di Valeria Re
Da Riserva a "Castelli di Jesi Docg": l'Imt cambia le regole per l'élite del vino (VIDEO e FOTO)
Martedì 18 novembre, presso il ristorante "Marcello" di Portonovo, si è tenuto il primo di una serie di incontri finalizzati alla divulgazione dei nuovi provvedimenti introdotti dall'Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) e rivolti a giornalisti e professionisti del settore. Il tema centrale degli appuntamenti è quello degli scenari evolutivi della denominazione, modificata con l'obiettivo di conferire maggior risalto al nome del territorio: il cambiamento attuato prevede il passaggio da Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Docg a Castelli di Jesi Docg, senza quindi dover specificare il tipo di vitigno. Si tratta di una scelta volta alla valorizzazione della località e alla produzione di un vino di élite, che prevede anche tempi di distribuzione drasticamente inferiori rispetto ai canonici diciotto mesi richiesti per il Verdicchio, con possibilità di messa in consumo a partire dal mese di marzo: un percorso intrapreso con l'intenzione di accrescere il valore della territorialità e di ciò che essa rappresenta nell'ambito dell'industria vinicola, espandendo la base produttiva nel mantenimento di una eccellenza qualitativa. Michele Bernetti, presidente dell'Istituto marchigiano di tutela vini, ha affermato che "l'obiettivo è quello di dare evidenza alle migliori produzioni che derivano dalla zona dei Castelli di Jesi, una zona storica di produzione vinicola già in precedenza differenziata all'interno della struttura delle denominazioni con il Castelli di Jesi Verdicchio Riserva, insignito della denominazione di origine controllata e garantita, la cosiddetta Docg". Conclude: "Il nuovo disciplinare" - atteso al via libera nel 2026 - "consentirà di allargare la produzione e di presentarsi sul mercato con un certo numero di bottiglie che rappresenteranno il vertice all'interno della piramide della qualità nella zona dei Castelli di Jesi". "Dal 2011 ad oggi sono cambiate tante cose dal punto di vista tecnico, ma anche dal punto di vista metereologico e stagionale. Ad oggi, inoltre, il vino ha un appeal completamente diverso rispetto a tanti anni fa: bisogna sapersi adeguare al consumatore e alle sue esigenze. - ha dichiarato il direttore del Imt, Alberto Mazzoni - "Castelli di Jesi sarà sicuramente un emblema del territorio, perché non è circoscritto soltanto al discorso della denominazione, ma racconta tutto ciò che è legato a queste realtà e all'operato umano che è a esse correlato. Il nome del vitigno, Verdicchio, diventa facoltativo, perché Castelli di Jesi avrà una versione più 'giovane': già da marzo si uscirà con la tipologia ordinaria, senza aspettare i tempi di invecchiamento. Questo è un aspetto importantissimo, dal momento che un prodotto con un invecchiamento di 18 mesi comporta investimenti folli da parte delle aziende, oltre che un significativo limite per gli amanti del vino di pronta beva, consumabile già da marzo". Il prossimo incontro, su invito, si terrà il 1° dicembre, con un grande evento degustazione presso la Rotonda a Mare di Senigallia, a cui prenderanno parte 17 aziende Imt, sommelier e ristoratori delle Marche. A seguire, il tour proseguirà a Roma con le masterclass del 6 dicembre e del 26 gennaio - rispettivamente in collaborazione con l'Associazione italiana sommelier e con la Fondazione italiana sommelier - per poi concludersi con la masterclass di Bologna del 22-24 febbraio 2026 in occasione della fiera Slow Wine.
