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Da Capodarco a San Claudio, i ‘matti’ di don Vinicio. “Anche gli ultimi della società sono persone” (FOTO e VIDEO)

Da Capodarco a San Claudio, i ‘matti’ di don Vinicio. “Anche gli ultimi della società sono persone” (FOTO e VIDEO)

“Facevo la terza media quando visitai per la prima volta un manicomio. C’era un ragazzo con epilessia, del mio paese. Gridava ‘Io non sono pazzo. IO NON SONO PAZZO!’. Dopo sessant’anni ho ancora questa immagine del manicomio. Quello vero. Terribile. Difficile persino da descrivere”. Queste e altre storie racconta don Vinicio Albanesi. Dal suo ufficio simile a un 'krasnyj ugol', tappezzato di icone sacre, ci accompagna in una delle stanze più grandi della villa quartier generale dal 1966 della Comunità di Capodarco. Due delle sue operatrici più fidate, Martina e Stefania, mi anticipano: “Non è un prete normale, ha un carattere molto acceso. Se ti guarda mentre si abbassa gli occhiali, eh son cavoli”.

Sorridiamo scambiandoci rapidamente i convenevoli. Gli espongo le ragioni della nostra visita. “Vorremmo sapere qualcosa di più del lavoro che svolgete qui, e in particolare presso la Comunità di San Claudio”. Sì, quella che sorge di fianco all’abbazia, nella frazione del municipio di Corridonia (MC). Quella che ospita i matti. Con nomi, cognomi, storie. E gli operatori che li assistono ogni giorno, dal 1998. Anche loro con nomi, cognomi e storie. Ma ci torneremo un’altra volta.

Quella di Capodarco (l’associazione) è una realtà nata 56 anni fa, ad opera di don Franco Monterubbianesi. Vinicio Albanesi, al tempo, era un ‘semplice’ seminarista. Quando la vecchia villa abbandonata di Fermo diventa sede ufficiale, le prime persone accolte sono i disabili fisici. Nel tempo, arrivano quelli psichici, poi i giovani, i minorenni, i tossicodipendenti, gli immigrati e i malati psichiatrici. Gli ultimi della società, diremmo noialtri. La missione dell’associazione rimane sempre la stessa, per tutti: la riabilitazione e l'inserimento sociale e lavorativo. Nel 1974 don Vinicio si insedia in pianta stabile alla guida di questo insolito carrozzone, e dieci anni dopo ne diventa presidente. Oggi lui ne ha 79, ed ha declinato il proprio ruolo a presidente onorario, lasciando a persone altrettanto abili la gestione di Capodarco. Sempre però supervisionando, s’intende.   

Profonde saggezza con le sue parole, umanità con lo suo sguardo, autorevolezza grazie a un carattere che fa da contraltare alla corporatura minuta. “La nostra è la storia di un percorso fatto di persone che ‘sembrano’ diverse da quelle, cosiddette, normali. In realtà, anche loro hanno sentimenti, voglie, difficoltà, sogni, ricordi, cose belle e cose brutte. Il resto del mondo, però, tende ad etichettarli: i pazzi, i disabili, i tossici, varie categorie. Ma questo è frutto di una visione esterna, superficiale, comunque non reale. Sono persone che certamente non hanno autonomia, fisica o mentale. Però sono persone come tutte”.

La paura, non come giustificazione. Ma come base di uno stigma sociale. E sentimento condiviso da chi una vita normale la immagina con un lavoro, una casa, la buona salute. I requisiti necessari per non essere lasciati ai margini della società. “Quando accettammo di occuparci dei disabili mentali - aggiuge don Vinicio - posi due condizioni: nessun infermiere dai reparti psichiatrici, e soprattutto degli operatori giovani. Partimmo con ragazzi e ragazze di 23-24 anni. Mi dissero che era un azzardo, ma non lo era: i giovani hanno le capacità di essere curiosi, attenti e soprattutto disponibili ad apprendere”.

Di seguito, l'intervista completa a don Vinicio Albanesi:

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