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Dopo la violenza, "Il Lume": "La mia soddisfazione è vedere una mamma e i suoi figli che ce l'hanno fatta"

Dopo la violenza, "Il Lume": "La mia soddisfazione è vedere una mamma e i suoi figli che ce l'hanno fatta"

Angela è mamma e nonna di sei splendidi nipoti. Per gran parte della sua vita è stata una sarta e aveva una bottega artigianale a Treia. Nel 2000 decide di fare qualcosa per soddisfare la sua vocazione personale ma soprattutto per aiutare le persone in difficoltà. L'abbiamo incontrata in occasione della Giornata Nazionale contro la Violenza sulle Donne.

L'associazione ‘Il Lume’ nasce nel 2000 per mano dell’attuale presidente Angela Dea Tartarelli. “In quel periodo facevo parte della Caritas e, insieme ad altre persone, avevamo messo in atto una vera e propria assemblea popolare per cercare di aiutare le persone e le famiglie che si trovavano in difficoltà nel territorio di Treia ma anche nelle zone limitrofe – racconta la signora Angela -. Avevamo scoperto che qui a Treia c’era un gruppo di 35 persone kosovare, con 15 bambini, che non aveva assolutamente nulla. Persone che avevano vissuto esperienze traumatiche e davvero gravissime. Ci siamo prodigati per loro e abbiamo avviato una catena di solidarietà portandoli nuovamente a condurre una vita degna di essere chiamata tale.”

A Treia la casa dell’accoglienza raccoglie cinque mamme e i loro bambini. L’associazione ‘Il Lume’ disponde di altre sette case, in parte di proprietà e in parte in affitto, dove poter ospitare le donne vittime di violenza e dare loro una speranza creando anche opportunità di lavoro. "La casa dell’accoglienza è stata infatti sempre piena dalla sua inaugurazione, avvenuta nel 2011, ma l’intento è quello di vuotarla e dare una nuova possibilità a chi subisce violenza" racconta la signora Angela.

“Le donne vittime di violenza vengono in contatto con noi principalmente con il passaparola o con i servizi sociali – continua la presidente -. In passato ho protestato più volte perché nelle associazioni con le quali volevo collaborare e nelle quali portavo la mia esperienza non c’era molta attenzione e proprio per questo non mi sentivo affatto rappresentata. Nel 2000, grazie anche all’Amministrazione comunale, parte il progetto ‘Il Lume’ e abbiamo iniziato a lavorare con molto entusiasmo, anche se con un po’ di difficoltà, per le persone che avevano bisogno.” Un cammino lunghissimo ricco di tanta sofferenza ma anche di soddisfazioni. “Quest’anno abbiamo inaugurato un negozio di alimentari e di frutta e verdura e una profumeria che è diventata anche parrucchieria ed estetista – racconta Angela -. Sono riuscita a mettere in contatto le “nostre donne”, che avevano delle professionalità specifiche e valorizzabili, con il personale locale formato per svolgere le attività presso i nostri negozi: attualmente siamo riusciti a dare lavoro a cinque persone.”

“Le nostre ospiti sono tutte vittime di violenze anche se ci occupiamo comunque di disagio in generale: a Treia abbiamo la casa di accoglienza mentre a Macerata il centro antiviolenza. Ci siamo resi conto però che non possiamo aiutare solo le donne ma dobbiamo dare una mano anche agli uomini che commettono il reato con dei percorsi che siano adeguati” ci spiega Angela.

