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Dante Ferretti ricorda Pasolini a 50 anni dalla morte: "Diceva che ero il suo pittore. Fu un agguato"

Dante Ferretti ricorda Pasolini a 50 anni dalla morte: "Diceva che ero il suo pittore. Fu un agguato"

Macerata – A cinquant’anni dalla tragica morte di Pier Paolo Pasolini, lo scenografo maceratese Dante Ferretti, tre volte premio Oscar e tra i più grandi artisti del cinema mondiale, torna a parlare del suo legame con il regista friulano in un’intervista rilasciata all’Adnkronos. Un legame umano e artistico che nasce quando Ferretti ha appena diciotto anni, sul set de Il Vangelo secondo Matteo: “Ero l’assistente di Luigi Scaccianoce”, racconta. “Pasolini chiedeva sempre dov’era lo scenografo, che compariva sul set solo un paio di volte a settimana, e io dovevo inventarmi scuse. Ma lui aveva capito che a condurre il lavoro ero io. Da allora si creò un rapporto solido, fatto di fiducia e rispetto. Mi diceva: ‘Meglio così, noi ci capiamo’”.

Da quell’inizio, tra i sassi di Matera, nascerà una collaborazione che segnerà otto film e un’amicizia destinata a lasciare il segno nella storia del cinema. Ferretti ricorda anche un episodio amaro: “Edipo Re vinse il Nastro d’Argento per la scenografia, ma Scaccianoce, dal palco, non fece neppure il mio nome. Mi aveva detto che non sarebbe andato alla cerimonia, invece ritirò il premio da solo”. Un’ingiustizia che non impedirà al giovane maceratese di affermarsi: con Fellini, Scorsese, Zeffirelli e Tim Burton, Ferretti conquisterà dieci candidature e tre statuette agli Oscar, oltre a Bafta, David di Donatello e Nastri d’Argento.

È con Medea che Ferretti diventa ufficialmente lo scenografo di Pasolini. “Avevo appena finito un film con Fellini”, racconta. “Stavo per uscire di casa quando suona il telefono: ‘Ferretti, deve partire subito per la Cappadocia, domani si gira e il regista la vuole sul set’. Non sapevo neppure di che film si trattasse, ma presi il primo volo. Mi diedero quattro ore per costruire il carro su cui doveva salire la Callas. Alla fine Pasolini mi disse: ‘Benissimo, stanotte si legga il copione e domani si riparte’. Da allora non ci siamo più lasciati”.

Dopo Il Decameron, Pasolini lo definisce “il mio pittore”, colpito dalla capacità di Ferretti di trasformare le scenografie in veri e propri affreschi viventi. Seguono I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte, fino al 1975, anno de Salò o le 120 giornate di Sodoma, il film che avrebbe preceduto di poche settimane l’assassinio del regista. “Pasolini sapeva che quel film avrebbe fatto scandalo”, ricorda Ferretti. “In quegli anni scriveva articoli durissimi e lavorava a Petrolio, un romanzo in cui voleva fare nomi e cognomi. Si era fatto molti nemici”.

Proprio Ferretti, su incarico dell’avvocato Nino Marazzita, si recò all’Idroscalo di Ostia per documentare la scena del delitto. “Fotografai tutto, presi misure, disegnai la scena. Era chiaro che non poteva essere stato solo Pelosi. C’erano altre persone. Fu un agguato".

A mezzo secolo da quella notte, il maestro maceratese ha voluto raccontare quel rapporto in un libro intimo e visionario, “Bellezza imperfetta. Io e Pasolini” (Pendragon, 2024), curato da David Miliozzi (LEGGI QUI). “Sono felice dell’accoglienza del libro”, spiega Ferretti. “Per troppo tempo Pasolini non è stato compreso. Mi diceva sempre: ‘Le cose fatte bene sembrano finte, l’imperfezione è necessaria perché appaia la verità’".

Un ricordo che, nelle parole di Ferretti, suona come una lezione di umanità e di arte. Da Macerata al mondo, l’allievo che diventò maestro rende omaggio a chi, cinquant’anni fa, aveva insegnato a guardare la realtà con gli occhi dell’imperfezione.

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