Oggi ho vissuto una delle esperienze più emozionanti del mio lavoro di giornalista medico-scientifico. Dopo più di 30 anni sono tornato ad osservare l’attività assolutamente originale e preziosissima della "Lega del Filo d’Oro" di Osimo.
Sono stato accolto dal presidente della fondazione Rossano Bartoli, lo stesso disponibile distinto signore che quando eravamo giovani, io curioso cronista della salute e lui entusiasta ricercatore della dignità e delle opportunità per ogni essere umano, mi accolse in una palazzina di Osimo decorosa, ma abbastanza limitata negli spazi dove un gruppo di "visionari" aveva deciso di accudire, educare e cercare di inserire socialmente tra i più sfortunati portatori di disabilità i sordo-ciechi, con deficit plurisensoriali che presuppongono spesso anche limiti neurologici.
Una specie di prigione vitale e sociale per loro, una condanna ad una sterile e faticosa assistenza per le famiglie. A questa triste visione ero rimasto, ma stamattina osservando la nuova sede della “Lega del Filo d’Oro” a Padiglione di Osimo molto grande e plurifunzionale, ho subito intuito che molte cose sono cambiate e che forse i sogni e le incerte aspettative di allora sono diventate solida realtà. Di questo ho parlato con il Presidente della Fondazione “Lega del Filo d’Oro” Rossano Bartoli.
Presidente Bartoli, quando è nata la “Lega del Filo d’Oro” e perché?
“La “Lega del Filo d’Oro” fu costituita come associazione nel 1964 per iniziativa di Sabina Santilli, sordo-cieca dall’età di 7 anni. È divenuta Fondazione dal 1° gennaio 2021, rinnova il proprio impegno nel rispondere ai bisogni delle persone sordo-cieche e pluriminorate psico-sensoriali attraverso l’assistenza, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e la valorizzazione delle potenzialità residue con l’obiettivo della ricerca della maggiore autonomia possibile. È questa la missione della “Lega del Filo d’Oro” nei suoi quasi 60 anni di storia, che l’ha portata a diventare punto di riferimento nazionale nel trattamento della disabilità grave e complessa".
Dove siete presenti attualmente in Italia?
“Oltre a questa nostra sede storica e di riferimento qui ad Osimo, siamo presenti in 10 regioni italiane con 5 centri residenziali con annessi servizi territoriali e 5 sedi territoriali. Sebbene il modello si incentri sulla persona con disabilità multiple, la necessità di creare relazioni e interazioni per chi non vede e non sente porta ad abbracciare progressivamente l’intero nucleo familiare, i territori e le istituzioni. Pur nella diversità degli interventi, che si articolano lungo il percorso dalla diagnosi alla riabilitazione e all’inserimento socio-educativo, il modello della “Lega del Filo d’Oro” si contraddistingue per la costante spinta oltre i limiti imposti dalla condizione di disabilità, lavorando su ciò che è possibile fare per la valorizzazione delle potenzialità residue e il riconoscimento dell’unicità di ciascuna persona".
Come programmate la vostra attività?
"Oltre all’assistenza sociale e socio-sanitaria per la diagnosi, riabilitazione ed inclusione sociale dei propri utenti, la 'Lega del Filo d’Oro' è attiva con suoi centri di ricerca e formazione per lo sviluppo di approcci avanzati e competenze specialistiche. Siamo molto attenti alle nuove tecnologie che possono essere utili e forse anche molto utili al nostro lavoro”.
Ci descrive l’attività in questa vostra splendida sede di Osimo?
"È la sede nazionale della Fondazione, ad Osimo la 'Lega del Filo d’Oro' è nata ed oggi opera con un centro di riabilitazione riconosciuto dalla Regione Marche come 'unità Speciale per sordo-ciechi e pluriminorati psico-sensoriali'. Ciò consente anche il ricovero di utenti provenienti da tutta Italia con retta di degenza a carico delle Asl di residenza. Questa struttura ha una capacità operativa di 63 posti a tempo pieno, 15 a degenza diurna e offre prestazioni ambulatoriali e domiciliari.
Qui svolgono le attività di diagnosi e riabilitazione e vengono ospitati utenti di diverse fasce di età: bambini, giovani ed adulti. Al suo interno troviamo il centro diagnostico che formula una valutazione globale ed effettua interventi precoci per bambini al di sotto di 6 anni, inoltre vi sono servizi educativi e riabilitativi personalizzati, l’assistenza medica, il centro di ricerca ed anche un centro di documentazione".
Concludendo, Presidente Bartoli se lei volesse farci un esempio della bontà del vostro lavoro, quale potrebbe essere?
"Di esempi potrei portarne tantissimi: il sollievo di tantissime famiglie, la scolarizzazione di tanti nostri assistiti. Pensi che ben 8 sordo-ciechi da noi curati sono arrivati persino alla laurea. Non era certo l’aspettativa di quando era stata scoperta la loro grave disabilità".
Che sensazione ha della valutazione pubblica del vostro lavoro?
"Quasi entusiasmante, è la molla che ci spinge a fare di più e meglio ogni giorno. Una prova ne è la grande generosità dei cittadini che con le loro donazioni ci permettono ogni anno di allargare di più le nostre strutture e di renderle sempre più efficienti".
Fin dalla più remota antichità gli uomini hanno sempre attribuito grande importanza ai fluidi corporei in generale e al sangue in particolare. Nell’antico Egitto si credeva che per prevedere il sesso di un nascituro bastasse bagnare con urina di una donna incinta due sacchetti contenenti semi di orzo e di grano (papiro di Saqqara). In base a quale dei due fosse germinato prima si sarebbe potuto capire il sesso del feto.
La Bibbia è piena di riferimenti al sangue come fonte e simbolo della vita. Credenza che si è mantenuta nei secoli, basti pensare alle espressioni "purosangue", "mezzosangue" usati in zootecnia e non solo, purtroppo.
Le scarsissime possibilità delle tecnologie dei tempi precedenti hanno sempre reso impossibile uno studio più organico dei vari componenti. Comunque l’interesse ai fluidi corporei non venne mai meno, in maniera magari grezza e grossolana si era capito che attraverso di essi si poteva raggiungere qualche utile informazione.
Così tutti sanno, se non altro per motivi di goliardia, che nel Medioevo i medici assaggiavano l’urina dei pazienti in presenza di certi sintomi. Se avessero percepito nelle urine un gusto dolce avrebbero potuto formulare la diagnosi di diabete.
In ogni modo fino all’800 i progressi in questo settore furono pochi. Nella prima metà dell’800 le cose cominciarono a cambiare. Nell'ambito della semeiotica (la scienza dei segni) i medici poterono aggiungere anche i cosiddetti "segni chimici".
Parliamo della moderna scienza di medicina di laboratorio con il dottor Luigi Gironelli, biologo specializzato in biochimica e chimica clinica nonchè direttore Fisiomedlab di Civitanova Marche e con punto prelievi nella nuova sede Fisiomed di Sforzacosta.
- Dr. Gironelli attingendo dalla storia della sua specialità quali elementi standard hanno caratterizzato l’era moderna delle analisi di laboratorio e quali sono i passaggi fino ai nostri giorni?
"I tipici esempi di 'segno chimico', ovvero di 'identificazione chimica della malattia', possono essere: il glucosio nelle urine dei diabetici (non una grande novità come abbiamo visto a cura di Michel Eugène Chevreul, 1815), l’albumina nelle urine di soggetti con malattie renali (Richard Bright, 1837), la tirosina e la leucina nelle urine di pazienti con atrofia acuta del fegato (Friedrich Theodor Frerichs, 1848), la iperglicemia (Claude Bernard, 1855), la diminuzione dell’urea urinaria nelle malattie epatiche in genere (Giorgio Roster, 1879), ecc.
Un maggiore significato i segni chimici lo otterranno di lì a poco con la possibilità di passare da analisi qualitative ad analisi quantitative potendo così determinare non solo la presenza di un qualche tipo di analita, ma anche la sua quantità. Nel secondo dopo guerra del 900 cominciò il boom della medicina di laboratorio.
Cominciò l’uso di kit pronti per l’analisi di ogni tipo di metabolita. Fino ad allora in laboratorio si dovevano preparare i reagenti necessari ai vari tipi di analisi. Furono introdotte nuove strumentazione per l’automazione della conta degli elementi figurati del sangue, sicché l’esecuzione di esami come l’emocromo passò da molti a pochissimi minuti. Successivamente si introdussero gli esami basati sugli anticorpi e sugli enzimi ottenendo una precisione ed un’efficienza assolutamente impensabili fino a poco tempo prima.
L’introduzione dell’informatica ha portato ad un miglioramento della produttività assolutamente incredibile. Con questo siamo ormai giunti ai nostri giorni dove il laboratorio classico, pur utilizzando reazioni ormai ben consolidate da anni nel loro uso, riesce grazie alle nuove strumentazioni sotto controllo dei computer ad offrire ai pazienti un servizio altamente specializzato ed efficiente".
Discorso a parte merita invece lo sviluppo delle tecniche cosiddette di "biologia molecolare". In pratica con questo termine si intendono gli esami eseguiti attraverso la reazione della Pcr (polymerase chain reaction) che, intervenendo attraverso un complicato sistema di enzimi altamente specializzati direttamente sugli acidi nucleici, permettono dei risultati praticamente infallibili.
Certamente non servono per eseguire le comuni analisi di tutti i giorni, ma in ambiti ben definiti, tipo virologia (vedi recente pandemia di COVID19), microbiologia o medicina legale sono arrivati ad essere il gold standard da usare come riferimento.
Come un po' tutta la sanità, l'orientamento anche per questa disciplina è quello di una medicina di laboratorio sempre più personalizzata e di precisione, ma anche integrata nei vari team clinici".
Oltre alla diagnosi della malattia come contribuisce il laboratorio analisi alla sua prevenzione?
"Una delle definizioni della medicina di laboratorio è oggi 'un approccio emergente al trattamento e alla prevenzione delle malattie, che tiene conto della variabilità individuale a livello di caratteristiche genetiche, di ambiente e di stili di vita'. Nell'immaginario collettivo il medico di laboratorio si occupa dei prelievi di sangue che i pazienti effettuano di routine per i controlli medici.
Pensare che il ruolo del professionista di laboratorio sia così marginale e sia limitato all'esecuzione di prelievi di sangue è sicuramente sbagliato. La Medicina di Laboratorio è una disciplina composita che applica tutte le moderne metodologie scientifiche per dare il suo contributo alla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia e alla gestione delle malattie.
Sbagliato pensare che le figure professionali che operano in laboratorio siano solo medici. La Medicina di Laboratorio è una disciplina che richiede il contributo di professionalità e competenze diverse. In laboratorio operano medici, ma anche biologi, chimici, biotecnologici, tecnici di laboratorio, infermieri, ognuno con compiti e responsabilità ben definiti.
La convivenza di professionalità e competenze diverse permette di avere una visione allargata delle situazioni e consente una valutazione delle stesse nella loro complessità nei vari ambiti in cui si opera. Come è accaduto per molte delle professioni sanitarie, anche la medicina di laboratorio si è evoluta ed oggi è cambiato anche il suo ruolo all'interno del Sistema Sanitario Nazionale.
Si è assistito ad un travolgente progresso scientifico ed innovazione tecnologica ed i ruoli e le competenze dello specialista di laboratorio hanno dovuto soddisfare le esigenze di questa trasformazione ed evoluzione che è continua.
Basti pensare, per esempio, alle sfide che oggi questa disciplina deve affrontare: è pienamente coinvolta nell'assicurare un affidabile uso dei Big Data al fine di trarre informazioni utili in ambito sanitario, così come nel garantire un corretto utilizzo dell'intelligenza artificiale ed ancora, come il contesto da pandemia da Covid-19 ha insegnato, come implementare nuovi strumenti di gestione per essere più pronti ad affrontare le situazioni di emergenza".
Che ruolo ha avuto il laboratorio analisi nella gestione della pandemia da Covid-19?
"A portare all'attenzione dell'opinione pubblica la medicina di laboratorio è stato proprio il Covid-19 visto che l'individuazione dei soggetti positivi o negativi alla malattia è stata possibile proprio grazie agli esami di laboratorio, in particolare il tampone molecolare. Questo è stato rilevante soprattutto per individuare i soggetti asintomatici. Inoltre, importantissimo è stato il ruolo del laboratorio nella sorveglianza epidemiologica e nella valutazione dell'immunizzazione, mediante la ricerca degli anticorpi anti Sars-CoV-2, e lo sarà sempre più ora nel monitoraggio della risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione.
Il laboratorio ha avuto un ruolo molto importante anche nella diagnostica differenziale e nella prognosi mediante la determinazione di biomarcatori, come i parametri ematologici, i fattori della coagulazione o i marcatori di infiammazione, comunemente richiesti ed eseguiti nei nostri laboratori".
E in ambito oncologico?
"La medicina di laboratorio è diventata via via sempre più preziosa anche in ambito oncologico e non soltanto per i vari esami di laboratorio che possono suggerire la presenza di un tumore e quindi indicare la necessità di approfondimenti in proposito.
Oggi è disponibile un innovativo ed importante approccio, noto come biopsia liquida che permette l'identificazione del dna tumorale isolato dal sangue dei pazienti. La biopsia liquida ha enormi potenzialità in oncologia ed una delle applicazioni è la possibilità di monitorare l'evoluzione molecolare della neoplasia. È una forte spinta per la medicina di precisione.
