Dalla pasta ai prodotti da forno, barrette, creme spalmabili, bevande… basta un veloce giro al supermercato per trovare sempre più prodotti arricchiti da proteine. Allora la domanda sorge spontanea: ma di quante proteine abbiamo bisogno?
Cerchiamo di fare chiarezza.
Per stare in salute, recuperare dall’allenamento, costruire massa muscolare, dimagrire, il “quante proteine assumere” è un punto fondamentale. Non l’unico, certo, perché contano anche altri fattori, ma è importante quanto la giusta quantità di carboidrati e grassi.
Il fabbisogno proteico non è uguale per tutti, dipende da più fattori: età, composizione corporea, tipo di allenamento, stile di vita, stati particolari (ad esempio gravidanza o allattamento), obiettivi. Per tutti, però, la quantità proteica da assumere viene calcolata sul peso corporeo e deve rientrare all’interno del fabbisogno calorico giornaliero.
I livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana (LARN) indicano 0.8g di proteine per ogni chilo di peso corporeo di una persona adulta, sia per gli uomini che per le donne. Questa quota, ovviamente, dovrà essere adattata alle esigenze di ognuno.
Ma per un soggetto sano che fa una leggera attività fisica, come si traduce in una dieta quotidiana? In generale, prevedendo una fonte proteica a ogni pasto (colazione, pranzo e cena) il fabbisogno di proteine viene ampiamente soddisfatto. Bisogna considerare che le proteine si trovano anche in cereali e derivati e inserendo a ogni pasto anche questa categoria alimentare non si corre il rischio di avere un'alimentazione carente di proteine.
Negli anni, però, la “demonizzazione” dei carboidrati e l’esaltazione delle proteine portata avanti da diversi protocolli dietetici, ha incrementato la percezione che un elevato apporto proteico aumenti automaticamente la massa e forza muscolare e favorisca la perdita di peso, portando a convincere un crescente numero di consumatori che una dieta iperproteica sia sana.
La realtà, però, è un’altra. L’adozione di una dieta iperproteica “fai-da-te” soprattutto se seguita per diversi mesi, può infatti comportare seri effetti collaterali. Le proteine apportano le stesse calorie dei carboidrati, per cui, un eccesso di queste può determinare un eccessivo apporto di energia, con conseguente aumento di peso. Inoltre, quando le proteine sono in eccesso, devono essere “demolite”, e il prodotto di scarto che si genera viene eliminato attraverso l’urina. Se si eccede quindi con il consumo di proteine e non si assume abbastanza acqua, ci si può disidratare fortemente.
Viene quindi da chiederci, sono davvero utili i prodotti proteici che tanto stanno spopolando sugli scaffali dei supermercati? Ricordiamo che si tratta di alimenti ultra-processati, che possiedono una lista di ingredienti lunghissima dove ritroviamo edulcoranti, addensanti e coloranti. Inoltre, la porzione standard suggerita dalla maggior parte di questi prodotti non apporta molte più proteine rispetto alla sua versione classica.
Cosa farne quindi di tutti questi prodotti? È giusto o meno consumarli? Come sempre, non bisogna mai demonizzare un prodotto preso singolarmente. L’utilizzo occasionale di un budino proteico o di una crema spalmabile proteica per variare la nostra alimentazione è più che concesso, ricordiamo però di preferire sempre prodotti più semplici possibili.
Tra le diete più chiacchierate in circolazione c’è sicuramente la dieta chetogenica. Esaltata da alcuni come mezzo efficacissimo per il dimagrimento, demonizzata da altri per i rischi che le si attribuiscono, è in realtà uno strumento importante in una vasta gamma di situazioni; un regime alimentare particolare, sicuramente, che va utilizzato con le dovute precauzioni, ma che può garantire risultati rilevanti dove altri metodi spesso falliscono.
Partiamo dal definire la dieta chetogenica: è importante premettere che non si tratta di una dieta iperproteica, ma di un regime alimentare che riduce in modo drastico i carboidrati (pochi grammi al giorno), aumenta di contro i grassi e mantiene l’apporto proteico in linea con le principali linee guida nutrizionali. Lo scopo principale di questo sbilanciamento delle proporzioni dei macronutrienti è costringere l’organismo a utilizzare i grassi come fonte di energia. I meccanismi fisiologici attivati in questa situazione riducono l’eventuale uso di proteine a scopo energetico, proteggendo la massa magra e riducendo in maniera notevole la sensazione di fame, rendendo quindi la dieta più facile da seguire.
Il suo primo utilizzo risale agli anni '20, dove venne impiegata per controllare l’epilessia non trattabile con i farmaci. Negli ultimi anni si è visto un crescente interesse nei confronti di questo regime alimentare, non solo per il trattamento dell’epilessia, ma anche di altre patologie come obesità, alcune forme tumorali, diabete di tipo 2, sindrome metabolica e sindrome dell’ovaio policistico.
Il termine “chetogenica” deriva dal fatto che l’assenza di carboidrati induce la produzione di corpi chetonici (che verranno utilizzati come energia) e l’insorgenza dello stato di chetosi. Questa chetosi indotta si rivela un processo fisiologico e non patologico, come succede nel diabete di tipo 1.
Proprio per la capacità indurre uno stato di chetosi, la dieta chetogenica offre sicuramente dei vantaggi rilevanti nel campo del dimagrimento: per la rapidità dei risultati che accresce notevolmente la compliance, per la riduzione della sensazione di fame, per l’effetto di risparmio sul tessuto muscolare e per la maggior aderenza al piano alimentare che risulta in genere molto facile da seguire.
Di contro, presenta sicuramente degli svantaggi, ovvero la sensazione di affaticamento che si avverte soprattutto nei primi giorni, la mancanza di un “pasto libero” e, se protratta nel tempo, il rischio che diventi monotona. Inoltre, si rivela controindicata in una serie di condizioni come gravidanza e allattamento, insufficienza renale, diabete di tipo 1 e disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
In conclusione, la dieta chetogenica non è pericolosa, purché si eviti il “fai da te” e ci si faccia seguire da un professionista della nutrizione. Lo stesso professionista dovrà accompagnare il paziente anche in una seconda fase di percorso, caratterizzata da una reintroduzione graduale (sì, perché la chetogenica non è una dieta a vita!) delle principali fonti di carboidrati in un organismo non più abituato, evitando così la possibilità di riacquisire il peso perso.
I ripetuti sbalzi di temperatura e le continue alternanze meteorologiche, tipici di questo periodo, mettono a dura prova il nostro organismo, a partire dal sistema immunitario. Non a caso, raffreddore, mal di gola e stati febbrili sono all'ordine del giorno.
Cosa si può fare, quindi, per alzare le nostre difese? Quali sono i cibi “amici” che possono rafforzare il sistema immunitario?
La prima indicazione è quella di seguire una dieta varia ed equilibrata, rispettosa della stagionalità, arricchita da frutta e verdura che apportano naturalmente vitamine e sali minerali. Quando si scelgono prodotti di stagione, infatti, la concentrazione di questi micronutrienti è maggiore.
