"Erano una bella famiglia", uccide moglie e figlio a coltellate: gli omicidi delle 'persone tranquille'
Torna l'appuntamento con la rubrica settimanale "La Strada delle Vittime", nella quale si affronta l'analisi della casistica criminale con approccio vittimologico.
Carmagnola, Torino : 15 coltellate alla moglie, otto fendenti al figlio. Poi la furia selvaggia ed ulteriori colpi inferti al corpo agonizzante della moglie, con ogni suppellettile che si trovava a portata di mano: una cornice, lampade, persino un televisore ed una bottiglia per sfigurarla. Un cavatappi con il quale ha colpito il figlio alla gola, oltre alle coltellate sul suo piccolo corpicino, come raccontano i coltelli sporchi di sangue rinvenuti nell’abitazione.
30 in tutto gli oggetti sporchi di sangue sequestrati nell’appartamento dove risiedeva la famiglia.
Lei era Teodora Casasanta, 38 anni. Abruzzese di origine, psicologa, si era trasferita 10 anni fa a Torino dove aveva trovato impiego presso un centro di recupero dalle dipendenze. Qui aveva incontrato Alexandro Riccio, che all’epoca faceva l’operatore sanitario. Si erano innamorati, sposati, e la famiglia si era allargata cinque anni fa con l’arrivo di un figlio, Ludovico.
Due anni fa la prima crisi matrimoniale, la prima rottura, ma Teodora decise di perdonare il marito riaccogliendolo in casa; ultimamente la coppia attraversava un nuovo periodo di crisi e sembrerebbe che lei volesse separarsi.
Secondo la ricostruzione dei Carabinieri, la sera del 28 gennaio i coniugi avrebbero avuto una violenta discussione.
Teodora è andata a dormire ma il marito più tardi l’ha raggiunta e l’ha colpita nel sonno: molteplici coltellate alla schiena che però non l’hanno uccisa. Teodora è morta sotto il lancio furioso di oggetti di ogni tipo che con violenza venivano scagliati dal marito sul suo corpo agonizzante.
Il figlio, è stato sgozzato e colpito più volte dal padre. E’ stato ritrovato all’ingresso della camera da letto, a poca distanza dalla sua mamma dove il suo corpo era stato trascinato dal padre lungo il corridoio sino a li .
Alle 2.29 di notte un tonfo sveglia del tutto i vicini che chiamano il 112: l’ assassino si è gettato dal balcone, dopo aver cercato di togliersi la vita anche tagliandosi i polsi, senza riuscirci. Riccio, sopravvissuto, è stato arrestato per duplice omicidio con l’aggravante della crudeltà; ora ricoverato nel reparto detenuti delle Molinette con una prognosi di 60 giorni .
“Sembrava una persona tranquilla” .
E quindi? Raptus? “Gesto folle”?
Prendendo a prestito le parole dell’avvocato penalista e criminologo Dario Bosco :” la malattia mentale, nel proprio corso, ha “suoi sintomi, suoi segnali, sue crisi acute” e raccontare “che esiste un soggetto assolutamente sano, che impazzisce improvvisamente commettendo un orribile delitto in preda ad un non meglio precisato raptus e che subito dopo ritorna allo stato antecedente di assoluta normalità e razionalità, significa raccontare qualcosa di molto simile ad una barzelletta.”
L’azione criminale ha sempre un suo percorso e l’analisi del comportamento omicidiario deve partire sempre dall’analisi di atteggiamenti precedenti e sintomatici di ciò che sarebbe poi accaduto alla vittima.
Qualora la storia clinica di un soggetto e la perizia psichiatrica escludano una malattia mentale, e quindi l’incapacita’ totale o parziale di intendere e di volere al momento della commissione del reato, la ricerca del “perchè” di un comportamento omicidiario spesso parte da molto lontano, da disturbi nei rapporti parentali che hanno causato uno sviluppo psicologico problematico.
L’ iperdipendenza, le forme reattive violente, il disagio negli adulti nascono proprio nell’età in cui si viene a formare la personalità dell’individuo.
L’ ipercura del bambino tanto quanto l’ incuria , la sua infantilizzazione quanto l’ adultizzazione, il sottoporlo a frequenti litigi di coppia (per non parlare di situazioni ancor più gravi di abuso a danno del minore, quali abusi sessuali, violenza assistita, violenza domestica), è stato concordemente accertato sono alcune delle dinamiche che lo porteranno ad essere un adulto capace di intendere e di volere ma incapace a gestire le sue emozioni secondo modelli etici e sociali adeguati: lo consegneranno ad una vita adulta in cui sarà maggiore per lui la probabilità di creare legami tossici, spesso violenti e di tipo sado-masochistico.
“Amiamo come siamo stati amati”. Non una giustificazione, ma una spiegazione ed un ‘invito alla riflessione e soprattutto alla prevenzione.
Discutere su come intervenire è molto suggestivo ma individuarne la soluzione è difficile e qualunque deterrenza legale è nulla poiché chi compie questi omicidi o si suicida a propria volta o accetta tutte le conseguenze quasi soddisfatto di aver raggiunto il proprio scopo.
L’unico intervento che si può fare è culturale, indirizzando i giovani verso un nuovo sistema valoriale: insegnare loro ad elaborare la sconfitta in amore, la rabbia, la gelosia e non mostrare il proprio disagio con distruttive esplosioni di violenza.
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