di Tamara Moroni
In un Referendum come quello di domenica prossima, 17 Aprile, che non è tra i più sentiti come ,ad esempio, quelli costitutivi di un diritto civile, ma relativo all'art. 6, promosso da 9 Regioni per l’abrogazione del comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, "Norme in materia ambientale", come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) promulgato dal presente Governo , e su una materia tecnica e complessa quale quella energetica, si ha la forte tentazione di disertare le urne e rimettere tutto in mano al Governo per non impegnarsi troppo nella libera formazione della propria scelta di voto. In questo caso, scelta resa meno vigorosa per gli effetti differiti nell’arco di alcuni anni, qualora , superato il quorum , e vinto il Si, di fatto, le estrazioni entro le 12 miglia dalla costa cesserebbero soltanto alla scadenza del contratto di concessione, eventualmente prorogabili previe nuove e approfondite indagini di impatto ambientale necessarie per ia semplice ragione che, l’istallazione delle piattaforme interessate risalgono ad anni precedenti l’introduzione delle norme sul rispetto d’impatto ambientale, e di conseguenza per le società petrolifere , farsi carico alla scadenza di contratto dei costi di demolizione degli impianti finora da essi sfruttati.
Tuttavia, l’interesse al Referendum in questione si è acceso nell’ultimo periodo , e, quale sarà il suo risultato, gli va riconosciuto il merito di andare oltre il singolo quesito referendario col porre l’attenzione su di un settore produttivo attraverso una migliore conoscenza a livello qualitativo e quantitativo degli impianti estrattivi presenti sul nostro territorio , e alla loro ricaduta in termini ambientali. Cosa ancora più importante, questa consultazione popolare ci investe direttamente a pronunciarci se volere o no mettere uno stop nel prossimo futuro per fare il punto sullo stato di salute del nostro mare, delle nostre coste, a seguito delle estrazioni di petrolio o gas degli ultimi decenni.
In un quadro così composito , s’inseriscono inoltre risvolti che toccano il sociale, con il lavoro che deriva da queste attività, e l’economia nazionale. Finisce allora, che il dibattito tra i sostenitori del SI e i fautori de NO, trova terreno di scontro tra i due diversi punti d’ osservazione , dove in uno prevale l’aspetto ambientale e collettivo, nell’altro quello più rivolto al fattore economico, col risultato di venire a trovarsi su un fronte contrapposto, pur avendo ognuno a riferimento quello che è il cosiddetto bene comune .
Da qui, l’appello degli uni a privilegiare e preservare il bene comune acqua, suolo, sottosuolo, terra, aria, fauna ittica, biodiversità, invitando a sfruttare piuttosto che le risorse fino ad esaurimento, questi elementi naturali quale patrimonio paesaggistico, agricolo, turistico, per generare sempre più imprese che grazie a questi lavorano e danno lavoro , a partire dallo smantellamento di quelle piattaforme entro le 12 miglia, obsolete e improduttive , nel mentre verrebbero potenziate e incentivate sempre più fonti energetiche rinnovabili; degli altri, la propensione a continuare l’attività estrattiva fino ad esaurimento dei giacimenti, e quindi, a dare più valore allo sfruttamento fino al depauperamento totale del bene comune presente nel sottosuolo.
E vengo al punto per cui scrivo. Indipendentemente dal dibattito filosofico e pragmatico portato avanti da eminenti personaggi , tra cui economisti, negli ultimi anni su cosa sia questo bene comune - uno per tutti il biologo Garrett Hardin , che già nel 1968 pubblicò nella r vista Science “ La tragedia dei beni comuni”, e la cui posizione è, in sintesi, che gli utilizzatori di una risorsa comune sono intrappolati in un dilemma tra interesse individuale e utilità collettiva da cui non è possibile uscire con soluzioni tecniche come può essere, ad esempio, l'incremento di produttività che, in definitiva, si risolverebbe in espedienti in grado solo di spostare il problema in avanti nel tempo, per cui l'ultima parola, secondo Hardin, spetta all'intervento di un'autorità esterna, lo Stato, che imponga la "coercizione" come sistema per evitare la "tragedia” attraverso soluzioni politiche e legislative che tutelino la salvaguardia dell'interesse e del bene della collettività , che viene prima di ogni altro diritto individuale- mi sono chiesta più e più volte in casi come questo : come è possibile, avere lo stesso sguardo rivolto al “ bene comune” e trovarsi in simile conflitto d’ interessi contrapposti? La mia risposta è stata: perché” il bene comune” è un concetto superato , non in grado di investire ogni cosa di significato comune. . Perché , “il bene comune “ non indica esattamente quale sia questo bene comune a tutti. In sintesi , perché “ bene comune” non è la misura per valutare quale sia il vero interesse generale. Ma allora, di quale concetto sostitutivo ci si può avvalere che possa mettere d’accordo tutti? Io l’ho trovato in questo: IL SENSO COMUNE.
