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Disimpegno morale: come facciamo del male continuando a vivere bene

Disimpegno morale: come facciamo del male continuando a vivere bene

È questo il titolo del libro di Albert Bandura, nel quale l’autore descrive i meccanismi con cui gli individui riescono a “disimpegnarsi temporaneamente dalla morale senza sentirsi in colpa, come se questa fosse un interruttore che si può accendere e spegnere a proprio piacimento”.

 Quali sono questi meccanismi cognitivi che permetterebbero all’individuo di mettere in atto un’azione lesiva e riprovevole continuando a “sentirsi a posto”?

“Se mi sono comportato così, l’ho fatto per difendere il mio onore...la mia famiglia..”

Chi si auto-giustifica in questi modi dopo aver commesso un’azione riprovevole è consapevole di aver  agito in modo disonesto o violento, ma si convince di aver perseguito finalità giuste e meritevoli, di aver perseguito una “giusta causa”.

Questo è il meccanismo della GIUSTIFICAZIONE MORALE.

“In fondo stavamo solo discutendo”

L’azione violenta viene in questo caso “addolcita” con una modifica del linguaggio e diventa “solo una discussione” per alleggerire la gravità  del comportamento. Quando si utilizza questo espediente Bandura parla di LINGUAGGIO EUFEMISTICO.

 “Ti ho solo aggredito verbalmente, non fisicamente”

In questo caso l’individuo si autoassolve confrontando la propria azione riprovevole con altra peggiore e più grave; utilizza il CONFRONTO VANTAGGIOSO per rinnegare il disvalore dell’azione compiuta.

“Se ho agito così, la colpa è di chi mi ha convinto ad agire così”

La responsabilità di un comportamento immorale viene in questo caso spostato su un soggetto esterno a sè stessi. Si attua uno SPOSTAMENTO DELLA RESPONSABILITA’  per prendere le distanze dall’azione commessa.

“La colpa non è solo mia, sono stati gli altri che..”

Qundo ci si muove in un gruppo ed il gruppo stesso pone in essere azioni immorali, nessun individuo si sente davvero responsabile. Si attua una DIFFUSIONE DELLA RESPONSABILITA’

“Cosa vuoi che sia, non si è fatto/a niente è tutta scena”

In questo caso si minimizzano, si trascurano i danni provocati e  si arriva addirittura a contestare l’esistenza del danno derivato dalle proprie azioni.  Si attua una NEGAZIONE DEGLI EFFETTI LESIVI della propria condotta per non sentire il senso di colpa dipendente dall’entità del danno provocato.

“Tizio è un verme”

“Dalla spersonalizzazione alla deumanizzazione il passo è breve”.  

La vittima dell’azione  immorale non viene vista  come individuo dotato di sentimenti speranze e preoccupazioni; si inizia trattando la vittima con distacco emotivo, senza empatia, per giungere a deumanizzarla con frasi che la privano dell’essenza della sua natura umana. Si parla di DEUMANIZZAZIONE DELLA VITTIMA

“A quell’ora in giro da sola se l’ è cercata” (esempio di caso di violenza sessuale”)

L’ autoassoluzione in questo caso deriva dal considerare la propria condotta lesiva come obbligata dalle circostanze o dalla provocazione della vittima. Con L’ ATTRIBUZIONE DELLA COLPA ALLA VITTIMA il colpevole ritiene addirittura giusta la propria azione: la vittima, per l’agente, diviene colpevole, se l’è meritata. 

Bandura spiega che “ all’inizio le persone  compiono atti poco nocivi che riescono a tollerare solo con qualche  fitta di senso di colpa ma, dopo che il loro autobiasimo si è indebolito con la ripetizione di comportamenti lesivi, il livello di spietatezza aumenta finché azioni che  prima vedevano come orribili possono essere perpetrate con scarsa autocensura. A questo punto le pratiche disumane diventano un’abitudine priva di riflessione".

Che sia condivisa o meno la sua teoria, frutto di molti anni di studio da parte dello psicologo canadese, per tutti conoscerla potrebbe essere uno spunto di riflessione su noi stessi e sulla nostra società, o semplicemente una conoscenza in più da acquisire “al nostro bagaglio di informazioni”.

 

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