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Vajont, 9 ottobre 1963: 1917 morti, 487 bambini. Ora come allora le stragi del profitto

Vajont, 9 ottobre 1963: 1917 morti, 487 bambini. Ora come allora le stragi del profitto

Le chiamiamo "stragi del profitto". Ora come allora, la strage di Rigopiano, il crollo del ponte di Genova, parlano di negligenze, omissioni,incuria, errori causati dal perseguire il profitto a tutti i costi, a scapito dell’ambiente e delle vite umane.

59 anni fa, milioni di metri cubi di roccia e terreno si  staccarono dal monte Toc, al confine tra Veneto e Friuli, finendo nel lago artificiale creato dalla diga del Vajont. Un’onda impressionante ha sollevato 80 milioni di metri cubi di acqua travolgendo i paesini di Erto e Casso e poi quelli del fondovalle veneto, tra cui Longarone.

Prima della furia dell’acqua un terribile boato, poi uno spostamento d’aria paragonabile quasi all’effetto di una  bomba atomica che ha investito e ucciso le persone per strada, quegli stessi abitanti che avevano preannunciato i rischi e la pericolosità idrogeologica senza mai smettere di manifestare i propri timori. Inascoltati. I loro cadaveri trasportati dall’acqua, straziati.

Fu aperta un’inchiesta. Giudice istruttore nell’ inchiesta penale per i responsabili del disastro del Vajont  fu il marchigiano dott. Mario Fabbri. Senza di lui, senza la sua tenacia, si sarebbe forse parlato di una catastrofe naturale e non del “disastro prevedibile e imminente causato dall’ avidità dell’uomo”.

Poco più che trentenne, nato a  Macerata, gli abitanti del posto lo chiamavano " il nostro giudice". La sua onestà intellettuale, il suo rigore professionale gli fecero costruire un’  istruttoria il cui impianto ha resistito per tutti i tre gradi di giudizio; ben 500 pagine, un lavoro durato quattro anni. Durante le indagini, non convinto dell' imparzialità di una perizia sulle cause della frana, decise di nominare un nuovo collegio di periti. Le nuove relazioni non lasciarono dubbi: la catastrofe era prevedibile.

Tra grandi difficoltà e pressioni di ogni genere, l’irremovibilità  del giudice portò al rinvio a giudizio di undici persone tra dirigenti della Sade (Società Adriatica di Elettricità), progettisti e tecnici. In Cassazione furono condannati in via definitiva solo alcuni degli imputati, con pene più lievi di quelle da lui richieste.

La memoria di questa tragedia dovrebbe essere una lezione per il presente; ad oggi sembrerebbe una lezione colpevolmente inascoltata.

 

 

 

 

 

 

 

 

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