Perché dotare qualcosa, qualsiasi cosa, di un significato comune reale e non astratto, vuol dire spostare l’ accento dal bene oggetto - materiale o immateriale - in sé, al soggetto presente e futuro che di quel bene comune gode e di cui non può fare a meno. In questa accezione di bene, non più comune ma di “senso comune” trovo conforto nel racconto di una storia tratta da un fatto vero e a cui lascio la parola nel dialogo riportato dal film “ Una casa sotto il cielo” , preceduta da una breve trama del film.
Negli anni ’50, uno scrittore americano, Eugene Carter, che aveva passato diversi anni in Italia da studente torna dieci anni dopo la fine della seconda guerra mondiale in cerca di spunti per il libro che sta scrivendo su testimonianze di vite difficili. A Galtelli, piccolo borgo sperduto tra le montagne del Nuorese, vive il protagonista di una di queste storie, Gaetano Piras, che all’età di sette anni viene portato in montagna dal padre, un pastore, per imparare il mestiere. Dopo cinque anni, ormai esperto, viene "venduto" ad un armentario, il Conte Casula, e diviene servo pastore. Il suo è un lavoro duro, durissimo, che consiste nel portare le pecore del padrone per i pascoli delle montagne, dormendo solo, e con un solo occhio, per mesi e mesi all’aperto, senza stipendio ma ricevendo in cambio del lavoro, dieci o dodici pecore all'anno quando andava bene. Nel 1925, Gaetano, che intanto si è sposato ed ha anche un figlio, e riuscito a mettere insieme un centinaio di pecore e si mette in proprio. Ma un giorno, in una località vicina al suo paese, viene rubato un gregge di proprietà di un certo Tolla. Un dipendente di questi dichiara ai carabinieri di aver sentito dire che il furto e stato commesso per incarico del Conte Casula, l'ex-padrone di Gaetano. Indignato per questa ingiustizia ritenendo il conte una persona perbene, e per riconoscenza verso il suo ex padrone, Gaetano si autoaccusa del furto recandosi dai carabinieri , ma il primo a non credergli è proprio il comandante della locale stazione. Gaetano, decide allora di risarcire con le sue 200 pecore Tolla ,a condizione che ritiri la denuncia contro il conte Casula, il quale gli sarà riconoscente offrendogli di tornare a lavorare per lui, in quanto se lo avesse indennizzato per le sue 200 pecore, tutti avrebbero pensato che dietro l’ autodenuncia di un suo ex dipendente , effettivamente fosse stato lui a commissionare il furto . Così, ripreso al suo servizio, Gaetano si fa 15 più altri 5 anni da servo pastore prima di rendersi definitivamente libero.
La storia di Gaetano sconvolge lo scrittore americano, che non può quindi fare a meno di esclamare alla fine :
” My God, ma è ridicolo! Perché proprio lei, lei che aveva lottato sin da bambino per farsi una posizione, una famiglia, che bisogno c’era?
Gaetano: “Voi non potete capire. La vostra logica è lavorare, mangiare, dormire. Tutti i giorni, tutto l’anno, tutta la vita. La regolarità, senza sorprese, è ciò che desiderate . E perciò, le disgrazie, le malattie, e tutto ciò che è tragico, vi turba, e vi domandate: e perché proprio a me? E figurarsi uno, che se le va a cercare! E bèh, e bèh, per voi, è proprio matto!
