni in una relazione violenta sino ad esserne logorate fisicamente e psichicamente. La causa della non denuncia delle donne sta nella violenza psicologica che sopportano. Questa forma di violenza facilmente sfocia in quella fisica; mira a distruggere l’emotività della vittima, a indebolirla in modo da renderla facile alle manipolazioni.
Svalutazioni continue, colpevolizzazioni, minacce, intimidazioni, dipendenza economica, isolamento sociale sono alcuni dei volti della violenza psicologica, che trascinano la vittima in stati depressivi, attacchi di panico, scarsa autostima, disturbi dell’alimentazione. Uno stato di prostrazione tale da renderle sempre più impaurite e succubi del loro carnefice che in questo modo le controlla incutendo anche il terrore di sporgere denuncia per le ritorsioni che si troverebbero a sopportare.
Solitamente la maggior parte delle donne che subisce violenza e maltrattamenti in ambito domestico e che resta a lungo in questa situazione, si percepisce inferiore rispetto al suo aggressore, e tale senso di inferiorità corrisponde secondo gli esperti ad una percezione distorta dell’io e della propria immagine.
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