Da Gian Mario Mercorelli, consigliere comunale del Movimento 5 Stelle di Tolentino, riceviamo:
Periodicamente, in occasione degli ormai annuali tagli ai servizi sanitari di cui possiamo usufruire, si riaccende il dibattito sulla riorganizzazione della sanità della nostra regione, dibattito in cui si levano le voci sdegnate anche di chi sapeva benissimo da tempo cosa stesse per succedere: la riduzione dei posti letto (portati a 3,7 ogni 1000 abitanti) e la contestuale chiusura dei piccoli ospedali iniziano infatti nel 2012 con il decreto legge 95/2012, quello della “Spending Rewiev” del governo Monti. A seguito di questa legge la regione Marche elabora una riforma generale del sistema sanitario regionale emanando la Delibera di Giunta Regionale 735/2013, in seguito modificata più volte. Di fatto questa riforma regionale non trova alcuna applicazione per due anni (forse perché erano in vista le elezioni regionali? Quanti cittadini avrebbero dato il loro consenso all’attuale amministrazione regionale conoscendo il destino riservato alla sanità?) se non in maniera molto limitata e solo in alcuni territori, ma porta in maniera generalizzata a un impoverimento dei servizi sanitari che mano a mano vengono chiusi in nome della riforma regionale, senza però portare un vero rinnovamento e un’attivazione di servizi territoriali in rimpiazzo dei servizi ospedalieri che vengono soppressi. Nel frattempo, a livello nazionale, a seguito del DL 95/2012, il governo Letta tramite il Ministero della Salute concerta con le regioni il nuovo “Patto della Salute”, un documento di pianificazione triennale sottoscritto dal governo e dalle regioni. Il patto della salute 2014/2016 vede la luce il 1/7/2015 e al suo interno vengono pienamente ribadite le indicazioni del DL “Spending Rewiev”, questa volta con l’impegno delle regioni, quindi anche della Regione Marche, di rispettare e portare a compimento la riduzione dei posti letto e la chiusura delle piccole strutture entro il 2016. Ad esempio, un reparto di cardiochirurgia deve avere un bacino di utenza di 1,5 milioni di abitanti (quindi nelle Marche ne possiamo avere solo uno), un reparto di ostetricia deve avere un bacino tra 150.000 e 300.000 abitanti e via dicendo per tutte le specialità: si deve, in sostanza, per ogni reparto, fornire un numero minimo di prestazioni affinché esso possa rimanere aperto, quindi se tieni un reparto in una struttura sei chiamato a chiuderlo nell’altra. Chi oggi promette di mantenere aperto l’ospedale di Tolentino così come gli altri piccoli ospedali o è disinformato o, peggio, sta spudoratamente mentendo ai cittadini con il solo fine di averne un guadagno dal punto di vista elettorale. Ricordiamo che, all’epoca, l’amministrazione regionale PD guidata dal Governatore Spacca, l’assessore alla Salute Mezzolani, il Presidente V Commissione Consiliare (sociale e sanità) Comi e tutte le opposizioni erano al corrente di tale Patto e delle ripercussioni che avrebbe avuto su tutto il territorio regionale. Ora l’attuale amministrazione PD guidata da Ceriscioli ben si guarda dal prendere le distanze da quanto dovrà andare a regime dal 2016, tanto che recentemente il Direttore del Servizio Salute della Regione Piero Ciccarelli, a mezzo stampa, ha comunicato che entro fine anno tutti i piccoli ospedali verranno trasformati in Case della Salute come previsto dalla DGR 735. L’accelerazione attuale peggiora ancor di più le cose: il nostro territorio è morfologicamente complesso e i collegamenti non sono di certo rapidi (non siamo la pianura padana) e le aree montane e dell’entroterra hanno subito un forte squilibrio a livello di servizi sanitari rispetto alle aree costiere. Le aree interne, di fatto, denotano una carenza di servizi di cui i cittadini si accorgono ogni giorno e che spesso ha fornito alla politica un argomento per fare incetta di voti senza ovviamente mai migliorare la situazione. Sarebbe stato necessaria un’opera di concertazione con i Sindaci per differenziare le offerte dei servizi secondo le esigenze territoriali, perché forse sarebbe stato necessario mantenere qualche struttura ospedaliera o Pronto Soccorso dove oggi vengono chiusi. Ed è mancato un attento studio statistico sull’affluenza e sulle esigenze sanitarie della popolazione tale da permettere di stilare un piano di riordino sostenibile pur mantenendo gli impegni e le esigenze di bilancio. Di fatto il cammino è obbligato per quanto riguarda la chiusura dei piccoli ospedali, ma questo ovviamente non scagiona i governanti dalla colpa di non essere riusciti, negli anni, a mantenere dei servizi adeguati per i cittadini delle aree interne, sopprimendo semplicemente reparti per ottenere un risparmio economico senza sostituirli con servizi non ospedalieri ma territoriali che avrebbero garantito una continuità di assistenza e cure ai cittadini, pur di fronte a un cambio culturale importante. E’ inutile togliere a una struttura la qualifica di ospedale per chiamarla “Casa della Salute” se non nascono contestualmente i servizi necessari ai bisogni della salute dei cittadini: è semplicemente una presa in giro che offende l’intelligenza dei cittadini. Se i medici di medicina generale ( medici di base) o la continuità assistenziale (guardia medica) non verranno riorganizzati e non garantiranno un presidio efficace all’interno delle future “case della salute”, i disservizi e l’obbligo per i cittadini di prendere la macchina e spostarsi verso i poli ospedalieri (che necessariamente si intaseranno) saranno automatici. Per inciso, ci chiediamo se siano stati chiusi gli accordi sindacali con i medici di base proprio nell’ottica di ottenere una loro collaborazione, altrimenti il pericolo è quello procedere alla riorganizzazione navigando a vista e senza avere le risorse necessarie affinché i nuovi servizi funzionino realmente. La già critica situazione sanitaria regionale ha visto negli ultimi anni un decadimento senza precedenti: senza considerare i “deliri” dello Stato centrale (che, tanto per fare un esempio, trova 6 miliardi di euro per costruire una nuova portaerei ma poi taglia gli esami clinici sovvenzionati), l’incapacità locale di fare economia laddove possibile (avete idea di quanti dirigenti siano presenti nella pianta organica della sanità regionale?) e l’assenza di capacità organizzativa e di conoscenza del territorio non garantiscono ai cittadini i servizi e le sicurezze per i quali pagano fior di tasse ma, soprattutto, li mettono in pericolo, perché è vero che i conti devono essere a posto, ma è vero anche che di “malasanità” si può morire.
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