Molte delle vitamine e dei minerali presenti negli alimenti si comportano come antiossidanti, ovvero ci proteggono dallo stress ossidativo, neutralizzando i radicali liberi che danneggiano le cellule.
Tra questi, la più celebre è sicuramente la vitamina C, presente principalmente negli agrumi, e nei kiwi, nei peperoni, pomodori, spinaci e cavoli. Non è un caso, infatti, che troviamo la maggior parte di questi alimenti proprio nel periodo invernale.
Un altro potentissimo antiossidante è la vitamina A, che deriva dal beta-carotene, contenuto nella frutta e nella verdura di colore giallo/arancio e nelle verdure a foglia verde. Come non pensare subito alla zucca, tipica della stagione autunnale?
Per completare la triade, non può mancare la vitamina E. Ne sono ricchi gli oli vegetali (tra cui l'olio extravergine di oliva), avocado e frutta secca. Accanto alle vitamine ci sono altri alleati utili a mantenere il sistema immunitario efficiente e pronto a reagire alle “aggressioni” esterne, come il glutatione (prodotto dal nostro organismo, ma presente anche in alcuni vegetali, tra cui l'asparago, l'avocado e gli spinaci), lo zinco e il selenio (metalli importanti per la loro attività antiossidante, presenti nel pesce, nel pollame, nei cereali e nei legumi).
Delle difese immunitarie forti, però, passano anche da un intestino sano: è nota da tempo, infatti, la relazione tra l'efficacia della risposta immunitaria e lo stato di salute del microbiota intestinale.
Per mantenere in equilibrio l'intestino è importante assumere regolarmente alimenti ricchi di probiotici (microorganismi, soprattutto batteri, viventi e attivi), come yogurt, kefir, tempeh e crauti. Questi probiotici, per vivere e proliferare, hanno bisogno di un corretto nutrimento: le fibre non digeribili presenti nei cereali integrali, nei legumi e nei vegetali sono le loro favorite.
Non dimentichiamo l’acqua! Fa bene nelle giornate fredde o quando si è particolarmente stanchi anche il tè verde, ricco di antiossidanti. A tavola, invece, è di tutto rispetto il vecchio rimedio della nonna: un buon brodo. Se è sufficientemente caldo, crea vasodilatazione ed è quindi benefico per le vie aeree superiori irritate, creando un effetto fluidificante.
Le spezie possono essere un grande alleato della nostra alimentazione. Oltre ad aiutare a dare quel tocco in più in cucina, molte contengono anche nutrienti dalle grandi proprietà benefiche, in grado di rafforzare il nostro sistema immunitario e migliorare i livelli di colesterolo e zuccheri.
Ma facciamo un passo indietro. Sini dall’antichità, le spezie erano considerate sostanze preziose per le proprietà curative, per la capacità di prolungare la conservazione dei cibi e hanno trovato impiego in cucina, in medicina e nella cosmesi. Le loro proprietà aromatiche e terapeutiche si devono a particolari composti chimici presenti.
Ad esempio, le proprietà anticancerogene, antiinfiammatorie e antiossidanti della curcuma sono da attribuire alla curcumina. Questa però risulta poco assorbibile dal nostro organismo, ma la sua disponibilità aumenta in presenza di piperina, contenuta nel pepe. Ci avevano visto lungo i popoli indiani che decisero di unirle nel curry!
Un’altra spezia che arriva da lontano ma viene ampiamente utilizzata nelle cucine di tutto il mondo è la cannella. Se da una parte estimatori e pasticceri vogliono apprezzarne le qualità organolettiche, dall’altra gli scienziati sono interessati a scoprire le proprietà benefiche della spezia che non sembrano mancare. Numerosi studi, infatti, hanno evidenziato effetti antimicrobici, antinfiammatori, antiossidanti e capacità nel controllare i livelli di glicemia, rivelandosi un piacevole alleato nel trattamento del diabete di tipo 2.
Dal Messico alla Calabria, ormai ci sembra incredibile immaginare il nostro mondo senza peperoncino piccante. In questa pianta troviamo la capsaicina: molecola responsabile della sensazione di fiamme all’interno della bocca. Oltre a determinare il piccante del peperoncino, però, la capsaicina svolge importanti funzioni sulla nostra salute. Il piccante, secondo alcune evidenze, può giocare un ruolo nella prevenzione cardiovascolare, limitando l’azione degli enzimi coinvolti nella digestione dei grassi.
Un ulteriore alleato nella prevenzione cardiovascolare è lo zafferano, dove i carotenoidi presenti, che hanno attività antiossidante, migliorano il rapporto tra LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”) e HDL, ovvero la frazione “buona”.
Utilizzare le spezie in cucina, quindi, non solo dona colore e sapidità ai piatti (riducendo così il consumo di sale a tavola), ma arricchisce la nostra alimentazione di innumerevoli benefici.
Settembre è il momento in cui tutto riparte: il lavoro, lo sport, ma soprattutto la scuola! Riprendere lo studio dopo i mesi di vacanza può essere complicato; quindi, come rendere di più e essere maggiormente concentrati sui banchi di scuola grazie a ciò che si mangia?
L’obiettivo di ogni studente, a prescindere dal grado di istruzione in cui si trova, è ottenere buoni risultati nello studio. Mangiare sano, seguendo una dieta equilibrata, è il presupposto fondamentale per stare bene fisicamente, ma anche per le funzioni e le prestazioni mentali.
Partiamo sfatando un mito: studiando non consumiamo più energie di quante ne consumiamo leggendo un libro o guardando un film. Ciò significa che non dobbiamo mangiare più del nostro fabbisogno per garantire un corretto apprendimento, ma offrire il giusto apporto di energia e nutrienti è la base per poter affrontare sessioni di studio lunghe e intense.
Per fornire energia costante, è bene scegliere fonti di carboidrati ricchi di fibra, minerali e vitamine, a partire dalla colazione. Aggiungere cereali o pane integrale e frutta, riducendo il consumo di merendine e biscotti, è il primo passo per costruire un pasto più bilanciato. A questi, per completare il piatto, si possono aggiungere yogurt, latte, frutta secca o uova, ricche di colina, che può svolgere un ruolo di rafforzamento della mente.
Non solo la colazione ha un ruolo fondamentale, ma anche lo spuntino di metà mattina. Ricordiamo che lo spuntino dovrebbe fornire solo una piccola parte del fabbisogno giornaliero, il giusto per mantenere l’attenzione e le energie. Uno spuntino troppo abbondante, come un panino o una pizza, può portare sonnolenza! Anche in questo caso, con la frutta non si sbaglia mai, meglio ancora se accompagnata da frutta secca oleosa come le noci, ricche di grassi omega-3 per la salute cognitiva.
Nel pomeriggio, invece, quando la sessione di studio si sposta a casa, evitiamo di tenere accanto buste o intere confezioni di biscotti o patatine da spizzicare in continuazione. Prendiamoci invece il tempo per una pausa e una merenda equilibrata: del pane tostato con olio o un quadratino di cioccolato fondente, dove i flavonoli presenti sembrerebbero migliorare la memoria.