Macerata, Delsa celebra la nuova collezione 2026: "In ogni pizzo l'evoluzione della femminilità" (FOTO e VIDEO)
Domenica 16 novembre il Teatro la Filarmonica di Macerata ha indossato il bianco per celebrare il Gran Galà delle Spose firmato Delsa. Luci viola e musica elettronica hanno fatto da sottofondo ad un evento che ha raccontato la storia dell'azienda e la trasformazione dell'abito da sposa dagli anni '60 fino ai giorni nostri: una metamorfosi che sembra riflettere e incarnare artigianalmente quella della femminilità stessa. La serata si è aperta con una sfilata dei cavalli di battaglia di Delsa: abiti rétro, dai tagli morbidi e dal sapore vintage, intramontabili e ancora attuali. La raffinatezza dei bustini a frange in stile Charleston e dei modelli boho è stata poi soppiantata dall'accattivante e contemporanea collezione "Appassionante", pensata per l'anno 2026. Si tratta di un debutto in grande stile, che vede l'assortimento di elementi audaci e al tempo stesso eleganti: il guanto a manica lunga viola abbinato al classico abito "a principessa", il filo di perle geometrico e moderno che svetta su un corpetto che strizza l'occhio alla moda ottocentesca. La passerella si è conclusa con la sfilata delle spose Delsa del 2025 e con l'unanime applauso alle vere protagoniste dell'evento, ossia le sarte e le modelliste che hanno contribuito alla creazione di meravigliose opere d'arte in pizzo, raso, chiffon e strass. Il trio musicale Appassionante ha accompagnato un valzer di chiusura sulle note di arie tratte dal Rigoletto e da La Traviata, per poi proseguire con un concerto serale dopo la pausa ristoratrice del buffet, servito nell'atrio della Filarmonica. "Delsa è stata fondata nel 1969 da mia mamma, Maria Cristina Craglia, che essendo donna ha dovuto affrontare un percorso molto arduo e pieno di ostacoli legati alla cultura del tempo - ha dichiarato Gianluca Salvucci, direttore creativo dell'azienda - Madre di cinque figli e imprenditrice, con il nostro aiuto è riuscita a cavalcare l'onda dell'economia italiana fino a conquistare i mercati nazionali e internazionali. Oggi siamo qui riuniti per celebrare la nuova collezione 2026, ispirata all'evoluzione della femminilità in tutte le sue forme, che si esprime in ogni abito, in ogni ricamo, in ogni pizzo, cercando così di realizzare quello che è il nostro principale obiettivo, e cioè andare incontro ai gusti delle spose di oggi". Ospite della serata, Eleonora Venturini Storaro, giovanissima e promettente stilista specializzata nell'ambito del corsetto di alta fattura: un elemento raffinato e rétro che negli ultimi anni sta tornando a calcare le passerelle delle più importanti case di moda, comprese quelle specializzate negli abiti da sposa. Si tratta di un capo senza tempo che arricchisce outfit di qualsiasi tipo, da quelli casual a quelli eleganti, a seconda dell'effetto che si vuole ottenere - uno stile talvolta più gotico, talvolta più ricercato e chic. Ed è proprio Delsa a mostrare come questo indumento possa essere estremamente versatile anche quando abbinato all'abito più elegante di tutti, quello da sposa: il corpetto rientra a pieno titolo tra i capi indispensabili per chi desidera conservare uno stile sobrio, sofisticato e al contempo esclusivo. Si tratta del perfetto connubio sartoriale tra tradizione e innovazione. Le dichiarazioni di Gianluca Salvucci lasciano trapelare l'ipotesi di una collaborazione con la fashion designer, nipote del pluripremiato maestro di fotografia Vittorio Storaro: "Eleonora è una professionista preparata e capace, e noi abbiamo sempre cercato giovani leve all'avanguardia, che sappiano guardare il mondo con ottimismo ed entusiasmo, esattamente come fa Delsa".
