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Costretta a vendersi dopo aver perso il lavoro: “un incubo ma sfamo i miei figli”

Costretta a vendersi dopo aver perso il lavoro: “un incubo ma sfamo i miei figli”

A Catania una donna di 40 anni perde il lavoro come commessa: costretta a vendersi per pagare le bollette e l’affitto.

“Un incubo ma sfamo i miei figli” “Spesso mi sfiora l’idea di farla finita, poi penso ai miei figli, ai miei genitori e vado avanti”.

Pordenone: una donna si è ritrovata a vivere in una stalla abbandonata, dopo aver perso improvvisamente il lavoro, oltre ai mancati pagamenti per il lavoro già svolto. “ Per settimane ho mangiato l’erba dei campi bagnata dall’ aceto. Era l’unico modo.”

Ha incontrato l’indifferenza di tante  persone sulla sua strada, sino a che le sue richieste d’ aiuto sono state raccolte dai Carabinieri, che si sono occupati di lei. “Sono stati loro a salvarmi, a ridarmi la dignità e a farmi sentire viva”.

Un uomo di 52 anni a Milano lavorava nell’ambito della sicuezza. Scaduto il contratto l’hanno lasciato a casa perchè preferivano i giovani. Ha fatto piccoli lavori in nero. Lo stipendio a casa lo portava il figlio, lavoratore anche lui nell’ambito della sicurezza, sino a che, con la pandemia hanno chiuso tutto. Ed anche lui è rimasto a casa.

In tutta Italia, ci sono famiglie con la casa di  proprietà e che fino a non molto tempo fa vivevano in modo agiato, mentre ora fanno fatica anche a “vestire” i figli che vanno a scuola.

Le storie come quelle ora accennate sono tantissime, troppe.

Ci da una dimensione del fenomeno il fatto che l’associazione Emergency, che da oltre un ventennio offre cure mediche nei territori estremamente poveri e teatri di guerra, da maggio del 2020 abbia creato il progetto “Nessuno Escluso”: un servizio che prevede la consegna gratuita di cibo e prodotti per la casa a chi, dopo la pandemia, si è trovato ad affrontare situazioni economiche impensabili sino a quel momento.

I nuovi poveri, racconta il responsabile del progetto, “sono famiglie fuori dai radar dell’assistenza tradizionale offerta da Comuni, Regione e Stato. Spesso sono persone che prima della pandemia galleggiavano al di sopra della soglia di povertà. Lavoravano in nero, avevano impieghi saltuari o precari soprattutto nel terziario, nella ristorazione e negli eventi. Sono bastati due o tre mesi di inattività perché si ritrovassero senza niente”.

Ci siamo abituati ai numeri? Diciamo la stessa cosa con i numeri: secondo le stime preliminari Istat degli effetti del Covid sull’economia in Italia, nel 2020 le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni , per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni : in un solo anno un milione in più.

Non si può far finta di nulla. Non si può non tendere una mano, con quel poco o tanto che ciascuno può fare, a chi magari per pudore o vergogna non chiede aiuto.

Qualche mese fa ho letto  una notizia che mi ha colpito molto: in un piccolo Comune italiano erano stati stanziati aiuti economici per sostenere i cittadini residenti che si trovavano in difficoltà durante la pandemia. Per ricevere il contributo era necessario presentare una domanda entro il termine di scadenza stabilito. Ebbene, in quel piccolo Comune, per quel pudore e vergogna di cui sopra,  non venne presentata nessuna domanda, anche se molti erano i soggetti che ne avrebbero avuto assoluto bisogno.

“Dignità” è parola abusata, a volte poco conosciuta, spesso scambiata con il termine “orgoglio” che è un sentimento molto diverso  dal primo e che nulla ha a che fare con l’umiltà delle persone che cercano sempre e comunque di sopravvivere.

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