Lasciò morire di stenti la figlia: il Gip rifiuta per la seconda volta la perizia psichiatrica in carcere
È di questi giorni la notizia dell’ordinanza con cui il gip di Milano ha respinto l'istanza dei difensori di Alessia Pifferi che chiedevano un accertamento neuro psichiatrico in carcere per la loro assistita.
Alessia Pifferi è accusata di omicidio volontario aggravato, per aver lasciato morire di stenti la sua piccola Diana di 16 mesi: l’ha abbandonata in casa da sola per 6 lunghi giorni per trascorrere del tempo in tranquillità con il suo compagno.
Secondo l’avvocato della donna, la 37enne non sarebbe ancora del tutto consapevole di quello che ha fatto: per questo la difesa ha avanzato, per la seconda volta, la richiesta di perizia in carcere, per valutare il grado di intenzionalità con cui la Pifferi ha agito.
La richiesta è stata tuttavia respinta dal gip, per la seconda volta, in quanto, scrive nella motivazione "si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo, anche dopo l’ingresso in carcere, come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna".
La consulenza richiesta, quindi, "non si aggancerebbe ad alcun elemento fattuale", anche perché Pifferi non ha alcuna "storia di disagio psichico" nel suo passato. Sono trascorsi 20 anni dal delitto di Cogne, e secondo gli ultimi dati forniti dall’Eures - Ricerche economiche e sociali, dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi 268 figlicidi. Le madri risultano le autrici prevalenti del reato contro i figli di età compresa tra gli 0-5 anni, mentre dopo i 5 anni nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre.
Il professor Vincenzo Mastronardi, psichiatra e criminologo clinico che nel 2007 ha pubblicato un libro dal titolo "Madri che Uccidono", ha spiegato che, laddove non sia presente una pregressa grave patologia psichiatrica tale da annullare la capacità di intendere e di volere, tra le madri che agiscono razionalmente "il raptus vero e proprio non esiste, alla base ci sono sempre ragioni precise".
Tali ragioni affondano radici nel quotidiano e possono così riassumersi:
– life stressor event (eventi di grande perdita affettiva: lutti, abbandoni reali o amplificati, separazione);
– pietas (omicidio altruistico, nella convinzione di risparmiare al figlio sofferenze nella vita);
– immaturità della madre;
– perché il bambino è iperattivo (bambino maltrattato);
– perché figlio della colpa;
– per sindrome di Medea (per vendetta nei confronti del compagno viene ucciso il figlio);
– per disturbo (dipendente, narcisistico oppure istrionico) di personalità;
– perché figlio indesiderato;
– per depressione (non maggiore) in soggetto narcisista;
– per disturbi comportamentali dovuti all’assunzione di alcool e droga.
In tali casi il figlicidio è un atto "razionale, lucido e consapevole" che nella maggior parte dei casi poteva essere evitato, spiega Mastronardi. Ecco perché in un’ottica preventiva la famiglia ha un ruolo importante nel fare attenzione a quei campanelli d’allarme che denunciano che la situazione di benessere della donna è gravemente compromessa.
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