Ultimo, ma non per importanza, l’ingrediente fondamentale per un buono studio: il riposo. Il sonno, infatti, ha un ruolo essenziale per l’apprendimento, non solo per la memoria in generale. Dormire, dunque, è importante, e farlo bene lo è ancora di più.
La giusta conservazione degli alimenti non va sottovalutata perché, dal momento dell’acquisto, la sicurezza alimentare dipende da noi.
Ma perché la corretta gestione degli alimenti è così decisiva? Prima di tutto per la nostra salute: un alimento acquistato e trasportato fino a casa come si deve e poi ben manipolato e conservato ci mette al riparo da possibili malattie trasmesse dagli alimenti; inoltre, permette di mantenere le proprietà organolettiche dei cibi (sapore, odore, aspetto, consistenza) e di preservarne le caratteristiche nutrizionali.
Per aumentare la sicurezza alimentare è indispensabile innanzitutto partire da una buona scelta delle materie prime durante l’acquisto e assicurare la giusta temperatura di conservazione fino a casa, garantendo il mantenimento della "catena del freddo" se il prodotto è refrigerato o surgelato (soprattutto in estate!).
Ricordiamo che le temperature fredde non uccidono i microrganismi, ma ne bloccano la crescita; pertanto, è necessario portare a casa al più presto gli alimenti acquistati e metterli subito in frigorifero o eventualmente nel congelatore.
Nel frigorifero la temperatura non è mai costante su tutti i ripiani, è importante quindi conoscere la giusta modalità di disposizione degli alimenti. In alto, dove la temperatura è leggermente più alta, andranno riposti uova, dolci, formaggi e latticini.
In basso, sopra i cassetti della frutta e della verdura, è il punto più freddo. Qui andranno conservati gli alimenti più facilmente deperibili: carne, pesce e tutti i cibi crudi, evitando il contatto diretto tra questi per eventuali contaminazioni.
Come comportarsi invece con prodotti surgelati? È fondamentale non scongelare gli alimenti a temperatura ambiente (per non favorire la crescita batterica), ma riporli in frigorifero fino a quando non saranno scongelati. Una volta decongelati, gli alimenti non possono essere ricongelati, ma devono essere consumati al più presto (sia per il rischio di deterioramento microbico, sia per l'impoverimento nutrizionale).
Gestire al meglio gli alimenti non protegge solo la nostra salute ma anche il nostro portafoglio! Infatti, la corretta conservazione dei cibi ci permetterà di ridurre notevolmente gli sprechi. È consigliabile, perciò, leggere sempre la data di scadenza o il termine minimo di conservazione in etichetta, controllare il frigo e la dispensa prima fare la lista di cosa comprare e poi riporre gli alimenti acquistati più di recente dietro quelli già presenti nel frigorifero e consumare per primi questi (First-In-First-Out, cioè “primo dentro primo fuori”).
Grazie a smartphone, computer e televisore, siamo costantemente connessi con il mondo esterno e molto spesso questo comportamento accompagna anche il momento dei pasti.
Non è un caso, infatti, che negli ultimi 50 anni il tasso di sovrappeso e obesità sia quasi triplicato. Questo problema è stato in parte attribuito all’ambiente alimentare "obesogeno", che offre un’enorme varietà di cibi appetibili, densi di energia e facilmente fruibili, ma anche agli stili di vita delle persone che sono cambiati notevolmente negli ultimi decenni, portandoci sempre di più a diventare multitasking, soprattutto con i dispositivi elettronici.
Ecco quindi che, mentre consumiamo un pasto, ascoltiamo il notiziario alla televisione, concludiamo un lavoro al PC o scrolliamo le pagine social dallo smartphone. Ma che effetto hanno questi atteggiamenti sul nostro modo di mangiare e sulla nostra salute?
Il fatto di non essere concentrati sul pasto fa sì che i meccanismi di regolazione dell’appetito siano meno precisi: se impegniamo il cervello in altre cose, inevitabilmente non potrà concentrarsi correttamente su ciò che stiamo consumando, dandoci così l’impressione di non aver fatto un pasto adeguato e soddisfacente.
Questo succede alle persone di ogni fascia di età: grandi e bambini, soprattutto quando distratte da tv, videogiochi, computer, smartphone o tablet. Questo modo di mangiare, che potremmo definire "mindless eating", porta a un’attenuazione della percezione del gusto e a consumare più cibo rispetto alle nostre reali necessità.
Sugli stessi presupposti, però, si basa anche una soluzione: la "mindful eating". Questa pratica è incentrata sull’aumento della consapevolezza durante l’alimentazione e consiste nel prestare attenzione, con intenzione e in modo non giudicante, al momento presente.
Inoltre, ci aiuta a diventare consapevoli dei nostri pensieri e delle sensazioni fisiche legate al nutrirsi, riconnettendoci alla nostra innata saggezza riguardo alla percezione di fame e di sazietà. Consumare i pasti prestando attenzione all’atto del mangiare e ai bisogni del proprio corpo, quindi, potrebbe essere una valida strategia per la prevenzione e il trattamento del sovrappeso.
In Italia sono circa 6 milioni le persone affette da problemi alla tiroide, ghiandola dalla particolare forma a farfalla situata alla base del collo.
Gli ormoni prodotti dalla tiroide (tiroxina e triiodotironina), sono coinvolti in numerose dinamiche essenziali, regolando i processi fisiologici per il mantenimento della salute e del benessere. Tra questi, spiccano le funzioni metaboliche, necessarie a adeguare il nostro corpo alle necessità energetiche.
Negli ultimi anni, l’attenzione per questa importante ghiandola si è ampliata e con lei le notizie che circolano, e il rischio di incappare in informazioni scorrette, o vere e proprie fake news, è alto. Si parla infatti di “dieta della tiroide”, benefici dall’esclusione di particolari alimenti… Ma c’è davvero un fondamento scientifico?
Iniziamo a precisare che non esiste una dieta specifica per la tiroide, ma ci sono nutrienti (quali iodio, selenio, ferro, zinco, rame, magnesio, vitamina A e vitamina B12) che influenzano la sintesi e la regolazione degli ormoni tiroidei durante tutta la vita.
Lo iodio è sicuramente il primo elemento a cui pensiamo quando si parla di tiroide. Questo micronutriente è essenziale per il corretto funzionamento della ghiandola, lo possiamo assumere in quantità adeguate consumando (moderatamente!) sale iodato, pesce e frutti di mare. Per i soggetti affetti da ipertiroidismo invece il suo consumo dovrebbe essere controllato: sarebbe meglio utilizzare sale marino non iodato, mentre tutti gli altri alimenti, compresi pesci e frutti di mare, possono far parte della dieta.
D’altra parte, invece, vengono spesso demonizzati soia, glutine e l’intera famiglia delle crucifere (composta da cavoli, broccoli, cavolfiori, cavolini di Bruxelles e compagnia), soprattutto in chi soffre di ipotiroidismo o tiroidite autoimmune. Perché questo accanimento? Soia e crucifere vengono accusate di interferire con l’assorbimento dello iodio, mentre il glutine viene erroneamente associato a un aumento dei livelli di infiammazione nel corpo. In realtà, si tratta di informazioni prive di fondamento scientifico, che finiscono per tradursi in vane restrizioni a tavola.
