Privacy: videosorveglianza e finestre del vicino. Reato o illecito civile?
Torna, puntuale come ogni domenica, l'appuntamento con la nostra rubrica Chiedilo all'avvocato, curata dall'avvocato Oberdan Pantana.
Questa settimana, fra le diverse mail arrivate, abbiamo scelto un quesito posto dal lettore Alberto P. di Tolentino che chiede chiarezza in merito al tema della privacy ed al corretto utilizzo della videosorveglianza nei rapporti di vicinato, strumento questo spesso mal utilizzato e lesivo pertanto di interessi legittimi.
Ecco la risposta del legale Oberdan Pantana.
Video-sorveglianza nei rapporti di vicinato: il caso in parola offre la possibilità di eseguire una chiara distinzione tra videosorveglianza con rilevo penale e videosorveglianza unicamente con rilievo civile.
Caso giuridico: Due villette a schiera confinanti di cui una dotata di videocamere puntate anche sulle finestre del vicino: tale circostanza comporta la sola violazione della privacy domestico o integra anche il reato di interferenze illecite nella vita privata ex art. 165 bis c.p.?Il proprietario dell’immobile “ spiato”, pertanto, quali azioni potrebbe intraprendere per tutelare i propri diritti?
Videosorveglianza e reato di illecite interferenze nella vita privata ex art. 165-bis c.p.:
Il reato di illecite interferenze nella vita privata ex art. 165-bis c.p. si registra quando le telecamere inquadrano spazi altrui appositamente schermati dai proprietari in modo da escluderne la vista agli estranei. Nel nostro caso i vicini non avevano schermato la visione delle finestre rendendo così le stanze a queste prospicienti assimilabili a "luoghi esposti al pubblico". Secondo giurisprudenza consolidata non sono punibili (e non possono, pertanto, dar luogo ad alcun correlativo risarcimento) «le videoriprese aventi ad oggetto comportamenti tenuti in spazi di pertinenza della abitazione di taluno ma di fatto non protetti dalla vista degli estranei, giacchè per questa ragione tali spazi sono assimilabili a luoghi esposti al pubblico» (Cass. n. 44156/2008). Pertanto sebbene le videocamere del vicino avessero registrato stralci di vite altrui nessun reato ex art. 165-bis c.p. sarebbe stato integrato.
Videosorveglianza e illecito civile (lesione privacy):
Le videocamere puntate anche sugli spazi del vicino costituiscono sempre una lesione della privacy domestica degli interessati che integra perfettamente la fattispecie dell'illecito civile. Nell'ambito della responsabilità aquiliana la questione centrale si snoda attorno all'ampiezza dell'angolo visuale delle videocamere private. La delibera del Garante Privacy dell’8 aprile 2010 sancisce che, ove il singolo condomino installi un impianto di videosorveglianza a tutela della proprietà̀ esclusiva «l'angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio quelli antistanti l'accesso alla propria abitazione, escludendosi ogni forma di ripresa, anche senza registrazione, di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini.
Nel caso di specie, l'angolo visuale delle videocamere comprendeva anche l'accesso a casa e le finestre di bagno e cucina del vicino. Pertanto sotto il profilo civile vi era stata lesione della riservatezza domestica. Tuttavia l'esistenza della violazione non costituisce un danno in re ipsa nel nostro ordinamento, ma occorre addurre sempre le allegazioni e le prove del danno conseguenza altrimenti si snaturerebbe «la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell'effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo» (Cass. SS. UU. 26972/08).
Azione giuridica del proprietario: riconoscimento del danno punitivo.
Il proprietario spiato decide, pertanto, di intraprendere un giudizio civile nei confronti del vicino ai fini del risarcimento del danno, ma nei fatti non è in grado di provare alcunché rimettendosi semplicemente all'equità del giudicante, senza, pertanto, porre in essere delle allegazioni che avrebbero permesso al Giudice di applicare il criterio equitativo in modo più adeguato alla realtà. In questo modo il Giudice comprende che vi sia stato un pregiudizio, ma non ha gli strumenti per determinarlo scientificamente sebbene in via equitativa.
Così la liquidazione con il criterio dell'equità riconosce in questo caso una sorta di danno punitivo: «la quantificazione equitativa di detto danno ingiusto non può che essere tuttavia contenuta entro termini minimi: tali da assicurare quella che si è giunti bensì̀ a riconoscere che sia la valenza punitiva iure propria del risarcimento del danno non patrimoniale da lesione dei diritti fondamentali». Tutto ciò, in quanto, nel vigente ordinamento alla responsabilità̀ civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché́ sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile; non è quindi logicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi, (così Cass. SS.UU. 16601/17)». In questo caso il minimo riconosciuto dal Giudice è stato di € 20.000,00.
Nel consigliare la massima tutela in materia di privacy soprattutto in ambito personale, come sempre attendo le vostre richieste dandovi appuntamento alla prossima settimana. Avv. Oberdan Pantana
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