La Strada delle Vittime: perchè la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della difesa di Bossetti?
Torna l'appuntamento con la rubrica settimanale "La Strada delle Vittime", nella quale si affronta l'analisi della casistica criminale con approccio vittimologico.
Yara, 13 anni, era scomparsa da Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, il 26 novembre 2010.
Il giorno della scomparsa aveva frequentato il corso di ginnastica ritmica nel centro sportivo del paese, che dista non più di 700 metri dalla casa in cui viveva con i suoi genitori.
I suoi genitori, non vedendola rientrare, hanno immediatamente dato l’allarme e sonoscattate le indagini, ma il corpo della povera Yara fu ritrovato casualmente solo dopo 3 mesi, abbandonato in un campo a Chignolo d’Isola, distante 10 chilometri da Brembate.
Il crimine è stato efferato: molteplici le ferite da arma da taglio sul suo corpo, una ferita più profonda al collo, numerosi i segni dei colpi ricevuti dalla ragazzina con una spranga ed un trauma cranico. Non furono trovati segni di violenza sessuale sul corpo. Secondo il medico legale, la morte della ragazzina è sopraggiunta a causa del freddo, dopo una lunga agonia, quindi in un momento successivo all’aggressione.
Il 16 giugno 2014 veniva arrestato Massimo Bossetti, un muratore di Mapello, incensurato.
Sul corpo di Yara era stata rilevata una traccia di DNA nucleare di un soggetto non identificato, definito “Ignoto 1”.
Si è giunti all’arresto di Bossetti proprio tramite le indagini a tappeto nella Bergamasca, svolte per dare un’identità ad “ ignoto 1”, attraverso il prelievo “a tappeto” di materiale biologico tra gli abitanti della zona: il DNA nucleare di Bossetti era risultato sovrapponibile al DNA nuclere ritrovato sul corpo di Yara.
Nel 2015 si conclusero le indagini e Bossetti fu rinviato a giudizio come unico imputato.
Si aprì un lungo ed infuocato dibattito tra la difesa di Bossetti e l’accusa, sulla validità delle analisi biologiche effettuate e sui riscontri ottenuti.
Il 1º luglio 2016 la Corte d'Assise di Bergamo condannò Massimo Bossetti all’ergastolo per l'omicidio di Yara Gambirasio, sentenza confermata nel 2017 in Appello.
Il processo si è concluso nel 2018 con la condanna definitiva all'ergastolo per Bossetti.
Per spiegare l’origine fattuale della decisione della Cassazione del 13 gennaio scorso, riportiamo le parole del Prof. Novani che dal luglio 2014 è entrato a far parte della difesa di Bossetti. In un’intervista spiega in modo semplice:
“A novembre 2019 abbiamo proposto un’istanza con cui abbiamo chiesto di poter vedere e analizzare i reperti da cui è stato estratto il dna di Ignoto 1. Questo perché nessuno ce li ha fatti non dico analizzare, ma neppure vedere per tre gradi di giudizio. Inoltre, abbiamo chiesto di poter visionare il materiale biologico: per anni ci è stato detto che era consumato. La cosa eccezionale è che il presidente del tribunale di Bergamo ha emesso un provvedimento in cui ha autorizzato tutto. Al che, abbiamo chiesto quando e dove poter visionare il materiale, ma lo stesso presidente del tribunale ci ha risposto che tutto quel che è stato prelevato dagli indumenti di Yara è sotto confisca, e che dunque non avremmo potuto fare niente. A quel punto abbiamo presentato due ricorsi in Cassazione, e la Suprema Corte ci ha dato ragione.”
La Suprema Corte ha deciso di concedere alla difesa del condannato l’esame dei 54 reperti del caso, tra cui il fantomatico DNA di ignoto 1.
L’ articolo 111 della Costituzione stabilisce che nel processo penale la prova si forma nel contraddittorio delle parti.
E’ possibile che una prova importante come quella del DNA entri nel processo senza un contraddittorio tra le parti? Pur nell’attesa del deposito delle motivazioni della Suprema Corte, sembrerebbe che la Cassazione, accogliendo il ricorso dei legali di Bossetti, abbia risposto: “no”. Ciò non significherebbe, a prescindere, voler contestare il percorso fatto della giustizia penale per accertare la colpevolezza del Bossetti, ma riaffermare il diritto di ogni imputato a che ciò avvenga secondo il rispetto delle forme del processo penale e delle garanzie costituzionali.
A volte il cittadino comune rimane piuttosto frastornato da tutte queste sentenze. Quello che in fondo rimane chiaro è la fine tragica di questa povera bambina e il grido del suo “aguzzino” che si professa innocente e continua a chiedere la revisione del processo, con argomenti che sembra non siano considerati privi del tutto di fondamento.
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