Eugene: Non è vero, io l’ammiro, la invidio , io non ne sarei stato davvero capace , ma, mi creda, non è facile da capire, Un gesto eroico è dettato quasi sempre da un impulso, è fatto quindi di getto, e poi si fa perché ci si trova coinvolti, e poi perché ci si trova nel momento esatto in cui il fatto avviene . Ecco, lei non era chiamato in causa, lei non c’era, quindi non capisco perché abbia sentito l’impulso di sacrificarsi .
Gaetano: Io c’ero . Quando sono nato, sono entrato nel corpo del pastore Piras di Galtelli, e vi ho trovato gambe robuste, un cuore forte, e una certa porzione di cervello. E voi, invece, siete entrati in un altro corpo, e ci avete trovato un cervello migliore, ma non gambe come le mie. La parte che vi è toccata , è diversa, dalla mia. Voi avete potuto studiare, e conoscere cose diverse della vita e del mondo. E io no. Io conosco le mosse della volpe che vuole rubarmi gli agnellini; le arie, le arie che piacciono agli avvoltoi; o le erbe che cercano le mie pecore. Io capisco il male e il bene di qui., e voi che venite da lontano, capite il bene e il male di tanti altri posti. Capito mi avete? Chissà quante belle cose avete conosciuto, hè? Io so solo che sono belli i disegni delle nuvole in cielo. Che mi piace la forma degli alberi piegati dal vento. Che ammiro la goccia che buca la roccia. Natura, insomma. Guardate la quercia, che da sola fa la ghianda. Il suo capolavoro. Lei fa la sua parte, io la mia, mi pare giusto. Voi sapete fare la ghianda? No. E la quercia sì. C’è tutta scritta dentro la sua storia.
Eugene: Ma lei, quindi pensa che chiunque altro al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa?
Gaetano: No, non ho detto questo. Anzi, per anni sono stato nel ridicolo. Pochi hanno apprezzato. Ma io, non l’ho fatto per gli altri. Forse non lo so perché l’ho fatto, ma non mi sono pentito. Si pente chi fa qualcosa di male.
Eugene: Ma poi, avete trovato il vero colpevole?
Gaetano: No, non si seppe mai. In seguito ho fatto il servo pastore per altri 15 anni presso il conte Casula. Alla fine ero quasi libero quando, era il 1945, ci fu una tremenda morìa e mi morì mezzo gregge ,e così sono rimasto altri 5 anni. Ora sono 10 anni che sono un uomo libero.
Eugene: Ma perché lo fece? Rischiare di andare a finire in galera per il padrone, che senso aveva tutto ciò?
Gaetano: Vedete, per noi sardi, il senso del rispetto è diverso da come lo intendete voi. E’ un rispetto morale, è come… è come se ci sentissimo sempre in debito verso gli altri. Come posso dire…se qualcuno viene a trovarmi, un pezzo di formaggio, un bicchiere di vino, c’è sempre per lui, anche se non l’ho mai visto. E questa non è semplicità ospitalità, no, è rispetto. E spero che sia sempre così. Non so se mi sono spiegato. Noi pastori, poi, questo rispetto, lo rivolgiamo alla natura dove viviamo. Tutti abbiamo la stessa casa sotto il cielo. Questa terra la sento mia, ma allo stesso tempo anche degli altri. Tutti ,ci sediamo allo stesso masso quando ci passiamo vicini. Tutti , andiamo alla stessa sorgente quando abbiamo sete. Tutti, d’estate, ci ripariamo all’ombra della stessa quercia. Insomma: abbiamo un senso comune delle cose. E’ una questione di rispetto, appunto. Noi, anche alle bestie diamo una dignità umana, vivono nelle nostre case, ci preoccupiamo quando stanno male, le seguiamo fin dalla nascita, hè, siamo le loro levatrici. Ma sapete che io le conosco una ad una? E allora, anche il padrone va rispettato. Non perché è il padrone, ma perché è una sicurezza, rappresenta il futuro, ma anche il passato. Il conte Casula è stato un secondo padre per me, e i padri, si rispettano sempre.
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