Sandro Parcaroli? No, non ci voleva proprio.
I maceratesi si erano già “rassegnati” a votare Narciso Ricotta, mettendosi magari la coscienza a posto siglando l’altra “X” sulla fiamma di Fratelli d’Italia per spedire il maceratese Francesco Acquaroli alla guida di una Regione da sempre in mano a pesaresi e anconetani.
E invece arriva questo individuo, a tutt’oggi nei sondaggi da bar sport dato come “perdente di successo”.
Si presenta questo imprenditore “illuminato”, come dicono quelli di sinistra che amano gli imprenditori solo per le loro sponsorizzazioni sportive e culturali.
Irrompe questo “uomo nuovo” che ha messo d’accordo le anime del centrodestra, da sempre con-dannate (alla sconfitta a tavolino).
Ecco, quindi, Sandro Parcaroli, che prima ancora di dirci una riga di programma per Macerata, è riuscito a scompigliare in poche ore tutti i piani del “vincente facile” di turno di un PD sempre più sottosopra, tra la deglutizione atipica delle smarronate dei 5 stelle a Roma, e i rigurgiti acidosi di possibili alleanze con i grillini sui territori.
No, Sandro Parcaroli, non ci voleva proprio.
Per un semplice motivo: perché è un uomo di successo.
In una società come la nostra, “conservatrice” - nel senso gattopardesco del termine - e “provincialotta” - nel senso maceratese del termine - il successo non può essere frutto di sacrifici misti a talento, né tanto meno un “dono divino”, bensì una colpa da espiare, un merito da occultare, una sorta di condanna a “fare del bene e non farlo sapere”.
Una certa cultura presente da anni nel nostro Paese, che mette d’accordo vecchi intellettuali snob da salotto e giovani dei centri sociali, cova un forte scetticismo nei confronti degli uomini di successo, arrivando persino a godere per le loro sciagure economiche e personali.
E’ quella cultura anti-industriale che ogni tanto emerge intorno a noi, si alimenta del supporto popolare degli eterni “protetti”, rappresentati plasticamente dai “bidelli in smart working”, coloro i quali durante il lockdown hanno trascorso il tempo ad annaffiare i fiori in terrazzo e guardare la TV a spese dello Stato, mentre commercianti, professionisti, Partite Iva e imprese (loro dipendenti compresi) lottavano per pagare e farsi pagare, sorbendosi fiumi di DPCM caotici e lunghi monologhi di Commissari e Ministri che spiegavano quante risme di carta utilizzare per avere i 600 euro o la CIG.
No, Sandro Parcaroli, questo uomo di successo, questo ribelle dalla bianca chioma, non ci voleva proprio.
Questo imprenditore che ama la sua città, sponsorizza cultura e sport, non potrebbe più farlo senza - dicono quelli di cui sopra - “esercitare una sorta di conflitto di interessi”; ma se poi smettesse di farlo - dicono sempre gli stessi in un insanabile conflitto interiore - chi curerebbe poi gli “interessi” dei cittadini maceratesi affamati di lirica e sport?
Dove lo trovano un altro imprenditore-bancomat disposto ad investire in una città che alcuni, non troppi per fortuna, vorrebbero “addormentata”, prona nel suo coma farmacologico perenne, che solo efferatissimi fatti di cronaca nera hanno fatto schizzare nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo?
No, Sandro Parcaroli, non ci voleva proprio.
In molti iniziano a credere che può essere quel “Cavaliere Bianco” che possa sconfiggere il male oscuro che penetra ben oltre le mascherine dei maceratesi: quel fascino subdolo del declino, che ha sempre pervaso questa città, oramai da anni in preda alla “kebabizzazione” delle sue mura più antiche, un processo erosivo più rapido della desertificazione di un’autentica vita comunitaria.
Quella “vita comunitaria” - nella migliore delle ipotesi condannata come “movida” universitaria (che Dio benedica l’Università!) - che vetrine di negozi chiusi tappezzati di colorati “Affittasi” e “Vendesi”, stanno impietosamente a ricordarci, quasi fossero autentici sepolcri non più imbiancati, che ci troviamo in una piccola necropoli moderna, tramortita dai Centri Commerciali e da una classe dirigente conservatrice e poco coraggiosa.
No, Sandro Parcaroli, non ci voleva proprio.
Chi glielo fa fare a lottare per questo distillato dell’Italia “fuori dall’autostrada”, una città sorta dai ruderi di Helvia Recina, eppure da essi mai affrancatasi?
E’ vero, nei secoli quelle pietre informi sono diventate mura, palazzi, teatri ed edifici, ma i ruderi più resistenti sono sempre lì; o meglio le loro polveri sottilissime sono entrate nei polmoni dei maceratesi e si sono solidificate via via ogni giorno di più.
Quei ruderi “dentro” hanno alimentato questo tifo masochistico per un imminente declino, un clima da fine impero per chi si sente ancora cittadino di un capoluogo che non attira a sé neanche le sue popolose frazioni e che fortunatamente sopravvive grazie soprattutto al dinamismo di un’Università che svolge un ruolo strategico chiave per il suo sviluppo.
Macerata è una città dove impera la povertà intellettuale di chi, sentendosi inferiore (ma forse non lo è), snobba nel senso più autentico del termine la novità, il talento, l’essere non normale, ribelle.
E già, perché la classe dirigente di Macerata, custode di una polverosa normalità, ha sempre schiacciato le novità, soffocato gli slanci coraggiosi e anche temerari, privilegiato la conservazione dei ruderi rispetto al pericoloso rinnovamento, non aprendo mai seriamente ai giovani ma tentando di inglobarli nella finta cultura “sociale” delle “cooperative”, veri e propri bacini “elettorali”.
No, Sandro Parcaroli, non ci voleva proprio.
Dovrà fare i conti con una Macerata che, nel breve volgere di un ventennio, si è trovata orfana di tutto ciò che fa di una città un vero capoluogo: le caserme dell’esercito e dell’aeronautica, la Cassa di Risparmio, Bankitalia, la Lube, le piscine, la Maceratese, le discoteche, i luoghi ideati per le giovani generazioni dei Millennials.
E non si cada nell’errore di dare la colpa all’ultimo Sindaco di turno e di puntare alla “discontinuità” e al “cambiamento”: il prossimo Sindaco non dovrà essere più quello a cui il Sindaco successivo dovrà addossare tutte le colpe dell’ulteriore declino di Macerata.
No, Sandro Parcaroli, non ci voleva proprio.
Un ribelle a Macerata? Uno che è abituato a guardare sempre al futuro e fare i conti col presente, come fa ogni imprenditore che rischia per sé ogni giorno? E chi glielo racconta adesso a quelli già pronti a votare la “discontinuità” e il “cambiamento”?
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