EDITORIALE - Mangialardi si veste da mendicatore ambulante, ma il giovane fortunato Acquaroli sfonda il 50%
Impietosi i sondaggi di fine agosto Winpoll-Cise per Il Sole 24 Ore: il candidato del centro sinistra Maurizio Mangialardi ne esce con le ossa rotte e un distacco di circa 16 punti su Francesco Acquaroli, l’uomo su cui il centro destra compatto ha scommesso fin da subito e che oggi viaggia ben oltre il 50%. Terzo, a distanza siderale (9%), il candidato dei Cinque Stelle Gian Mario Mercorelli, il “duro e puro” che non ne vuol sentire di fare accordi col “Partito di Bibbiano” (cit. Di Maio).
A meno di tre settimane dalle elezioni sarà difficile ribaltare il risultato già scritto in partenza, ma che nessuno pensava fosse di queste dimensioni.
Eppure, non tutto è scontato, e poi, come direbbe il cantautore Bennato, i sondaggi “sono solo canzonette”, soprattutto per i perdenti e per chi ha paura di vincere.
Con il centro destra che s’avvia a celebrare un successo storico in una roccaforte rossa e fare il bis dopo la vicina Umbria, l’altra Stalingrado italiana oggi in mano alla Lega, iniziano a circolare i distinguo dentro un PD regionale alle prese con una crisi di nervi e di consensi.
La “remuntada pazzesca” del Segretario Dem Giovanni Gostoli, il suo urlo di battaglia da citazione calcistica sfoderato il 24 luglio scorso per arringare i 30 candidati PD, suona oggi come un fremito disperato di chi sapeva già di aver contratto la “sconfittite” acuta, fin dalla scelta di un candidato non all’altezza del suo predecessore.
Basti guardare anche fuori regione: tutti i Governatori ri-candidati (Zaia, Toti e De Luca) riscuotono enormi consensi dai sondaggi e la scelta di non puntare su un Ceriscioli bis si sta rivelando un fantozziano autogol pazzesco.
Ebbene sì,con Luca Ceriscioli il PD avrebbe avuto più chance di vittoria, come dimostrano, ultimi in ordine di pubblicazione, i sondaggi del più autorevole quotidiano economico italiano.
Il giudizio sul suo operato in emergenza Covid è, infatti, risultato ai marchigiani molto efficace: l’88% dell’elettorato PD, il 52% di quello Cinque Stelle, il 51% di quello di Forza Italia e addirittura un quinto di quello di Lega e Fratelli d’Italia, ha promosso Ceriscioli per come ha saputo governare l’emergenza nella nostra regione, anche in contrasto con il Governo Conte.
La domanda allora è legittima: perché non si è puntato sul secondo mandato di un candidato già vincente proprio contro lo stesso Acquaroli nel 2015 e, soprattutto, in forte ascesa di consensi?
Forse perché c’era “troppo PD” e meno leadership da coalizione in Ceriscioli?
Un sospetto ci era sorto quando l’incolpevole Mangialardi era stato gettato nella mischia come candidato alla regione, esordendo con una campagna di comunicazione senza il simbolo del suo partito di appartenenza, un “distanziamento” più emotivo che politico, peraltro già ribadito qualche giorno fa, quando ha tenuto a precisare di essere il candidato di una coalizione e non (solo) del PD.
Una mossa che può produrre effetti estremamente dannosi per la strategia di una “remuntada” da trasformare oggi, sempre secondo i sondaggi, in “sconfitta onorevole”.
Perché ora il candidato del centro sinistra dovrà “mendicare” quello che in gergo di una politica da primissima Repubblica si definisce “voto utile”, che, tradotto ai tempi del 2020, significa di non sprecarlo mettendo la “croce” sul simbolo dei Cinque Stelle.
Mentre le truppe di Di Maio & C. resistono sul voto “d’espressione”, più che su quello di opportunità politica, Mangialardi raccoglie le ultime forze tentando anche di coinvolgere gli indecisi (che sono, secondo il sondaggio, al 22% del totale degli elettori) e soprattutto chi ha già deciso di non andare a votare (24%).
Sfida difficile, se non impossibile, quando oramai l’estate agli sgoccioli, l’autunno nero alle porte ed un malcontento dilagante per le politiche del Governo PD-M5S, stanno lì a rappresentare ostacoli insormontabili per il Sindaco di Senigallia.
Mangialardi, in sostanza, paga colpe di un partito che ha sbagliato la mossa di non ricandidare un Ceriscioli in grande spolvero di consensi, e soprattutto di una classe dirigente locale incapace di chiarire le sue posizioni su temi chiave, quali la ricostruzione post sisma (3 Commissari su 4 sono stati nominati dal PD e con esiti sotto gli occhi di tutti), le infrastrutture (l’ultima che ci ricordiamo dalle nostre parti è la Quadrilatero voluta e realizzata dal centro destra) e soprattutto la Sanità Pubblica, distrutta da una politica di chiusure di Ospedali (ben 13 nelle Marche) e depotenziamento di servizi alla salute in tutto il territorio regionale.
Prova ne è che le stime sui consensi per il PD sono ancor più impietose del dato generale della coalizione di centro sinistra: il 35% di Ceriscioli nel 2015, con Mangialardi (e suo malgrado) scende al 22% nel 2020.
E Acquaroli?
Giorgia Meloni, reincarnazione pura del Napoleone vincente, ha scelto il suo Generale più fortunato, proprio in un momento in cui l’effetto della politica nazionale, con uno spostamento dell’asse dei consensi verso il centro destra, pesa moltissimo anche sulle scelte locali, e quindi anche nelle Marche.
Lo stesso quotidiano economico non può fare a meno di sottolineare come il successo della coalizione FdI-Lega-FI-UDC sia attribuibile soprattutto al “profondo mutamento degli orientamenti politici degli elettori marchigiani”.
Il “giovane fortunato” Acquaroli dovrà saper gestire bene questo vantaggio che emerge dai sondaggi, soffocando sul nascere “prove” di competizioni interne tra i suoi alleati, come ad esempio quella della Lega che, per voce del Commissario Riccardo Augusto Marchetti intervenuto recentemente a Fermo, già sembra aver messo in tasca l’Assessorato all’Agricoltura.
Per vincere è necessario giocare, e la partita deve ancor iniziare: siamo solo al riscaldamento, mentre il fischio d’inizio è per il 20 settembre.
Nel frattempo, le prossime mosse sono: per Mangialardi “voto utile al PD”, per Acquaroli (ai suoi alleati) “state buoni, se potete”.
Appuntamento al prossimo sondaggio.
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