La Strada delle Vittime, le parole di J-Ax ricordando Michele Ruffino: giovane vittima di bullismo
“Usate la rabbia inespressa per trasformarla in creatività come ho fatto io, invece di farla diventare depressione” : le parole del rapper J-Ax alle vittime di bullismo
Queste le parole di J-Ax, durante la trasmissione “Chi l’ha Visto” del 17 dicembre 2020, mentre in studio si affrontava il caso di un giovanissimo ragazzo, youtuber, Michele Ruffino, 17 anni, di Torino, morto per bullismo lanciandosi nel vuoto dal ponte di Alpignano (Torino) due anni fa.
Michele aveva lottato per vivere, sin da bambino, con tenacia e forza di volontà, senza mai smettere di sorridere, dopo che da piccolissimo gli fu diagnosticata una ipotonia agli arti superiori ed inferiori causata dalla somministrazione di un vaccino scaduto.
Michele a tre anni non poteva correre come gli altri bambini, non poteva giocare al parco con la sorellina, perchè faceva uno, due, tre passi, e poi cadeva. Sino a che, un giorno, Michele non cade più: anzi, comincia a correre verso la vita: Michele non era guarito, ma aveva imparato a gestire la sua difficoltà.
Michele non si sente diverso. Diventa un adolescente come tutti, desideroso di avere molti amici, di fare gruppo.
Un ragazzino da una spiccata sensibiità emotiva, forse generata proprio da quella malattia che l’aveva condizionato nella sua giovane vita, e che probabilmente, veniva vista come segno di debolezza da prevalicare, da colpire, da umiliare.
Purtroppo è stata la diseducazione dei suoi coetanei compagni di scuola a farlo sentire diverso, escluso, emarginato. E per questo ha sofferto. Tanto. Troppo.
Alle scuole medie i suoi coetani gli sputano addosso in palestra, lo chiamano handicappato. Lo allontanano e lui si chiude. Ma continua ad avere i sogni e le aspirazioni di un adolescente; si iscrive all’istituto alberghiero perchè desidera fare il pasticcere. Anche qui i compagni non sono migliori di quelli che ha lasciato alle medie: lo prendono in giro, gli urlano “vai a morire!”.
Michele è psicologicamente distrutto. Non deve lottare solo contro i suoi dolori fisici, che non l’hanno mai abbandonato, ma anche contro la stupidità e la cattiveria di quelli che avrebbe più di ogni cosa desiderato diventassero i suoi amici.
Questo ragazzo smette di combattere senza rendersene conto. Si chiude.
Quel giorno, il suo ultimo giorno di vita, Michele dopo aver pranzato con i genitori esce di casa dicendo che di li a breve sarebbe rientrato. Le ore passano. Il silenzio viene rotto in casa Ruffino da una telefonata dei Carabinieri che convocano i genitori in caserma.
La mamma ed il papa’ di Michele trovano ad accolglierli il Maresciallo che, con le lacrime agli occhi comunica loro :” Michele non c’è più”.
Una donna in macchina, in transito sul Ponte di Alpignano, testimonierà di aver visto quel ragazzo: aveva incrociato i suoi occhi. L’aveva visto tirarsi su il cappuccio, le cuffie alle orecchie, il lancio nel vuoto.
L’ultimo estremo tentativo di Michele di chiedere aiuto era stato quello di scrivere una lettera al suo unico amico, consegnandolo ad una compagna di classe perchè gliela recapitasse. “Tu sei l'unico dei pochi amici che avevo che mi aveva capito e sei l'unico che riesce a calmarmi e a riflettere sul senso della vita e anche come andare avanti sempre e in qualunque caso. Io ti ringrazio di tutto, ti voglio un bene dell'anima, ma è arrivato il momento di dirti addio, spero che non mi dimenticherai facilmente anche perché quando ti arriverà questa lettera, io non ci sarò più".
I compagni di classe avevano letto quella lettera. Avrebbero potuto allertare i genitori di Michele, gli insegnanti. Ma hanno scelto di lasciare Michele solo, ancora una volta, pur consapevoli che avrebbero potuto fare qualcosa per salvarlo, come testimonia l’audio di uno di loro diffuso da Chi l’ha visto : “Molto probabilmente faranno delle indagini e quindi quella lettera di cui sappiamo, è come se non esistesse, non deve esistere perché se scoprono, cioè se scoprono, che avevamo quella lettera ci possiamo andare nei ca**i, perché sarebbe omissione di soccorso, perché noi potevamo saperlo e quindi potevamo fermarlo. Fatevi i ca**i vostri. Ve l'ho spiegato in maniera tranquilla, adesso ve lo dico: fatevi i ca**i vostri.”
Le parole toccanti della mamma di Michele dovrebbero far riflettere molti : “In famiglia lo incoraggiavamo a rispondere al bullismo e alla violenza con educazione, a farsi scivolare tutto addosso, perchè non abbiamo mai insegnato l’aggressività, non ci appartiene “
Ed ancora “Persino dopo la morte Michele è stato preso in giro, sui social. Ho denunciato tutti, scuola compresa e un ragazzino che rideva di lui al suo funerale. Per i bulli di mio figlio non voglio il carcere, ma la rieducazione. C’entrano anche i genitori, che non educano più perché è più comodo dare un tablet in mano ai figli. Bisogna formare loro per primi. Mi dicevano che il problema era di Michele, che erano solo ragazzate».
Ragazzate! Con questo termine si etichettano problemi complessi che superficialmente si vorrebbe invece considerare semplici , immaturi atteggiamenti di non grande importanza. Questi atteggiamenti invece conducono all’annientamento della vittima che non riesce a ribellarsi e cede alla prepotenza cieca e sconsiderata, scomparendo da un mondo che, in realtà, non l’accetta davvero.
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