Omicidio di Pamela. Marco Valerio Verni: “Ci vorrebbe maggiore coraggio. Oseghale non può aver agito da solo”
A due giorni dalla prima udienza del processo per l’omicidio di Pamela Mastropietro, contro Innocent Oseghale, a parlare è il legale della famiglia della giovane romana, nonché zio di Pamela, Marco Valerio Verni.
Un’udienza durata 5 ore quella di mercoledì 13 febbraio, alla quale seguiranno altre 7 udienze fino a maggio. Il processo della Corte d’assise, presieduto dal giudice Roberto Evangelisti, affiancato dal giudice Enrico Pannaggi e dalla giuria popolare, si è aperto con due richieste, entrambe respinte, della difesa: una riguardante gli accertamenti irripetibili e l’altra di non ammettere le parti civili, il Comune e il proprietario dell’immobile in via Spalato.
“La prima udienza è stata molto tecnica e sono stati salvaguardati molti importanti atti e documenti processuali – il commento del legale della famiglia Mastropietro -. Ora noi ci concentriamo su Oseghale anche se riteniamo improbabile che possa aver fatto tutto da solo: il solo fatto che sulle maniglie dei trolley in cui è stato ritrovato il corpo di Pamela ci siano delle impronte sconosciute, significa che qualcun altro ha fatto parte di una catena.”
“Oseghale, all’esito dell’udienza preliminare dello scorso novembre, è stato rinviato a giudizio e verrà processato per tutti i reati contestati, dalla violenza sessuale, all’omicidio aggravato, all’occultamento, vilipendio e distruzione di cadavere – prosegue Verni -. Ci auguriamo inoltre che a questi reati venga aggiunto quello della calunnia dato che Oseghale aveva accusato dei poliziotti penitenziari di averlo picchiato mentre era in carcere, rimangiandosi la confessione che aveva loro fatto di aver ucciso lui stesso Pamela insieme a Lucky Desmond, quando, invece, la visita sanitaria, non ha poi rilevato nessun segno di violenza sul suo corpo. Ugualmente per quella (calunnia) commessa nei confronti proprio di Desmond ed Awelina: se la Procura ha chiesto l’archiviazione per questi due, allora dovrebbe agire per il suddetto reato nei confronti di Oseghale, che li ha messi in mezzo, a questo punto, sapendoli innocenti.”
Il 6 marzo verrà sentito il collaboratore che, in carcere insieme a Innocent Oseghale, ha dichiarato che il nigeriano ha confermato la dinamica supportata dall’accusa. “L’imputato avrebbe anche detto al suo compagno di carcere di far parte della mafia nigeriana – prosegue il legale -. Tengo soprattutto a precisare che a inchiodare Oseghale non ci sono solo le dichiarazioni del collaboratore, arrivate nell’agosto del 2018, ma anche tutte le consulenze tecniche, medico legali e tossicologiche della Procura e le nostre. Consulenze che sono chiare nell’escludere la morte di Pamela per overdose e che sostengono la tesi del decesso avvenute in seguito alle coltellate inferte alla ragazza quando era ancora in vita.”
“Chiediamo il massimo della pena e se così non dovesse essere andremo avanti. Essendo parte civile siamo subordinati alla Procura ma mi aspetto che, se non dovesse esserci il massimo della pena, sarà la stessa Procura ad andare avanti” – chiarisce Verni.
Sul rapporto di ieri della DIA del semestre 2018 (gennaio/giugno) Verni commenta che “è stato fatto un importante primo passo nella direzione da noi indicata. Macerata, per la prima volta, viene menzionata in riferimento a Pamela e all’attività di spaccio prolungata e sistematica operata dai nigeriani coinvolti nell’omicidio di mia nipote. Chiaramente, è un rapporto che, per il secondo semestre, dovrà tenere conto dei nuovi accadimenti avvenuti, tra cui l’arresto, compiuto a dicembre dello scorso anno, di ben 27 persone, quasi tutte di nazionalità nigeriana: una vera e propria piramide, a compartimento stagni, che aveva diviso Macerata in tre zone di spaccio.”
“Non mi sento di dire che ci sia una connessione diretta, ma dal martirio di Pamela, vorremo che per Macerata, per le Marche e per tutta l’Italia venissero fuori le altre verità che, in nuce, potrebbero intravedersi – continua Verni -. Tutti ricorderanno cosa avvenne all’inizio del processo: una interprete si tirò indietro, rendendosi irreperibile, e fu difficile trovarne altri perché spaventati dalle minacci che avrebbero potuto subire loro o i loro familiari in Nigeria. Ma non c’è solo questo. Le intercettazioni in carcere tra Desmond e Awelina evidenziano situazioni meritevoli di attenzione. Ad esempio, dicono di aver suggerito a Oseghale di mettere Pamela nel freezer e mangiarla poco per volta; oppure che i ‘Carabinieri ancora non avevano visto nulla’ e molto altro. Poi ci sono le fotografie trovate sul cellulare di uno dei due, raffiguranti corpi torturati; o, ancora, le loro conversazioni in cui dicono che Oseghale fosse abituato a fare quello che aveva fatto e che era uno dei capi. Oltre alle dichiarazioni dello stesso collaboratore di cui sopra, secondo cui Oseghale sarebbe il referente della mafia nigeriana a Macerata, ritenuta da quella presente a Padova, da cui il nigeriano dipenderebbe, un importante crocevia con la Campania e Castel Volturno in particolare. Infine ci sono trasmissioni televisive che hanno intervistato, a volto coperto e di spalle, dei nigeriani presenti proprio a Castel Volturno che fanno riferimento esplicito a Pamela e ai fatti di Macerata, compiuti, secondo loro, ‘da gente che sapeva il fatto suo’.”
“Tutti elementi dai quali ci aspettiamo l’avvio di indagini – conclude Verni -. Nessuno è nato ieri: ci sembra strano che, l’unico oggi chiamato a rispondere di tutta questa vicenda sia solo Innocent Oseghale. Penso che ci vorrebbe maggiore coraggio. Ma abbiamo fiducia in certa parte delle Istituzioni e, naturalmente, nel nostro operato.”
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