Quando gli chiediamo il motivo per il quale ha iniziato, la signora Angela risponde che “per fare bisogna essere. Chiunque ha una certa sensibilità, ovunque si trova, mette in atto dei meccanismi dentro di sé che sono propri. Chi veniva da me a chiedere aiuto, all’inizio, necessitava solo di poter pagare le bollette o al massimo di poter trovare un lavoro. Quando però riuscivo a trovare loro una occupazione, la maggior parte delle donne declinava perché diceva che il marito non voleva. Un caldo giorno di luglio, venne in ufficio una donna con la maglia a maniche lunghe e il collo alto: vidi subito i segni e lì si accese la lampadina. Lei si fece coraggio e mi mostrò poi gambe e busto: era piena di lividi – ci racconta Angela -. Era il 2007. Andammo a denunciare quanto accaduto e sa, a quei tempi molti reati legati alla violenza contro le donne non c’erano nemmeno. Le dissero addirittura che se avesse denunciato avrebbe potuto perdere i figli. La ospitai a casa dei miei genitori per qualche giorno e poi decisi che dovevo fare qualcosa e, a 54 anni, presi anche il diploma per poter avere una formazione personale e dare in modo concreto il mio contributo”.

Spesso uomini e donne vivono le stesse fragilità e non siamo capaci di distinguere tra vittima e carnefice – racconta la signora Angela -. La donna non trova il coraggio di andarsene ma il lavoro più impegnativo che noi portiamo avanti è con l’uomo: ci sono uomini che si ravvedono ma c’è anche chi non ammette ciò che fa e questi ultimi sono i casi più difficili. Quando ho iniziato a percorrere questo cammino, non c’erano nemmeno i percorsi di reinserimento per chi commetteva il reato di violenza. Sentii poi parlare del CAM di Firenze (Centro Ascolto Uomini Maltrattati) e andai a un corso organizzato; mi resi subito conto che era importante prendere in considerazione anche il loro aspetto, umano, sociale e civile.”

Il problema essenziale è che non ci sono servizi sociali che funzionano a dovere e che bisognerebbe aiutarli a formarsi sul tema della violenza: l’invito è quello di seguire corsi di formazione o convegni e partecipare il più possibile a incontri che siano in grado di dare un’adeguata informazione su un tema che è molto difficile da affrontare – la denuncia della signora Angela -. Combatto tutti i giorni perché trovo servizi sociali che non rispettano né uomini né donne e se vedono che una situazione è difficile non perdono tempo perché non sanno mettere in rete le loro risorse e le loro capacità e non hanno la formazione adeguata per supplire a questa nuova emergenza. Perché non sanno dare delle risposte? Perché non sono preparati. Stiamo parlando di un fenomeno difficile e trasversale che colpisce tutte le etnie, tutte le età, tutte le religioni, tutti gli strati sociali, tutto il mondo. Ho vissuto, in questo senso, realtà deliranti; casi in cui le madri hanno rischiati di perdere i propri figli se denunciavano perché spesso chi dovrebbero tutelare la donna vittima di violenza tutela invece l’uomo. Casi in cui le donne, da vittime, passavano sul banco degli imputati”.

L’allarme della signora Angela però è più generale: “L’uomo, in questo periodo storico, sembra aver perso la propria umanità e la propria capacità di ragionare; vedo ovunque un’ignoranza pazzesca a partire dalle famiglie e dalle scuole che non sono in grado né di insegnare né di denunciare casi di violenza; viviamo in una società plurimalata. È fondamentale che ci siano dei percorsi adeguati per gli adulti di un domani che, sin da piccoli, devono interiorizzare il tema della violenza, comprenderlo e affrontarlo. Quando decisi di fare questo lavoro, lo scelsi perché nessuno lo faceva: io non mi sento sacrificata ma felice di poter donare qualcosa che va al di là di me e che, dopo di me, sarà tramandato ad altri: la mia soddisfazione più grande è quella di vedere mamme e bambini che ce l’hanno fatta”.

Poi c’è la fede che “in un certo momento della mia vita, quando non riuscivo a sormontare le difficoltà e mi nasceva dentro una spropositata arrendevolezza, mi ha salvato – ha concluso Angela -. Ho detto al Signore ‘fai tu’ e lui mi ha fatto vedere il lume e mi ha aperto la strada quando ormai non ero più in grado di vedere. Perché in una stanza buia, anche se c’è solo un cerino acceso, il lume c’è ed è importante seguirlo”.

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