Il 23 settembre 2020 Francesco Acquaroli vinceva le elezioni sottraendo la Regione Marche agli ultimi cinquant’anni di governo di centrosinistra. Il tempo di annunciare i membri ufficiali che avrebbero composto la nuova giunta e, nell’arco di poche settimane, dai reparti dell’opposizione scattò il ricorso al Tar. Il motivo? Sei uomini alla guida di Palazzo Raffaello e solamente una donna: Giorgia Latini.
Un anno il tempo trascorso per la decisione dei giudici amministrativi motivata dalla sentenza 557 del 23 giugno 2021: “La presenza di una sola donna è sufficiente a garantire la rappresentanza di entrambi i sessi all’interno della giunta regionale” (Statuto della Regione Marche, art. 3 comma 2. e art. 7, comma 2). Tutto regolare, quindi.
A distanza di otto mesi, l’opposizione è tornata alla carica con un nuovo ricorso firmato da 62 esponenti, tra cui la consigliera uscente Paola Maria Petrucci, la consigliera regionale Pd Manuela Bora, il candidato governatore di Dipende da Noi, Roberto Mancini e l’ex magistrato e presidente regionale Vito D’Ambrosio. Con una pronuncia rimandata direttamente al Consiglio di Stato.
La richiesta: annullare i decreti regionali che regolano la nomina degli assessori e attribuiscono le varie deleghe. Le ragioni dei ricorrenti vanno ricercate in quella che, da parte della giunta Acquaroli, risulta essere un’aperta violazione di tutta la normativa italiana ed europea in materia di parità di genere.
I riferimenti di Petrucci e colleghi rimandano alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, al Preambolo Dichiarazione dei diritti umani ONU, alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne adottata delle Nazioni Unite del 1979, al Trattato dell’Unione Europea fino alla Costituzione Italiana.
Una serie di norme che per loro natura dovrebbero garantire, se non la parità di genere assoluta, “una presenza femminile più equilibrata con almeno due componenti all'interno dell'amministrazione regionale". Nulla che però, a livello giurisprudenziale, possa di fatto vincolare le scelte operate in materia dal presidente Acquaroli.
Il presidente della Regione Marche, in merito alla tematica quote rosa, è fin qui apparso diviso tra apparente progessismo in salsa berlusconiana e una concezione della figura femminile strettamente adiacente a un concezione da Ancien Regime.
Si attendevano le reazioni dei lavoratori ultracinquantenni, allo scattare oggi 15 febbraio 2022 dell’obbligo di esibire il green pass. Molti quelli che, finché hanno potuto, hanno evitato il vaccino. Altri insistono sui tamponi giornalieri.
Nonostante la campagna di immunizzazione ancora in atto e il rallentamento della variante Omicron, le Marche restano divise sul tema della certificazione verde. E le ultime misure restrittive del Governo hanno influenzato ulteriormente alcune linee di pensiero che vedono nel pass uno strumento inutile, buono solo per avere maggiore controllo sulle persone.
Le varie aziende del marchigiano, del resto, non hanno potuto fare altro che adeguarsi di volta in volta a tutte le norme, soprattutto all’indomani dell’ultimo picco di contagi registrato dopo le vacanze natalizie, che hanno messo a dura prova l’attività produttiva. Qualcuno è stato persino costretto a chiudere i battenti.
Insieme al presidente e amministratore delegato di I.C.A. Group Sandro Paniccia abbiamo fatto il punto sul nuovo obbligo per gli over 50, cui si lega il decreto-legge 127/2021 in materia di “green pass per i lavoratori”.
Come sta procedendo questo primo giorno di controlli? Finora non stiamo avendo problemi. Solo in Italia abbiamo circa 450 dipendenti, e cerchiamo di far rispettare loro tutte le regole. Devo dire che sono in molti ad essersi vaccinati in vista di questo nuovo obbligo, soprattutto che fino adesso aveva evitato di farlo.
Di quante strutture parliamo? Due stabilimenti produttivi in Italia: il più importante a Civitanova e un altra in provincia di Vicenza . E poi altre tre filiali, rispettivamente A Pesaro, Treviso e Lissone.
Come avvengono i controlli per il possesso del green pass? Ci affidiamo a un software che ne verifica la validità. I dati ottenuti a campione poi, tramite piattaforma INAIL, vengono inviati direttamente al Ministero della Salute. Quello che non possiamo sapere è come questi certificati siano stati ottenuti.
E riuscite a garantire la genuinità di questi controlli? Ormai è da più di un anno che mettiamo in piedi manovre di sicurezza. E il Sistema del Ministero della Salute provvede alle veriche sul possesso dei green pass. Il problema vero per noi sono i contagi: dopo le vacanze abbiamo sofferto la mancanza del 15% della forza lavoro.
Lei ha avuto difficoltà con qualche dipendente rispetto all’obbligo di vaccinarsi? So che c'è chi non l'ha fatto. Ma di base a noi titolari non è permesso sapere chi si vaccina e chi no.
E come intendente procedere rispetto a questi potenziali “no vax”? In nessun modo, non possiamo obbligare nessuno. Oltre alla salute, adesso gli over 50 rischiano anche le multe.
Così non rischiate di effettuare dei controlli troppo” alla leggera”? Noi ci limitiamo a seguire le direttive previste, e a garantire il minimo dei controlli previsto dalla legge: il 20% del personale. Noi natuiralmente garantiamo il massimo di questi controlli.
Che reazioni ci sono state da parte dei vostri dipendenti ultracinquantenni? Non ho ancora ricevuto comunicazioni a riguardo.
La tragedia di Giuseppe Lenoci porta con sé l’eco di altri giovani come lui che hanno perso la vita a “causa del lavoro”. Persone come Luana D’Orazio (22 anni), stritolata da un orditorio manomesso, o come Lorenzo Parelli (18 anni), schiacciato da una putrella. E poi ci sono i morti in itinere, come Giuseppe: quelli che hanno perso la vita durante il tragitto verso il posto di lavoro. Un percorso di almeno 100 km il suo, privo dei controlli che uno stage dovrebbe di norma prevedere.
La necessità di trovare un lavoro nel 2022 si scontra oggi non solo con le tanto discusse morti bianche, ma si lega sempre più a doppio filo con il futuro dei più giovani. Costretti a scendere in piazza per rivendicare il loro diritto a un domani migliore.
Nel frattempo, i sindacati proseguono con gli accomodamenti fra le parti – azienda e operaio – e le manovre previste anche dall’arrivo del PNRR. Perché molta sarà la forza lavoro impiegata per la ricostruzione post pandemia. Il che significa dover effettuare maggiori controlli per evitare altre tragedie. Ma sarà davvero così? Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Galli, segretario regionale della CGIL Marche.
Cosa pensa della morte di Giuseppe Lenoci? La dinamica non è ancora chiara. Di per sé la questione delle morti sul lavoro è ormai un problema conclamato, così come la gestione dell’alternanza scuola-lavoro per gli studenti. Come era regolamentata l’attività svolta da questo ragazzo?
Lei già in passato aveva maturato riflessioni sull’alternanza scuola-lavoro? Noi del sindacato abbiamo sempre appoggiato l’affiancamento ai ragazzi sul posto di lavoro. Più in generale, tutti dovrebbero ricevere un’adeguata formazione preventiva e contare sulla giusta sicurezza. Spesso i rischi vengono sottovalutati.