Le uniche informazioni disponibili riguardano i cavoli, anche se le quantità che hanno dimostrato di rallentare la funzione tiroidea sono di circa un chilo e mezzo al giorno, mangiato crudo ogni giorno per parecchi mesi! Si tratta ovviamente di casi limite, evitabili seguendo una dieta varia, mai monotona. E se proprio vogliamo stare tranquilli, possiamo cuocere questi ortaggi per inattivare i glucosinolati, riducendo così la capacità di interferire con la sintesi di ormoni tiroidei. Al massimo, in caso di specifiche disfunzioni tiroidee, occorre seguire scrupolosamente la terapia indicata dall’endocrinologo, mai fare di testa propria e ricordare che si può mangiare di tutto.
In linea generale vale sempre la regola del buon senso: una dieta varia, sana e bilanciata fa bene alla nostra salute, tiroide inclusa.
Le vacanze sono un momento di relax e divertimento, un’occasione per staccare la spina dalla routine quotidiana. Ma le buone abitudini non devono essere abbandonate! Ecco qualche consiglio per portarle in viaggio con noi.
Dobbiamo però fare una doverosa premessa: non sarà una settimana di svago a compromettere la nostra salute, poiché un sano stile di vita deve accompagnarci tutto l’anno, e questo non è possibile senza la convivialità e la scoperta di nuovi sapori che caratterizzano proprio il concetto di vacanza. Inoltre, seguire una dieta troppo rigida a casa, privandosi di tutto ciò che ci piace, aumenta il rischio di esagerare nelle occasioni fuori dalla routine, con conseguente aumento del peso e difficoltà a tornare a seguire lo schema. È importante quindi conoscere e abbracciare l’arte del compromesso e dell’equilibrio.
Detto questo, vediamo insieme come gestire l’alimentazione durante le vacanze fuori porta.
Innanzitutto, non saltare i pasti per "risparmiare" calorie, perché spesso porta a mangiare troppo. È importante mantenere il più possibile orari regolari per gestire al meglio la fame, iniziando proprio dalla colazione! Anche al buffet, creiamo una colazione completa e variamo le nostre scelte con opzioni dolci e salate.
Non dimentichiamoci della frutta, perfetta da consumare come snack tra un pasto e l’altro, e della verdura, per accompagnare i nostri pasti.
Durante le vacanze poi è normale voler provare cibi tipici della destinazione o concedersi qualche vizio. Tuttavia, possiamo fare scelte consapevoli, optando per piatti leggeri a base di verdure, pesce o carni magre, e in generale cercando di non esagerare con le porzioni. Se si viaggia in compagnia, possiamo sempre condividere le pietanze. In questo modo, si può assaggiare una varietà di piatti senza eccedere.
E lo sport? Anche in vacanza l’attività fisica non va trascurata. Ecco, quindi, che possiamo sfruttare l’opportunità per esplorare la destinazione a piedi o in bicicletta, partecipare a escursioni, nuotare e, perché no, ballare!
Inoltre, non dimentichiamo l’idratazione. Portiamo sempre con noi una bottiglia d’acqua. Si può anche variare con tisane fredde senza zucchero, acqua aromatizzata con fette di limone, erbe aromatiche o acqua di cocco, che è ricca di minerali. E a proposito di bevande, specialmente quelle alcoliche, è importante bere in modo responsabile: non più di uno o due calici a pasto, evitando invece cocktail e superalcolici.
Ultimo, ma non per importanza: ritornare alla normalità gradualmente. Dopo le vacanze, è importante riprendere la routine alimentare passo dopo passo. Evitiamo quindi approcci estremi come diete drastiche o digiuni per compensare gli eccessi delle vacanze.
«Fare scorta di vitamina D» è un invito che torna ogni estate, ma perché questa vitamina “del sole” è così importante e cos'è che la rende unica?
Prima di tutto, la vitamina D è una vitamina liposolubile (vale a dire che si scioglie nei grassi), e questa caratteristica ci permette di immagazzinare delle vere e proprie riserve all’interno del nostro organismo. Chiamarla vitamina, però, è riduttivo: infatti si tratta di un vero e proprio ormone! Vediamo perché.
Non tutti sanno che la vitamina D è coinvolta nel funzionamento del sistema immunitario, di quello endocrino e dell’apparato cardiovascolare, ma non solo: è anche essenziale nella regolazione dell’assorbimento di calcio e fosforo e di conseguenza nel processo di ossificazione.
Tra i ruoli per cui è più riconosciuta, infatti, troviamo ai primi posti la salute ossea, poiché la vitamina D contribuisce alla fissazione del calcio rendendo le ossa più robuste e preservandole dalle fratture. Mantenere i suoi livelli al di sopra della soglia minima, quindi, diventa particolarmente importante in età matura e in menopausa, anche se evidenze recenti mostrano che la densità ossea ottimale si costruisce durante l’arco dell’intera vita, anche attraverso l’esercizio fisico, per cui il ricorso agli integratori resta un argomento controverso.
La differenza principale tra la vitamina D e le altre emerge però quando si pensa alla fonte primaria della molecola. Infatti, il 90% circa del fabbisogno di questo composto si ottiene grazie all’esposizione al sole, mentre solo una percentuale nettamente inferiore proviene dall’alimentazione. Tuttavia, oltre ai cibi arricchiti a livello industriale, come molti cereali per la prima colazione, possiamo trovarla in alimenti come i pesci grassi (per esempio il salmone, lo sgombro e l’aringa), il fegato e il tuorlo d’uovo.
In ogni caso, che sia prodotta nella pelle o introdotta con la dieta e assorbita nell’intestino, la vitamina D deve essere trasportata al fegato per essere attivata e svolgere tutte le sue funzioni.
Purtroppo, il 70% degli italiani è sotto i livelli minimi di questo prezioso micronutriente, con conseguente rischio di osteoporosi. Quindi, esponiamoci regolarmente al sole (sia pure con le dovute cautele!) perché è l’unico modo per garantire all'organismo il quantitativo di vitamina D necessario per mantenere in salute le ossa e l'intero organismo anche in inverno, quando il sole latita e le "scorte" che abbiamo immagazzinato si rivelano ancora più preziose.
Per tenere a bada la pressione alta e ridurre il rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari, insieme al controllo del peso corporeo e allo svolgimento regolare di attività fisica, ridurre il consumo di sale è sicuramente una delle raccomandazioni più importanti.
Secondo la Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) è bene non superare i 2g di sodio al giorno, vale a dire circa un cucchiaino di sale da cucina (meglio se iodato per prevenire la carenza iodica e mantenere la salute della tiroide), tra quelli naturalmente presenti negli alimenti e quelli discrezionalmente aggiunti. Un buon compromesso tra soddisfazione del gusto e prevenzione dei rischi!
Ma partiamo da una semplice domanda: abbiamo bisogno del sale? In condizioni di salute la quantità di sodio che dovremmo reintegrare con la dieta è bassissima. Pertanto, non abbiamo nessuna necessità di aggiungere sale ai cibi in quanto il sodio, già contenuto in natura negli alimenti, è sufficiente a coprire le necessità dell’organismo. In condizioni di estrema sudorazione però, i fabbisogni di questo minerale possono aumentare a causa delle maggiori perdite.
Un consumo abbondante di sale, spesso presente tra le tavole degli italiani, favorisce l’instaurarsi dell’ipertensione arteriosa, un fattore di rischio importantissimo per molte malattie del cuore.
Niente paura però, ridurre la quantità di sale è possibile e anche facile, soprattutto se la riduzione avviene gradualmente! Infatti, il nostro palato è molto versatile, ed è quindi possibile rieducarlo gradatamente a cibi meno salati. Bastano poche settimane per adattarsi a sapori meno sapidi e apprezzare appieno nuovi gusti.
I consigli sono pochi ma efficaci: scolare e sciacquare verdure e fagioli in scatola e mangiare più frutta e verdure fresche; usare erbe, spezie, aglio e limone per aggiungere sapore ai tuoi piatti; non portare il sale a tavola in modo da non aggiungerne ulteriormente; controllare le etichette dei prodotti alimentari per scegliere quelli a minor contenuto di sale.
È il caso di dire quindi che è proprio “cum grano salis” che dovremmo utilizzare il sale in cucina.
Tutti sappiamo che "alzare il gomito" è un’abitudine dannosa per la salute. D'altro canto, concedersi qualche bicchiere di vino o qualche birra è invece un comportamento che non viene generalmente percepito come pericoloso per la salute, anzi: da qui il famoso detto “buon vino fa buon sangue”. Ma sarà vero?
Le bevande alcoliche, soprattutto il vino e la birra, godono di grande popolarità nel nostro Paese e il loro consumo è parte integrante della cultura e della tradizione italiana.
Se da una parte, però, un moderato consumo di alcol, in particolare di vino rosso, è stato associato a una riduzione del rischio di malattie cardiovascolari, dall’altro è stato osservato che un suo consumo (a qualsiasi livello, compreso quello morigerato) può anche causare gravi problemi alla salute ed aumentare il rischio di contrarre patologie importanti come il cancro. L'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), infatti, classificava l'alcool come agente cancerogeno già nel 1988. Attenzione, però: ciò non significa che se si consuma alcol ci si ammalerà sicuramente di tumore!
In ogni caso, la possibilità di sviluppare patologie oncologiche non è la prima preoccupazione da nutrire: nel breve periodo, infatti, il consumo di alcol può portare a infiammazioni e cirrosi che riducono la capacità del fegato di svolgere le proprie funzioni essenziali per il metabolismo. Concedersi con generosità bevande alcoliche, inoltre, pregiudica la corretta attività del sistema immunitario e può avere effetti sul sistema cardiocircolatorio, senza dimenticare che l’alcol è una sostanza tossica anche per il sistema nervoso centrale.
A questo proposito, gli studi scientifici sul tema sembrerebbero suggerire che l’effetto dell’alcol sul cuore e sui vasi sanguigni e il rischio di ictus e infarto sono maggiori in chi non beve regolarmente rispetto a chi è abituato a consumare quantità modeste di alcol. Via via però che la quantità di alcol assunta aumenta, il rischio diventerebbe poi sempre più elevato.
Caffè, per alcuni l'inizio della giornata, per altri una scusa per vedersi e per altri ancora una pausa e un momento di tranquillità da tutto.
Il caffè non è solo una bevanda, ma ha anche un forte valore culturale e sociale, fino a diventare un vero e proprio rito, il “rito del caffè”, un momento immancabile nel corso della giornata per milioni di persone, non solo per gustare la bevanda in sé, ma per l’opportunità che esso offre di dare vita a momenti di socialità e condivisione.
Negli anni però il caffè è stato anche oggetto di molti studi. Diversi sono i risultati ottenuti, accomunati da una conclusione: se non si va oltre il limite di quattro o cinque tazzine al giorno, i benefici per l'organismo sono svariati.
Ricco di antiossidanti, oltre che in grado di stimolare il sistema nervoso centrale, il caffè può essere consumato in sicurezza fino a cinque tazzine al giorno (due invece per le donne incinte o in fase di allattamento). Con queste quantità, infatti, possiamo beneficiare delle proprietà di questa molecola, senza superare il limite di caffeina ritenuto sicuro per gli adulti sani sulla base delle evidenze disponibili.
Non è un caso che usiamo il caffè come una “ricarica” durante la giornata: la caffeina è in grado di ridurre l'affaticamento, aumentare la vigilanza e accorciare i tempi di reazione. Proprietà note a tutti, ma soprattutto a chi è abituato a svolgere lavori lunghi e routinari. Attenzione però, non si può pensare che un elevato consumo di caffeina possa sostituire le necessarie ore di sonno.
Quante volte avete sentito dire che il caffè alza la pressione? Se è vero che nel breve periodo può farne aumentare i livelli, mantenendo i consumi regolari, però, nel tempo l'organismo sviluppa una forma di tolleranza che pone i consumatori più assidui al riparo dal rischio di sviluppare l'ipertensione a causa del caffè.
Il caffè non sembra quindi aumentare il rischio di ammalarsi di patologie cardiovascolari, tutt’altro! Il suo consumo moderato sembra proteggerci da malattie croniche, come il diabete di tipo 2, la cui incidenza sarebbe sfavorita da una serie di effetti indotti dalla caffeina: dalla riduzione dell'appetito e dell'apporto energetico alla conseguente gestione del peso corporeo.
D’altra parte, un caffè preso un’ora prima dell’attività fisica sembrerebbe aumentare la performance sportiva migliorando la concentrazione e promuovendo la produzione di energia.
Il caffè è senza dubbio una delle bevande più amate e consumate al mondo: espresso, americano, caldo, freddo… Ma qual è il modo migliore per consumarlo? Sicuramente senza zuccheri.
Nelle giuste dosi e rispettando le esigenze di ognuno, soprattutto all'interno di una dieta Mediterranea, il caffè sembra avere un notevole effetto positivo sulla nostra salute… e sulle nostre giornate.
Con l’arrivo dell’estate le giornate diventano più lunghe, le temperature aumentano sensibilmente, si suda di più e quindi si perdono tanti sali minerali, guadagnando maggiore stanchezza e spossatezza.
Pensiamoci, non è certo il momento giusto per darsi regole rigide o sottoporsi a regimi alimentari restrittivi! Ma è senz’altro una buona occasione per migliorare la propria alimentazione, mantenersi in forma e far fronte al tempo stesso alle alte temperature tipicamente estive.
La parola d’ordine è “idratazione”! Con l’aumento della sudorazione dovuta al caldo sempre più estremo perdiamo più liquidi, aumentando il rischio di disidratazione. Durante la giornata è sempre bene preferire acqua - almeno dieci bicchieri al giorno, anche più se si fa sport - o infusi freddi. Evitare bevande zuccherate e birra per rinfrescarsi. Una bibita dissetante può essere una semplice acqua frizzante con succo di limone e foglie di menta.
I ritmi delle giornate estive, soprattutto in vacanza, spesso si discostano da quelli della routine del resto dell’anno: si va a dormire più tardi e conseguentemente ci si sveglia ancora più tardi, dimenticandosi della colazione o optando per una al bar. Cosa mettere allora a tavola nelle prime ore della giornata? Un vasetto di yogurt al naturale, un pugno di cereali integrali e la frutta fresca tagliata al suo interno sono nella maggior parte dei casi la scelta ottimale.
E a propositivo di frutta, non dimentichiamoci le famose cinque porzioni di frutta e verdura nella giornata! Proprio durante la stagione estiva la natura ci mette a disposizione una vasta gamma coloratissima di frutta e verdura, come ad accontentare i gusti di tutti e avvertirci della loro importanza. Infatti, quando sudiamo non perdiamo solo acqua, ma anche sali minerali e vitamine idrosolubili: per questo d’estate ci sentiamo maggiormente stanchi e spossati. La frutta e la verdura fresca sono ricchissime di acqua, sali minerali e vitamine: dei veri e propri integratori! Pertanto, è bene farne una bella scorta per reintrodurre i micronutrienti persi con il sudore e affrontare al meglio le giornate più calde. Attenzione però a non esagerare: il fruttosio (contenuto nella frutta) se assunto in dosi elevate può causare gonfiore e disturbi intestinali.
E le proteine? È bene preferire pesce di stagione, come l’orata, la sogliola, la spigola e la sardina, e carni bianche. Evitare di consumare spesso formaggi e affettati: anche se pratici sono ricchi di grassi saturi e sale. Non dimentichiamo i legumi: possiamo optare per dei legumi già pronti in barattolo di vetro, che possono essere aggiunti alle insalate per creare dei piatti freschi e veloci.
Anche i carboidrati non vanno abbandonati, altrimenti l’organismo andrà a utilizzare altre riserve energetiche del corpo, aumentando ancor di più la stanchezza e la spossatezza.
E il gelato? Sì ma con moderazione. Un piccolo gelato ogni tanto può diventare una merenda, meglio ancora se accompagnato da una bella passeggiata, o abbinato ad una macedonia per un gustoso fine pasto.
Il nostro organismo è una macchina complessa e perfetta, e come tutte le macchine ha bisogno del suo carburante. Questo ruolo è svolto dagli zuccheri: sì, proprio gli stessi vengono additati come negativi e dannosi! Ma andiamo per gradi.
Le cellule del nostro organismo utilizzano il glucosio come fonte di energia. In particolare, sono le cellule del cervello, del sistema nervoso e quelle dei muscoli a dipendere principalmente dal glucosio per svolgere le loro funzioni. Il metabolismo di questo zucchero, che può essere assunto con l’alimentazione o ricavato attraverso i processi metabolici nel nostro corpo, viene finemente regolato per evitare che le cellule rimangano senza.
Ma cosa succede quando gli zuccheri introdotti con la dieta sono in eccesso e non vengono utilizzati per produrre energia?
In assenza di un consumo adeguato, gli zuccheri extra vengono immagazzinati come riserve energetiche, ovvero sotto forma di grassi. Un eccesso di glucosio può quindi aumentare i depositi adiposi nell'organismo, sia come grasso sottocutaneo sia come grasso viscerale (ovvero il grasso localizzato intorno al cuore e nell'addome), quest’ultimo estremamente dannoso per la salute perché associato a un maggior rischio di malattie cardiovascolari e di diabete.
Come fare quindi per limitare gli zuccheri nella dieta? Bere acqua invece di bibite zuccherate, per esempio, ma anche scegliere snack salutari al posto dei dolciumi e non dimenticare di leggere le etichette per sapere cosa si sta comprando, prestando attenzione a tutti i nomi dietro cui si “celano” gli zuccheri. Qualche esempio? Sciroppo di glucosio, fruttosio, saccarosio, maltosio.
Ma come facciamo a capire quanto zucchero assumiamo e quanto ne dovremmo assumere?
Prima di tutto è importante distinguere i diversi alimenti che contengono zuccheri. Molti dei cibi che consumiamo regolarmente infatti, come la frutta e il latte, ne contengono naturalmente in combinazione con altri nutrienti importanti come vitamine, fibra, sali minerali e proteine. Questi alimenti coprono circa la metà del totale degli zuccheri che assumiamo con la nostra dieta.
Oltre a questi, però, ci sono cibi che invece sono composti prevalentemente da zucchero, come i dolciumi, le caramelle, la cioccolata, le bevande zuccherate. Se decidiamo di ridurre il totale degli zuccheri che ingeriamo, quindi, è bene iniziare a considerare questa seconda categoria di alimenti come una golosità da concedersi occasionalmente, oltre naturalmente a ridurre lo zucchero che utilizziamo in cucina o che aggiungiamo al caffè.
Parliamo di dosi: l'Organizzazione mondiale della sanità consiglia di non superare 25 grammi di zucchero aggiunto (5 cucchiaini circa) al giorno, che corrispondono al 5% dell'energia totale di una dieta equilibrata da 2.000 Kcal, sia per mantenere la salute dei denti che per il controllo del peso. Troviamo questa quantità in soli tre cucchiaini di miele o di marmellata, in una fetta piccola di crostata e in meno di una lattina di cola, ma anche in un bicchiere di succo di frutta o in due ghiaccioli.
Per introdurre meno zuccheri non serve scegliere un surrogato di questi alimenti, come le versioni senza zuccheri ma ricche in dolcificanti acalorici, bensì è necessario disabituarsi al dolce e favorire cibi più nutrienti... ma altrettanto gustosi!
Lo utilizziamo ovunque, sulla pasta o semplicemente con il pane, nell'insalata o come condimento per le carni. Ha un professionista tutto per sé ed è richiesto in tutto il mondo: stiamo parlando dell'olio extravergine di oliva, prodotto principe della Dieta Mediterranea.
Non tutti gli olii di oliva possono vantarsi del nome di extravergine. Per farlo devono possedere alcune caratteristiche peculiari, come la spremitura meccanicamente a freddo e un'acidità pari o inferiore allo 0,8%.
A differenza di altri prodotti per condire, infatti, l'extravergine di oliva è l'unico che si ottiene senza l’utilizzo di solventi ma unicamente attraverso un processo di estrazione meccanica che ne mantiene tutte le proprietà, rendendolo un vero e proprio succo di frutta!
Proprio grazie a queste caratteristiche, l’olio extravergine di oliva è una miniera di antiossidanti, come ad esempio la vitamina E, il tocoferolo e polifenoli, che ci aiutano contro l’invecchiamento e potrebbero contribuire alla protezione del sistema nervoso nelle patologie neurodegenerative.
Tra le molte proprietà dell'extravergine di oliva vi è sicuramente quella di proteggere le nostre arterie. Infatti, il suo consumo è da tempo associato a tassi di mortalità più bassi, soprattutto per le malattie cardiovascolari. Solo con l’olio extravergine i livelli di colesterolo cattivo LDL si abbassano, mentre quello buono invece, noto anche con il nome di HDL, non viene minimamente alterato. Dunque, la spremuta d'oliva rappresenta, oltre che un gustoso condimento, un'ottima forma di prevenzione del rischio cardiovascolare.
Studi meno recenti ma di grande impatto scientifico, hanno addirittura paragonato gli effetti anti-infiammatori dell’olio extravergine a quelli dell’ibuprofene.
Nuove prove invece sembrano suggerire che il consumo regolare di olio di oliva, non sia associato solo a una ridotta mortalità per le malattie cardiovascolari, ma anche per tumore.
Dunque, il consumo di extravergine rappresenta un ottimo modo di fare prevenzione. Ma quali sono le giuste quantità da assumere? Sicuramente per una dieta sana ed equilibrata non vanno superati tre cucchiai al giorno. È importante ricordare infatti che l'olio non è un farmaco, un eccessivo consumo non fa abbassare il colesterolo ma, al contrario, lo innalza. Per quanto riguarda invece il modo in cui lo si utilizza, il consiglio è quello di preferirlo a crudo. Va però anche detto che l’olio extravergine non è dannoso nei cibi cucinati. Infatti, per la sua alta percentuale di acido oleico, l'olio d'oliva ha un elevato punto di fumo ed è stabile alle alte temperature: la caratteristica giusta che lo rende uno tra i migliori alimenti per cucinare.
Non esiste dieta senza attività fisica: quando decidiamo di cambiare stile di vita approcciandoci a una dieta più sana, che l’obiettivo sia diminuire o aumentare di peso (o "semplicemente" migliorare la nostra salute!), non possiamo dimenticare la componente essenziale rappresentata dal movimento. D’altra parte, l’alimentazione ricopre un ruolo imprescindibile per ottimizzare la performance sportiva.
Una corretta alimentazione, infatti, ci dà la giusta energia per allenarci e recuperare al meglio, ma non solo: affinché l’allenamento sia efficace, è importante scegliere di seguire una dieta appropriata al proprio fabbisogno quotidiano e ai valori nutrizionali di riferimento, con le dovute differenze tra chi pratica sport a livello professionale e agonistico e chi invece lo fa a livello amatoriale.
Il programma alimentare più adatto per lo sportivo prevede un modello composto da tre pasti principali più due spuntini al giorno, così da fornire energia prima e dopo l’allenamento in qualsiasi momento della giornata questo venga effettuato.
Prima del workout, il pasto dev'essere anzitutto leggero e di facile digestione, ma anche equilibrato.
Se ci si allena entro l'ora successiva al consumo di alimenti, è consigliato optare per una fonte di carboidrati ricchi in fibra e una fonte di zuccheri (ad esempio delle fette biscottate integrali con del miele o un frutto). Quando invece abbiamo a disposizione più tempo per la digestione, dalle due alle tre ore, meglio optare per un pasto più completo (ad esempio del riso integrale con gamberi e zucchine, o uno yogurt con cereali). La fibra contenuta nei prodotti integrali, inoltre, permette di avere energia a lento rilascio dalla quale attingere per tutta la durata dell’attività.
E per reintegrare le perdite dopo un intenso allenamento? A seguito dell'esercizio occorre un adeguato apporto di carboidrati, grassi e proteine. Un’attenzione particolare va prestata proprio a queste ultime, utilissime per riparare i tessuti e incrementare la massa muscolare stimolata dall’esercizio, purché si ricordi che anche in questo caso i carboidrati svolgono un ruolo essenziale per favorire il trasporto delle proteine nei distretti di interesse. Anche in questo caso, un pasto completo con proteine ad alto valore biologico e povero in grassi sarà la scelta migliore.
Ultimi, ma non per importanza, i liquidi. Che sia prima, dopo o durante l'esercizio, è sempre necessario mantenere una corretta idratazione: con l’attività fisica, infatti, possiamo perdere fino a quattro o cinque litri di sudore, che in mancanza di un pronto reintegro potrebbero compromettere tanto il risultato sportivo quanto lo stato di salute.
Ma cosa bere? Con l’acqua non si sbaglia mai, ma in caso di sudorazione molto elevata, o di prestazioni che superano abbondantemente l'ora di tempo, può non bastare. In queste situazioni può essere utile l'impiego di integratori come sali minerali (tra i più sfruttati troviamo sodio, magnesio e potassio).
Una corretta nutrizione finalizzata alla pratica sportiva parte sempre da un corretto apporto di energia e di macro e micronutrienti. Integratori e alimenti per la nutrizione sportiva sono solo la punta della piramide e non possono sostituire i nutrienti presenti negli alimenti della dieta: senza questi, l’utilizzo di supplementi di qualsiasi tipo sarà completamente vano (e inutilmente costoso!)
Non siamo soli nell’universo, figuriamoci nel nostro corpo. Nel nostro intestino, infatti, abitano tanti batteri quante sono tutte le nostre cellule. L’insieme di questi batteri, virus e funghi che vivono nel tratto digerente viene definito “microbiota intestinale”, o nel gergo comune “flora intestinale”.
Non è nuova l’idea che l’intestino sia il secondo cervello: quante volte abbiamo sentito o utilizzato espressioni come "ho le farfalle nello stomaco" o come diceva Julia Roberts in Pretty Woman, "mi si sono attorcigliate le budella".
Da qui la scoperta che l’intestino e cervello si influenzano vicendevolmente, ma solo negli ultimi anni la ricerca scientifica ha permesso di alzare, anche solo parzialmente, il velo sui meccanismi biologici alla base della comunicazione fra cervello e intestino. Sono svariati i metodi con cui questi distanti organi parlano tra loro e si influenzano reciprocamente (sorprendentemente ma vero, l'intestino può condizionare attività cerebrali fondamentali come umore, emozioni, attenzione e memoria) in un sistema definito "asse microbiota-intestino-cervello".
In condizioni di stress, il sistema nervoso autonomo, cioè quella parte del sistema nervoso che controlla l’attività degli organi interni del nostro corpo (cuore, polmoni, stomaco, intestino), può alterare la motilità intestinale e portare alla disbiosi, ovvero a un’alterazione della composizione e dell’attività funzionale del microbiota che favorisce il sopravvento dei batteri nocivi su quelli buoni.
Sul versante intestinale, la disbiosi può essere indotta da una dieta sbilanciata, ricca di grassi, zuccheri e proteine, e/o dall’uso eccessivo di alcuni farmaci, soprattutto gli antibiotici. A causa della disbiosi, molecole pro-infiammatorie rilasciate dall’intestino e mediatori della risposta immunitaria, possono superare la barriera ematoencefalica e influenzare negativamente aree cerebrali fondamentali per il controllo delle emozioni e del comportamento.
Ma in che modo è possibile mantenere il microbiota sano ed evitare così la disbiosi con il suo carico di conseguenze negative? Molti studi scientifici suggeriscono che le diete che contengono prebiotici (ovvero il nutrimento per i batteri buoni) e probiotici (batteri buoni in grado di avere un’influenza positiva) possono essere di grande aiuto nel mantenere sano il microbiota e riportarlo in condizioni ottimali in caso di disbiosi.
Le fibre presenti negli alimenti vegetali, come verdura, frutta, legumi e cereali integrali, sono il cibo preferito dai nostri batteri, mentre alimenti fermentati quali yogurt, kefir, crauti, sottaceti e pane a lievitazione naturale apportano microbi buoni che promuovono la nostra salute.
Arricchendo la nostra dieta con questi alimenti e, conseguentemente, riducendo il consumo di zuccheri e cibi ultra-lavorati, garantiremo il mantenimento della salute del microbiota intestinale, fondamentale non solo per mantenere una buona funzionalità del nostro intestino e dell’organismo in generale, ma per garantire un cervello "in forma".
Cercando su Internet “modelli di dieta” possiamo trovare una lista lunghissima di regimi alimentari più o meno conosciuti. La prima cosa che ci chiediamo, quindi, è “quale devo scegliere?”, e soprattutto “da dove inizio?”
Nel tempo la parola “dieta” è diventata sinonimo di privazione e, sempre più spesso, di qualcosa estremamente complicato da seguire. Nulla è più lontano dalla realtà!
Nel nutrito elenco delle diete disponibili, infatti, figura anche quella mediterranea, lanciata dal nutrizionista americano Ancel Keys che per primo constatò come in Italia si seguisse una dieta molto più salutare rispetto allo stile di alimentazione statunitense… ma qual è il suo segreto?
Questo regime alimentare si basa su alimenti di consumo abituale nei Paesi del bacino mediterraneo ed è caratterizzato da una proporzione che privilegia cereali, frutta, verdura e olio di oliva rispetto a carni rosse e grassi animali, assunti più raramente. Il vero punto di forza della dieta mediterranea, quindi, sta proprio nella sua varietà (tutto il contrario della privazione!), e il suo insegnamento più importante è che non è necessario eliminare un alimento se sappiamo inserirlo con le giuste porzioni e frequenze.
Tutte queste informazioni vengono riassunte in modo chiaro dalla piramide alimentare, un grafico che fornisce indicazioni sulle quantità e frequenze dei cibi da consumare scegliendo tra i vari gruppi di alimenti e ci aiuta a organizzare la nostra alimentazione conciliando i ritmi dello stile di vita attuale con la tradizione alimentare del nostro Paese.
Alla base della piramide troviamo attività fisica (che non significa solo allenamenti in palestra, ma qualsiasi tipo di movimento!), convivialità (e quindi il rispetto per occasioni sociali e festività), stagionalità e prodotti locali. Questo contribuisce a rendere la dieta semplice e, non meno importante, decisamente più economica e piacevole da seguire.
Come organizzare quindi la settimana nel rispetto di queste indicazioni? Piramide alla mano, si parte dagli alimenti di uso quotidiano: a ogni pasto saranno presenti frutta o verdura e cereali integrali, tra i quali sono compresi anche pasta e pane. Durante il giorno, tutti i giorni, è possibile consumare latte e latticini magri, semi oleosi e frutta a guscio (ideali come spuntini) e olio extravergine di oliva come condimento.
Per quanto riguarda le fonti proteiche, non accontentiamoci del classico petto di pollo ai ferri: puntiamo sulla varietà! Preferiamo legumi e pesce (meglio se pescato locale), carni bianche e uova. Divertiamoci con le cotture e con i sapori, utilizzando spezie ed erbe aromatiche locali oppure esotiche. Accettati, ma da consumare con frequenza decisamente minore, anche salumi, carni lavorate, carni rosse e dolci, ma non più di una porzione a settimana.
In conclusione, “dieta” non fa rima con “restrizione” e non deve essere intesa solo nella sua accezione di “protocollo dimagrante”: più che un semplice elenco di alimenti da consumare o non consumare, infatti, un buon piano alimentare rappresenta uno stile di vita. Adottando questa ottica riusciremo ad abbracciare e seguire con successo una dieta varia e sostenibile nel tempo, capace di promuovere la nostra salute senza frustrazione.
Se parliamo di legumi ci vengono subito in mente le calde zuppe delle sere invernali. In realtà la loro stagione inizia proprio in questo periodo: da aprile e per tutta l’estate inizia la raccolta dei legumi, che potranno poi essere surgelati o essiccati per essere conservati tutto l’anno.
I più conosciuti e consumati sono fagioli, piselli, ceci, lenticchie, fave, lupini e tutte le loro varietà. Tra i meno utilizzati troviamo la cicerchia e la roveja (o pisello dei campi), ma anche l’arachide e la soia.
La presenza di fibre permette di ridurre fino al 10% l’assorbimento del colesterolo e modulare la risposta glicemica dell’organismo a seguito del pasto, rivelandosi un’alleata nel controllo delle dislipidemie e del diabete.
La fibra presente non ha solo un’azione meccanica, ma viene utilizzata come nutrimento per i batteri nel nostro intestino, migliorando il nostro stato di salute in generale. Recenti studi evidenziano anche come un microbiota intestinale in salute possa influenzare positivamente il nostro umore, riducendo patologie come ansia e depressione.
I legumi sono delle vere e proprie miniere di nutrienti. A parità di porzioni, infatti, i fagioli contengono il doppio del ferro e la stessa quantità di proteine rispetto alla carne bovina, pur essendo di origine vegetale.
Secondo le indicazioni della Società Italiana di Nutrizione Umana, andrebbero consumati dalle 3 alle 5 volte alla settimana; la porzione di riferimento corrisponde a 50 grammi per i legumi secchi, mentre per i legumi freschi, surgelati o in scatola la porzione è di 150 grammi. Se abbinate con una porzione di cereali, avremo un pasto completo e che comprende tutti gli aminoacidi essenziali.
Spesso però il consumo di legumi si associa a gonfiore intestinale. Il meteorismo è dovuto al fatto che il nostro intestino si è abituato ad alimenti molto raffinati e si è disabituato alla fibra. Di fronte a questi cibi reagisce in modo anomalo, fermentando, gonfiando la pancia di aria e rallentando la digestione. Occorre pertanto introdurre i legumi inizialmente a un pasto alla settimana, partendo con piccoli assaggi e aumentando gradualmente frequenza e quantità. Meglio scegliere legumi secchi di qualità evitando quelli precotti in scatola: lenticchie e piselli decorticati sono già pronti per la cottura, mentre gli altri occorre lasciarli in ammollo 12 ore, cambiando l’acqua un paio di volte, in modo da ammorbidirli il più possibile. Con queste accortezze, i legumi possono essere impiegati sin dalle prime fasi dello svezzamento.
Come inserire quindi i legumi nelle giornate più calde? In insalata con rucola e pomodorini che ne favoriscono l’assorbimento del ferro; frullati con un po’ di olio e succo di limone per farcire una piadina o sotto forma di burger o polpette per conquistare tutta la famiglia.