Nulla di fatto in relazione al vertice dell'Alaska tra Putin, presidente russo, e Trump, presidente della civiltà del dollaro. Non si è trovato l'accordo su Kiev, come d’altro canto sembrava plausibile dovesse accadere fin da subito. Trump ha comunque assicurato che ci sono stati "grandi progressi", e ha altresì dichiarato che sentirà Zelensky (dichiarazione, quest'ultima, che suona inavvertitamente comica, dato che il guitto di Kiev è stato tenuto ai margini delle trattative).
Putin non ha perso occasione per rivolgersi criticamente all'Europa, esortandola a non ostacolare la pace, come evidentemente dal suo punto di vista sta facendo nella misura in cui continua a supportare le irragionevoli ragioni del guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky. A ogni modo, il vertice in Alaska con Putin e Trump rivela alcune cose interessanti: 1) che questa, fin dall'inizio, era la guerra tra USA e Russia; 2) che l'Ucraina ha già perso la guerra e dovrà subire le decisioni altrui; 3) che la Russia, come prevedibile, non è stata sconfitta e ora può dettare le condizioni; 4) che gli USA hanno finalmente capito di non poter sconfiggere la Russia e di dover scendere a compromessi; 5) che Trump, meno ottuso di Biden, prova a uscirne dignitosamente dialogando con Putin.
Insomma, tutta un'altra storia rispetto a quella che da anni ci raccontano gli autoproclamati professionisti dell'informazione politicamente e geopoliticamente corretta. Il guitto di Kiev, l'attore Nato Zelensky, prodotto in vitro di Washington se non di Hollywood, è con le spalle al muro. Escluso dal vertice in Alaska, egli è il grande sconfitto della guerra in Ucraina; guerra che egli ha propiziato in ogni modo e che si ostina a voler far continuare.
Tant'è che adesso rifiuta di incontrarsi con Putin e si avventura a sostenere scioccamente che il solo modo per fermare la Russia è la forza. Come più volte abbiamo ricordato, il guitto di Kiev - adesso col cerino in mano - appare del tutto simile ai burattini di mangiafuoco nel capolavoro di Collodi "Pinocchio": una volta che essi non servano più per gli spettacoli del famelico burattinaio, vengono gettati alle fiamme.
La vera domanda da porre così suona: perché l'attore Nato, sapendo perfettamente che la guerra è persa, si ostina a fare di tutto acciocché essa continui? La risposta è piuttosto semplice: il guitto vuole procrastinare il più possibile il momento del redde rationem, dacché sa benissimo che allora dovrà rendere conto delle proprie malefatte; e sa bene anche che i soggetti come lui molto spesso non fanno una fine particolarmente soave, perché il popolo non li perdona per i loro guai.
Il guitto di Kiev, con buona pace della narrazione propagandistica occidentale, non si è battuto per la sovranità dell'Ucraina e per l'interesse del suo popolo: ha sacrificato entrambi sull'altare dell'imperialismo dell'Occidente, anzi dell'uccidente. Il popolo ucraino lo sa bene e non è certo disposto ad accettare in silenzio. Ecco perché il guitto teme decisamente più la fine della guerra che non la sua continuazione.
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