Quindi per lei la formazione del lavoratore resta alla base di tutto? È il cuore della prevenzione. Possiamo fare tutti i controlli possibili - il Governo ha anche recentemente inasprito le sanzioni nei confronti delle aziende - ma come sindacato pensiamo che non basti questo come deterrente.
Quindi la sicurezza sul lavoro quanto deve essere garantita dai controlli e quanto dalla formazione? Direi 30% e 70%. Se la gente non conosce i rischi correlati alle attività, il problema non si risolve.
Questo però non rischia di ridurre le responsabilità di un titolare d’azienda che già si preoccupa di far crescere la produzione? Secondo me no. La Scuola Edile di Ascoli è un esempio: sta formando ragazzi che saranno preparati ai rischi, rispetto a chi viene buttato direttamente nei cantieri. C’è da dire che il PNRR amplificherà molto questo genere di lavoro nei prossimi mesi.
La disgrazia di Giuseppe Lenoci è solo l’ultimo caso di giovani morti sul lavoro. Però rimangono i casi di Luana D’Orazio e Lorenzo Parelli. Lo Stato dovrebbe garantire l’accesso ai ragazzi a tutte le opportunità, e con maggiore sicurezza.
Lenoci rientra nella categoria degli “infortuni in itinere”. Secondo i dati, almeno una morte su quattro avviene con queste dinamiche. È stata una fatalità: le morti in itinere vengono in generale considerate in maniera minore rispetto a quelle che avvengono sul posto di lavoro. Non sappiamo nemmeno se di mezzo c’è la formula dell’alternanza scuola-lavoro. Ma se ci pensi, quanti ragazzi potrebbero correre certi rischi solo perché vanno in Erasmus?
Quindi manca l’adeguata formazione anche presso gli istituti scolastici? Molte strutture in Italia e nelle Marche erano già presenti prima ancora che entrasse in vigore l’offerta formativa dell’alternanza scuola-lavoro.
Con l’arrivo del PNRR e la grande quantità di lavoro prevista per la “ricostruzione”, voi come sindacato come pensate di garantire la giusta sicurezza ai lavoratori? Gli imprenditori devono rispettare le leggi e dare garanzie; noi per legge abbiamo la figura del preposto che deve effettuare i controlli e rapportarsi con gli RLS. Il sindacato può solo cercare di formare quanti più rappresentanti possibili (d.lgs. 81/08). Non c’è bisogno di altre leggi. Purtroppo sono poche le imprese disposte a investire nella formazione dei lavoratori.
Al netto di una quarta ondata di contagi che sembra affievolirsi, di una gestione governativa bisognosa di ricorrere a nuovi obblighi e ordinanze – giustificata dalla necessità di raggiungere l’immunità di gregge e dalle fasi di collasso altalenante della Sanità – i dubbi sull’effettiva utilità dei vaccini restano per molti italiani ancora in piedi.
All’indomani delle ultime misure adottate nei confronti degli over 50 – ad oggi la comunità più refrattaria alla profilassi – il nostro Paese conta ancora 2,284 milioni di ultracinquantenni potenzialmente no vax, distribuiti all’interno di quel 10% totale di irriducibili di tutte le età.
Dopo due anni di emergenza, le argomentazioni addotte in merito a quella che risulta essere una “sfiducia patologica” sono ancora le stesse. “Il vaccino non è stato sperimentato”, “il Covid non esiste”, “siamo sotto dittatura sanitaria”, “chissà cosa c’è nel siero” miste a cospirazioni governative, informazione asservita al potere e un pozzo senza fondo di certezze.
Eppure, se si prendono in esame i dati rilasciati dall’Iss nel periodo compreso fra fine novembre e inizio del 2022 – nel quale cioè è stato evidenziato l’ultimo, grande picco di contagi legato alla variante Omicron – è possibile ricostruire quelli che sarebbero stati gli scenari plausibili qualora la campagna vaccinale non fosse mai stata realizzata.
Dal 10 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022 sono stati confermati circa 1.983.622 casi di Covid-19, di cui il 19,9% sono risultati non vaccinati, a fronte del 10% comprensivi anche di booster. Di conseguenza, i ricoverati no vax sono arrivati al 48%, mentre i vaccinati al 4,9%. Sul fronte terapie intensive e decessi, i numeri arrivano a 66% e 45,9% (no vax), rispetto ai più contenuti 2,8% e 4,2% (si vax).
Nel periodo preso in esame i casi positivi sarebbero potuti ammontare a circa 3.206.604 qualora nessuno fosse stato vaccinato. Ovvero un numero triplicato rispetto quello reale. Va da sé che i ricoveri ordinari avrebbero potuto quadruplicarsi (77.557 anziché 19.647) e addirittura arrivare a cinque volte tanto per le terapie intensive (11.093 anziché 2.075).In ultimo, la stima dei decessi sarebbe stata di 11.702 unità, a fronte degli effettivi 3.141. E se invece la copertura vaccinale avesse raggiunto il 100%? Casi positivi: 1.334.088. Ricoveri ordinari: 6.336. Terapie intensive: 393. Morti: 880.
A volte capita che la distanza fra cittadino e forze dell'ordine si riduca all’interno di una comunità, quando la divisa riesce a diventare punto di riferimento nei momenti di maggiore difficoltà. Con il Luogotenente Junio Faiazza siamo andati alla scoperta dell’uomo che per quasi trent’anni ha rappresentato per la zona di Camerino una figura importante, degna di fiducia.
Lui nell’Arma dei Carabinieri ci è entrato ufficialmente nel 1995, motivato dalla passione e la voglia di dare un contributo attivo alla società. E da allora ha portato avanti il suo percorso, arricchito anche dal conseguimento di ben quattro lauree. Ma soprattutto, segnato profondamente dai terremoti del 1997 e del 2016 e dalle varie esperienze vissute all’estero in rappresentanza delle Marche e dell’Italia.
Il 14 febbraio 2022, Junio Faiazza lascerà il comando della Stazione di Camerino dove ha passato gli ultimi 6 anni della sua carriera e della sua vita, per essere trasferito a Grottammare. E proprio passeggiando per le strade di una città ancora vuota e silenziosa, ferita dal sisma, abbiamo ripercorso insieme lui le tappe più importanti di questa avventura.
Che momento è adesso per lei con questo trasferimento? È un cambiamento quasi drastico, perché ho passato più tempo in questa zona delle Marche che non nella mia terra d’origine. Una scelta difficile, ma era giunto il momento di cambiare.
Com’è cominciata la sua esperienza in divisa? Ero affascinato da due figure fondamentali dell’Arma dei Carabinieri: il comandante di Stazione e l’operatore R.O.S., per le operazioni speciali. Mi sono fatto conoscere e ho iniziato con le prime esperienze, fino al giorno in cui ho deciso di diventare Luogotenente.
E da allora la sua passione è rimasta immutata? Assolutamente sì. Il comandante di Stazione per me resta una figura inossidabile, la colonna portante dell’Arma dei Carabinieri. Questo ruolo mi stimola ancora oggi ad andare avanti.
Lei è riuscito a costruire un legame di fiducia con la comunità? Per me è la base di questo lavoro, se viene meno la fiducia del cittadino sento di aver fallito.
Qual è stata la prima tappa fondamentale del suo percorso? Diventare vice-comandante a Serravalle di Chienti, nel 1997. Purtroppo a pochi mesi dal mio arrivo ci fu il terremoto, nella frazione di Cesi. Fare i conti con quell’evento è stato un durissimo battesimo: fra le macerie, la disperazione e la voglia di ricostruire, il compito mio e dei miei colleghi era continuare a trasmettere sicurezza.