Corsi di perfezionamento per insegnanti: un business fuori controllo
Abilitazioni costosissime e a numero chiuso, corsi informatici e linguistici, master aggiuntivi per perfezionare le proprie conoscenze, un concorso che dovrebbe garantire l’accesso ad un impiego a tempo indeterminato ma che, in realtà, costituisce l’ennesima falla di un sistema alimentato dalla disperazione di persone che farebbero di tutto pur di lavorare. Si tratta del mondo dell’insegnamento, lo stesso cui un tempo si poteva accedere con un diploma e, nella peggiore delle ipotesi, con un concorso. Era semplice: si studiava e poi si entrava a lavorare. Cosa è cambiato da allora? Innanzitutto, si è acquisita la consapevolezza che, per impartire insegnamenti e per empatizzare con gli studenti, studiare non è sufficiente. Un bravo insegnante deve sì padroneggiare la sua materia, ma anche saper cogliere le diverse sfaccettature all'interno di un’aula: dall’alunno con una situazione familiare difficile, fino a quello con bisogni educativi speciali. Parallelamente a questo, è cambiato il ruolo: un tempo si trattava di un posto "comodo", con il contratto a tempo indeterminato, le tanto invidiate ferie e il prestigio della cattedra, dove c'era la possibilità di usare la bacchetta. Tuttavia, a quel sistema basato sul terrore e sulle ginocchia nude sul grano, è subentrato uno più virtuoso, fondato sull’autorevolezza e sulle note disciplinari. Fin qui, nulla di sbagliato, se non fosse che ad oggi sono gli stessi insegnanti a dover tornare sui banchi da eterni studenti. I corsi da frequentare e gli esami da sostenere per iniziare ad esercitare la professione sono obbligatori e a pagamento. Il costo dei cosiddetti "percorsi abilitanti", fondamentali per accedere alla prima fascia delle graduatorie provinciali per le supplenze (GPS), si aggira intorno ai 2.500/3.000 euro: una cifra piuttosto alta, se si pensa al fatto le persone che vi accedono sono costituite principalmente da studenti e neolaureati, categorie prive di una solidità economica per antonomasia. Se una buona parte di essi, però, sa di poter contare sul sostegno finanziario della propria famiglia, alcuni ne restano inevitabilmente esclusi. È una selezione tutt’altro che naturale, piuttosto pecuniaria. Si tratta di un ingranaggio inceppato già in partenza, a cui si aggiungono tuttavia altri elementi determinanti nel renderlo ancora più discriminatorio e penalizzante nei confronti dei meno abbienti. Dal momento in cui i costosissimi percorsi formativi per l’insegnamento sono praticamente indispensabili per iniziare a lavorare con una certa continuità e che tutti gli aspiranti docenti devono averli frequentati e superati, l’unico modo per salire in graduatoria e avere così maggiore probabilità di essere contattati dalle scuole è raggiungere un punteggio più alto rispetto ai propri colleghi. E qui subentra l’ennesima strategia di lucro da parte delle università (siano esse pubbliche o private) e dei vari istituti di alta formazione: corsi di perfezionamento da centinaia o addirittura migliaia di euro, certificazioni informatiche e linguistiche, specializzazioni aggiuntive che si rivelano in realtà l’ennesima speculazione su concetti triti e ritriti. Gli stessi esami da superare all’interno di questi “approfondimenti didattici” sono dei veri e propri pro forma - il più delle volte, si tratta di test a risposta multipla ripetibili fino al superamento della prova. Insomma, il meccanismo è chiaro: più si paga, più si ha la possibilità di lavorare. Non è una questione di competenze attinenti alla professione o alle specifiche classi di concorso perché, nell’attuale ordine delle cose, tutto fa brodo: il professore di latino, così come quello di educazione fisica, ottiene ben 6 punti in più con un livello C2 (il più alto che si possa raggiungere) in una lingua straniera, 12 punti con un anno di servizio civile (sta al lettore cercare di immaginare in che modo questa attività possa essere attinente all’ottenimento di una cattedra), 2 punti con strampalate certificazioni informatiche in cui agli “studenti-insegnanti” viene spiegato il funzionamento di un tablet e di una lavagna multimediale - e qui è importante ribadire che i principali destinatari di questo genere di contenuti sono giovani leve perfettamente in grado di utilizzare autonomamente un dispositivo elettronico. Stando così le cose, non sarebbe certo un’esagerazione parlare di «industria scolastica», un apparente ossimoro che in realtà definisce l'innegabile e fattuale degenerazione del mondo dell’istruzione, in cui alla padronanza della materia si antepone la disponibilità a esborsare cifre discutibili in cambio di punti extra per garantirsi la scalata delle graduatorie. Ancora una volta, però, la colpa non è da ricercare in chi cavalca la crisi del mondo scuola cercando di trarne profitto, né tantomeno in coloro che si adeguano a un sistema che non hanno contribuito a creare: la responsabilità, l’unica, è dello Stato e del Ministero dell’Istruzione, ai quali spetta il compito di risanare i danni provocati negli ultimi anni. Se davvero si trattasse di competenze necessarie all’esercizio della professione, e non di mere strategie di marketing finalizzate a speculare sulle speranze dei giovani e delle loro famiglie, basterebbe rendere i corsi accessibili a tutti: abbassarne i prezzi e far sì che le istituzioni coprano parte delle spese organizzative, introdurre l’opportunità di frequentare alcuni di questi insegnamenti durante i rispettivi percorsi universitari, includendoli così nella consueta tassazione annuale. Le possibilità, a ben pensare, sarebbero molteplici. Resta da chiedersi, dunque, se le ultime riforme scolastiche siano realmente rivolte al benessere del corpo docente e degli studenti, o non piuttosto al solo interesse delle istituzioni stesse.
