Da Camerino una delle storie italiane più inquietanti: l’omicidio dei coniugi Gabriele
Torna l'appuntamento con la rubrica settimanale "La Strada delle Vittime", nella quale si affronta l'analisi della casistica criminale con approccio vittimologico. Di seguito proponiamo il caso di questa puntata.
Una famiglia dell’alta borghesia romana nel 2002 è stata distrutta da un atroce delitto. Elena e Gaspare Gabriele, docente in pensione lei, commercialista lui, avevano cresciuto con amore ed estrema cura e dedizione i loro due figli: Laila, la maggiore, che già da tempo viveva a Milano con il marito, ed Aral, 27 anni al tempo dei fatti, sul quale si concentravano le attenzioni della coppia.
Aral, laureando in legge all’Università di Camerino, volontario per il servizio civile presso un centro per disabili, veniva descritto da tutti come un ragazzo gentile e sensibile.
Il 22 marzo del 2002 il ragazzo, che abitava nell’appartamento al piano superiore del lussuoso edificio in cui vivevano i genitori, preoccupato perchè non li vedeva da due giorni, è sceso a cercarli: terribile, a suo dire, la scoperta che ha fatto varcando la soglia della loro camera da letto: due sacchi neri ai piedi del letto, con la forma inequivocabile di corpi umani, a terra. Una telefonata alla sorella: "Papà e mamma sono nei sacchi”.
Gli inquirenti si misero subito al lavoro: nessun segno di effrazione nell’appartamento, tutto era perfettamente in ordine, nulla era stato rubato o spostato. Nessun segno di colluttazione. Nessun elemento ha parlato della presenza di un terzo estraneo nell’abitazione.
Le analisi svelarono che marito e moglie erano stati narcotizzati con un potente sonnifero e avevano trovato la morte per soffocamento in quei sacchi di plastica della spazzatura.
Intercettate le conversazioni tra Aral e la sorella, fu proprio da esse che emerse l’elemento chiave, quello che per gli investigatori e per la pubblica accusa era stato il movente: Aral aveva raccontato una menzogna ai suoi genitori, era sul punto di laurearsi. Ma la realtà era diversa: tutti quegli esami conclusi brillantemente a Camerino non erano davvero mai stati sostenuti e la richiesta di tesi non era quindi mai avvenuta.
Aral aveva alterato il libretto universitario mentre il padre, pieno di aspettative per quell’evento, sulla sua agenda già da tempo trascriveva i presunti successi del figlio.
Un’impronta rinvenuta all’interno di uno dei due sacchi neri contenenti i corpi, che si è accertata essere stata lasciata da una scarpa di Aral, ha confermato i sospetti degli inquirenti ed ha aperto le porte del carcere al ragazzo che, nel 2005, è stato condannato a 28 anni per l’omicidio premeditato dei genitori. Ad oggi dal carcere Aral continua a professarsi innocente.
La risposta al perché di un atto così estremo risiede nella storia personale di ogni figlio assassino. Non bisogna necessariamente andare alla ricerca di un evento traumatico.
“La violenza generalmente è l’atto finale di qualcosa che non ha funzionato nello sviluppo relazionale” spiega una neuropsichiatra infantile. Un figlio che non ha il coraggio di affrontare le conseguenze delle sue mancanze, delle sue bugie, scegliendo di eliminare invece i genitori, è un figlio che preferisce eliminare i testimoni della sua debolezza e fragilità, quasi a tentare di negarle anche a se stesso.
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