E dopo Serravalle di Chienti? Sono stato chiamato al R.O.S. di Roma, dove ho avuto la fortuna di collaborare direttamente con il famoso capitano Sergio De Caprio, detto “Ultimo” - alla ricerca dei latitanti mafiosi. Ma poi ho scelto di tornare come comandante alla stazione di Serravalle.
L’esperienza dell’antimafia cosa le ha trasmesso? Molto, ma lì devi essere invisibile: non sei “nessuno”. Come comandante a Serravalle invece cercavo il contatto diretto con le persone.
Nel 1997 il terremoto di Serravalle. Nel 2016 quello Camerino. Un’altra esperienza forte. Un evento così disastroso che nessuno si aspettava in cosi poco tempo, nello stesso territorio.
Come si è sentito in quelle occasioni? Di fronte a un evento del genere come un terremoto sisma ci si sente impotenti. Tutte le certezze svaniscono insieme al crollo della tua casa. E l’unica cosa che puoi fare è continuare a fare il tuo lavoro meglio che puoi: proteggere e assistere nella disperazione.
Qual è la cosa peggiore e quella migliore che si è sentito dire nella sua carriera? La migliore: “Grazie per quello che fate”. La peggiore: “Avete fallito”.
Dal 1995 nell’Arma, sono passati 27 anni. Ci sono state anche altre missioni fuori dall’Italia. Ho passato otto mesi in Palestina (2007), sei mesi in Bosnia (2009) e altri otto mesi in Afghanistan (2010-2011). Al tempo fui scelto perché sapevo parlare bene due lingue – inglese e spagnolo – e avevo la giusta predisposizione psicologica. Non sono missioni che può intraprendere chiunque.
Cosa ha trovato in quelle zone? Era tutto surreale: qualsiasi racconto non regge il confronto con la realtà. In Palestina a Hebron – città occupata - lo scopo della missione era aiutare rimanendo imparziali.
E oggi lasciare questa Camerino fantasma cosa significa? Anche questo è surreale, ma parto sereno: so di aver fatto tutto quello che potevo.
Domani che giorno sarà per Junio Faiazza? Mi aspetto di tutto, senza programmi. Per me si tratta di una nuova sfida, da vivere giorno per giorno. Sicuramente oggi ho con qualche buon valore in più da mettere al servizio della comunità.
Mentre gli italiani si preparano a una nuova riapertura post pandemia – da oggi stop alle mascherine all’aperto e riapertura delle discoteche – il termine dello stato di emergenza fermo al 31 marzo 2022 ha cominciato a sollevare i primi dubbi su quello che sarà il destino del lavoro e, in particolare, dello “smart working”.
Rispetto al periodo più critico della pandemia – che ha portato dall’inizio del 2020 circa 6 milioni di italiani a lavorare da casa – aziende e sindacati prevedono di procedere a una nuova serie di accordi che, rispetto a quanto già realizzato dal 15 ottobre scorso (orari flessibili e turnazioni consone per evitare assembramenti) dovrebbe puntare a una soluzione più “ibrida”. Il lavoro in presenza dovrebbe essere, dunque, bilanciato con quello da remoto.
Secondo i dati della Cgil gli accordi aziendali sullo smart working sono circa 200, ma solo tredici contratti nazionali di categoria ad oggi hanno normato il lavoro agile.
Questa transizione – disciplinata dalla legge 81/2017 – richiede la necessità di un protocollo che regoli i rapporti fra lavoratori e imprese, visto che ad oggi gli orari di lavoro restano immutati, mancano gli incentivi e le misure atte a promuovere la sostenibilità e le pari opportunità. Sono questi gli argomenti principali che infatti i sindacati dovranno presentare entro la fine dello stato d'emergenza sui tavoli delle aziende.
Inoltre, nelle ultime settimane gli stessi rappresentanti dei sindacati hanno criticato fortemente le posizioni del Ministro Renato Brunetta, fermo sostenitore del “lavoro in presenza” al 100%: "Piuttosto che chiusi a casa, con il telefonino sulla bottiglia del latte a fare finta di fare smart working è meglio puntare su vaccini, vaccini, vaccini e presenza, con una migliore organizzazione del lavoro".
Il discorso verte in particolar modo sulla Pubblica Amministrazione, dove il telelavoro ha segnato un graduale calo di impiego (dall’11% nel 2020 al 6,6% del 2021). In questo senso, la proposta maggiormente avanzata dalle parti sociali è proprio quella di alimentare la digitalizzazione del lavoro.
“Il pensiero del Ministro Brunetta – ha commentato Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil -screditano lo sforzo di tutti coloro che, durante l’emergenza sanitaria, sono riusciti nonostante le grosse difficoltà a garantire la continuità di servizi essenziali al cittadino. Innovazione e rinnovo dei contratti: è questo l’unico modo per dare il giusto valore alle professionalità e favorire un’adeguata ripartenza”.
Si è svolta oggi la cerimonia di inaugurazione dei nuovi locali presso il Centro di Salute Mentale – I° piano della Palazzina Ex Scuola Infermieri adiacente all’Ospedale di Macerata – alla presenza del personale medico, i rappresentanti della Fondazione "Girolamo Colonna", la vicesindaco Francesca D’Alessandro, gli assessori Anna Menghi, Filippo Saltamartini e la direttrice di Area Vasta 3 Daniela Corsi.
Cinque spazi restaurati e arredati grazie al contributo d’investimento della famiglia Colonna, in collaborazione con Giessegi Industria Mobili Spa, Cimar e Ariro Srl. L’azione vuole assicurare maggiore assistenza e comfort ai pazienti in carico e quelli futuri, in virtù di patologie psichiatriche in costante aumento insieme all’utilizzo – più frequente soprattutto fra i giovani – degli psicofarmaci.
“Si tratta un intervento importante – ha dichiarato Stefano Nassini, direttore del dipartimento di salute mentale dell’Area Vasta 3 – perché il nostro obbiettivo è quello di migliorare ancora di più l’offerta riabilitativa per i nostri utenti. La nostra equipe di medici, psicologi, educatori e tecnici lavora in maniera presente e costante, anche se il Covid ci ha molto rallentato. Sono convinto che saper intervenire per tempo sulla salute mentale delle persone sia il segnale di una società che funziona”.
“Quando le istituzioni lavorano in sinergia i risultati ci sono – ha aggiunto D’Alessandro, che ha anticipato il taglio del nastro ringraziando assieme all’assessore Menghi tutte le parti che hanno collaborato alla rigenerazione del reparto.
Un pensiero rinnovato anche dalla direttrice Corsi, che promette “continuerò ad impegnarmi per ascoltare le esigenze di tutte le strutture sanitarie. La collaborazione fra gli addetti ai lavori è diventata fondamentale, ora che ci prepariamo a ripartire”.
“Il nostro contributo in quanto fondazione privata – ha sottolineato il vicepresidente Nicola Colonna, accompagnato dagli avvocati Francesco Ciotti e Manuel Seri – vuole dare un segnale preciso a tutti gli operatori sanitari: non siete soli. Voi fate il grosso del lavoro, ma noi vogliamo continuare ad assistervi nel miglior modo possibile”.