Il caso «Circolo Tennis» di Amandola: "Avvisati dello sgombero solo via PEC"
Nella città di Amandola, da qualche settimana a questa parte, non si discute d'altro: il noto circolo di tennis «Il Principe» situato in via Zoccolanti è stato momentaneamente chiuso. A quanto pare, l’amministrazione comunale avrebbe esortato la direzione del club a sgomberare i locali in vista di una nuova gara di affidamento. Il sindaco Adolfo Marinangeli ha rilasciato delle dichiarazioni che sembrano non lasciare adito ad alcuna replica: ci sono delle carte e degli atti che parlano chiaro e che andrebbero rispettati. Ma bisogna sempre ascoltare anche l'altra campana. Il dottor Stefano Ripani, presidente del circolo da sedici anni, ha acconsentito a far luce sulla questione, rispondendo ad alcuni degli interrogativi sorti nella comunità amandolese a seguito di un’intervista rilasciata dal primo cittadino a "Laprovinciadifermo.com" nei giorni scorsi, il quale ha dichiarato di non imputare a sé stesso nessun errore e di aver soltanto «cercato il dialogo». È vero: c’era una convenzione, e questa convenzione è scaduta il 31 dicembre 2024. Stando alle carte, però, non sarebbe la prima volta nella storia del Circolo Tennis, che anche in passato si era ritrovato a continuare la sua attività senza convenzioni in vigore, e tutto ciò senza la necessità di giungere a comunicazioni scritte o a inaspettate richieste di sgombero. Nelle precedenti occasioni, infatti, l'amministrazione si era limitata ad accordarsi con il direttivo del club per mantenere in funzione gli impianti sportivi nell'attesa della pubblicazione di un nuovo bando, garantendo così la normale prosecuzione delle attività tennistiche. Il sindaco Marinangeli avrebbe dichiarato che la scorsa estate, dopo essere stato messo al corrente dell'avvenuta scadenza della convenzione, aveva informato il direttivo del club. «In realtà, siamo stati noi ad aver comunicato all'assessore Mariani, con cui abbiamo sempre intrattenuto ottimi rapporti professionali, che il contratto era decaduto a dicembre 2024 - afferma Ripani -. Il sindaco non ci ha mai contattati in modo informale. La prima comunicazione che abbiamo ricevuto da parte dell’amministrazione comunale è stata una PEC risalente al 9 settembre, in cui ci veniva richiesto di far luce sulle tariffe applicate per l’affitto del campo e sulle relative modalità operative». Il primo cittadino ha parlato di prezzi «illegittimamente alzati»: è vero, i membri del Circolo avrebbero dovuto quantomeno consultare la Giunta comunale, come sancito dall'articolo 7 della convenzione. Peccato che, quando le tariffe sono state modificate, la stessa convenzione era già scaduta. «Per quanto riguarda la questione prezzi sapevamo già di essere in difetto, perché da contratto i prezzi devono essere stabiliti dalla Giunta. Le vecchie tariffe erano ferme da quando è stato introdotto l’euro. Per far fronte alle ingenti spese annuali - parliamo di circa 1.500 euro solo per l’utenza dell’acqua - ci siamo trovati costretti ad alzare il prezzo dell’affitto del campo da 3 a 5 euro». Il 6 ottobre, dopo essere stata informata dell’effettivo aumento dei prezzi, l'amministrazione comunale richiede lo sgombero della struttura: è la prima volta nella storia del Circolo Tennis di Amandola, fino a quel momento forte di una solida e tutt’altro che conflittuale collaborazione con il Comune. I membri del Circolo