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Macerata, il ritorno di medici e infermieri no vax divide. “Scelta pratica, serve politica più risolutiva”

Macerata, il ritorno di medici e infermieri no vax divide. “Scelta pratica, serve politica più risolutiva”

C’è chi ha preferito astenersi dal commentare, chi la reputa una conquista per l’intero Sistema Sanitario nazionale, chi proprio non vuole misurarsi con il gineprario giuridico che si è sviluppato all’indomani del decreto legge n. 44 del 2021. Nell’ultimo caso, per non dover fare i conti con tutte le implicazioni etiche e/o ideologiche che ne deriverebbero. Fatto sta che, a partire dal 2 novembre 2022, gli operatori sanitari che più di un anno fa rifiutarono deliberatamente di sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria da Covid-19 sono stati ufficialmente reintegrati.

Un’altra pronuncia di spicco nell’arco di poche settimane da parte del nuovo governo Meloni che, per estensione autoritaria del suo ministro Orazio Schillaci, ha ritenuto opportuno anticipare di due mesi rispetto all’iniziale scadenza il ripristino delle figure professionali 'sospese per no vax'. Dividendo di fatto l’opinione pubblica e gli stessi addetti ai lavori.

Si cerca di fare chiarezza anche fra i medici e gli OPI di Macerata e provincia, molti dei quali (come detto in apertura) preferiscono oggi astenersi dal commentare o, nel migliore dei casi, promuovere la scelta presa a monte in virtù del forte calo di personale presente in strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali.

“Essendo io un ente sussidiario dello Stato - spiega Sandro Di Tuccio, presidente dell’Ordine delle professioni infermieristiche (Fnopi) di Macerata - sono tenuto ad applicare le norme a prescindere dalle idee private e deontologiche. La situazione pandemica oggi è diversa rispetto a un anno fa, e rimettere in corsia medici e infermieri rimasti sospesi sicuramente permette all’intero sistema sanitario di respirare”.

Una scelta di natura pratica, dunque. Che però apre a tutte quelle altre questioni di carattere morale, meritocratico e, non ultimo, salariale. Soprattutto se, facendo appello alla memoria, si considera quella crisi della professione infermieristica iniziata alla fine degli anni ’90 (e mai sanata) che nel biennio del Covid ha pesato ulteriormente insieme al d.l. n. 44 di cui sopra. Creando di conseguenza vere e proprie divisioni interne fra colleghi.

“Durante le emergenze più gravi - prosegue Di Tuccio - ha gravato il turnover di lavoro, più impegnativo in mancanza di coloro che erano stati sospesi senza retribuzione. I reintegrati ora sono tornati a percepire regolare stipendio, benefit compresi: nel mio reparto, ogni collega alla fine si è preso la responsabilità delle proprie scelte, e nessuno giudica l’altro”.

Il problema reale, a questo punto, torna ad essere quello più legato al mancato reperimento di nuova forza lavoro: alla conta dei dati, il settore infermieristico rischia seriamente nel prossimo futuro di non trovare figure professionali adatte al ricambio generazionale. Soprattutto, se il neo esecutivo deciderà di andare fino in fondo con la proposta di Quota 41 (“pensioni anticipate senza limiti di età”). A questo, naturalmente, va aggiunto anche il già discusso aumento di passaggi degli operatori sanitari dal pubblico al privato financo alla libera professione: settori più appetibili dal punto di vista economico, soprattutto per i più giovani.

Fra le ipotesi fin qui formulate, e già paventate da qualcuno, rientra quella di una immissione di personale dall’estero, con annesse tempistiche tutt’altro che stringate inerenti a formazione, regolarizzazione dei ruoli e gestione efficiente delle attività. Nel complesso, tutti aspetti per i quali si richiede (nuovamente) una politica di intervento davvero risolutiva.

“Con la pronuncia dello scorso 2 novembre - aggiunge il presidente dell’Ordine degli infermieri di Macerata - coloro che sono rimasti sempre in prima linea negli anni della pandemia hanno ottenuto il rinnovo del contratto 2019-2021, con conseguente premio di prestazione (seppure minimo). Gli stipendi di un infermiere turnista, a seconda del reparto di appartenenza, oscillano in genere fra i 1400 e i 1700 euro: cifre decorose, ma che si scontrano con il mercato del lavoro, visto che da noi in Italia non vengono nemmeno considerati come si dovrebbero gli anni di esperienza maturati sul campo o i titoli di studio accumulati”.

Insomma, una professione (quella infermieristica) che nel tempo si è sempre più spaccata, e che la normativa del 2021 ha contribuito ad aggravarne ancora di più 'lo stato di salute', con conseguenze pratiche nei confronti dei pazienti stessi. “Lavoriamo tutti con gli opportuni dispositivi di protezione - sottolinea Di Tuccio -, effettuando anche controlli e tamponi, limitando il più possibile i rischi per i soggetti fragili. Io stesso, in realtà, mi sono ammalato pur essendomi vaccinato”, ma qui il discorso rischia di generare ulteriore confusione fra chi ha scelto di credere fino in fondo alla scienza con la ‘S’ e chi (forse perché influenzato da esternazioni di altra matrice) ha preferito non farlo. O farlo solo a metà.

“Il codice deontologico è molto chiaro in merito - conclude il presidente Fnopi di Macerata - anche se alla fine oguno può decidere liberamente in democrazia. Il problema vero è che nel corso del tempo, con i molti colleghi no vax che hanno fatto ricorso, si è generato un caos giuridico che ha coinvolto anche i diversi T.A.R.: chi ha ragione e chi ha torto? Ciascuno si espresso in maniera diversa, sia dal punto di vista scientifico, sia etico, sia legale. E’ diventato difficile orientarsi all’interno di questo sistema senza rischiare problematiche dispendiose per la pubblica amministrazione”.

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