Ad intervenire per ultimo è stato l’assessore regionale alla Sanità Saltamartini, che ha voluto anticipare anche i futuri interventi legati al PNRR. “L’eccezionalità di questa inaugurazione ci ricorda quanto sia importante nel nostro mestiere la solidarietà. Molti operatori del CSM hanno contribuito direttamente in questi due anni alla campagna di vaccinazione, vista soprattutto la forte carenza di personale. E visto che in generale saper curare significa prevenire tutta una serie di conseguenze a livello sociale, le istituzioni, l'amministrazione pubblica e gli operatori devono ridurre gli attriti fra loro e collaborare per il bene delle Marche.
Il nostro Piano per il PNRR è pronto - ha concluso l'assessore - e prevede l’investimento di 15,7 milioni di euro per l’apertura di case e ospedali di comunità – in particolare, a Camerino, Recanati, San Severino, Macerata, Civitanova, Corridonia, Treia e Tolentino, che dovranno rispettare anche le norme sismiche che oggi mancano in molte strutture. Purtroppo il turnover dei medici rimane ad oggi un’incognita: molti andranno in pensione a breve, ma sostituirli non sarà facile. Servono fondi da investire nella formazione dei giovani, contratti di lavoro dignitosi, maggiori assunzioni nei reparti del 118. Sarà un percorso lungo e complicato. Ma oggi dobbiamo dare alle nostre famiglie un segnale positivo di fiducia e speranza”.
Ventidue decessi su cento milioni di somministrazioni totali. Un caso di reazioni avverse ogni milione di inoculazioni. Sono questi i numeri riportati dall'ultimo studio di Aifa in merito alla campagna di vaccinazione contro il Covid-19.
Nello specifico, nel periodo compreso tra il 27/12/2020 e il 26/12/2021, sono stati 10 i morti per trombosi legati ai vaccini a Pfizer e Moderna, mentre negli altri casi si parla di «fallimenti vaccinali» o «eventi sistemici» su persone fragili. Le segnalazioni di eventi avversi accertati nell’arco di 14 giorni dalla profilassi ammontano a 758, dato che inizia a calare dopo la terza dose.
La maggiore sorveglianza da parte della Rete nazionale di Farmacovigilanza evidenzia poi quelle che sono le patologie più preoccupanti emerse dopo la vaccinazione, escludendo i sintomi più comuni come febbre, cefalea o dolori muscolari. Fra questi l'anafilassi (grave reazione allergica acuta) imputata per un totale di circa 28 segnalazioni legate ai due vaccini m-Rna.
Segue la "trombocitopenia trombotica" o trombosi (embolie, complicanze dei seni intracranici o cerebrali) dove, nell'età media compresa fra i 40 e i 60 anni (più colpite le donne), i maggiori casi sono imputati stavolta ad AstraZeneca e Johnson & Johnson.
Fra le altre, "paralisi acuta del nervo facciale", "sindrome di Guillain-Barré" o paralisi ascendente, "miocarditi" e "pericarditi", dove i vaccini Pfizer e Moderna tornano a incidere maggiormente sui casi, colpendo anche la popolazione più giovane di età compresa fra i 12 e i 40 anni.
Le mancate riforme e revisioni dei modelli sanitari attesi da anni e richiesti a gran voce negli ultimi due hanno solo reso più evidente il profondo stato di confusione in cui riversa il Ministero della Salute in Italia. Segno di un’emergenza pandemica gestita in maniera fallimentare.
Dal Piemonte alla Calabria mancano 17 mila medici e 350 mila infermieri per raggiungere gli standard fissati a livello europeo dall’Ocse, per cui servirebbero almeno 8,8 infermieri ogni mille abitanti. L’Italia invece si ferma a 5,6. Di più: la carenza del comparto infermieristico – il più sfruttato durante l’emergenza, oltre che il più vessato dal punto di vista stipendiale (previsti entro febbraio tagli fino a 500 euro) – non è stato nemmeno compensato dai cosiddetti rinforzi arrivati durante la prima ondata di contagi.
Il motivo? Troppe assunzioni a tempo determinato: delle 83.180 figure iniziali solo 17.151 sono state stabilizzate a livello contrattuale, di cui 8,7 mila nuovi infermieri. Tutti gli altri hanno lasciato la trincea all’alba della variante Omicron.
PER FARE CHIAREZZA
Gli ultimi dati aggiornati da Istat nel 2019 rendono conto di 603.856 operatori sanitari, e circa 330 mila OSS. Ma ad oggi il primo dato sembra essersi sensibilmente ridimensionato (fra decessi, abbandoni e sospensioni), così come il secondo del quale però non vi è alcun Albo di riferimento per essere appurato ufficialmente.
L’ASUR Marche contava nel 2019 circa 13.795 dipendenti così distribuiti: 2.176 (Area Vasta 1), 4.084 (Area Vasta 2), 3.403 (Area Vasta 3), 1.651 (Area Vasta 4), 2.481 (Area Vasta 5).* A questi vanno aggiunti i 1.411 operatori sanitari reclutati durante l’emergenza Covid, di cui 1.246 precari fra medici (292), infermieri (601) e altro personale (353). Stabilizzati solo 165.
Inoltre, tanto per la categoria medici/infermieri quanto per gli operatori socio sanitari non è consultabile alcun Elenco Regionale di iscrizione, per il quale solo un anno fa è stata presentata una proposta di legge (n 32 del 4 marzo 2021) rimasta ferma.
QUINDI?
Chi pensa che i 20 mld del PNRR destinati alla Salute in Italia (ad oggi 15,63 accertati in via ufficiale) riusciranno a tamponare in maniera significativa le varie criticità, dovrà ricredersi. Solo la metà dei fondi, infatti, verrà utilizzata per realizzare 1.288 case di comunità, 602 centrali operative territoriali per l’assistenza domiciliare e 381 ospedali di comunità per le cure di lunga degenza. Il resto verrà dirottato su digitalizzazione, innovazione e ricerca.
Risultato? Per evitare che le strutture restino vuote sarà necessario entro 5 anni assumere almeno 30.485 infermieri, ma senza sapere quali soldi verranno impiegati per la loro formazione – dato che il Ministero della Salute non dispone delle risorse necessarie.
Di conseguenza il debito italiano rispetto al PNRR vedrà aumentare i propri oneri, dato che solo per il personale sanitario neo assunto bisognerà in qualche modo garantire le retribuzioni. In mancanza di riforme radicali l’orizzonte dei nuovi tagli alla sanità appare inevitabile, con conseguente nuova carenza di medici e infermieri.
Inoltre, bisogna tenere conto del 28 febbraio 2022, la deadline stabilita dal Governo per lasciar presentare a ciascuna regione il proprio progetto di risanamento della Sanità locale. La bozza presentata il 20 gennaio scorso in giunta dall’assessore Filippo Saltamartini – secondo il progetto “Italia Domani” - vuole sfruttare i primi 182 mln assegnati del PNRR distribuendoli fra servizi territoriali (come case della salute e ospedali di comunità) e adeguamento strutturale, tecnologico e digitale della rete ospedaliera.
A livello nazionale, difficile non temere anche per il futuro più imminente una vera e propria battaglia fra le regioni nel tentativo di accaparrarsi quanti più fondi possibili. Con il rischio – nemmeno così assurdo - per qualcuno di fare carte false. Di sicuro, a rimetterci saranno le certezze di cura per gli italiani.