si adoperano per liberare gli impianti sportivi e trasferire le attività in una struttura coperta. Nella sua dichiarazione, il sindaco incalza sul fatto che normalmente «da ottobre a marzo i campi non vengono più usati» e si sofferma sull’invio di un messaggio fatto girare su Whatsapp, in cui i soci del club venivano informati dai membri del direttivo della chiusura dei campi all’aperto e del trasferimento presso il PalaTennis. A detta sua, dal messaggio in questione emergerebbe «che l’attività sportiva del tennis è sempre praticabile nella nostra città». Nessun danno, dunque? Tutt’altro: il presidente Ripani ha voluto precisare che, quando le condizioni metereologiche lo consentono, le attività all’aperto possono prolungarsi fino agli inizi di novembre e che l'improvvisa chiusura dei campi ha provocato il ritiro dal campionato di una squadra che avrebbe dovuto giocare in casa. Il PalaTennis, inoltre, non disporrebbe né di riscaldamento, né di spogliatoi: si tratta infatti di una struttura piuttosto recente e ancora incompleta, sulla quale lo stesso Circolo ha investito una notevole somma di denaro. Il rischio, dunque, di fronte a queste inattese ingerenze amministrative che lasciano presagire la possibilità di una gestione alternativa dei campi all’aperto, potrebbe essere quello di una discontinuità delle attività tennistiche: da una parte la struttura al chiuso, gestita ancora dal decennale Circolo secondo una convenzione che scadrà nel 2029, dall’altra l’impianto sportivo in via Zoccolanti. Veniamo ora alla spinosa questione della soluzione proposta da Marinangeli, ossia la proroga della convenzione per tutto il 2026, con possibilità di rinnovo di anno in anno. A sentire il sindaco, di fronte alla generosa prospettiva di un compromesso che avrebbe accontentato tutti, il direttivo del Circolo ha in realtà deciso di rifiutare inspiegabilmente l’accordo. «La nostra idea era quella di partecipare all'eventuale bando che sarebbe stato emanato dal Comune - dichiara Ripani -, ma pensavamo che avesse durata quinquennale proprio come in passato, invece ci è stata proposta una soluzione non esaustiva». Una convenzione annuale potrebbe effettivamente rappresentare una prospettiva difficilmente percorribile, soprattutto in vista di eventuali investimenti da parte dell’associazione. Inoltre, quale sicurezza ne deriverebbe per il personale del circolo? È a tutti gli effetti una soluzione temporanea, instabile e potenzialmente volubile. Ora che le dinamiche sono finalmente state chiarite e che tutte le parti interessate sono state chiamate in causa, c’è da chiedersi: perché mai l’amministrazione comunale si è mostrata così agguerrita nello sfrattare un’associazione efficiente e stimata dalla comunità? È d'uso comune, tra i sindaci, dimenticare di avvisare un proprio assessore dei provvedimenti che si intendono prendere in relazione alla sua sfera di competenza? Di fronte alla domanda sul perché Marinangeli potrebbe non gradire più la vecchia gestione dell’impianto, il presidente ha risposto: «Le motivazioni possono essere molteplici. Dico solo che dovremmo essere valutati sulla base di come gestiamo la struttura, e non di altre situazioni esterne e secondarie. Non vogliamo sollevare polemiche, ma continuare a svolgere il nostro lavoro con la passione di sempre. Se ci verrà data la possibilità, continueremo a farlo secondo le nostre usuali modalità».
