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Kuuki Wo Yomu, "leggere l’aria": l'arte del silenzio nelle relazioni

Kuuki Wo Yomu, "leggere l’aria": l'arte del silenzio nelle relazioni

In Giappone l’espressione "leggere l’aria" descrive la sottile arte di percepire le vibrazioni invisibili che si creano nell’interazione con l’altro, per intuire cosa è opportuno dire e cosa, invece, è meglio tacere.

In questi luoghi il silenzio è un’abilità culturale, una forma di comunicazione rispettosa, regolata da un codice implicito condiviso dalla società.
Saper sospendere la parola con equilibrio richiede empatia e potenzia un ascolto attivo, privo di giudizio.
Nella quiete, parla il cuore e la mente si placa.

Tacere è una forma di intelligenza sociale: significa rispettare lo spazio dell’altro, interpretandone desideri e bisogni.
E’ un silenzio che predilige l’azione, crea complicità, armonia e autentica presenza.

Nella cultura orientale un vero leader non guida con la voce, ma con l’esempio: la sua autorità morale si esprime in modo discreto e riservato.
Non si impone mai, anzi crea le condizioni perché agli altri possano esprimersi.

Non si parla delle emozioni, che vengono espresse con presenza silenziosa, l’amore si dimostra nella cura dei gesti quotidiani.
Il conflitto si evita, non per debolezza ma per saggezza, consapevoli che potrebbe degenerare in parole vuote, dettate dall’impulso del momento.

Nella cultura occidentale, il silenzio viene spesso frainteso, interpretato come assenza o passività. Parlare è considerato un diritto individuale, più che un atto relazionale, legato alla necessità del contesto. Una persona taciturna tende ad essere percepita come chiusa, introversa o persino distante.

Al contrario, chi si esprime liberamente viene ritenuto più autentico, anche quando le sue parole possano risultare fuori contesto o poco armoniche. Nelle relazioni di coppia valorizziamo la condivisione emotiva attraverso le parole, mentre temiamo il silenzio, spesso percepito come distanza e freddezza.

In Giappone le relazioni sono basate su autocontrollo e ascolto empatico, l’amore si esprime con gesti premurosi e con un silenzio carico di profonda presenza. In Occidente, invece, tutto deve essere espresso per essere condiviso e compreso dall’altro.

L’affetto ha bisogno di parole e conferme costanti, ed un amore implicito fatto di sola cura rischierebbe di essere vissuto come disinteresse.

Tutte le usanze culturali custodiscono, a loro modo, una saggezza profonda. Se armonizzate possono insegnarci a vivere le relazioni in modo più autentico.

Nella nostra cultura credo sia importante affiancare ad un dialogo aperto e sincero anche spazi di silenzio condiviso, in cui la complicità e l’intimità possano esprimersi nel sentire e nel fare oltre che nel dire. In questo caso tacere non significherebbe assenza, ma semplicemente un diverso modo di essere presenti.

L’equilibrio lo possiamo trovare nell’imparare ad ascoltare ciò che non viene detto e a saper stare con serenità in un silenzio costruttivo e rassicurante.

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