*dati PIANO PERFORMANCE 2021-2023 Asur Marche
Il genio di Enzo Jannacci sta tutto nella fantasia: quella di raccontare Milano, con i suoi personaggi picareschi e borderline, e quindi l'Italia. E quindi tutti noi, attraverso opere che mescolano insieme musica e risate. Rock'n roll e satira.
Lo sa bene il regista Giorgio Gallione, che servendosi di giovani musicisti di prim'ordine e, soprattutto, dell'unico artista in grado di vestire i panni del "poetastro" - Stefano Belisari, in arte "Elio" - ha voluto siglare al Teatro Lauro Rossi di Macerata un'altra tappa del suo "Ci vuole orecchio. Elio canta e recita Enzo Jannacci".
Nella prima delle due serate andata in scena - la seconda stasera 9 febbraio 2022 - lo spettacolo ha regalato risate, danze e, per i più esigenti, anche lezioni di "politicamente scorretto", trasportati dagli anni '70 di Jannacci direttamente ai nostri più recenti anni '20. Eppure la formula resta immutata e funziona ancora alla grande.
Alternandosi fra alcune delle canzoni più conosciute del Buster Keaton di Lambrate - "Saltimbanchi", "Silvano", "Aveva un taxi nero", "Sopra i vetri", "La luna è una lampadina", "Parlare con i Limoni", "Vivere", fino alla chiosa di "Quando il sipario calerà" e il bis immancabile di "L'importante è esagerare" - Elio si muove all'inerno dell'eccentrica e colorata scenografia del palco con la sua consueta leggerezza e bravura: i talenti del vero professionista.
E supportato dalla superband - Alberto Tafuri in sostituzione di Seby Burgio al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli al basso e contrabasso, Sophia Tomelleri al sax e Giulio Tullio al Trombone - regala al pubblico del Teatro Lauro Rossi monologhi irriverenti ed estremamente attuali. Chi riuscirà ad accaparrarsi il prossimo biglietto, non potrà resistere alla "lista dei ristoranti etnici e fusion più in voga di Milano e dai nomi assurdi" o all' "esorcismo della volgarità attraverso il sapiente uso della perifrasi".
Un po' difficile da immaginare così, questo spettacolo. Per questo non "Ci vuole solo orecchio", ma anche molta fantasia. Come quando capita di leggere "Gnòsi delle Fànfole" di Fosco Maraini o qualsivoglia opera di Gianni Rodari. Per la semplice voglia di tornare bambini. E giocare con la musica.
È stata presentata oggi alla stampa presso la sala dell’IRCR di Piazza Mazzini la nuova mostra culturale dal titolo “Macerata e il suo Territorio. Antiche mappe e vedute dal XVI secolo all’Unità d’Italia”, e che sarà aperta al pubblico gratuitamente da venerdì 11 fino a lunedì 21 febbraio presso gli Antichi Forni – in osservanza delle norme anti Covid. Una raccolta unica, inedita di 50 antiche mappe originali d’epoca, incise e stampate su carta, che raccontano l’evoluzione urbanistica di Macerata e di altre città della provincia: Camerino, Cingoli, Civitanova, Recanati-Loreto, San Severino, Tolentino, Treia e Visso.
La mostra è stata realizzata dall’architetto e collezionista Enzo Fusari - sostenuto dall’associazione LUTES, con il patrocinio del Comune, dell’IRCR e dell’Ordine degli Architetti – che da oltre 30 anni conduce le proprie ricerche sulla storia e la geografia della Regione Marche, arrivando nel tempo a raccogliere ben 200 carte di grande pregio e valore, alcune rare e mai pubblicate, di ottima conservazione e non presenti nelle biblioteche locali e regionali.
“Avrei voluto realizzare questa esposizione già due anni fa – ha dichiarato Fusari – ma la pandemia e il cambio di amministrazione comunale non l’hanno permesso. Sono felice oggi di mettere a disposizione di tutti questa mia passione: penso sia di fondamentale importanza conoscere il nostro passato per sapere dove siamo diretti. Queste mappe fanno emergere una storia che non è scritta, ma disegnata, e raccontano quella che è la nostra grandezza culturale e politica. Un punto di partenza molto importante per conoscere le radici della propria identità”.
Al tavolo della conferenza si sono succedute anche le parole di apprezzamento e soddisfazione rispetto all’iniziativa da parte del presidente LUTES Massimo Crucianelli, dell’assessore all’Urbanistica Silvano Iommi, del presidente dell'Ordine Arch. Vittorio Lanciani e del presidente IRCR Giuliano Centioni.
“Il nostro obbiettivo è sostenere tutte le attività culturali che hanno a che fare con la nostra storia e il tessuto urbano – ha commentato Lanciani – in modo che si alimenti in maniera sempre più naturale la consapevolezza di chi lavora e di chi vive nel territorio marchigiano”.
“Quando mi fu proposta questa iniziativa – ha aggiunto l’assessore Iommi – ho aderito subito, perché ero certo della sua qualità. Una mappa è come il palcoscenico per un attore: se si conosce il contesto in cui una storia viene raccontata se ne percepisce meglio anche il senso e il messaggio”.
INTERVISTA
Dottor Fusari, qual è il messaggio nascosto nel suo lavoro? La mia è una ricerca di verità. La geografia non può fare a meno della storia e viceversa: l’errore da sempre è quello di trattare le due materie separatamente, quando invece dovrebbero rappresentare un unicum. Per dimostrare determinati fatti non basta conoscere la storia, e allo stesso tempo saper solamente leggere una cartina non è sufficiente.
C’è un problema di identità storica oggi secondo lei? Sì, soprattutto tra i giovani. Molti di loro pensano che Macerata sia una città noiosa, dove non si fa niente. E invece c’è tanto da scoprire se si ha la curiosità di farlo.
In quest’incontro si è detto che “bisogna conoscere il proprio passato per sapere dove siamo diretti”. Enzo Fusari dove è diretto? Io abito qui a Macerata da più di 60 anni e ne sono innamoratissimo. Desidero che questa città torni ad essere viva culturalmente, e per farlo abbiamo bisogno soprattutto di chi la abita. Sono le persone che fanno la storia. Ciò detto, mi piacerebbe aprire presto un Museo dove esporre tutte le mie mappe: non nascondo che mi siano arrivate delle proposte da parte di altri Comuni, ma il mio sogno rimane Macerata.
Il 28 febbraio 2022 sarà una data decisiva: le Regioni presenteranno ufficialmente i vari progetti di “ripartenza” che saranno finanziati con i fondi del PNRR. Ciascuna delle macro-categorie interessate dal Piano “Italia Domani” dovrà tenere conto delle cifre già predisposte e rispondenti ai criteri fissati dal Governo. Il discorso vale naturalmente anche per gli interventi alle “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, del valore di 25,40 miliardi di euro.
Anche la Regione Marche si appresta a definire gli ultimi dettagli per quello che sarà il bilancio finale auspicato, con l’obbiettivo non solo di favorire la continuazione di quei lavori rimasti bloccati a causa della pandemia – complice anche la carenza dei materiali – ma anche la programmazione di nuovi, importanti progetti volti a migliorare l’esperienza del trasporto pubblico e privato.
Sul tema è intervenuto l’Assessore al Bilancio e Ricostruzione, Guido Castelli.
