Il punto di Diego Fusaro - "La guerra Russia-Ucraina pensata altrimenti"
Con il crollo della struttura diarchica dell’universo, si è aperta una nuova fase di conflitti, tutti diversi e, insieme, interni alla nuova “quarta guerra mondiale” (Costanzo Preve) avviatasi nel 1989. Essa, successiva alla terza (la “Guerra fredda”), è di ordine geopolitico e culturale ed è condotta dalla civiltà del dollaro contro the rest of the world, contro tutti i popoli e le nazioni che non siano disposti a sottomettersi al suo dominio, forma politica della conquista del mondo da parte della forma merce.
L’atto genetico della presente quarta guerra mondiale deve essere rintracciato nell’implosione della forza politica che, per quasi cinquant’anni, aveva reso possibile il congelamento dei conflitti, pur con l’eccezione di alcuni rilevanti punti “caldi” (dalla Corea al Vietnam).
Dissoltasi la potenza katechontica comunista, la scena mondiale si è contraddistinta per la riesplosione virulenta dei conflitti imperialistici. Sconfitta l’Unione Sovietica, la monarchia universale aspira alla conquista del mondo intero: e questo secondo la stessa logica della reductio ad unum del globalitarismo, di cui la potenza americana rappresenta la variante politica.
È, con il vocabolario di Schmitt, il tempo della “guerra dell’inimicizia assoluta”, che “non conosce alcuna limitazione”, ma poi anche del Raumordnungskrieg, la “guerra per un nuovo ordinamento spaziale” a livello globale.
La quarta guerra mondiale ha per scopo il mantenimento di un mondo monopolare (la global governance), la distruzione manu militari delle forze che ancora gli resistono, la prevenzione dell’emergenza di concorrenti asiatici o europei, la svalutazione del diritto internazionale e la mondializzazione senza frontiere dell’economia deterritorializzata e spoliticizzata.
Come suggerito da Daniel Bensaïd in Elogio della politica profana, nulla più del discorso del presidente Bush del 20 settembre 2001, all’indomani della tragedia delle Twin Towers, permette di comprendere l’essenza della quarta guerra mondiale.
Giacché i “terroristi” – cioè quanti non sono disposti a riconoscere la sovranità imperiale americana – “odiano le nostre libertà”, utilizzeremo – spiegava Bush – “tutte le risorse a nostra disposizione” per sconfiggerli. Ne scaturirà – sono ancora parole del presidente americano – “una lunga campagna senza precedenti”, condotta con “operazioni segrete, segrete fino al loro successo” e con mezzi inconfessabili. Il carattere mondiale di questa nuova guerra annunciata nel 2001 – ma già in atto fin dal 1991 – è ammesso dallo stesso Bush: “questa è una guerra mondiale. Questa è una guerra di civiltà” (this is the world’s fight. This is civilization’s fight). […] O siete con noi o siete con i terroristi”.
Da questi passi emerge come, dopo il pericolo rosso ormai sconfitto, il terrorista sia divenuto il nuovo nemico assoluto della quarta guerra mondiale, il nuovo male radicale da estirpare con ogni mezzo. In tal maniera, si tracciano, con la grammatica di Schmitt, “nuove linee d’amicizia, al di là delle quali cadono bombe atomiche e bombe all’idrogeno”. Si inaugura, così, la corsa alla guerra giusta planetaria, versione contemporanea della crociata; e questo in uno scenario in cui amici sono quanti accettano il dominio unipolare del mondo, nemici quanti gli resistono.
Per questa via, dopo l’11 settembre 2001, è normalizzata l’eccezione e, con essa, la crociata del Bene contro il Male, con tanto di riabilitazione della tortura come mezzo legittimo e di delocalizzazione delle prigioni clandestine (in tal maniera sottratte a ogni giurisdizione). Come suggerito da Agamben, azioni che, di per sé, non presentano il valore di legge, ne guadagnano la forza.
Definito lo scontro come civilization’s fight e il nemico come the terrorist, non vi è pace né negoziazione possibile. Con il terrorista non si tratta, né si scende a patti, quand’anche venga sconfitto; semplicemente lo si disintegra, non importa con quale mezzo, ma sempre in nome dell’ideologia umanitaria e della lotta contro il Male.
È, così, fondata quell’inimicizia assoluta che, come sapeva Schmitt, “attraverso il terrore e le misure antiterroristiche cresce continuamente fino alla volontà di annientamento”. Per questo, già a partire dal 1989, la sovranità imperiale mondializzata impone uno stato d’eccezione permanente. Se, con la Teologia politica di Schmitt, sovrano è colui che decide sullo Stato d’eccezione, nessuno è oggi più sovrano del Presidente statunitense.
Ebenne, la guerra d’Ucraina deve essere intesa in questo contesto: non è la guerra della Russia contro l’Ucraina, come ripete l’ordine discorsivo manipolato, ma è il conflitto che l’America e l’occidente, anzi l’uccidente liberal-atlantista, conducono contro la Russia, nel tentativo di “normalizzare” e colonizzare una potenza non ancora piegata al nuovo ordine mondiale a stelle e strisce.
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