Installa sul cellulare della moglie un software per "spiare" le chiamate ma non lo usa: vale la condanna?
Torna come ogni domenica la rubrica curata dall’avv. Oberdan Pantana "Chiedilo all'Avvocato". Questa settimana, le numerose mail arrivate, hanno interessato principalmente la tematica relativa alla violazione della segretezza delle conversazioni telematiche altrui, attraverso l’utilizzo di strumenti informatici.
Ecco la risposta dell’avv. Oberdan Pantana, alla domanda posta da una lettrice di Tolentino che chiede: "E’ penalmente sanzionabile chi installa un programma informatico per intercettare le comunicazioni telefoniche di un altro soggetto, anche se poi non è stato utilizzato?".
Il caso di specie ci offre la possibilità di far chiarezza su una questione estremamente attuale, su cui ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15071 del 2019, affermando la responsabilità penale di un marito, che aveva collegato il cellulare della moglie ad uno "Spy-Software" per monitorarle le chiamate, punendolo secondo l'ex art. 617-bis del codice penale.
Articolo che stabilisce espressamente: "Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine di intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni".
Difatti, nel caso in esame, la Suprema Corte ha valutato la punibilità dell’uomo, sulla base di un’autorevole interpretazione del diritto vivente, fornita proprio dalle Sezioni Unite, con sentenza n.26889/2016, la quale ha permesso di includere i programmi informatici denominati "Spy-Software", nella categoria degli apparati indicati espressamente dalla norma del codice penale appena citata, chiarendo che "l’evoluzione tecnologica ha consentito di apportare strumenti informatici del tipo software, solitamente installati in modo occulto su un telefono cellulare, un tablet o un PC, che consentono di captare tutto il traffico dei dati in arrivo o in partenza dal dispositivo e, quindi, anche le conversazioni telefoniche" (Cass. Pen.; Sez. Un.; Sentenza n. 26889 del 28/04/2016).
È stata evidenziata a tal proposito, una categoria aperta e dinamica, suscettibile di essere implementata per effetto delle innovazioni tecnologiche che nel tempo, consentono di realizzare scopi vietati dalla legge.
Inoltre, secondo la ricostruzione operata dalla Corte di legittimità chiamata a pronunciarsi sull’obiezione sollevata dall’uomo, in relazione alla circostanza che la moglie fosse stata di fatto avvertita dal figlio, circa l’installazione di tale programma sul suo cellulare, senza però smettere mai di usarlo, si è rilevato che il riferimento alla norma penale di cui all’art. 617-bis c.p., ha lo scopo di anticipare la tutela alla riservatezza e libertà delle comunicazioni, attraverso la sanzione dei fatti prodromici all’effettiva lesione del bene, non essendo dunque necessaria alcuna condotta ulteriore.
Pertanto, in adesione a tale autorevole orientamento della Suprema Corte e in risposta alla domanda della nostra lettrice, è da intendersi che: "Ai fini della configurabilità del reato in esame deve aversi riguardo alla sola attività di installazione e non a quella successiva dell'intercettazione o impedimento delle altrui comunicazioni, che rileva solo come fine della condotta, con la conseguenza che il reato si consuma anche se gli apparecchi installati non abbiano funzionato o non siano stati attivati" (Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza del 05.04.2019, n. 1507).
Rimango in attesa come sempre delle vostre richieste via mail, dandovi appuntamento alla prossima settimana.
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