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La chiusura di un intero reparto non basta, nullo il licenziamento della lavoratrice madre. Quali tutele a sostegno della genitorialità?

La chiusura di un intero reparto non basta, nullo il licenziamento della lavoratrice madre. Quali tutele a sostegno della genitorialità?

Torna, puntuale come ogni domenica, l'appuntamento con la nostra rubrica Chiedilo all'avvocato, curata dall'avvocato Oberdan Pantana.

In questa settimana, le numerose mail arrivate hanno interessato maggiormente il tema del licenziamento e nello specifico quello della lavoratrice madre. Abbiamo scelto un caso che ci offre la possibilità di fare chiarezza in merito a tale tipologia di tutela e sostegno della maternità e paternità. Una madre lavoratrice di Muccia si è infatti trovata senza lavoro a causa della chiusura del reparto nel quale era impiegata. Lo società, nel licenziarla, si è assunta l'impegno di reimpiegarla, al termine del periodo protetto, in un altro esercizio all’interno dell’azienda, ma in riforma della decisione dei Giudici di prime cure, la Corte d’Appello ha dichiarato la nullità del licenziamento per violazione dell’art. 54, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 151/2001, il quale consente il licenziamento della lavoratrice madre solo nei casi di cassazione totale dell’attività. Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso in Cassazione.

Ecco la risposta del legale Oberdan Pantana.

Il principio di carattere generale presente nel testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità che vieta il licenziamento della lavoratrice madre, dall’inizio della gestazione fino al compimento dell’anno di vita del bambino, può essere derogato solo ed esclusivamente se cessa l’intera attività della società. Lo spiega la Corte di Cassazione con sentenza n. 14515/18 depositata il 6 giugno.

L’eccezione che conferma la regola… Trattandosi di un’eccezione ad un principio di carattere generale, gli Ermellini affermano che la norma citata deve ritenersi di «stretta interpretazione» e, come tale, «non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica». Infatti, in tema di tutela della lavoratrice madre, costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale quello secondo cui «la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 54, comma 3, lett. b) d.lgs. n. 151/2001, dall’inizio della gestazione fino al compimento dell’età di un anno del bambino, opera solo in caso di cassazione dell’intera attività aziendale».
Tal fattispecie normativa non può dunque essere applicata in via estensiva od analogica all’ipotesi, quale quella del caso di specie, di cessazione dell’attività di un solo reparto, anche se dotato di autonomia funzionale.
Pertanto, ritenendo priva di fondamento la questione sollevata dalla società ricorrente, i Giudici di legittimità rigettano il ricorso e la condannano al pagamento delle spese processuali.

Inoltre, in tal caso, poiché «il licenziamento intimato alla lavoratrice dall’inizio del periodo di gestazione sino al compimento di un anno di età del bambino è nullo e improduttivo di effetti», ciò significa che «il rapporto deve ritenersi giuridicamente pendente» e quindi «il datore di lavoro inadempiente va condannato a riammettere la lavoratrice in servizio e a pagarle tutti i danni derivanti dall’inadempimento in ragione del mancato guadagno».
In conclusione, quindi, «il rapporto va considerato come mai interrotto» e «la lavoratrice», «ha diritto alle retribuzioni dal giorno del licenziamento sino alla effettiva riammissione in servizio» (Cassazione, sentenza n. 475/2017, Sezione Lavoro, depositata l’11 gennaio).

Nel consigliare la massima tutela in materia di licenziamento, a maggior ragione quello della lavoratrice madre, come sempre attendo le vostre richieste dandovi appuntamento alla prossima settimana. 

Avv. Oberdan Pantana

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