Come sta procedendo il piano di riassetto della mobilità? Stiamo cercando di progettare al meglio quello che sarà il ritorno alla normalità. Nel momento in cui la pandemia mollerà la presa vogliamo essere all’altezza di quelle che saranno le sfide successive, e che presuppongono un grande sistema di valorizzazione della nostra mobilità.
Nello specifico cosa avete in programma di fare? Partiamo innanzitutto dall’azione di sollecitazione del trasporto pubblico: quindi, sostenere tutte le scelte del consumatore, generare condizioni di vantaggio anche attraverso agevolazioni tarrifarie, in modo che tutti i cittadini possano scegliere come spostarsi senza problemi. Vogliamo attivare dei finanziamenti che possano consentire la sostituzione di autobus e di convogli ferroviari vetusti con mezzi di ultima generazione.
Quanto denaro pensate di dover investire? Come Regione Marche la volontà è quella di impiegare circa 47 milioni di euro nei prossimi due anni per il rinnovo dei mezzi, e poco meno di 10 milioni di fondi PNRR per avere almeno due convogli ferroviari di ultima generazione. La gente vuole poter tornare a viaggiare su trasporti sicuri e performanti.
Qual è il progetto più a breve termine? Sicuramente l'attuazione della “Carta Tutto Treno Marche” approvata in giunta nelle ultime ore: lo scopo è incentivare con risorse regionali la scelta di chi già viaggia abitualmente sui treni locali e a lunga percorrenza. Inoltre, questa collaborazione con Trenitalia vuole migliorare anche il rapporto con i più giovani, aiutandoli a familiarizzare sin dalla scuola primaria con l’uso del treno per le gite.
Che tipo di difficoltà avete riscontrato negli ultimi mesi? L’ultimo picco di pandemia ha costretto molti conducenti alla quarantena. L’unico modo di contenere i contagi sui treni era sopprimere alcune corse. Per il trasporto su gomma, invece, il dramma è stato non solo mettere a disposizione bus sostitutivi, ma trovare anche chi li guidasse. L’amministrazione ha avuto grosse difficoltà in questo senso, ma fortunatamente le aziende si sono comportate bene.
Qual è lo stato dei lavori per quanto riguarda la Quadrilatero e la SS 77 della Val di Chienti? Il completamento di alcune opere finora è previsto per il 2023 ma non mi sento di dare per certa alcuna tempistica: sarebbe da spegiudicati.
“CGIL, CISL e UIL hanno fallito nel loro intento di rappresentare la nostra categoria: vogliamo riprenderci il ruolo sindacale che fino ad oggi la politica ci ha negato”. Con queste parole i rappresentanti del Nursind sono tornati ad attaccare i “colleghi firmatari” – accusati di aver sottoscritto un contratto non dignitoso che ha peggiorato le condizioni economiche e normative dei dipendenti del comparto.
La causa scatenante? Presunte pressioni politiche sugli stessi sindacati, che adesso tentano di sollecitare la Regione Marche affinché si intervenga al più presto sulla situazione drammatica in cui l’intera divisione infermieristica versa negli ultimi due anni.
«Abbiamo chiesto molte volte la collaborazione con le istituzioni – ha dichiarato Elisabetta Guglielmi, responsabile provinciale del Nursind – ma abbiamo ricevuto solo pacche sulle spalle. Leggere poi di scaramucce tra politica e sindacati non è rispettoso per nessuno, ci dovrebbe essere una unità di intenti volta a migliorare e ottimizzare la sanità regionale».
Poca trasparenza nella gestione sanitaria, pronto soccorso sovraffollati, personale sempre più decimato, tagli sugli stipendi, precarietà di apparecchiature mediche, disparità salariali, ferie mancate e zero permessi. Gli infermieri non firmatari sono ancora in attesa del “tavolo di confronto” con le forze politiche.
«Siamo lieti che ci sia un’apertura da parte delle forze politiche – prosegue Guglielmi – ma adesso l’attenzione sulla Sanità va posta a 360°. E soprattutto servono azioni concrete e celeri, perché le parole non guariscono e non pagano. Chi prende decisioni da dietro una scrivania è figlio di una gestione “medico centrica”, poco rispettosa degli infermieri. E che non sa cosa significhi stare in corsia col camice addosso per 8 ore: bardati, sudati, con tre paia di guanti, dove ogni azione diventa uno sforzo sovraumano. Auspichiamo – conclude Guglielmi - di poter presto sedere ai tavoli regionali per poter al meglio rappresentare come Nursind chi oggi produce salute rispetto a chi non fa che prendere scelte senza nemmeno considerarci».
“Emozioni e curiosità: sono le caratteristiche più importanti della musica, e vogliamo che il pubblico torni a sognare”. Così il nuovo direttore artistico dello Sferisterio, professor Paolo Pinamonti, ha voluto sintetizzare gli obbiettivi preposti per il prossimo piano triennale del 'Macerata Opera Festival' e non solo.
Nella cornice informale, ma comunque suggestiva, del ristornate “Centrale” di Piazza della Libertà, il maestro è stato accolto a poco più di un mese dal suo insediamento dagli organi di stampa, insieme ad alcuni rappresentanti del Consiglio d’amministrazione, fra cui Francesca D’Alessandro (vicesindaco), Luciano Messi (sovrintendente), Gabriella Almanza Ciotti, Giuseppe Rivetti e Valfrido Cicconi.
«Rilanciare lo Sferisterio dopo questi due anni difficilissimi è il nostro imperativo – ha dichiarato in apertura dell'incontro Messi – Stiamo lavorando alacremente per portare entro il 28 febbraio al Ministero della Cultura il nostro nuovo progetto per l’estate 2022, tenendo conto delle spese di bilancio che saranno necessarie».
«Il mio obbiettivo è riaccendere il dialogo fra spettacolo e pubblico – ha esordito Pinamonti – e per farlo allargheremo l’offerta dei titoli della prossima stagione lirica: non solo quelle già note da oltre 20 anni, ma anche opere non ancora entrate nei vari circuiti operistici. Altre iniziative vogliono tenere conto del concetto di ‘pluralità musicale’, quindi aprire anche a generi come la musica cinematografica o la popular, oltre a realizzare eventi sinfonico-concertistici dal respiro internazionale.
Dobbiamo sfruttare al massimo le potenzialità dello Sferisterio, e per farlo bisogna abbandonare la pigrizia intellettuale, guardare alla crescita dei complessi artistici marchigiani, rilanciando anche una nuova idea di turismo culturale».
E alla domanda: "Esiste in questo progetto un piano che preveda un maggiore coinvolgimento degli ascoltatori più giovani?"
«Il tema è delicato, perché i ragazzi sono abituati a diffidare della musica colta - ha risposto il neo-direttore dello Sferisterio - Il regista Peter Brook insegna che quando si è impreparati a un ascolto o una visione, emerge davvero la qualità del lavoro svolto. Il nostro diktat vuole essere i medesimo: i giovani non vanno obbligati all’ascolto educativo, ma incuriositi.
E soprattutto, bisogna suscitare in loro le emozioni. Sono in programma per questo anche degli incontri presso le scuole primarie e secondarie, ma di base vogliamo sfruttare l’offerta cinematografica per far emergere il valore della musica. Un po’ come accadeva nel ‘900 quando gli artisti accompagnavano le proiezioni, portando all’attenzione di un nuovo pubblico grandi opere».
