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Lui è la vittima, la compagna condannata per lesioni: quando la violenza non è di "genere"

Lui è la vittima, la compagna condannata per lesioni: quando la violenza non è di "genere"

Torna l'appuntamento con la rubrica settimanale "La Strada delle Vittime", nella quale si affronta l'analisi della casistica criminale con approccio vittimologico. 

Lui, I.B., 45 anni, lei M.C. 48 anni, insegnante, entrambi italiani; lei ha deciso dopo circa sei anni di convivenza e una figlia nata dalla loro relazione, che non lo vuole più e quindi una sera, senza preavviso, lo spintona con violenza fuori dalla porta e si chiude in casa.

Sono già da tempo ai ferri corti. A distanza di pochi giorni la donna sporge querela, denunciando l’ex compagno per stalking e minacce. Lui imputato, lei la vittima.

Ma è andata proprio così? 

All’esito delle indagini non sembra. Anzi, innanzi al Giudice la situazione si è completamente ribaltata. Lui è stato prosciolto da ogni accusa mentre la donna è stata riconosciuta colpevole di due diversi episodi di violenza dall’autorità giudiziaria di Venezia, con l’accusa di lesioni personali ai danni dell’ex convivente.

In realtà gli episodi di aggressione da parte della donna erano stati numerosi e risalenti nel tempo.

I più violenti che hanno portato alla condanna della donna, e hanno costretto il quarantacinquenne a rivolgersi alle cure mediche, si sono verificati ben prima della loro rottura.

In una prima occasione la donna aveva colpito il compagno alla testa con un pugno, utilizzando un grosso mazzo di chiavi per rendere l’impatto più violento, tanto da provocargli una lesione dell’arcata sopraccigliare.

Il secondo episodio denunciato dall’uomo, difeso dal noto penalista avv. Alessandro Menegazzo del foro di Venezia, lo ha visto vittima di un’aggressione da parte di lei conil ferro da stiro bollente, che, compresso contro la schiena e contro un braccio, gli ha provocato ustioni di secondo grado.

La donna, non affetta da alcuna patologia, oltre ad aver perpetrato tali forme di violenza fisica, dopo la separazione ha violato per almeno 5 anni l’ordine del giudice di far vedere la bambina al padre: di fatto gli impediva di vedere e tenere con sèla figlia con le modalità preveste dal decreto del tribunale. Tali episodi sono oggetto di un altro procedimento tuttora in corso.

Mi chiedo, e chiedo all’Avvocato Menegazzo, quali siano le ripercussioni sulla figlia minorenne della coppia: “La ragazzina” spiega l’Avvocato, “sensibile, intelligente e brava a scuola, appena ha avuto la possibilità di decidere, è andata a vivere con il papà. Il fatto che una ragazzina di 15 anni scelga di vivere con il padre è già di per se indicativo delle sofferte dinamiche familiari violente, procurate dalla madre”.

Quando alla base della decisione di commettere un reato c’è l’appartenenza di un soggetto ad un genere piuttosto che ad un altro si parla di violenza di genere. Ma quando, come in questo caso, è presente l’elemento relazionale la questione del genere diventa irrilevante. Non è “violenza di genere” ma "violenza relazionale”: la criminogenesi va individuata nella relazione tra i due.

In questo, come in molti altri casi, spesso trascurati dall’opinione pubblica ma non per questo trascurabili, in cui l’uomo è vittima della donna, la violenza non è frutto di una “cultura di genere”, ma di un disequilibrio interno alla coppia.

Ogni giorno si sente parlare di donne violentate, perseguitate e uccise tra le pareti domestiche. Eppure accanto a questa realtà ne esiste un’altra più taciuta perchègli uomini, a causa dello stereotipo di virilità e della quasi certezza di non essere creduti, spesso non denunciano: la violenza che le donne agiscono sugli uominiè soprattutto psicologica ed economica, ma, in casi come questi, anche fisica. 

 

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