La "scuola del merito": la falsa retorica della meritocrazia e le sue incongruenze
Quante volte vi è capitato di sentir parlare di qualcuno che, professionalmente parlando, «ce l’ha fatta» e di sentire pronunciare le parole «se l’è meritato»? Che cos’è realmente il merito? Un concetto oggettivo, calcolabile sulla base della dedizione dimostrata nell’affrontare la propria carriera, o forse l’ennesima illusione di una società che non vuole ammettere una verità brutale, e cioè che le differenze di status hanno ancora un peso determinante all’interno del mondo scolastico e lavorativo? Ormai è all’ordine del giorno sentir parlare di «eccellenze», di giovani leve che completano gli studi in tempi record e con risultati impeccabili, introducendosi senza alcuna difficoltà nel mondo del lavoro: lo stesso mondo che sembra invece così ostile e impraticabile per molti dei loro coetanei. Ed è qui che si crea una frattura, un messaggio velato ma inconfondibile: ad essere «sbagliati» sono coloro che non ce la fanno. L’inettitudine alla produttività e alla rapida ascesa sociale e professionale è una piaga da sanare, una stortura da raddrizzare. Ciò di cui non si parla, però, è l’ingiustizia del sistema che genera questi slogan gonfi di superomismo e di parole al miele verso i pupilli della cosiddetta «meritocrazia». Gli studenti che ottengono i migliori risultati scolastici sono, nella maggior parte dei casi, quelli provenienti da ambienti socioculturali favorevoli. Il fattore economico, così come la formazione dei genitori e il loro status occupazionale, sono solo alcuni dei molteplici aspetti da tenere in considerazione nei primi approcci alla scolarizzazione. Altri elementi incidenti e fondamentali nella formazione dei bambini e dei ragazzi sono strettamente connessi al territorio e alla disponibilità di risorse ritenute di vitale importanza nel favorire una continuità degli studi (per citarne solo alcune: biblioteche, scuole secondarie di secondo grado e università sufficientemente vicine o quantomeno collegate al paese di residenza). Lo dimostra uno studio INVALSI del 2010 relativo al calcolo di un indicatore dello status socio-economico-culturale (ESCS), secondo cui «gli allievi che vivono in condizioni di maggiore vantaggio economico, ma anche sociale e culturale, hanno migliori possibilità di conseguire risultati più soddisfacenti durante il loro percorso formativo». In poche parole, queste disuguaglianze generano un netto squilibrio nelle competenze richieste nei diversi livelli di istruzione. Il Rapporto Nazionale INVALSI del 2025 ha infatti dimostrato che gli studenti appartenenti al livello più basso dell’ESCS (quelli, cioè, provenienti da un ambiente più svantaggiato) tendono ad ottenere risultati peggiori rispetto ai compagni con ESCS alto. La stessa forbice si ripresenta nei dati legati alla dispersione scolastica implicita, con un rischio che, per coloro che crescono in una condizione socioeconomica sfavorevole, risulta più che doppio a conclusione del primo ciclo di istruzione e quasi doppio a conclusione del secondo ciclo. Proporzioni che si ripetono per i dati statistici delle cosiddette «eccellenze», che, specularmente, il più delle volte provengono dal novero degli studenti e delle studentesse appartenenti ad un ambiente avvantaggiato (28,1% rispetto a 13,7% nel primo ciclo di istruzione e 18,7% rispetto a 7,9% nel secondo ciclo). Tutto questo, ovviamente, non deve essere ridotto ad una sommaria quanto generica retorica deterministica, ma serve comunque a prendere atto dell’effettiva incidenza delle disuguaglianze (siano esse etniche, sociali, culturali o economiche) nella formazione scolastica e lavorativa, e a riconoscere che la scuola del merito è una scuola ancora satura di contraddizioni interne e squilibri. Imparare a muoverci in un sistema basato sul privilegio mascherato da benemerenze, saper discernere il valore dallo status, riconoscere che spesso ciò che abbiamo raggiunto è il frutto di vantaggi invisibili che ad un primo sguardo ci appaiono scontati – l’avere a disposizione «una stanza tutta per sé», per usare le parole di Virginia Woolf, ma anche dispositivi informatici, una rete internet, un genitore che esorti a fare i compiti, la possibilità economica di rivolgersi privatamente ad un insegnante per recuperare una materia «dolente» – sono solo alcuni dei piccoli cambiamenti che possiamo adottare per iniziare ad essere consapevoli dell’effettiva incidenza che tutti questi aspetti possono avere sul percorso di ognuno di noi. Il cambiamento più decisivo, però, dovrà partire proprio dalle aule e dai banchi di scuola, attraverso la costante sensibilizzazione degli insegnanti e l’introduzione di politiche di sostegno volte a ridurre l’impatto dell’obsoleta forbice socioeconomica. Starà poi agli studenti saper dimostrare il loro vero merito.

cielo sereno (MC)