Come un po' tutta la sanità, l'orientamento anche per questa disciplina è quello di una medicina di laboratorio sempre più personalizzata e di precisione, ma anche integrata nei vari team clinici. La nostra è una disciplina che dovrà coinvolgere sempre più nuovi interlocutori, gli esperti di Health Techology Assessment, dei Big Data e dell'Intelligenza Artificiale al fine di rendere il referto di laboratorio sempre più affidabile ed informativo e che risponda a criteri di qualità, tracciabilità, coerenza ed efficacia di alto livello".
La sanità pubblica nazionale, il Servizio Sanitario Nazionale come correttamente è definita l’istituzione universale che tutela la salute di tutti i cittadini, sta vivendo un momento di crisi o comunque di necessità di assestamento e sostanziale riforma.
Il compito gravoso è delle autorità politico-amministrative nazionali e regionali, ma il supporto, il contributo di analisi e di idee è sicuramente appannaggio delle istituzioni specifiche, in questo caso gli ordini provinciali dei medici ed odontoiatri e la loro federazione nazionale di sicuro in prima linea.
È un argomento certamente molto sensibile per i cittadini. Ne parliamo con il Presidente dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri della provincia di Macerata, dr. Romano Mari, anche medico di medicina generale di lunga esperienza.
Dr. Mari ci confidi qualche sua riflessione sulla situazione della sanità in Italia.
"La situazione sanitaria in primis del Servizio Sanitario Nazionale è abbastanza precaria e preoccupante. I tre anni passati per il settore sono stati sicuramente i più difficili da quando il SSN è stato istituito. Una pandemia devastante con migliaia di morti e milioni di malati ha messo a durissima prova tutte le strutture sanitarie, dall’ambulatorio di medicina generale agli ambulatori dei distretti, ai pronto soccorso degli ospedali, ai reparti specialistici fino alle terapie intensive, che con grande fatica hanno potuto prendersi cura dei malati covid più gravi.
Adesso che la situazione non è ancora del tutto normalizzata e l’emergenza di molto attenuata, possiamo dire che alla fine il sistema ha tenuto, ma la pandemia ha evidenziato e focalizzato tante criticità e carenze che erano preesistenti, ora però non più tollerabili e che necessitano un grande impegno di tutti per il loro superamento".
I medici come hanno vissuto il loro ruolo necessariamente in prima linea?
"I medici hanno lavorato sodo, tutti, dico tutti oltre il loro impegno standard. Quelli proprio in primissima linea, negli ambulatori di medicina generale, nelle RSA, nei pronto soccorso, nei reparti di ricovero, nelle terapie intensive addirittura stremati, ma mai latitanti, nemmeno un caso segnalato di assenza dal tanto extra lavoro.
Molti medici ed altri operatori sanitari, alcuni anche nelle Marche e nella nostra provincia, hanno sacrificato persino la loro vita contraendo l’infezione covid durante il loro lavoro. Un’esperienza fortissima e faticosissima per tutti noi che ha colpito molto favorevolmente la società. Le nostre prestazioni considerate non più un costo ma una risorsa ed un’opportunità su cui bisognerebbe investire ancor di più.
Il gradimento della figura del medico e delle professionalità collegate è notevolmente aumentato nella percezione della gente, è stimato che l’80% dei cittadini ha molto apprezzato il nostro lavoro, solo il Presidente Mattarella può vantare qualche punto in più. Proprio il Presidente ha dedicato una giornata al Quirinale per ringraziare vivamente gli operatori sanitari per l’impegno profuso durante la pandemia; lo stesso ha fatto in una udienza anche Papa Francesco definendoci custodi assoluti della salute dell’umanità con un riferimento particolare ai medici di famiglia".
Dopo un periodo così intenso quali sono le attuali considerazioni inerenti alla vostra professione? Quali le proposte?
"I medici hanno dimostrato e continuano a dimostrare di essere fedeli al loro codice etico-professionale, ma devono essere messi in grado di lavorare in assolute migliori condizioni. Gli orari, le responsabilità anche le eque retribuzioni vanno inquadrate in un nuovo progetto di sanità pubblica che tenga conto delle esigenze nuove di un servizio sanitario moderno ed equilibrato nelle sue funzioni.
Lo stress, l’eccessiva fatica, le frustrazioni ricorrenti devono essere allontanate da operatori che hanno bisogno di serenità per dare il massimo del loro servizio. Dall’università di medicina fino alle specializzazioni e agli impieghi lavorativi devono essere visibili progetti attraenti e di soddisfazione.
Non è possibile che in Italia si laureino 9000 medici all’anno e solo 4000 hanno una borsa di specializzazione, non è possibile che ormai migliaia di medici si rivolgano a cooperative per fare i "gettonisti", ad ambulatori privati di dubbia utilità o addirittura decidano di emigrare all’estero. Devo dire che qualcosa si sta muovendo a livello nazionale e regionale, sono state aumentate le borse di studio per gli specializzandi, per noi che lavoriamo si sta eliminando la responsabilità penale, era presente in solo 3 paesi del mondo.
Ma noi diciamo con forza che vanno migliorate le strutture, soprattutto quelle territoriali, va creata dappertutto una rete di assistenza diffusa che intervenga su tante situazioni di salute e lasci ai pronto soccorso degli ospedali solo la casistica più grave ed urgente. Naturalmente è una questione anche di risorse oltre che di scelte.
In molte altre nazioni europee ed occidentali assimilabili all’Italia la percentuale di PIL utilizzato per il servizio sanitario si aggira al 7%, qui in Italia poco più del 6%. Bisogna di sicuro tener conto della difficoltà della nostra economia pubblica, ma non possiamo non dire che la medicina moderna per essere efficace ha bisogno di uno sforzo ulteriore per una rete assistenziale sicura, tenendo anche conto della necessità di una tecnologia sempre più avanzata ed in evoluzione.
Ripeto che uno sforzo di analisi e progettazione si sta facendo, ma la nostra raccomandazione è che bisogna fare presto, non bisogna adagiarsi nelle discussioni, c’è bisogno di realizzazioni. Noi Medici disponibili sempre a partecipare ad una catena condivisa di efficace propulsione".
Dr. Mari la medicina privata può essere utile in questa prospettiva?
“Sicuramente, la medicina privata convenzionata e non, è stata utilissima durante la pandemia, è stata l’ancora di salvezza per i problemi di salute di tanti cittadini in mezzo ad una tempesta che rischiava di trascinare a fondo il principio fondamentale: la necessità di salvaguardare il bene più importante che abbiamo.
Anche le stazioni termali Santa Lucia di Tolentino e San Giacomo di Sarnano hanno contribuito in maniera decisiva con i loro centri vaccinali frequentatissimi. Le terme andrebbero valorizzate ed utilizzate dal servizio pubblico avendo anche gli spazi e gli ambienti ottimali e sostenibili.
Tante strutture private hanno fatto investimenti importanti ed offrono ottimi servizi che possono contribuire in un ambito di programmazione ben definita e condivisa con adeguati controlli ad abbattere liste di attesa e a fornire l’utilizzo di professionalità e tecnologie di primissimo livello.
Nella nostra provincia operano ottime strutture private; qualcuna non ancora convenzionata e dotata di ottima organizzazione e tecnologia potrebbe essere già gradatamente inserita. Filoni di convenzione certificati affidabili e buoni risultati attesi possono essere davvero molto graditi ai cittadini per la qualità, la tempistica e la vicinanza territoriale".
Per concludere dr. Mari?
"Nell’agosto scorso la nostra amministrazione delle Marche ha fatto approvare un piano sanitario regionale, nel 2024 dovranno essere presentate le linee attuative e soprattutto speriamo le attuazioni. Noi medici ed operatori sanitari regionali in generale siamo pronti a collaborare con suggerimenti, idee ed operatività a qualsiasi livello".
Grazie Dr. Mari per la disponibilità, la chiarezza e il bagaglio culturale e professionale che ci ha riservato.
Il convegno presso il Teatro delle Api di Porto Sant’Elpidio sabato ha sicuramente contribuito ad alimentare una cultura della salute che ha sempre più bisogno di un'informazione adeguata, certificata, libera e con riferimento a fonti scientifiche autorevoli e riconosciute.
Il titolo dell’incontro "Nuove prospettive nella PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia): biorisonanza e fitoterapia" ; responsabile scientifico è la Dottoressa Edy Virgili.
Già è evidente l’originalità dell’argomento almeno rispetto ai canoni della medicina occidentale che siamo abituati a trattare. In quella sigla sono raccolti i principi già scientificamente validati della medicina tradizionale cinese, ma anche la medicina quantica, la bioenergetica, tutte discipline che considerano l’uomo come un sistema di reti energetiche bioelettriche prima ancora che di cellule e molecole.
Studiosi illustri nel convegno, attingendo da questa visione deducibile dalla fisica quantistica, propongono un nuovo schema della malattia e del benessere proponendo supporti come biorisonanza e fitoterapia che possono sostituire l’utilizzo di farmaci tradizionali o per lo meno integrarli.
In questo ambito di principi scientifici già abbastanza collaudati ed acquisiti per prospettive innovative importanti se non rivoluzionarie, l’incontro con i relatori è sicuramente coinvolgente. Anzitutto abbiamo voluto ascoltare la responsabile scientifica del convegno, la dottoressa Edy Virgili.
Dott.ssa Virgili perché questo programma? Cosa si prefigge un incontro scientifico di questo tipo?
"Se ormai è appurato che le nostre cellule sono a tutti gli effetti da assimilare a degli atomi della materia con tutte le loro caratteristiche di scomposizione elettrica, protoni, elettroni e neutroni, è evidente che nella malattia si produce una vera e propria alterazione elettrogenica. La biorisonanza tende a ristabilire l’ordine originario favorendo un restauro elettrico che in termini biologici significa guarigione della malattia o comunque una sua progressiva attenuazione.
La fitoterapia è una branca farmacologica, cura con estratti vegetali naturali, non prodotti di sintesi artificiale come i farmaci. La terapia è diluita nel tempo per i dosaggi abbastanza bassi dei principi attivi. Il limite può essere un’efficacia ridotta nella eventuale fase acuta della malattia, il beneficio un ottimo viatico di prevenzione ed effetti collaterali negativi quasi assenti".
Con argomenti così importanti ed anche complessi il contributo di ricercatori che hanno dedicato molto tempo a queste tematiche e ai principi che le ispirano è assolutamente indispensabile. Il professor Giuseppe Rocca, già ricercatore presso le università di Milano e Torino, partecipante a progetti a Londra, Oslo e in alcune università americane ha voluto dare oggi il suo contributo.
Prof. Rocca qual è l’indicazione che ha voluto dare ai tanti professionisti che oggi l’hanno ascoltata?
"La considerazione che ho voluto anzitutto sottolineare è di carattere generale, riguarda non solo la salute ma tutte le vicende della vita di tutti noi. Le difficoltà, i fallimenti, i problemi giornalieri si devono affrontare con la consapevolezza che si possono superare, si devono superare e il risultato, se siamo accorti e responsabili, è che ne usciremo più forti di prima.
Il nostro corpo, i nostri tessuti se colpiti da malattia hanno lo stesso comportamento, si allenano, si fortificano se aiutati a superare la difficoltà. Bisogna individuare il modo e i mezzi per non stressare ulteriormente e annientare le reazioni di difesa fisiologiche con terapie, o meglio con dosaggi di terapia devastanti anche se i risultati sembrano a prima vista soddisfacenti.
Naturalmente occorre una buona valutazione e un buon senso scientifico che abbia sempre presente il principio che il corpo va aiutato e non assolutamente sostituito contro la malattia. È un ragionamento abbastanza criptico all’apparenza, ma un buon medico sa di che cosa sto parlando".
Prof. Rocca quale deve essere lo spirito del buon ricercatore?
"Il ricercatore scientifico deve essere curioso, deve gettare lo sguardo sempre più in là, mai accontentarsi del risultato ottenuto. La scienza è un continuo divenire, avere la cultura e lo spirito libero per coglierne i punti interessanti che si manifestano per poi perseguirli è alla base di tutte le conquiste nell’ambito medico-scientifico".
Con il Prof. Rocca tanti altri relatori. Interessante la relazione del dottor Alexander Bertuccioli dell’Università di Urbino, che con semplicità e chiarezza ha ben descritto gli estratti vegetali più utili ed efficaci per la prevenzione e cura della colesterolemia, tante patologie anche molto gravi interessate.
Per concludere una esauriente disamina di un’importante manifestazione scientifica non si può trascurare chi ha contribuito alla realizzazione del convegno, sicuramente per un interesse di visibilità legato alla loro attività, ma soprattutto perché credono a tutti i princìpi ed input che provengono da una seria e libera ricerca medico-scientifica.
La società JEA, che produce farmaci fitoterapici, ha un programma molto composito fatto di ricerca e comunicazione. La sua ad, la dottoressa Jane Virgili sottolinea un grande impegno per una idonea produzione dove i dosaggi dei principi attivi fino alla confezione dei contenitori rispondono alle dovute indicazioni per una efficace ricerca della salute.
L'amministratore unico di Associati Fisiomed, Enrico Falistocco, responsabile di uno dei più importanti ed organizzati centri medici del territorio ha contribuito alla realizzazione dell’incontro scientifico "perché un centro medico che ambisce a fornire tutti i servizi necessari per la salute dei cittadini non può astenersi dall’esplorare gli elementi più innovativi che prefigurano la necessità anche di nuove realizzazioni strutturali proiettate nel futuro".
Le feste belle e calde di ogni buon sentimento e tutti i migliori auguri li abbiamo ricevuti e li abbiamo elargiti. Ieri per ultima è arrivata la Befana, vecchia, con le scarpe rotte, a cavallo di una scopa e con il sacco sulle spalle pieno di bei regali per i buoni e di carbone per i cattivi.
La vecchia a cavallo della scopa è un’immagine romantica, strana per i bambini di oggi, nostalgica per noi bambini di un tempo lontano, che oggi facciamo fatica a reperire una calza ed un camino dove appenderla per far ricevere i doni ai nostri figli o meglio ai nostri nipoti. La Befana in questa difficoltà di proiezione moderna dell’incanto di sempre diventa allora la metafora della nostra coscienza che ci dona forza, volontà e salute per essere buoni, capaci di esprimerci al meglio nel nostro lavoro, nella nostra missione nell’anno che verrà.
Il nostro lavoro è contribuire al diffondersi di una cultura della salute che attecchisca con radici profonde nella conoscenza di tutti per la protezione della salute individuale e collettiva. Tralasciamo in relazione a questo spinoso e determinante argomento chi avrebbe oggi dovuto ricevere un regalo e chi il carbone, ci auguriamo per il 2024 che tutti quelli che hanno una possibilità, una responsabilità abbiano poi tra un anno la calza piena di riconoscimenti e ringraziamenti.
Noi con la nostra rubrica “Sano a sapersi” faremo il nostro meglio: osserveremo, cercheremo di capire, ci faremo aiutare da studiosi, ricercatori, dai medici specialisti, dai politici e programmatori del servizio pubblico e di quello privato. Nell’euforia ancora coinvolgente delle feste vissute in serenità, amicizia ed amore amo immaginare uno tsunami di buona informazione medico-scientifica che in parallelo accompagni una ristrutturazione moderna dei presidi territoriali della tutela della salute.
Sul fronte del privato già nel 2023 abbiamo avuto positive avvisaglie; nel pubblico è stato approvato un piano regionale sanitario che dovrà ricevere le sue linee attuative nel 2024. Da segnalare nel territorio della provincia di Macerata il gruppo medico “Associati Fisiomed” con le sue cinque sedi distribuite nella provincia, l’ultima inaugurata con programmi futuristici due mesi fa (leggi qui), sta proponendo un modello organizzativo e strutturale dove la diagnosi e la cura sono garantite da ottime professionalità e dal più moderno assetto tecnologico, ma dove sono anche presenti uno spazio e le figure idonee per elargire una comunicazione sanitaria di primo livello in favore della prevenzione.
È il primo esempio di un progetto lungimirante ed illuminato che tende ad agganciare le strutture del servizio sanitario nazionale per un futuro di collaborazione e complementarietà a favore di un servizio sanitario composito ed efficiente. In questa prospettiva tutti comunque devono avere la possibilità di attingere, secondo le loro aspettative, le variegate forme di tutela della salute.
Sarà compito di tutti gli attori coinvolti far mantenere il carattere di universalità ad un servizio integrato e composito. A noi dell’informazione accogliere gli aspetti più interessanti, fornire anche gli input critici, stimolare una conoscenza per il contributo di tutti. Già dalla prossima domenica contiamo di poter discutere nella nostra rubrica di questi argomenti con il Presidente dell’ordine dei medici ed odontoiatri della provincia di Macerata, il dottor Romano Mari, un’opinione di primissimo livello professionale ed istituzionale.
Quando un anno sta per andarsene e quello nuovo per arrivare ognuno di noi fa spontaneamente un bilancio dentro di sé su quello che è passato e magari comincia a focalizzare meglio i progetti per il futuro. In questa transazione naturale e che ogni 31 dicembre si rinnova si inseriscono gli auguri, ce li facciamo da soli e li facciamo agli altri e li riceviamo dagli altri.
Il periodo è così euforizzante che gli auguri aleggiano nell’aria, si scambiano tra le persone più care, tra gli amici, tra i colleghi di lavoro, tra i conoscenti, persino tra sconosciuti, basta incontrarsi sulle scale, per strada, al supermercato, al ristorante, al bar un bel augurio c’è sempre.
Gli auguri possono essere di diverso tipo, la bontà del Natale appena passato e l’ebbrezza per l’anno nuovo però li assembla in un’unica confezione. Auguri per tutto: serenità, lavoro, amore, amicizia e soprattutto salute.
La salute, il bene primario ed essenziale della nostra vita se per caso viene a mancare tutto il resto ne risente, se il problema poi è molto grave tutto rischia di crollare: lavoro, sentimenti e rapporti sociali. Ecco allora che in questa nostra pagina, che ha l’ambizione di ricercare gli argomenti e gli interlocutori idonei per qualche riflessione e consiglio su come conservare la salute, gli auguri riguardano tutti gli aspetti della vita, ma soprattutto si augura che il 2024 sia un anno di buona salute.
Più di una volta è capitato di elencare gli elementi che dipendono da noi per la protezione della salute, dalla nostra consapevolezza, dalla nostra conoscenza, dalla nostra volontà. Ricordarli fa parte dell’augurio che inviamo a chi legge la nostra rubrica "Sano a sapersi".
In un periodo prolungato di festività, sentite, emozionanti, vissute spesso con gioia, buona parte delle emozioni e dei sentimenti, l’incontro di affetto con le persone care sono state vissute a tavola. Grandi mangiate e bevute la vigilia di Natale, il giorno di Natale, la notte di Capodanno e forse anche per l’Epifania sarà così.
Raccomandare un adeguato regime dietetico in queste occasioni è tempo sprecato, a meno che non ci siano problematiche specifiche e pericolose correlate che impongono di stare attenti. La buona pietanza è piacere, è soddisfazione condivisa, è persino un aspetto propedeutico di buona salute. Che si esagera è sicuro, l’augurio è che non si persista, le belle mangiate delle feste non siano le micce che innescano una pericolosa abitudine.
Un regime alimentare un po’ più rigoroso anche di quello dei giorni normali durante l’anno dopo le feste è da consigliare a tutti. Come da consigliare a tutti è la ripresa di una adeguata attività fisica se è stata sospesa, oppure addirittura cogliere il momento per iniziare, ognuno come può e dove può, basta anche poco ma con costanza, è sicuramente una grande salvaguardia della funzionalità ed integrità del nostro corpo.
Buona alimentazione ed attività fisica sono due pilastri della prevenzione della malattia e preservazione della salute. Per questa chiacchierata di fine anno può essere sufficiente focalizzare questi due elementi. La familiarità delle malattie, le insidie dell’inquinamento ambientale, il cambiamento climatico, il fumo, l’alcol, le droghe sono gli altri argomenti da tenere d’occhio.
Cercheremo di inquadrarli ancora durante l’anno che verrà, ci faremo aiutare da studiosi, ricercatori e medici specialisti al servizio di una diffusa cultura della salute. Buon anno!
La solitudine a dir la verità non è di per sé una malattia, è uno stato d’animo, una condizione anzitutto interiore piuttosto che corporale che presuppone tristezza, malinconia, fragilità. La solitudine può essere vissuta anche in mezzo ad una folta folla quando non si riesce a comunicare, a rapportarsi con gli altri, a sentire empatia e magari complicità.
Può anche essere ricercata quando si ha la necessità di guardarsi dentro senza interferenze esterne, quando si cerca il silenzio per la contemplazione e la speculazione. In questo caso essere soli è una scelta. L’ascetismo degli eremiti è frutto della solitudine anche se spesso coniugato con la sofferenza e la privazione per espiare i limiti del corpo e liberare uno spirito puro.
La solitudine come la si rigiri è angoscia e se togliamo il piccolo spicchio dei pensatori e degli asceti è per tutti gli altri uno stato negativo che assomiglia tanto ad una malattia, con sintomi importanti nel corpo e nella mente.
In una società come la nostra dove l’individualismo e l’egoismo la fanno da padroni in una scalata della gloria e del benessere quotidiano, sempre e comunque, tante persone restano indietro, restano sole per limiti intellettuali, per limiti di convivenza sociale, persino perché invecchiano e non hanno più energie.
Nelle grandi città ma anche nei paesi sono moltissime le persone sole, è una popolazione invisibile e sofferente, spesso rassegnata ad una esistenza vegetativa e che preferisce nascondere la propria situazione piuttosto che ricercarne i rimedi. La solitudine è una malattia che si cronicizza con sintomi sempre più opprimenti che attanagliano corpo e mente.
L’antidoto più efficace che anzitutto previene e può anche curare è l’amicizia. Essa è quella categoria delle relazioni umane che ci fa aprire verso gli altri, che ci mette in contatto con i pensieri ed i sentimenti degli altri, che genera generosità e tolleranza verso l’altro fino a creare condivisione e complicità.
L’amicizia quando è ricambiata o anche solo apprezzata combatte e sconfigge la solitudine nostra e di chi è oggetto del nostro sentimento. Può essere profonda ed esclusiva, ma esistono anche gli atti di amicizia che sono ugualmente efficaci.
Durante tutto l’anno, in questi periodi di festa e riflessione ancora di più, andare a trovare gli anziani soli, i malati invalidi, fare un piccolo regalo a chi è o si sente scartato ed emarginato può essere fondamentale per accendere una fiammella di speranza, per riesumare momenti di serenità e di gioia, per trasmettere un po’ della soddisfazione che noi proviamo quando passiamo del tempo con i nostri amici.
Se la solitudine perde e l’amicizia vince il mondo sarà migliore e più vivibile per tutti.
Viviamo un periodo della storia dell’umanità in cui è assolutamente possibile avere un quadro abbastanza ampio e veritiero, direi scientifico, sulle attività umane. La comunicazione con tutti i suoi mezzi riesce a focalizzare bene limiti e benefici, ad individuare interconnessioni tra le azioni e le attività con la complessa vita individuale e sociale.
Lo sport fin dagli albori della vita dell’uomo ha rappresentato un modo per misurarsi, migliorarsi, divertirsi e confrontarsi. Sembra a prima vista avulso dal contesto dello spartito della nostra vita, ma poi se scoperto e praticato ci si accorge che può essere un volano essenziale per l’equilibrio della nostra mente, lo sviluppo e la conservazione del nostro corpo, la protezione della salute e la ricerca di un sempre nuovo e consistente benessere.
Se nell’antichità le attività sportive si limitavano a rudimentali performances corporali, come la corsa, il salto, la lotta, pian piano le discipline sportive hanno acquisito forme più complesse come il lancio del disco, la corsa con bighe e cavalli, la sfida di barche nei fiumi e in mare persino incontri cruenti tra gladiatori erano competizioni dove si confrontavano forza fisica ed abilità con le armi, l’epilogo per alcuni era però fatale.
Ai giorni nostri dopo più di un secolo da quando De Coubertin ha riesumato le antiche olimpiadi greche con la possibilità di competere nello sport in tutte le sue forme, le discipline sportive sono innumerevoli con utilizzo del solo corpo, ma anche con tanti attrezzi. Tante discipline ma tutte sottoposte alla forza di volontà, all’allenamento e spesso anche alle possibilità economiche e logistiche per poterle praticare e raggiungere benefici risultati.
L’osservazione che viene spontanea è che nella pratica sportiva è sempre annesso il piacere, il benessere del corpo e della mente, la possibilità di conservare più a lungo la propria salute.
L’attività fisica è fondamentale per lo stimolo positivo alla fisiologia del nostro corpo, un allenamento della nostra mente per apprendere meglio, capire di più, reagire prima e nei modi migliori e più opportuni.
Sono questi i principi generali a cui è connesso anche il nostro stato di salute. Vorrei fare qualche esempio attinto dalla mia esperienza di sportivo molto amatoriale e poco agonistico, consapevole però del bene che incameravo quando praticavo i miei sport preferiti, sensazioni uniche ed irripetibili nel modo e nell’intensità.
Il calcio di sicuro è lo sport per quelli della mia generazione che per primo attirava l’attenzione dei bambini. Dal tifo per le squadre viste in tv alle interminabili partite in strada o nel cortile della parrocchia, il lasso di tempo era sempre brevissimo. Tante ore passate a giocare a calcio con squadre numerose in spazi ristretti, poi in collegio dai Salesiani con campi e squadre regolari, infine in campionati minori fino agli amatoriali, dai 10 anni ai 40 sempre in campo.
Il calcio è uno sport di squadra, bisogna organizzarsi e coordinarsi con i compagni, ma è anche uno sport dove la ricerca del dribbling, dell’intervento sull’avversario, della visione del gioco le devi sentire dentro te stesso e devi correre e pensare rapportandoti con chi ti sta vicino, compagno o avversario. Un esercizio fisico e mentale pesante, ma piacevole.
Dopo ogni partita sei stanco, ma stai meglio, hai protetto la tua salute. L’altro sport da me amato è il tennis; ho giocato da quando avevo 15 anni e qualche volta gioco ancora. Pochi risultati agonistici, ma una scuola per confrontarsi con te stesso. Il tennis è uno sport individuale, colpisci la pallina per mandarla dall’altra parte del campo e mettere in difficoltà il tuo avversario, dopo una frazione di secondo se non hai fatto il punto ti ritorna indietro nei modi più svariati e devi difenderti e cercare il modo di ripetere l’attacco…intuizione, riflessi, mobilità fisica e tutto in grande velocità.
Un bellissimo gioco e tanta salute. Uno studio inglese pubblicato recentemente dimostra che i giocatori di tennis hanno un’aspettativa di vita maggiore di 10 anni.
Infine lo sci, praticato quando già ero abbastanza grande. Imparare a dosare l’armonia dei movimenti, studiare le traiettorie, godere del paesaggio che mentre scivoli ti scorre intorno: salute e benessere!
Sono tre esempi che conosco, ma le discipline sportive sono innumerevoli, tutte se praticate con passione sono propedeutiche ad uno stato d’animo sereno e ad un corpo sano.
Da tener presente l’indicazione medica diventata obbligatoria di sottoporsi prima di praticare uno sport ad una visita di abilitazione per controllare che non ci siano controindicazioni in organi del corpo, la visita è da ripetere ogni anno. Se idonei, in campo con tanta gioia e per tanta salute. Per i bambini l’apprendimento di uno sport è la migliore prospettiva per il futuro.
Le feste, quelle grandi, quelle più sentite e più suggestive sono alle porte. Il via l’8 dicembre con l’Immacolata e poi fino al 6 gennaio un clima di festa tutti i giorni, ma la Vigilia, Natale, Santo Stefano, Capodanno e per finire l’Epifania sono quelle che tutti viviamo più intensamente.
È un miscuglio di fede religiosa, tradizioni, suggestioni di costume, auspici per il futuro che coinvolgono l’anima per chi crede, ma anche la mente e il corpo di tutti tra luci, musiche, canti, saluti, abbracci ed auguri.
È un’atmosfera che incanta i bambini, elettrizza i giovani, scioglie i grandi, riempie di nostalgia gli anziani. I regali delle feste di Natale i più attesi, un’attenzione particolare nello sceglierli per le persone care, le aspettative più frementi per chi li riceve.
Questo clima ovattato dove i sentimenti come la solidarietà, l’amicizia, la generosità, l’amore nelle sue più svariate versioni riempiono totalmente la scena, è sicuramente un viatico di benessere. E se la salute è anche benessere come ci insegna l’Organizzazione Mondiale della Sanità, questo è il periodo dove tutti abbiamo l’occasione di stare meglio.
Anche chi è affetto da malattia cronica o grave, attraverso lo stimolo delle sostanze neurogene che tendono a sollevare ed inibire i nostri limiti fisiologici, la serotonina, la dopamina, le endorfine sostanze che si attivano soprattutto quando l’ambiente è vissuto con piacere e serenità. L’incontro con i parenti più cari, con gli amici, con tutta la comunità allegra e festosa, le grandi tavolate piene di ogni ben di Dio.
Ecco, le tavole imbandite delle feste natalizie sono l’immagine più ricorrente e ricordata, forse ancor più delle funzioni religiose nelle chiese. Non c’è casa, famiglia che nei giorni di festa non ricercano le prelibatezze migliori, moltissimi cucinano nelle proprie case, tanti si rivolgono a ristoranti e trattorie.
Mi vengono in mente i menu della mia famiglia contadina preparati da mia nonna e mia madre quando ero bambino e giovane ragazzo. Nella sera della vigilia pasta riccia con le sarde, stoccafisso al forno con patate arrosto e poi tanti dolci; circa 12 ore dopo il menu del pranzo di Natale si allargava di molto: antipasto con salame lardellato e ciauscolo, stracciatella in brodo, lesso di gallina e galantina, vincisgrassi, arrosti misti e vari contorni, dolci, uno in particolare una bomba calorica: il "pistingo".
E proprio di calorie a proposito di salute dobbiamo parlare. Una volta con una dietologa, durante una trasmissione alla radio abbiamo tentato un calcolo delle calorie del pranzo di Natale e della sera di Capodanno che di solito si somigliano.
Tenendo conto anche dei vini e dei liquori sempre presenti ed abbondanti nelle occasioni citate si poteva arrivare anche all’assunzione di circa 6000 calorie!! Che dire? La soddisfazione ed il piacere sono immensi, una gratificazione per la mente ed il corpo, ma chi ha qualche problema e lo sa deve assolutamente limitarsi o astenersi per evitare brutte sorprese, tutti gli altri devono circoscrivere quel pranzo e quella cena nell’eccezione per la grande festa e la bella compagnia.
Il rischio è prenderci gusto e lasciarsi andare, allora addio ai benefici salutistici delle feste, anzi, se si prosegue nel tempo lo smodato godereccio della tavola i rischi possono essere gravi. Un consiglio dagli esperti: dopo le abbuffate regime alimentare ristretto per un po’ di tempo; se si è abituati intensificare l’attività fisica, se non si è abituati una buona occasione per cominciare: un altro bel regalo delle feste.
Per anemia si intende una riduzione dei livelli di emoglobina circolante nel sangue; è errato valutare l’anemia con il numero dei globuli rossi in quanto il loro numero risente della loro grandezza: a parità di valore di emoglobina se i globuli rossi sono più piccoli saranno in numero elevato, se sono di dimensioni aumentate saranno in numero più basso.
Ne parliamo con il dottor Riccardo Centurioni, già direttore della U.O. di Medicina Interna dell'ospedale di Civitanova Marche, attualmente mette a disposizione la sua esperienza in consulti ambulatoriali per i cittadini del territorio.
Il dottore ha dedicato molta della sua attività allo studio delle malattie del sangue naturalmente senza trascurare una valutazione ed indagine complessiva del paziente anche in considerazione delle diverse eziologie delle patologie ematiche; la più frequente è sicuramente l’anemia. Ultimamente presta la sua opera anche presso il Centro Medico “Associati Fisiomed” di Sforzacosta.
Dr. Centurioni, le anemie sono tutte uguali?
"Le cause che possono indurre una anemia sono molte. La causa più comune è sicuramente l’anemia da carenza di ferro, che è molto frequente soprattutto nelle donne in età fertile favorita dalle mestruazioni. La perdita di sangue comporta una perdita di ferro; il ferro è la “benzina” che fa produrre i globuli rossi. Poi ci sono le anemie dovute a carenza di vitamine, come la vitamina B12 e l’acido folico; queste sono più frequenti nell’anziano.
Sempre nell’anziano sono poi frequenti le mielodisplasie, malattie che sono dovute ad una alterazione dei normali processi di formazione delle cellule del sangue. Poi abbiamo le anemie congenite di cui la principale è la talassemia. Nella nostra Regione è una anemia abbastanza frequente che può essere trasmessa da uno dei genitori ai figli.
Poi abbiamo le anemie dovute alla insufficienza renale cronica, soprattutto nei soggetti sottoposti a dialisi. Questa anemia è dovuta alla carenza dell’ormone, l’eritropoietina, che stimola la produzione dei globuli rossi da parte del midollo osseo e che è prodotto dal rene: un rene malato produce meno ormone per cui può insorgere anemia".
Abbiamo detto che l’anemia da carenza di ferro è la più frequente. Come si cura? È sufficiente modificare l’alimentazione?
"La dieta può avere la sua importanza nella prevenzione e nella cura dell’anemia. L’assorbimento di ferro dall’intestino è diverso se si tratta di ferro contenuto nella carne o di ferro contenuto nei vegetali. Se il nostro organismo è in grado di assorbire circa il 10% del ferro che introduciamo con la carne, quello contenuto nei vegetali (verdure, legumi, ecc) viene assorbito solo per il 2-3%.
È questo il motivo per cui i soggetti vegetariani hanno più spesso carenza di ferro. Se l’alimentazione non è sufficiente è necessario “aiutarsi” con i farmaci che contengono ferro di cui abbiamo una ampia disponibilità. Solo in caso di mancata efficacia o intolleranza della terapia per os possiamo utilizzare la terapia endovena".
È la settimana dell’Airc, Associazione Italiana per la ricerca sul cancro, molti mezzi di comunicazione pubblici e privati stanno ricordando il numero 45521 attraverso il quale tramite un semplice sms o telefonata da numero fisso tutti possono contribuire al finanziamento della ricerca contro il cancro.
Il cancro è una patologia con grande incidenza, può colpire tutti gli organi del nostro corpo, la mortalità è ancora alta, seconda solo alle patologie cardiovascolari. Se comunque fino a non molti anni fa il malato di cancro vedeva di molto ridotta la sua aspettativa di vita in tanti casi ridottissima, oggi possiamo dire che la situazione è radicalmente cambiata.
Tanti malati di cancro sopravvivono a lungo, parecchi, soprattutto per certe tipologie di tumore guariscono; la sensazione è che siamo avviati verso un percorso virtuoso della scienza che approderà in tempi non tanto lunghi alla sconfitta del cancro.
Il merito di questa esaltante aspettativa è della ricerca, l’Airc ne è un veicolo importante che non solo riesce procurare i fondi, ma negli ultimi 50 anni è riuscita a creare una comunicazione che stimola la prevenzione fondamentale per le patologie oncologiche, la diagnosi precoce alla base per una vittoria sulla malattia.
L’Airc significa anche l’impegno di tanti ricercatori giovani e meno giovani che assaporano il piacere e la soddisfazione di vedere pian piano sgretolarsi il mito di invincibile di un’anomala e devastante mutazione di tessuti con la grande probabilità, attraverso le metastasi, di infiltrare altri organi con una progressiva distruzione dei principi vitali.
La ricerca con applicazione, pazienza, costanza ha trovato sempre uno spiraglio nella diagnosi e nella cura; gli spiragli hanno aperto altri spiragli e le specialità medico-scientifiche più interessate all’argomento, la radiologia nelle sue varie forme diagnostiche, ma anche terapeutiche, la chirurgia, la farmacologia con una simbiosi operativa e di supporto continuo, hanno ottenuto risultati fino alla grande speranza di oggi.
Gli imput, le indicazioni per tutti però arrivano dagli anonimi laboratori di ricerca, dall’osservazione di un numero infinito di reazioni chimiche e biochimiche, dalle sperimentazioni tra provette e sofisticate macchine dell’ingegneria medicale. Il ricercatore, le squadre di ricercatori elaborano un progetto, lo perseguono, devono essere pronti a persistere o a cambiare strada a seconda dei risultati quotidiani.
Se oggi il cancro può essere curato con una chirurgia molto conservativa, con una chemioterapia mirata e specifica priva dei devastanti effetti collaterali generali, se addirittura possiamo pensare ad una stimolazione del nostro sistema immunitario che subito blocchi le cellule anonime, lo dobbiamo ai comunicati che escono da quelle stanze appartate e qualche volta buie, dove uomini e donne lavorano per poter raggiungere un risultato scientifico di successo utile a tutti.
A volte la vita dei ricercatori riserva delle sorprese inaspettate, non raramente cercavano un risultato e ne hanno scoperto per caso uno più importante. Un esempio non proprio calzante ma con tanta attinenza sono gli studi sul m-RNA per ricercare la via immunitaria contro il cancro: pur conservando la sua originaria finalità questa ricerca è risultata essenziale per la realizzazione in tempi record di un vaccino contro il covid.
La ricerca e i suoi attori sono il fulcro dello sviluppo della civiltà umana. Oggi abbiamo riservato la nostra attenzione alla ricerca medico-scientifica e specificatamente alla ricerca contro il cancro, ma la ricerca è alla base di ogni attività umana per migliorarla e per renderla più utile alla nostra vita. Escluderei da questa virtuosa compagnia tutti quelli che si adoperano per trovare le armi più sofisticate e i metodi per distruggere la vita.
Ho avuto occasione per il mio lavoro di conoscere due tra i più grandi ricercatori della scienza medica insigniti del premio Nobel: la professoressa Rita Levi Montalcini ed il professore Renato Dulbecco.
La professoressa Montalcini in due occasioni ha cercato di spiegarmi i suoi studi sulle cellule del cervello; il professor Dulbecco in un incontro di più di tre ore mi parlò del DNA, di cromosomi e del nostro patrimonio genetico. Due occasioni che non potrò mai dimenticare.
Cercai di incamerare le loro nozioni, ma soprattutto rimasi colpito dal loro sguardo, dalla loro espressione serena e gentile di sognatori…i ricercatori possono trasformare il sogno in realtà.
La reumatologia è una delle specialità più complesse della scienza medica, tante sono le patologie riconducibili in più comparti fisiologici del nostro corpo. Alcune patologie sono alquanto frequenti, qualcuna rara, parecchie hanno un percorso già molto definito e sicuro di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, altre ancora oggetto di una profonda ricerca per raggiungerlo.
Ne parliamo con il professor Walter Grassi, già direttore fino a qualche giorno fa della Clinica Reumatologica dell’Università Politecnica delle Marche con sede nell’Ospedale “Carlo Urbani” di Jesi. Il Prof. Grassi clinico, ricercatore, docente universitario rispettato ed autorevole nella comunità scientifica nazionale ed internazionale mette a disposizione la sua cultura e la sua esperienza del centro medico “Associati Fisiomed” nella nuova sede del gruppo inaugurata il 28 ottobre scorso a Sforzacosta di Macerata.
Con a disposizione la migliore tecnologia diagnostica e gli ambulatori riabilitativi di ultimo aggiornamento il Prof. Grassi effettuerà il suo lavoro di consulto ambulatoriale, ma non solo, sarà anche consulente per le strategie organizzative, referente per l’aggiornamento degli operatori sanitari interni e del territorio, infine parteciperà alla comunicazione medico-scientifica sicura ed autorevole per i cittadini che vorranno approfittare dei nuovi progetti di “Associati Fisiomed” che non sono solo attenti alla diagnosi e cura ma anche alla prevenzione. La sanità privata del futuro che ambisce e lavora per un ruolo attivo di valenza sociale nella protezione della salute della comunità.
Prof. Grassi cosa sono esattamente le malattie reumatiche?
"La definizione non è facile in quanto con il termine “reumatico” si definisce in modo molto generico una moltitudine di patologie molto diverse per sintomatologia e gravità. Formicolii, tumefazione dolorosa di un tendine o di una articolazione, cefalea, lesioni cutanee, stanchezza estrema, difficoltà respiratorie, problemi intestinali, occhio secco, dolore lombare, problemi cardiaci, perdita della vista, gravi problemi renali sono solo alcune delle manifestazioni che possono caratterizzare le diverse malattie reumatiche. Anche decorso e gravità sono molto variabili. Si va da condizioni di dolore meccanico intermittente a malattie croniche progressive che causano danni irreversibili non solo a livello muscolo-scheletrico ma anche cardiovascolare, renale e polmonare, con drammatica compromissione non solo della qualità ma anche della aspettativa di vita"
Perché non dovremmo sottovalutare le malattie reumatiche?
"Le malattie reumatiche non dovrebbero essere sottovalutate perché possono determinare una progressiva e irreversibile compromissione della integrità anatomica dei tessuti colpiti dai processi infiammatori o degenerativi, che sono alla base di queste malattie. Purtroppo nella cultura popolare l’aggettivo “reumatico” non suscita una reazione spontanea di ansia/allarme comparabile con quella di termini quali “oncologico”, “neurologico” o “cardiovascolare”.
Il dolore “reumatico” viene considerato erroneamente come una sorta di inevitabile processo legato alla senescenza. Purtroppo questa comune tendenza a considerare le malattie reumatiche come i “dolori della nonna” è alla base di pericolosi ritardi diagnostici, con potenziali gravissime ripercussioni sullo stato di salute. Uno strano mal di schiena, manifestazione di esordio della spondilite anchilosante, può essere banalizzato per molti anni fino a quando ci si accorge che la malattia ha bloccato irreversibilmente i movimenti di flessione e estensione della colonna vertebrale, determinando così uno stato di grave invalidità, che avrebbe potuto essere efficacemente prevenuto se il sintomo iniziale non fosse stato sottovalutato".
Quali sono le sfide più difficili nella diagnosi delle malattie reumatiche?
"La sfida principale per ogni medico per il reumatologo in particolare è quella della diagnosi precoce. Nell’Arte della Guerra”, celeberrima opera di Sun Tzu (VI-V secolo a.C.) viene sottolineato che “La rapidità è l’essenza della guerra”. Questo antico motto riportato nel più antico testo esistente di arte militare ha un valore fondamentale in Medicina. Il modo più efficace per combattere un nemico è individuarlo precocemente e conoscerne la pericolosità e le intenzioni.
Si tratta di una sfida non facile, dal momento che le manifestazioni iniziali delle malattie reumatiche più gravi possono essere alquanto insidiose e possono sfuggire all’attenzione, specie in presenza di una concomitante polipatologia, di un panorama di sintomi molto variegato o in soggetti che assumono farmaci capaci di interferire con le manifestazioni cliniche della malattia reumatica dominante. Il laboratorio e la diagnostica per immagini sono un più che valido aiuto nello sciogliere le riserve di ordine diagnostico-differenziale, anche se paradossalmente, in uno scenario di diagnostica ipertecnologica, viene sempre più valorizzato il ruolo della cosiddetta “Medicina Narrativa” che non è altro che il risultato del dialogo medico-paziente volto a definire le caratteristiche dei sintomi in termini di intensità e decorso".
Si può guarire da una malattia reumatica?
"Come in guerra o nello sport, a volte si vince, a volte si perde e spesso si pareggia. Fra le malattie reumatiche nelle quali possiamo aspirare a una piena vittoria figurano la gotta e la polimialgia reumatica. Si tratta di malattie caratterizzate da una devastante intensità di sofferenza. Il dolore di un attacco acuto di gotta è tra i più intensi che un essere umano possa sopportare, mentre una polimialgia reumatica in fase di conclamata espressività clinica porta chi ne è colpito a una condizione di devastante disperazione, con impossibilità a muoversi e a compiere le normali attività della vita quotidiana.
Se prontamente riconosciute e adeguatamente trattate queste due malattie guariscono rapidamente e completamente! Grazie ai progressi della terapia farmacologica anche le temute artriti croniche (artrite reumatoide, artrite psoriasica, spondilite anchilosante) possono essere efficacemente contrastate e bloccate, rallentando o evitando le gravi deformità articolari che si manifestavano inesorabilmente nel recente passato. Fra le condizioni più difficili da trattare figurano alcune malattie autoimmuni come la sclerosi sistemica, le vasculiti e il lupus eritematoso sistemico e, non ultima, la fibromialgia, che determina una drammatica compromissione della qualità della vita e nei confronti della quale non disponiamo ancora di un trattamento sistematicamente efficace".
La salvaguardia della salute è sicuramente l’obiettivo più importante e sentito di ogni individuo; senza una buona salute la vita degli uomini e delle donne è menomata, la crescita dei bambini e dei giovani, per essere sicura e proficua, ha innanzi tutto bisogno di una efficace e pronta protezione della loro salute.
Partendo da queste evidenze concettuali i nostri padri costituenti hanno inserito nella Costituzione, considerata ancora oggi la più bella del mondo, il diritto alla salute di tutti i cittadini senza distinzione di genere, ceto, razza e condizioni economiche, tutti con il diritto di usufruire dei migliori servizi.
Questo dictat è espresso chiaramente in più articoli. I nostri governanti hanno nel tempo ricercato le formule realizzative ed organizzative più idonee, l’ultima un Servizio Sanitario Nazionale con leggi e linee guida che vengono poi applicate dalle amministrazioni regionali.
Il Servizio Sanitario Nazionale italiano con protezione universale è quasi unico al mondo, apprezzato e per certi aspetti invidiato globalmente.
È evidente da sempre il grande impegno economico statale poi suddiviso nelle regioni che hanno la possibilità di qualche loro autonoma visione e iniziativa. Nonostante la grande attenzione e volontà dei governanti quell’enorme impegno è difficilmente esauriente dappertutto e per tutte le necessità.
La scienza medica in generale, la ricerca, la biotecnologia, ultimamente l’intelligenza artificiale hanno compiuto in pochissimo tempo passi da gigante con proposte e soluzioni sempre più veloci e proiettate subito ad ulteriori cambiamenti.
Naturalmente per la salute tutti questi processi sono utilissimi, i risultati statisticamente rilevabili strabilianti. La vita media attesa in Italia è oggi di 82 anni per gli uomini, 86 per le donne. Tralasciamo le motivazioni per la differenza di attesa di vita tra i generi.
Non possiamo però tralasciare una considerazione deducibile da un’osservazione: il Servizio Sanitario Nazionale fa sempre più fatica per velocità di cambiamento e per i relativi costi a rispettare i suoi principi basilari; già da tempo è costretto a chiedere aiuto alla medicina privata con convenzioni e accordi che alleggeriscano il suo carico di lavoro.
Nel lungo e drammatico periodo della pandemia Covid la situazione si è di molto aggravata con aspetti di grandissima difficoltà che ancora persistono. I servizi ospedalieri, territoriali, persino quelli della medicina di famiglia quasi totalmente assorbiti dall’emergenza, il tutto ancor più complicato dalle inevitabili regole di sicurezza e dalla paura della gente.
La medicina privata convenzionata e forse ancor più quella privata non convenzionata hanno supplito alle grandi manchevolezze pubbliche; tantissimi cittadini per salvaguardare la loro salute non hanno esitato a pagare i servizi necessari. Siamo praticamente caduti nel diritto alla salute non uguale per tutti, chi ha buone possibilità si è tutelato, gli altri o in grave difficoltà o addirittura senza alcuna tutela.
È evidente comunque che alla fine la medicina privata un ruolo positivo lo ha avuto. Adesso però che l’emergenza Covid è attutita e tutti dissertano su come ripristinare le funzioni dovute dal Servizio Sanitario Nazionale, di come riformare la medicina territoriale, bisogna trarre buoni auspici e propositi dalle esperienze vissute.
Era evidente prima del Covid, lo è ancora di più adesso, la difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale a soddisfare il dettato costituzionale che abbiamo ricordato. La medicina privata va coinvolta quindi, ma le regole e i principi devono andare oltre a quelli della vecchia convenzione.
La medicina pubblica va salvaguardata e rafforzata, se c’è bisogno della medicina privata non deve essere vissuto come una resa, menomazione o incentivo di speculazione sulla salute dei cittadini, ma come una sorta di nuovo modello del Ssn (Servizio Sanitario Nazionale) dove il privato sia capace di contenere i costi, di partecipare attivamente alla ricerca, di proporre un progetto efficace di cultura della salute e prevenzione sui territori, spesso deficitario nell’organizzazione pubblica.
La stessa amministrazione può essere condivisa con regole e presidi che garantiscano i diritti di tutti i cittadini valorizzando l’attività pubblica ma garantendo anche sia gli investimenti che il profitto dei privati. Naturalmente le formule sono da ricercare ma la traccia può essere quella utile. Il tempo stringe e tutti devono fare la loro parte.
Ne parliamo con l’amministratore unico di "Associati Fisiomed" Enrico Falistocco, che dirige il centro medico privato che sabato 28 ottobre inaugurerà una sua nuova sede a Sforzacosta.
Amministratore Falistocco ci descriva la struttura che lei dirige, quando è sorta e come si è sviluppata.
"Associati Fisomed nasce nel 1996 come un semplice ambulatorio di fisioterapia nella sede di Via Natali 1. Rispondeva allora alla grande richiesta del servizio che la struttura pubblica faceva fatica a soddisfare. La nostra amministrazione è subentrata nel 2008 e subito abbiamo compreso che c’era bisogno di un ulteriore sviluppo dell’attività, sospinti dalla fiducia che ricevevamo dai cittadini.
Con l’aiuto di professionisti medici di grande esperienza ed autorevolezza i nostri servizi si sono allargati sia nella diagnostica che nel consulto ambulatoriale con gli specialisti. Già prima della pandemia Covid "Associati Fisiomed" contava quattro sedi: quella storica di Sforzacosta, Tolentino, Corridonia e Civitanova Marche. In quest’ultima sede abbiamo anche un laboratorio analisi convenzionato di grande supporto all’attività di tutti i nostri specialisti.
Durante il periodo della pandemia Covid, pur dovendo sottostare a rigide regole di sicurezza e ad una organizzazione molto difficile, abbiamo erogato i nostri servizi continuamente senza interruzioni e mettendo a proprio agio tutti i pazienti che si sono rivolti a noi. Sono stati davvero tantissimi per le difficoltà che trovavano nell’accedere al servizio pubblico.
Abbiamo svolto un ruolo davvero importante e abbiamo anche verificato le nostre capacità e la nostra volontà di sviluppare sempre di più i nostri servizi. Da queste considerazioni è nata l’idea di una quinta sede poco lontana da quella originaria ma con evidenti benefici per il suo posizionamento e per la sua moderna strutturazione con una sostenibilità ambientale molto apprezzata dai pazienti".
Quali sono le novità in questa struttura?
"Associati Fisiomed ha ritenuto opportuno per una attività più completa e più rispondente alle esigenze di tutti i cittadini di fare un grosso investimento su una moderna struttura dove sono già operative una Tac e una risonanza magnetica di ultima generazione, un mammografo con tomosintesi ed altre tecnologie sempre di ultima generazione per altre specialità. È previsto anche un reparto operatorio ancora in via di realizzazione, ma che contiamo sia operativo in tempi non lontani.
La novità forse più originale della nostra organizzazione è uno spazio dedicato alla comunicazione medico-scientifica a disposizione dell’aggiornamento degli operatori sanitari e con un programma di informazione con personale specializzato dedicata al pubblico. "Associati Fisiomed" non è solo diagnosi e cura ma anche prevenzione. Questa struttura sarà inaugurata ufficialmente il 28 ottobre con la presenza di autorità, operatori sanitari del territorio e con l’invito esteso a tutta la cittadinanza per una visita pomeridiana guidata. Non mancheranno un buffet e un brindisi di benvenuto".
Cosa prevede per il futuro di "Associati Fisiomed" con tutte le sue sedi?
"Il mio auspicio è di aumentare ancora di più la fiducia dimostrata dai cittadini del territorio. Penso che questa sintonia territoriale possa anche essere un giusto viatico per la realizzazione di progetti comuni con il Ssn e per l’inserimento del nostro lavoro nelle dinamiche di protezione della salute.
Quello che posso garantire è che finora abbiamo lavorato e quanto prodotto economicamente e forse di più è stato investito per aggiungere servizi di ottima qualità e migliorare quelli già esistenti. Siamo a disposizione di tutti quelli che apprezzano il nostro lavoro. Un ringraziamento finale per tutti quelli che lavorano e collaborano ad "Associati Fisiomed": medici, paramedici, personale di segreteria, di amministrazione e di logistica".
"Il caso ha voluto che…" , è "un caso se…", "non a caso", sono tutte espressioni che presuppongono che tante cose nella nostra vita accadono senza una programmazione, senza una logica, per l’incrociarsi di circostanze del tutto inaspettate ed imprevedibili, nella vita in generale ma anche nella salute in particolare.
L’ultimo esempio clamoroso ed eclatante è il deprimente periodo della pandemia Covid, dove tante persone si sono casualmente ammalate, molte hanno perfino perso la vita. Abbiamo però imparato che anche contro il caso maligno bisogna reagire.
Se facciamo scorrere nella mente i film della nostra vita ci accorgiamo che sono più le situazioni che abbiamo vissuto per caso che non quelle che abbiamo studiato e programmato. Proprio le cose più importanti sono spesso casuali. L’incontro con la persona o le persone che potranno determinare il futuro, spesso avviene per puro caso, come anche alcune scelte che ti segnano per sempre.
Per fare degli esempi chi scrive può sicuramente affermare che il caso è stato protagonista sia della sua vita affettiva che in quella professionale. Tanto tempo fa avevo conosciuto una ragazza che passava le sue vacanze in un paese vicino al mio; un giorno dovendo lei ripartire, decisi di andare a trovarla per salutarla. Era una cosa gentile, ma senza che mi toccasse più di tanto.
Non la trovai e pensai che non l’avrei più vista, ma mentre mi allontanavo ecco che la vidi arrivare e tornai sui miei passi. Quella ragazza è diventata mia moglie, abbiamo una figlia e stiamo insieme da quasi 50 anni. Bastava che lei avesse tardato qualche minuto quel giorno e tutto questo non sarebbe mai accaduto, ma il caso ha voluto che…
Destinato ad intraprendere la professione di medico, dopo un curriculum di studi abbastanza brillante, un giorno accendo la radio ed ascolto che a Roma alla seconda Università di Tor Vergata è stata istituita una scuola di giornalismo medico a numero chiuso. Mi incuriosisco e partecipo al concorso di ammissione, arrivo tra i primi quindici e sono ammesso alla scuola; mi appassiono, mi entusiasmo per la scoperta di un modo nuovo ed utile per contribuire alla tutela della salute e divento un giornalista medico. Se non avessi acceso la radio quel giorno, ma il caso ha voluto che…
Tutti potrebbero raccontare esperienze analoghe negli ambiti più svariati della loro vita, la vita stessa è un intrecciarsi infinito di evenienze ed energie provenienti da più parti che ci avvolgono e ci accompagnano continuamente in tutte le fasi dell’esistenza.
Noi possiamo a volte sceglierle come usarle, di razionalizzarle, ma a volte no, le dobbiamo solo subire. Il caso è l’anagramma di caos, lo stato delle cose che ci circondano e che si rapportano con noi, il caos che i pensatori fin dall’antichità hanno sempre identificato come la fonte dell’energia vitale e dell’evoluzione dell’Universo. Il caso ed il caos...le sorgenti della vita!
Questa premessa speculativa, spero e penso corretta, è per dire che ogni nostro giorno non è mai identico all’altro, siamo casualmente coinvolti in un vortice di stimoli che producono inevitabilmente novità e cambiamenti.
Nella tutela della nostra salute la scienza e la ricerca hanno progressivamente cercato nuove conoscenze per arrivare a sempre più certezze. Non del tutto svelati ma ormai abbastanza ben conosciuti sono i meccanismi che spiegano la vita dell’uomo e degli animali.
Quello che non tantissimo tempo fa appariva come un mistero, tutte le azioni e reazioni fisiologiche, ora sono abbastanza svelate e possono essere inquadrate con sufficiente sicurezza fino a stabilire l’eziologia della malattia, metodiche della diagnosi, terapia della malattia.
Le stesse conoscenze possono essere utilizzate per la prevenzione della malattia stessa e chiudere quindi un cerchio al centro del quale c’è la nostra salute: il bene essenziale della nostra vita.
Nonostante questo sforzo immane ed estremamente produttivo che l’umanità ha fatto per razionalizzare e regolarizzare i principi fisiologici del nostro corpo, il caso ha conservato un suo spazio, a volte decisivo.
Alcune circostanze che possono incidere in maniera importante non sono prevedibili, escono dagli schemi che possiamo disegnare, risentono di quello che può capitarci o non capitarci giorno dopo giorno.
Siamo riusciti ad individuare i meccanismi dell’ereditarietà con la lettura della nostra mappa genetica, sappiamo quale può essere la nostra evoluzione, persino quali patologie potremmo contrarre con più probabilità, ma non possiamo mai prevedere con certezza e neanche con approssimazione con quale fonte di infezione potremmo imbatterci, quali reazioni potrà avere il nostro corpo di fronte a provocazioni esterne come emozioni, dolori, stress, caldo, freddo… E se avessimo un incidente sul lavoro? Con l’automobile? Dobbiamo comunque sottostare all’incertezza del caso.
Studi approfonditi pubblicati recentemente da riviste scientifiche qualificate hanno persino dimostrato che il 30% dei tumori non ha una causa identificabile biologicamente, è ragionevole pensare che si sviluppano casualmente per l’innescarsi di meccanismi fortuiti e del tutto provvisori.
Come difenderci quindi dalle insidie del caso? L’unica via è di attenersi a quelle regole che statisticamente dimostrano essere un antidoto utile contro evenienze negative per la salute anche quando è difficile o impossibile individuarne preventivamente il pericolo.
Ci sono regole di comportamento contro le infezioni, contro la possibilità di insorgenza di un tumore, contro gli incidenti domestici, quelli stradali, per caso possiamo incappare in qualche incidente o venire a contatto con qualche fonte infettiva, può capitare che una forte emozione o uno stress incida progressivamente e improvvisamente sulla funzione dei nostri organi.
Noi però dobbiamo conoscere cosa fare per ridurre il più possibile il rischio, per togliere sempre più spazio alla possibilità del caso. La nostra cultura della salute ci aiuta, oppure possiamo farci aiutare da chi veglia sulla nostra salute suggerendoci i comportamenti più idonei. Poi magari usciamo di casa e ci cade una tegola in testa! Facciamo gli scongiuri, ma è il caso figlio del caos…che poi è la vita.
Tra tutti i tumori che possono colpire la specie umana il tumore del seno per le donne è sicuramente quello che ha un’incidenza maggiore. Si stima che in un anno ci siano decine di migliaia di diagnosi; con riferimento ai dati del Ministero della Salute, quelle eseguite nel 2022 sono state circa 55.700.
Si tratta di una patologia oncologica che fino a qualche anno fa presentava un’alta mortalità. A prescindere dalla tipologia, che presenta delle variazioni dal punto di vista morfologico ed istologico, fino a 20 anni fa si calcolava che per 8 donne su 10 non si prospettava una lunga sopravvivenza alla patologia.
Ma la ricerca ha sviluppato un continuo progresso della tecnica chirurgica, delle terapie specifiche ed anche dei protocolli di comportamento nel post-operatorio. Una grande influenza sulla riduzione della mortalità hanno avuto di sicuro gli screening di prevenzione per una diagnosi precoce a cui le donne si sottopongono soprattutto nella fascia di età più a rischio (45-70 anni).
Il Servizio Sanitario Nazionale opera con un’organizzazione capillare, avvertendo tutte le donne interessate della possibilità di un esame mammografico assolutamente gratuito da ripetersi ogni due anni.
La mammografia è l’esame di elezione per una eventuale diagnosi precoce di tumore del seno. Anche questo esame ha subito un’evoluzione tecnologica e, pur essendo generalmente efficace nella sua funzione, in certe occasioni, come nella versione con tomosintesi, riesce a percepire una modificazione cellulare ridottissima altrimenti non percepibile anche in seni particolarmente densi.
I fattori di rischio per il tumore del seno sono sicuramente l’età, ma anche la familiarità; si stima che una percentuale compresa tra il 5 e 7% dei tumori mammari sia ereditaria. Anche gli ormoni hanno un ruolo nell’incidenza della patologia; aumentano la possibilità un menarca precoce, una menopausa tardiva ed anche l’assenza di gravidanze, così come i contraccettivi orali ed alcune terapie ormonali sostitutive.
Quanto descritto rappresenta i cosiddetti rischi non modificabili, sono invece modificabili quelli legati ai comportamenti individuali: alimentazione scorretta alla base di sovrappeso e obesità, consumo di alcol e fumo. Si è invece verificato che l'allattamento al seno riduce il rischio di ammalarsi di cancro al seno.
La rilevazione dei sintomi viene associata alla percezione di un nodulo tramite autopalpazione. In realtà, nella stragrande percentuale dei casi si tratta di forme benigne, come fibroadenomi e cisti, che compaiono principalmente nelle donne fertili, hanno forma regolare, sono dolorosi e si muovono se spostati con le dita.
I noduli originati da un cancro maligno presentano invece bordi irregolari, non si spostano e sono in genere segno di una forma tumorale già avanzata. Un segno da tenere in considerazione è anche l’alterazione della forma del capezzolo o perdita di liquido da un solo capezzolo.
Oltra alla mammografia per la fascia di età più esposta, la diagnosi prevede per le donne under 45 un’ecografia mammaria da cui trarre eventuali ulteriori accertamenti.
La terapia per questo tipo di tumore è anzitutto chirurgica per rimuovere i tessuti malati. Si tende a ricorrere se possibile alla chirurgia conservativa con l’obiettivo di salvare il seno, ma si può arrivare anche alla mastectomia parziale o totale. Anche in questo caso, comunque si può procedere alla ricostruzione del seno.
Dopo l’intervento si effettua una radioterapia adiuvante contro il rischio di recidiva locale. A seguito di un’attenta valutazione istologica e biologica del carcinoma, a molte pazienti viene proposta anche una terapia con farmaci anticancro; la chemioterapia non è sempre necessaria, possono essere adottate terapie ormonali o trattamenti con farmaci che vanno a colpire bersagli molecolari.
Negli ultimi anni si è assistito ad un progresso significativo delle tecniche di cura tale da rendere possibile anche il trattamento di tumori particolarmente aggressivi o in fase avanzata.
È notizia ultima, nell’ambito della ricerca, l’approvazione da parte dell'Aifa di una farmacologia mirata nella terapia di una forma molto aggressiva di tumore al seno, in grado di ridurre il rischio di morte del 34% in tutta la popolazione studiata e addirittura del 52% nelle pazienti con già presenti metastasi cerebrali.
Il mese di ottobre è dedicato proprio all’informazione per la prevenzione, diagnosi precoce e cura del tumore del seno. Nella nostra rubrica "Sano a sapersi" dedicheremo più di una puntata all’argomento molto importante per la salute delle donne.
Oggi abbiamo preferito iniziare con un’analisi dell’elemento tecnologico per la fase più significativa: la diagnosi precoce. Abbiamo interpellato il dottor Pietro Cruciani radiologo diagnostico, già responsabile del servizio di Radiologia presso l'ospedale di Camerino- San Severino attualmente consulente del centro medico Associati Fisiomed per descrivere l’ultima tecnologia a sua disposizione: la mammografia con tomosintesi.
Dr. Cruciani quali sono le differenze tra la mammografia digitale tradizionale e quella con tomosintesi?
"Entrambe le tecniche sono digitali. La mammografia con tomosintesi, pur erogando sostanzialmente la stessa dose di radiazioni assorbite, offre un miglior risultato diagnostico. Con questa tecnica è infatti possibile studiare la mammella anche nella terza dimensione, la profondità, evitando la sovrapposizione delle strutture ghiandolari della mammella. Il risultato finale è una maggior accuratezza con possibilità di individuare lesioni meno evidenziabili con la mammografia tradizionale che possono rimanere nascoste sotto al tessuto ghiandolare normale".
Quali vantaggi hanno le pazienti nell’eseguire questo tipo di esame?
"Il posizionamento della mammella è più confortevole e flessibile, a vantaggio delle donne diversamente abili o in carrozzina. L’apparecchio guadagna in profondità con visualizzazione ottimale del tessuto retromammario. L’esame è meno doloroso di una mammografia standard poiché con la tomosintesi la compressione è ridotta al minimo, quanto basta per stendere il tessuto".
A chi è consigliato maggiormente questo tipo di esame?
"Alle donne con mammelle dense, male esplorabili con mammografia standard. In questi seni la tomo, eliminando le sovrapposizioni ha individuato statisticamente il doppio dei tumori. È indicato inoltre nelle mammelle già operate, nei tumori multicentrici e quando sono presenti microcalcificazioni con ottimale analisi morfologica".
L’umanità da sempre si pone delle domande a cui è molto difficile dare una risposta o, meglio, le risposte ci sono e molto variegate, ma nessuno ha la certezza della verità. Concetti come la felicità, il senso della vita, cosa c’è dopo la morte, che cos’è il peccato, che cos’è la virtù…tutti quesiti a cui possiamo aggiungere quello del nostro argomento di oggi.
L’uomo e la donna, a qualsiasi età, possono percepire un languore subdolo, dolce ed amaro allo stesso tempo, che ti penetra pian piano sconvolgendo persino il ritmo del cuore, la contrazione dei muscoli, la lucidità dei pensieri, non ti muovi e non parli neppure tanto bene. Sei innamorato o innamorata…! Ma cosa può causare tutto questo?
I sensi ne sono sicuramente i veicoli come per tutte le azioni e reazioni del nostro corpo, in questo caso hanno comunicato al cervello di aver visto l’immagine più bella, di aver sentito la voce più soave, di aver toccato le forme più armoniose ed aver ascoltato le cose più intelligenti.
Magari obiettivamente non è vero, ma il nostro cervello, la nostra anima che ne è la trasposizione più raffinata e pura in quel momento, aveva bisogno di quello che ha visto e sentito e, una volta trovato, non lo molla più, lo fa suo, parte di sé stesso ed impegna tutto il corpo a seguirlo in questa sua avventura.
Quanti milioni di reazioni biochimiche ci saranno alla base di questo coinvolgimento totale verso un’altra persona per farcela considerare la più bella, la più buona, la più intelligente, la più simpatica, tutto insieme fino a confezionare un esplosivo che deflagra dentro di noi?
L’amore che ti coinvolge, che ti rapisce, che libera da quella parte del nostro cervello deputata alla sua configurazione quelle sostanze tanto benefiche per il nostro corpo denominate endorfine, che moltiplicano ed attivano gli ormoni fino alle situazioni più coinvolgenti e sessualmente attive.
E poi il godimento determinato dall’impetuosa liberazione di dopamine, le nostre droghe endogene che sanno confezionare insieme all’eccitazione uno stato celestiale di gioia, di serenità. È l’immagine dell’amore condiviso che è anche supporto reciproco nella vita pratica di tutti i giorni, stima, sicurezza dell’aiuto e progetti per il futuro.
L’amore allora può essere una terapia? È solo benessere perché non c’è nessuna malattia da guarire, è il valore aggiunto possibile ad una vita normale, ma che se non assaggia l’amore condiviso pian piano può deteriorare. Ma l’amore condiviso non c’è sempre! Spesso non è per sempre, può trasformarsi, può venire a mancare.
L’amore respinto, l’amore ostacolato, l’amore tradito, l’amore ferito… sono le tipologie di amore che vivi da solo e lo senti che è mutilato, oppressivo, triste, a volte disperato. L’amore che non vorresti, ma che ti è capitato, che ti acceca, che non ti fa nemmeno riconoscere altro amore profferto, una specie di insonorizzazione da tutto il mondo che ti circonda.
In questo stato di cupezza totale percepisci che il cuore non batte, ma sbatte, i muscoli non si contraggono, ma scricchiolano, c’è una cappa di nebbia che avvolge i tuoi pensieri. L’amore è una malattia? In questi casi ne ha tutte le caratteristiche ma può anche scattare l’intervento di una specie di sistema immunitario dell’amore i cui anticorpi possono avere le sembianze dell’impegno sul lavoro, degli hobby, degli amici, di tutto ciò che può esserci caro ed aiutarci.
Fino a che punto? Non si sa! L’amore né malattia, né terapia, è solo la più sublime possibilità di esprimere la nostra umanità con tutta la sua forza e la sua fragilità. L’amore è la vita e in qualche occasione può anche esplorare l’altra vita: sembra di essere arrivati alle porte del paradiso, quando l’amore è respinto o tradito si soffrono le pene dell’inferno.
Somiglia ad una grossa noce racchiusa nella nostra testa che ci permette di elaborare pensieri ed idee, comprendere concetti, decodificare messaggi e stimoli esterni: si tratta del sistema più complesso esistente in natura e non solo, una macchina perfetta chiamata cervello.
Per la scienza, l’intero apparato cerebrale prende il nome di encefalo, di cui il cervello costituisce la parte più pesante e voluminosa, responsabile del pensiero, del linguaggio e, contrariamente a quanto si crede, anche delle emozioni.
L’encefalo comprende anche il tronco encefalico (che controlla funzioni vitali come la respirazione e la pressione sanguigna) e il cervelletto. Quest’ultimo si occupa del mantenimento della posizione nello spazio, dell’equilibrio e della coordinazione del movimento…non a caso è l’organo che, a breve termine, risente maggiormente dell’abuso di alcool!
Organo principale del sistema nervoso centrale, il cervello si suddivide in due emisferi (sinistro, che controlla le facoltà logiche e verbali, e destro, sede delle attività creative) e si presenta come una sorta di centralina formata da neuroni, cellule nervose collegate tra loro, e da fibre disposte in fasci, simili a cavi elettrici.
Se fino agli anni Novanta si è creduto che il numero massimo di neuroni posseduto da ogni neonato fosse destinato a diminuire con l’avanzare degli anni, recentemente si è invece evidenziato che nel cervello umano adulto nascono ogni giorno circa 1400 nuovi neuroni.
Una scoperta, questa, che ha aperto nuove strade nella cura delle malattie neurodegenerative. Ci riferiamo in particolar modo alle demenze senili, vera e propria piaga sociale in una popolazione che invecchia sempre più: si stima infatti che nel 2050 saranno almeno 114 milioni le persone nel mondo che presenteranno un deterioramento delle funzioni cognitive.
La forma più comune di demenza senile è il morbo di Alzheimer, descritto per la prima volta nel 1906 dall’omonimo psichiatra e neuropatologo tedesco. Il 21 settembre si è celebrata la Giornata Mondiale dedicata a questa patologia, ad oggi responsabile del 60-70% dei casi di demenza.
Come è noto, l’esordio del morbo di Alzheimer avviene in età presenile (solitamente –ma non sempre- oltre i 65 anni) manifestandosi con la difficoltà nel ricordare eventi recenti.
Per approfondire l’argomento, abbiamo interpellato il dottor Aldo Paggi, medico consulente neurologo e psichiatra presso il centro medico "Associati Fisiomed" e già specialista presso gli Ospedali Riuniti di Torrette-Ancona.
Dott. Paggi, quali sono le cause dell’insorgenza del morbo di Alzheimer?
"L'Istituto Superiore di Sanità riporta che in Italia i malati di demenza sono circa 1 milione e che, di questi, circa 600 mila sono affetti da Alzheimer.
È la più comune forma di demenza, è primitiva e di origini ancora sconosciute, ma non è l’unica, perché c’è anche la malattia di Pick (o demenza fronto-temporale) più rara della prima forma ma altrettanto seria. Poi c’è la demenza vascolare o arteriosclerotica che è una conseguenza di una scarsa circolazione sanguigna a livello cerebrale.
Sono sindromi neurodegenerative tutte caratterizzate da una graduale e irreversibile perdita di neuroni e dei loro collegamenti interneuronali e con conseguente riduzione delle funzioni mnesiche (la memoria), cognitive e comportamentali.
Il morbo di Alzheimer è una malattia tipica dell'età avanzata: la maggior parte dei pazienti, infatti, ha più di 65 anni. Altri importanti cofattori sono la familiarità, la predisposizione genetica, il sesso, lo stile di vita e molti altri.
Benché non sia ancora del tutto nota la causa primaria che dà inizio al morbo di Alzheimer, è stato evidenziato che l'accumulo a livello cerebrale di particolari proteine anomale e, più precisamente, la proteina beta-amiloide (β-amiloide beta e Tau) gioca un importante ruolo nella comparsa della malattia e nella neurodegenerazione che la caratterizza".
Cosa fare qualora un nostro caro manifestasse i sintomi tipici della malattia? Una diagnosi precoce può fare la differenza?
"Per l'individuo di età avanzata, manifestare qualche amnesia di troppo, riscontrare delle insolite difficoltà di calcolo e avere problemi di linguaggio e comprensione di nuovi concetti deve rappresentare un campanello d'allarme, tale da indurre a consultare un medico per capire se si tratti effettivamente di Alzheimer agli esordi o di un'altra condizione.
È consuetudine suddividere l'evoluzione dei sintomi connessi al morbo di Alzheimer in tre fasi (o stadi). La fase iniziale del morbo di Alzheimer è il momento della malattia in cui compaiono i primi sintomi.
Le manifestazioni di esordio dell'Alzheimer consistono tipicamente in:
- Piccoli problemi di memoria a breve termine (amnesia anterograda);
- Aprassia, cioè incapacità di compiere azioni comuni come fischiettare;
- Sporadici cambiamenti di personalità;
- Occasionale mancanza di giudizio;
- Ripetere più volte la stessa domanda;
- Lievi difficoltà di linguaggio (principio di afasia), di calcolo (principio di acalculia), di ragionamento e comprensione di nuovi concetti;
- Tendenza alla passività e alla mancanza d'iniziativa,
Il paziente dimentica eventi o conversazioni recenti a cui ha partecipato; smarrisce oggetti; non ricorda i nomi dei luoghi e delle cose (anomia); fatica a riconoscere oggetti e cose che prima erano note (agnosia); comincia a perdere le facoltà di scrittura e lettura.
La fase intermedia dell'Alzheimer si caratterizza per la comparsa di nuovi disturbi.
Tra questi figurano:
- Problemi di memoria a lungo termine;
- Instabilità emotiva, sbalzi d'umore, depressione, ansia e/o agitazione;
- Comportamenti ossessivi, ripetitivi e/o impulsivi;
- Episodi di delirio e comportamento paranoico (senza alcun motivo, il paziente è sospettoso delle persone che lo circondano, fino a dimostrarsi, talvolta, aggressivo);
- Confusione (o disorientamento) spazio-temporale, con il paziente che fatica a realizzare dove si trova, a dire con certezza il giorno della settimana ecc;
- Allucinazione uditive;
- Sonno disturbato.
A questo stadio dell'Alzheimer, è molto frequente che il paziente cominci ad aver bisogno del supporto di altre persone che lo aiutino nella vita quotidiana; per esempio, potrebbe aver bisogno di sostegno nel lavarsi, nel vestirsi o nell'utilizzare il bagno.
La fase finale dell'Alzheimer è il momento della malattia in cui il quadro sintomatologico ormai completo peggiora ulteriormente e diviene incompatibile con una vita normale. Le capacità cognitive sono ormai del tutto compromesse: lo dimostra il grado di severità estremo raggiunto dai deficit di memoria e dalle difficoltà di linguaggio.
Gli episodi di delirio e paranoia sono sempre più comuni, così come gli sbalzi d'umore. Inoltre, compaiono nuove problematiche, tra cui:
- Difficoltà di deglutizione;
- Perdita di controllo della funzione intestinale e vescicale (incontinenza);
- Perdita del controllo motorio, con il paziente che si muove sempre meno;
- Perdita di peso.
A questo stadio della malattia, il soggetto con Alzheimer diviene completamente incapace di occuparsi di sé stesso, pertanto ha bisogno quotidianamente di qualcuno che lo aiuti nel mangiare, nel lavarsi, nel muoversi ecc.
Ci sono test ed esami specifici per una diagnosi precoce?
"In genere, la diagnosi di Alzheimer si fonda sulle informazioni provenienti da:
Anamnesi;
Esame obiettivo;
Esame neurologico;
Test cognitivo e neuropsicologico;
Esami di laboratorio;
Esami di diagnostica per immagini, riferiti al cervello.
Di questi esami è di estrema importanza il Bilancio Cognitivo, un esame semplice, non invasivo, non doloroso ma che è fonte di tantissime informazioni sullo stato mentale reale del soggetto. È un’indagine ancora poco praticata ma ricca di preziose informazioni utili anche per valutazioni comparative successive.
Si tratta del Mini-Mental Test, o Test di Folstein. È un questionario composto da 30 domande, che permettono di analizzare le capacità di calcolo, memoria, ragionamento, linguaggio, attenzione ecc. della persona".
Come procede il lavoro della ricerca in ambito terapeutico? Ci sono novità rilevanti?
"I farmaci attualmente disponibili per il morbo di Alzheimer sono piuttosto limitati e il loro impiego non è in grado di risolvere la malattia o bloccare la neuro-degenerazione, ma si limita ad alleviare alcuni dei sintomi manifestati dal paziente.
Per queste ragioni, la ricerca in questo campo continua ad andare avanti allo scopo di individuare nuovi principi attivi per tentare di contrastare l'avanzamento della patologia.
Purtroppo la ricerca scientifica, molto costosa e complessa, è ancora distante dal traguardo risolutivo per questa malattia per cui molte case farmaceutiche stanno rallentando il loro impegno economico nella ricerca. Certo è che chi arriverà, prima o poi, al traguardo finale di un farmaco veramente efficace avrà apportato un beneficio immenso a tutta l’umanità".
Ci ricordi qualche regola valida per prevenire questa e altre forme di demenza senile.
"Far lavorare il corpo, evitare le cattive abitudini, prendersi cura del proprio cuore, seguire una dieta equilibrata, con speciale riferimento alla dieta mediterranea, stimolare la mente, mantenere rapporti sociali. Inoltre cessazione del fumo, il trattamento del diabete, dell'ipertensione e dell'ipercolesterolemia".
L’assistenza sociale rappresenta di certo uno degli elementi di intervento e sostegno a disposizione dei cittadini, caratterizza e misura il grado di civiltà, di umanità e di progresso sostenibile, la rete politico-istituzionale di un Paese.
La salute è certamente il primo bene da proteggere e mantenere ove presente, da ripristinare quando viene a mancare. In una visione allargata della problematica, è evidente che la scienza medica non è che un mezzo circoscritto, importante ma limitato, per valutare le cause, programmare gli interventi utili e soprattutto intervenire tenendo presenti tutti i suoi aspetti.
Le condizioni di salute generali di un individuo affondano le radici nelle caratteristiche genetiche e di sviluppo dello stesso, nelle sue condizioni lavorative, economiche, culturali ed esistenziali.
Gli eventi che stravolgono la vita collettiva (si pensi ai terremoti, pandemia e, recentemente, le alluvioni) creano delle situazioni di assoluta emergenza e spesso gravi ricadute su cittadini inermi ed impreparati ad affrontare enormi disagi.
Da questo sintetico quadro emerge quanto sia importante l’assistenza sociale, professionale anzitutto, ma anche connessa e supportata da tutte le espressioni organizzative della generosità e solidarietà del volontariato.
Ne parliamo con il professor Gabriele Di Francesco, docente di Sociologia Generale presso la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Chieti, uno studioso che ha dedicato il suo tempo all’osservazione dei fenomeni, alla progettazione degli interventi e all’educazione professionale di chi se ne dovrà occupare nell’ambito dei compiti delle istituzioni.
Professor Di Francesco ci descriva la figura professionale dell’assistente sociale.
"Gli Assistenti Sociali sono dei laureati in Servizio Sociale, abilitati, in seguito all’iscrizione all’Ordine professionale, a svolgere funzioni di rilevazione del bisogno in situazioni di disagio e funzioni di trattamento e di promozione del benessere sociale, progettando, programmando e realizzando interventi e servizi sociali integrati nei confronti della persona, della famiglia e della comunità.
Possono realizzare e gestire azioni di comunicazione e di gestione dell'informazione nell'ottica della promozione dei diritti di cittadinanza, della coesione e inclusione sociale delle persone, delle famiglie, delle pari opportunità attraverso la prevenzione, la riduzione e l'eliminazione delle condizioni di bisogno e disagio individuale e familiare, di mediazione e di counseling".
Può spiegare quali sono i campi di intervento dell’assistenza sociale?
"Le competenze associate all’assistente sociale riguardano la realizzazione di servizi e interventi nel campo sociale e socio-sanitario, la progettazione degli interventi sociali, l'organizzazione dei servizi. Tali competenze si articolano nell'uso dei metodi e delle tecniche del servizio sociale per la raccolta, l'analisi dei bisogni, l'interpretazione dei dati, l'utilizzo dei sistemi di valutazione dei servizi, il metodo di rete con la messa in relazione di vari soggetti privati (es. familiari, amici, vicini di casa disponibili, ecc.), pubblici (enti regionali, comunali e sovracomunali) e del privato sociale (membri di associazioni di volontariato).
Nel sistema italiano, come si può notare, gli ambiti di applicazione e di occupazione di tale figura professionale sono davvero molteplici e in genere sottovalutati o scarsamente conosciuti".
Professore, proprio per informare meglio i cittadini e renderli consapevoli dei servizi che possono essere a loro disposizione, può approfondire quali sono gli interventi specifici dell’assistente sociale?
"Tra i più diffusi interventi ci sono quelli socio-sanitari: nell’ambito dell’attività comunale l’assistenza e la protezione dei minori, i servizi per gli anziani, la lotta e contrasto alla povertà, il tutto in rete con altri servizi presenti sul territorio. Nelle Asl il supporto ai servizi per la disabilità e riabilitazione funzionale, Rsa, consultori familiari.
L’assistenza sociale è anche importante all’interno di istituzioni complesse come l'Inps per l’inserimento nei luoghi di lavoro dell’utenza svantaggiata, ma anche per le questioni inerenti alle commissioni di invalidità. Nelle prefetture e uffici territoriali del governo l’opera dell’assistenza sociale è di grande attualità per le problematiche dell’immigrazione, assistenza e locazione degli immigrati nei centri di accoglienza dei minori non accompagnati.
Da non trascurare il ruolo dell’assistente sociale nei nuclei operativi per le tossicodipendenze con compiti di monitoraggio del territorio sulle dipendenze patologiche in generale. Assistenza anche nella gestione della giustizia minorile e delle comunità connesse dove vivono persone sottoposte a misure restrittive della libertà svolgendo il compito in favore del reinserimento sociale. È evidente il grande impegno per la tutela dei più giovani e l’assistenza in tutte le problematiche che li possono coinvolgere".
Per concludere Professore può descrivere lo stato dell’assistenza sociale nel nostro Paese?
"Negli ultimi decenni sono stati fatti grossi passi in avanti, ma ci sono ancora delle criticità. Per spiegare meglio devo citare la legge 178 del 2020, all’articolo 1, comma 797 e seguenti in cui è introdotto un livello essenziale delle prestazioni di assistenza sociale definito da un operatore ogni 5000 abitanti con ulteriore obiettivo di un operatore ogni 4000 abitanti; purtroppo siamo ben lontani da tali rapporti.
Gli assistenti sociali sono pochi e benché obbligatori nei Comuni sono talvolta assenti e i compiti sono affidati spesso a cooperative esterne oppure persino ad impiegati amministrativi o figure professionali che non hanno nessuna formazione e competenza sulle problematiche del sociale".
Le giornate dedicate a problematiche della nostra salute sono molto numerose, fanno parte di una strategia di comunicazione che possa essere efficace nella diffusione di una cultura della salute generale e di conseguenza nella prevenzione. Il 9 settembre è la Giornata Mondiale della "Sindrome Feto-alcolica e dei disturbi correlati", si celebra dal 1999.
La salute dell’infanzia è sempre al centro della ricerca, della clinica ed anche dell’informazione, quella del feto ne è sicuramente la primissima fase, importantissima che può condizionare lo sviluppo cel bambino e l’intero percorso della vita fisiologica dell’individua che sarà.
L'argomento a prima vista può sembrare molto specifico e circoscritto, m si stima che una donna su tre (33%) consuma abitualmente alcol durante la gravidanza con rischi che possono riguardare l’area neurologica sullo sviluppo del feto e futura crescita nell’infanzia e possono causare disabilità comportamentali e neuro cognitive. Ne parliamo con il dottor Paolo Perri, specialista in Pediatria e Neonatologia.
Si è appena celebrata la giornata mondiale della sindrome feto alcoolica e quindi di ciò che comporta l’uso dell’alcool in gravidanza per il feto e il neonato. Dott. Perri qual è il significato di questo evento?
"Il 10% delle donne consuma alcool durante la gravidanza. Non essendo stata a tutt’oggi stabilita una dose di alcol sicuramente esente da rischi durante la gravidanza, la Società Italiana di Neonatologia (SIN), in occasione della Giornata mondiale della sindrome feto-alcolica e disturbi correlati, che si celebra il 9 settembre, ribadisce che è opportuno astenersi completamente durante tutto il periodo".
Quali sono le possibili conseguenze del consumo di alcool in gravidanza?
"Il consumo cronico di quantità eccessive di alcol può, infatti, causare seri problemi a madre e neonato, aumentando il rischio di abortività spontanea, morte intrauterina, sindrome della morte improvvisa in culla, parto pretermine, basso peso alla nascita, ma, in particolar modo, può essere responsabile dell’insorgenza di difetti dello sviluppo fetale a carico di vari organi e apparati e di disabilità dello sviluppo neurocognitivo infantile. Queste disabilità, conseguenti all'esposizione all'etanolo in utero, sono note come Disturbi dello Spettro Alcolico Fetale (FASD) e la FAS, o Sindrome Feto Alcolica, ne è la forma clinica più grave".
Quali sono le raccomandazioni al riguardo delle società scientifiche?
"Da anni, la Società Italiana di Neonatologia, insieme al Ministero della Salute e all’Istituto Superiore di Sanità, auspicano ad aumentare la consapevolezza nelle donne in gravidanza, in età fertile e che stanno programmando una gravidanza, attraverso campagne di comunicazione e prevenzione,
È importante, infatti, garantire un’informazione quanto più corretta, immediata ed esauriente possibile, che renda le donne consapevoli, evitando di esporre loro ed i nascituri ai rischi di danni evitabili, sostenendo uno stile di vita più sano e azzerando il consumo di alcolici".
La fine dell’estate è un periodo di malinconia; chi ha goduto di ferie e vacanze torna alla solita routine con un po’ di tristezza per il bel tempo ormai passato, chi ha lavorato durante i mesi estivi prospetta magari un periodo di riposo ma senza poter vivere a pieno lo splendore del mare e dei monti.
Tutti ci prepariamo all’imminente arrivo dell’autunno, preannunciato dal clima e i suoi fenomeni con un sensibile calo della temperatura –e questo può andar bene dopo le settimane di grande afa- ma anche con precipitazioni imprevedibili, molto violente in certe zone. Con la pioggia, ormai sempre copiosa, in pochissimo tempo fiumi, torrenti e perfino ruscelli possono passare da una secca evidente alla rottura degli argini, con danni ingenti per campi, strade e, a volte, abitazioni. Una descrizione apocalittica ma reale, che si presenta continuamente ad ogni perturbazione e non più come fenomeno eccezionale ed isolato, circoscritto in poco tempo.
Il riscaldamento climatico, l’accumulo di grande energia negli strati atmosferici sono alla base dell’insofferenza del nostro pianeta, dell’incertezza a cui tutti dobbiamo sottostare, dei pericoli per cose e persone che all’improvviso bisogna fronteggiare.
È ancora poco osservato e studiato, ma il legame tra la nostra salute e la violenza della natura quando si intersecano forze dirompenti deve ormai richiamare la nostra attenzione. Occorre stilare protocolli di prevenzione intervenendo anzitutto sulle cause dei cambiamenti climatici e tenendo conto dei possibili effetti. Case distrutte da ondate di fango, alberi sradicati, strade allagate, “chicchi” di grandine grandi come palline da tennis e duri come sassi, sono tutti elementi che feriscono e possono uccidere. Davanti ad una panoramica di questo tipo la gran parte di noi tende a rimanere inerte, quasi fatalista, confidando in un destino favorevole. Ma ci sono anche persone che vivono questa situazione con grande disagio, spesso associato a veri e propri attacchi di panico, sviluppando nuove forme di disturbi psicologici riconducibili alla cosiddetta “ecoansia”.
È ora (o forse è già tardi) di individuare precisamente ciò che nuoce alla nostra Terra fino ad indurla a farci del male. Se siamo ormai organizzati per combattere virus e batteri, dovremmo essere anche pronti a fronteggiare l’inquinamento da CO₂ ,nella convinzione che esso può provocare enormi danni alla nostra salute. Se qualcuno si impegna e dedica la vita alla ricerca e allo studio va ascoltato, ognuno di noi, nel suo piccolo, ha l’obbligo di seguirne i consigli e, soprattutto, occorre investire perché la ricerca di fonti energetiche alternative sia più idonea e veloce.
Il principio è sempre quello: la salute è il bene più grande, forse l’unico che abbiamo; una lunga vita di buona qualità l’obiettivo per tutti. Ne parliamo con il Professor Marco Materazzi professore associato alla Scuola di Scienze e Tecnologie (Sezione di Geologia) dell’Università di Camerino. Docente di Geomorfologia applicata e Idrogeologia.
Professor Materazzi esiste una relazione fra cambiamenti climatici e salute?
Sicuramente sì. I cambiamenti climatici incidono su alcuni “indicatori” importanti come temperatura, umidità tipologia ed intensità delle precipitazioni e velocità del vento. Ognuno di noi sa, per esperienza personale, che per risolvere problemi di salute più o meno gravi viene ad esempio richiesto di trascorrere periodi in luoghi con clima più “asciutto” piuttosto che in altri caratterizzati da ridotte escursioni termiche diurne o stagionali. Pertanto è evidente che il trend climatico che stiamo osservando in questi ultimi decenni, fortemente orientato all’estremizzazione di queste condizioni (incremento delle temperature medie, marcate escursioni termiche diurne e stagionali, temporali di forte intensità spesso associati a intense raffiche di vento, aumento dell’umidità in relazione alla sempre più frequente presenza di masse d’aria di origine tropicale…), costituisce un fattore di rischio per la salute umana.
Quali sono i rischi per la salute umana legati ai cambiamenti climatici?
In realtà esistono rischi diretti e indiretti. I rischi diretti sono quelli legati agli eventi atmosferici. Colpi di calore o condizioni di afa, sono ricorrenti quando associati a masse d’aria di origine tropicale mentre il fenomeno della grandine, sempre più frequente, mette a rischio l’incolumità delle persone sia che si muovano a piedi o anche in auto. Anche il vento diventa un fattore di alto rischio. Le forti raffiche possono provocare incidenti ai pedoni o agli automobilisti ma possono provocare anche pericolose cadute di alberi; inoltre, quando associato a lunghi periodi di siccità, il forte vento può alimentare gli incendi boschivi che, spesso originati anche per cause (dolo o mancanza di attenzione) legate all’uomo, mettono a rischio la salute umana anche solamente per il peggioramento della qualità dell’aria. Su più ampia scala, fra l’altro, il fenomeno delle tempeste di vento (wind storms) sta diventando sempre più frequente; tutti ricordiamo il ciclone Vaia che nel 2018 colpì i territori del Veneto, Trentino, Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, coinvolgendo oltre 40,000 ha di territorio con la caduta di moltissimi alberi, ed è solo di qualche giorno fa la notizia di un fenomeno, simile, però su scala ridotta, in Liguria.
Poi ci sono le conseguenze indirette dei fenomeni atmosferici. Le piogge intense e/o prolungate possono innescare fenomeni franosi, come le colate di detrito che, essendo processi veloci e che si attivano senza evidenza alcuna, possono essere estremamente pericolosi; tali fenomeni fra l’altro si attivano spesso in aree precedentemente degradate proprio dagli incendi che distruggono la vegetazione di copertura. Eventi pluviometrici estremi come i “temporali autorigeneranti”, anch’essi sempre più frequenti provocano fenomeni alluvionali con corsi d’acqua che, anche per una gestione non corretta, non sono in grado di “sopportare” le enormi masse d’acqua prodotte; l’alluvione di Senigallia del 2022 e gli ultimi eventi che hanno coinvolto l’Emilia Romagna, che hanno causato vittime e disagi anche di carattere psicologico e sociale (quindi comunque legati alla salute della persona) sono solamente gli ultimi di una lunga serie.
Quali azioni possono essere messe in campo per mitigare questi effetti sulla salute umana?
Anche in questo caso bisogna parlare di azioni specifiche per le persone e di azioni dirette a mitigare gli impatti. Per quanto riguarda gli effetti diretti sulle persone, sta al personale medico suggerire comportamenti e rimedi volti a mitigare questo rischio, come organizzare le attività quotidiane per tener conto di condizioni climatiche sfavorevoli e tutelare le persone più fragili. Per quanto riguarda le conseguenze indirette si parla da anni di prevenzione per ridurre il rischio idrogeologico, con interventi sia strutturali (opere di difesa idrauliche o di sistemazione dei versanti) sia non strutturali (cambiamento delle tecniche agricole, manutenzione ordinaria e straordinaria dei corsi d’acqua, corretta pianificazione territoriale (ridurre la presenza stabile nelle aree a rischio elevato). Si parla però anche di “adattamento” ai cambiamenti climatici; una corretta informazione sui rischi e sulle norme comportamentali da osservare in caso di eventi catastrofici (al pari di quanto si fa per il rischio sismico) sarebbe sicuramente da prevedere ed incentivare.