Lo avevano annunciato due giorni fa, e oggi è successo: presidi e studenti delle varie scuola italiane sono scesi nelle piazze italiane per protestare contro quella che è già stata definita “maturità beffa”. Per molti studenti il ritorno della doppia prova alla maturità, "rappresenta l’ultima testimonianza di una politica dal disagio sociale e dalle difficoltà di apprendimento derivanti da due anni di pandemia.
Durante la manifestazione - ha raccontato Luca Redolfi, coordinatore nazionale dell’Unione degli Studenti, in diretta dal corteo di Roma - ci siamo incontrati con i tecnici del MIUR. Anche stavolta nessuna figura politica si è interfacciata con gli studenti. L'unica azione messa in moto nei nostri confronti è stata repressione con sospensioni, divieti di manifestare e, non ultimo, le manganellate. Questo sistema democratico ha fallito su tutta la linea”.
Nulla, insomma, è stato messo in discussione dai politici: dall’alternanza scuola-lavoro (dopo la morte di Lorenzo Parelli) fino ai problemi strutturali della didattica e dell’edilizia scolastica, tutto è passato in sordina. E non migliora la situazione con le previsioni di investimento dei fondi del PNRR.
“Questo Governo è fra i peggiori in assoluto - conclude Luca - perché non dialoga con le associazioni di categoria né con la piazza pubblica. Noi continueremo a manifestare anche nei prossimi giorni, in altre piazze, perché è ora di opporsi a questi capi e a questa falsa democrazia, che non hanno minimamente a cuore il futuro di noi ragazzi”.
Sergio Mattarella manterrà la carica di Presidente della Repubblica per altri sette anni. Ce ne sono voluti otto di scrutini per decretarlo. Nemmeno così tanti, a pensarci bene, visto che i primati assoluti appartengono ancora a Giovanni Leone (eletto nel 1971 al 23° spoglio) e Sandro Pertini (eletto nel 1978 al 16° spoglio). Ma una volta segnato il precedente con Napolitano (2013), il vizio è stato confermato nel 2022. Con buona pace della Costituzione.
Quello espresso dal presidente ieri 3 febbraio 2022 in Parlamento durante il nuovo insediamento è già stato definito dai più “Il discorso della dignità”.
Perché “dignità è azzerare i morti; dignità è opporsi al razzismo e all’antisemititsmo; dignità è impedire la violenza sulle donne; dignità è diritto allo studio; dignità è rispetto per gli anziani; dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità; dignità è contrastare le povertà; dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate; dignità è un Paese non distratto di fronte ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare; dignità è un Paese libero dalle mafie; dignità è garantire e assicurare il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente”.
Parole che sarebbero valse più un profondo silenzio di riflessione, che non l’ennesima standing ovation.
Sergio Mattarella ha accettato l’invito a un secondo mandato, per la felicità di tutte le forze politiche, che ora possono tornare al loro bel da farsi. La Lega a sfruttare al meglio i cambi di vento, il Movimento 5 Stelle a fare i conti con i propri contrasti interni, Fratelli d’Italia alla sua mesta – seppure pericolosa - opposizione, il Partito Democratico a capire cosa significa essere oggi di sinistra.
La debolezza, in questo senso, nel non aver saputo individuare dei candidati di rilievo per la poltrona del Quirinale è l’ultima, esauriente fotografia del panorama politico in cui l’Italia riversa da almeno dieci anni a questa parte.
Gli italiani nel frattempo hanno continuato a fare i conti con le evoluzioni incerte di una pandemia; con la crisi energetica - con conseguente innalzamento del caro bolletta; con quella economica che grava ulteriormente sulle tasche e sul mercato del lavoro; con quella della sanità pubblica in perenne sofferenza; con le mancate riforme della Giustizia e della scuola; con la burocrazia ancora lenta e inefficiente.
La politica, invece, rimane lì dove è sempre stata: lontana e immobile.
Insomma, si torna alla politica di sempre: quella delle facili strumentalizzazioni, degli accordi sottobanco, degli slogan d’effetto, del circo mediatico, del qualunquismo, del populismo, dei discorsi da talk televisivo, dei dissing sui social, degli schieramenti di convenienza. Una politica che non sa pensare davvero al popolo che dovrebbe rappresentare, e che soppesa le proprie scelte come ha imparato a fare dal 1992 (anno di Tangentopoli).
Solo che nel frattempo il mondo è andato avanti. L’Italia no.
Una politica che rimane anche sessista, visto il patologico ritardo sulle quote rosa in ogni ambito. Esemplare in queste ultime elezioni è stata la proposta di un presidente donna arrivata in piena corsa al Quirinale, senza una reale intenzione alle spalle e lanciata semplicemente in pasto ai giornali solo per mettere una pezza sopra la fallita unitarietà dei partiti.
Tante crepe, quindi. Anzi, vere e proprie faglie che aspettano la prossima scossa prima di farsi baratro. Dove comunque a cadere non saranno i politici, ma gli italiani. Sempre più prede del peggiore individualismo, e vittime delle progressive disparità sociali.
Prendendo in prestito da un vecchio film di John Carpenter: “Più le cose cambiano, più restano le stesse”.
Non solo canzoni a Sanremo. In occasione della 72esima edizione del Festival più famoso d’Italia, la prestigiosa Villa Ormond - a pochi km dal Teatro Ariston - ha aperto le sue porte alla prestigiosa mostra di Paolo Marinozzi, classe 1947, collezionista e fondatore del museo “Cinema a Pennello” di Montecosaro. Si tratta di una grande raccolta fatta di locandine e bozzetti: pezzi unici dipinti a mano da grandi artisti – i cosiddetti “cartellonisti” – nel corso di 50 anni di storia del cinema e della musica. E che dal 2011 è possibile apprezzare presso lo spazio allestito in quel di Porta San Lorenzo.
Sull’onda dell’entusiasmo, Paolo – direttamente dall’hospitality della villa sanremese, dove si trova insieme al figlio Alessandro – ci ha raccontato di questa iniziativa e della sua passione.
Innanzitutto, chi ti ha lanciato la proposta di Sanremo? Devo ringraziare Giuseppe Grande, direttore di “SanremoSol” che ha fortemente voluto questa collaborazione. Era da anni che volevo portare da quelle parti la mia mostra, ma non ce n’è mai stata l’occasione. Fortunatamente nel frattempo, insieme ai miei collaboratori, abbiamo conquistato altre tappe: Taormina, Napoli e anche il Lucca Comics.
Come mai questo desiderio di unire la tua collezione al Festival della canzone italiana? Da bambino seguivo il Festival per radio. Poi ci fu l’avvento dei “musicarelli” al cinema, e quasi per caso ho cominciato la mia collezione di manifesti e bozzetti. Qui a Sanremo in particolare abbiamo portato 22 opere, ispirate a grandi canzoni come “Dio come ti amo” di Domenico Modugno, “Nessuno mi può giudicare” di Caterina Caselli, “Zingara” di Iva Zanicchi, “Non son degno di te” e “Mi vedrai tornare” di Gianni Morandi e altre.
Come ha accolto la proposta allestire la mostra a Villa Ormond? Sono stato felicissimo, e spero sinceramente che questa sorta di “anteprima” abbia una forte risonanza e ci consenta di partecipare ad altre manifestazioni canore. Villa Ormond poi è di per sé molto suggestiva, con il suo parco meraviglioso e la vista sul mare. Al tempo vi ha soggiornato anche la Principessa Sissi.
