Uccisa a bottigliate dal marito, era una mamma: il dramma dei figli delle vittime di femminicidio
Cinzia Luison è stata uccisa il 6 dicembre nella sua casa di San Stino di Livenza (Venezia) dal marito Giuseppe Pitteri, che ha confessato il reato nell'immediatezza del fatto: è stato lui che, dopo il delitto, ha chiamato la centrale dei Carabinieri dicendo di aver ucciso la moglie.
Giunti sul posto, i carabinieri - insieme ai soccorritori del 118 - non hanno potuto fare null'altro se non constatare il decesso della donna. L’uomo è stato tratto in arresto per omicidio aggravato.
Il movente è ancora al vaglio degli inquirenti, ma secondo le prime ricostruzioni, il delitto potrebbe essere scaturito da una lite per questioni di soldi: sembrerebbe che Pitteri, autista in pensione, avesse un problema di ludopatia, e per questo fosse affiancato da un amministratore di sostegno voluto dalla sua famiglia, per la gestione delle sue finanze.
La sua rabbia per l'impossibilità di attingere ai conti a lui interdetti, sarebbe sfociata in quella che gli inquirenti hanno definito "una violenza inaudita", emersa dai colpi inferti dall'uomo al volto della sua vittima.
La tragedia nella tragedia è che restano senza madre due figlie poco più che ventenni, e una delle due, nel rientrare in casa l’altro ieri, ha trovato la madre a terra ricoperta di sangue. Sotto shock, mentre il padre cercava di andarle incontro, è scappata per rifugiarsi da un vicino e chiedere aiuto.
I figli delle vittime di femminicidio, che spesso sono testimoni oculari dell’omicidio stesso, devono affrontare traumi psicologici e fisici importanti. Perdere un genitore di per sè segna la vita, ma perdere la propria madre perchè uccisa dal proprio padre è un trauma nel trauma.
Sono loro le vittime che dovranno fare i conti con il dolore e la rabbia, la solitudine, le notti in bianco, con lo stravolgimento dello stile di vita, l’allontanamento dalla propria abitazione, spesso con le difficoltà economiche, e imparare giorno per giorno a sopravvivere per reinventarsi un nuovo futuro.
A livello normativo, la legge n. 4 dell’11 gennaio 2018, (e in seguito la legge di bilancio 2019 e il Decreto 21 maggio 2020, n. 71) oltre a prevedere una tutela processuale ed economica per i bambini e i ragazzi rimasti soli dopo l'uccisione della madre da parte del padre, per la prima volta ha affrontato anche i problemi quotidiani degli orfani della violenza domestica, prevedendo aiuti per l'assistenza medica e psicologica oppure per "orientamento, formazione e sostegno" a scuola e nell’inserimento al lavoro.
Se un passo è stato fatto con la presa di coscienza, da parte dell’ordinamento giuridico, che lo Stato non può lasciare soli gli orfani di femminicidio, purtroppo da un punto di vista applicativo la norma presenta ancora diverse criticità: accedere agli aiuti previsti è molto complesso per via della burocrazia: condizioni limitanti, requisiti specifici, un iter burocratico che spesso neppure gli avvocati conoscono, tempistiche lunghe e impossibilità di avere un'immediata presa in carico della situazione da parte di servizi e strutture qualificate, anche con interventi psicologici di supporto sin dai primi momenti.
Come testimoniano le storie e i racconti di questi figli, sono molti ancora i gap da colmare e su cui concentrare l’attenzione per poter rispondere efficacemente ai bisogni di queste giovanissime vittime, uno su tutti quello della gestione dell’emergenza.
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