A quale canzone sanremese si sente più legato? Ho sempre amato Claudio Villa, e infatti abbiamo una locandina di Sanremo con lui e Teddy Reno. Come ti dicevo, sono cresciuto ascoltando la radio e le grandi voci del dopoguerra. Poi ad un certo punto arrivò Modugno che rivoluzionò tutto: custodisco ancora gelosamente la locandina di “Piange il telefono” del 1975, con la dedica di Claudio Lippi.
E la sua passione di collezionista invece come è nata? Sin da piccolo raccoglievo figurine, poi fumetti e dischi. Con le locandine in un certo senso mi sono voluto specializzare. Finché negli anni ‘90 abbiamo allestito la prima mostra su Totò, e da quel momento tanti personaggi hanno molto apprezzato e ci sono venuti a trovare: Lucio Dalla, Ornella Muti, Sabrina Ferilli, le gemelle Kessler, Catherine Spaak, Tomas Milian, Vincenzo Mollica e altri ancora.
A quale bozzetto o locandina è più affezionato? Probabilmente a quella del film “Nuovo Cinema Paradiso”, perché ebbi la fortuna di condividerla durante il Bari International Film Festival del 2019 assieme ai maestri Ennio Morricone e Giuseppe Tornatore. Però penso anche alle mie prime scoperte da bambino: “Poveri ma belli” (1957) e “Don Camillo” (1952).
L’ultimo vertice del Consiglio dei Ministri ha così decretato: le discoteche, le sale da ballo e i locali notturni non riapriranno prima del 10 febbraio 2022. Un'attesa ancora lunga per i gestori che, a questo punto, sperano non ci sia un ennesimo dietrofront.
Nel frattempo continua la conta dei danni per coloro che, alla vigilia delle festività natalizie, si sono trovati costretti ad annullare tutte le prenotazioni per via delle misure emanate con il dl n.221 del 24 dicembre 2021 («Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19»). Come se non bastasse, i famosi “ristori” da distribuire – fra gli altri - alle aziende danneggiate dagli ultimi due anni di pandemia tardano ad arrivare. Ed è solo l’ultima delle ragioni per cui molte attività della provincia di Macerata hanno dovuto chiudere i battenti.
“La nostra è diventata una dittatura scriteriata” ha commentato Daniele Maria Angelini, farmacista e gestore del “Donoma Club” di Civitanova Marche e del “Le Gall” di Porto San Giorgio, alla notizia della ulteriore proroga di 10 giorni rispetto alla riapertura delle discoteche.
Cosa pensa delle misure promulgate in via emergenziale il 24 dicembre scorso? Una scelta scellerata: ci hanno imposto la chiusura praticamente alle ore 21 di quel giorno, con tutto che: avevamo fatto rifornimenti, pagato gli affitti, preparato il personale e predisposto i controlli per accedere.
Come si è dovuto comportare con i suoi dipendenti? Molti contavano sul periodo delle feste per guadagnare qualcosa. Per loro la batosta è stata tremenda, ma ora chi li risarcisce? Oltretutto non sappiamo nemmeno se queste persone saranno nuovamente reperibili al momento della riapertura, perché molti si sono dovuti riciclare in altri lavori per sopravvivere.
Perché solo adesso hanno deciso di farvi riaprire? Credo sia una scelta oggettiva, dettata da un presunto calo dei contagi. Ma questo dimostra che non erano le discoteche il problema: le strutture erano già limitate al 50% della capienza, l’ingresso riservato ai soli possessori del super green pass e il personale sottoposto di volta in volta al tampone. Aveva senso allora crearci questo danno economico?
E che risposta si è dato? È stata una scelta scriteriata, senza alcun valore scientifico. E la politica non ha saputo farsi valere, visto che stiamo ancora aspettando i famosi “ristori”, per riequilibrare un minimo i bilanci. Abbiamo anche fatto appello alla Regione Marche. Ora la riapertura è di per sé un sollievo, ma c’è molta stanchezza psicologica. Non sarà una ripartenza facile.
Come pensa che reagiranno i vostri clienti alla riapertura? In realtà non ne siamo certi, navighiamo a vista. In generale sembra esserci la voglia di tornare alla normalità, di uscire la sera, anche in vista della primavera. Tutto dipende da come si continueranno a gestire i contagi.
Si sarebbero potute adottare altre soluzioni durante le festività natalizie? Quello è uno dei periodi in cui fatturiamo di più, almeno il 30% dell’intera stagione. Dovevano lasciarci aperti, soprattutto perché alla fine chi voleva ha potuto organizzare feste private in casa o in hotel, senza controlli o registrazioni. E così anche il sistema dei tracciamenti è andato a farsi benedire.
Quindi di fondo si è creduto che le discoteche fossero il male assoluto? Sono aziende come le altre, producono degli utili. E la Provincia di Macerata si sa che offre molte proposte per divertirsi la notte. È difficile non pensare a una scelta politica riguardo alle ultime chiusure: i nostri governanti dovrebbero rispettarci maggiormente e capire che le discoteche non sono il demone da sconfiggere.
Non si sono fatte attendere le prime reazioni dei maceratesi per la riconferma di Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica per altri sette anni. Molti i "no comment" ricevuti, ulteriore dimostrazione della disaffezione nei confronti delle attuali forze politiche, incapaci di trovare valide alternative per il Quirinale.
“Sicuramente Mattarella è il meno peggio – hanno dichiarato alcuni cittadini – ma è vergognoso che i partiti alla fine si siano rifugiati dietro questa scelta”. C’è chi avrebbe preferito una figura femminile alla poltrona del Quirinale, e chi pensa che non esista nessuno in grado di ricoprire il ruolo di Capo dello Stato.
C’è stato persino chi si è detto molto sfiduciato, definendo questo Mattarella bis come "un vero e proprio fallimento della politica italiana". “Non ho seguito direttamente le elezioni – ha commentato un altro ragazzo – ma in generale non credo nella politica. Per me le cose alla fine non cambieranno molto”.
Di seguito, la video-testimonianza di alcuni maceratesi:
Dal 1° febbraio entrano in vigore le nuove norme previste dal Governo Draghi con obbligo vaccinale per tutti gli over 50. Novità anche per negozi, banche e uffici postali, dove l’affluenza sarà limitata ai soli possessori del Green Pass, così come l’accesso presso i luoghi di lavoro. Le multe per chi verrà trovato sprovvisto del certificato verde - di base o rafforzato - arriveranno anche a 1500 euro.
“Stiamo già lavorando pochissimo – ha commentato il gestore di un bar del centro storico di Macerata – e dovremo fare anche i conti con il caro-bollette. Ormai siamo in una situazione per cui o moriamo di Covid oppure di fame. Siamo veramente stanchi”.
Anche fra i cittadini ci sono molte perplessità. “È giusto che le persone si sottopongano al vaccino – ha dichiarato un cittadino ultra cinquantenne – ma non ritengo sia necessario imporre obblighi, tanto meno ai bar e le tabaccherie. Ormai siamo abituati a ricevere nuove regole, ma siamo sicuri che servano davvero? Oppure le impongono perché non sono stati capaci di gestire la situazione sin dall’inizio?”
Molti esercenti hanno voluto persino evitare di rilasciare dichiarazioni, esasperati dalle ennesime misure anti-contagio che rischiano seriamente di mettere in ginocchio le varie attività, se non a costringerle alla chiusura definitiva per le spese insostenibili.
Di seguito, alcune delle testimonianze raccolte per le vie di Macerata: